Dalla Sofferenza, alla Serenità, al Desiderio: un Tragitto verso la Felicità
Sofferenza, Serenità e Desiderio.
un tragitto verso la felicità.
Spesso siamo continuamente adagiati nell’ attesa di eventi che ci cambino la vita, sospiranti di passare dalle precarietà delle sofferenze, alla serenità auspicata e rilassata, aspiranti verso il desiderio.
La sofferenza immobilizza, è aggressiva, imbambola, frena,isola, introietta, implode, impedisce l’ intraprendenza, lega i pensieri, lega le mani, inibisce la caparbia, demotiva l’iniziativa, ti scoraggia, ti siede e ti stende, rende fobici, insofferenti e insoddisfatti, fa ginnastica passiva, demonizza gli eventi, si lamenta sempre, è astenica, passiva,è statica, istrionica, blocca, affossa, seppellisce, è ritrosa, nervosa, introversa, arrendevole, è paranoica, attende solo sentenze, è diffidente, è un urlo disperato di vita, giudica e teme il giudizio, è intrusiva di pensieri di malattie e di morte, ti incarta, ti imballa e paralizza.
La serenità è una meta tanto sospirata, acquieta, è stasi, si distacca dalla realtà, evita intrighi, confusioni e conflitti, non è invadente, né invidiosa, è indifferente, fa la brava, è pia e bigotta, non si impiccia, è ipocrita, si astiene, è buddista, fa yoga, pilates, è discreta, si distacca, trattiene, è fedele, è uno status quo di grazia, non muove una foglia, è un mare piatto, caos calmo, è paziente e severa, non punta il dito, non si compromette mai, è super partes, non si schiera mai, è un angioletto, scaccia l’ impulso a vantaggio della noia, orientata alla malinconia, evita le iniziative, pur di ottenere la calma ed essere difesa.
Il desiderio è turbolenza, inquietudine, emozione, effervescenza, esalta la ricerca, è diavoletto, orientato all’ amor proprio, non cede al senso di colpa, non colpevolizza, vive e lascia vivere, è complice, è rock and roll, è Dire Straits, persegue il piacere, è un fuoco d’artificio, una cascata tiepida, genera benessere, è frenetica nel condividere, è riservatezza, vorrebbe urlarla, è pressione adrenalinica, battito cardiaco nelle arterie, è un metro sopra la testa, se ne frega del giudizio, è parente stretto dell’ edonismo, un botto di petardo a capodanno, che delinea un inizio tumultuoso.
Chi è tranquillo, si accontenta, ma chi si accontenta non gode, si ferma, si orienta all’ ozio. La tranquillità fomenta l’attesa, e se attendi troppo, trovi la noia. La tranquillità è passiva, cerca ciò che già conosce, Il desiderio è attivo, fomenta l’ osservazione e la ricerca, accoglie il nuovo sconcertante e non lo spaventa, brucia la noia, è audace, è Cape Canaveral, il propulsore e la spinta al bello, è il contrario dell’ attesa, è iniziatore, protagonista e determinista, è intraprendente, osa, è caparbio, parla chiaro, spiattella e se ne fotte del populismo.
Che male c’è nel desiderare, se le situazioni, le persone che ci sono attorno sono fatte di corteccia, e le loro sofferenze son legate ad una vita di apparenze, sopravvivono di essenzialità, vivono di solo calcio, di numeri ed algoritmi, di pesi e di misure, di ascese, di accumuli da esattori, calcolatori, pressoché capitalisti, miseri arricchiti, di un vuoto esistenziale, i veri poveri sono i ricchi, freddi in petto, tecnici anafettivi, scevri di sentimenti, di ogni stimolo di emozioni, vivono di porno e trattengono le lacrime, monolitici, tutti di un pezzo, affidabili colonne fredde di travertino, cappelle cimiteriali, lontani fugaci punti vista di riferimento, muti, statici di sicurezza e serenità apparenti.
Basta un tetto, del sesso, del cibo e la pecunia, per essere sereni ? Anche, ma Senza un flusso di parole condivise, come una fiamma ossidrica, che legame o saldatura ci sarebbe?
Chi desidera è intraprendente, suda a maniche di camicia bianca rivoltate, ha i calli sui neuroni, è resiliente, è un ricercatore di mille soluzioni per un solo problema, piuttosto che mille problemi per ogni soluzione, invece chi è tranquillo, non gliene fotte nulla, ne del problema ne della soluzione invece chi soffre, subisce i problemi, non vede mai soluzioni ed è un residente in via passato al numero zero.
Esistono pochi altri, piacevoli veri, uomini alfa, attivi, positivi, intraprendenti, costruttori propositivi, accoglienti, non oppositivi, non resistenti, fatti per far vibrare, scuotere e brillare, operatori di risorse, illuministi, che hanno mille colori per interminabili mille sfumature di grigio, che lasciano e fanno vivere, non sono né invidiosi, ne complottasti, ne competitivi e gioiscono per i successi altrui.
Star bene da soli è il primo obiettivo, ma star bene con certi altri è un obiettivo superiore che va oltre di noi, è il non plus ultra, Se stai bene con te, riesci a fare a meno degli altri, e se riesci a fare a meno degli altri ti cercano tutti.
Bisogna piantarla di demonizzare il desiderio, esso è la chiave che permette l’ attrazione per tutto, per lo studio per i lavori per le relazioni vere. Senza il desiderio si è spenti, non ci sono ne motivazioni, ne sapori, ne mare, ne arcobaleni, non si godrebbero i figli, il lavoro, la casa.
L’assenza di godimento, è l’ alienazione, della motivazione a vivere, dei bisogni, e delle intime attitudini, è l’ essere votati al dolore, al già noto, obsoleto e scontato, al dovere, del “ si deve, per forza”. Quale croce o buio è fine a se stesso, se non è invece orientato alla luce oltre il tunnel ?
Se non avessero senso il piacere e il godimento, non saremmo mai nati, non saremmo mai stati concepiti; è il piacere che spinge all’ accoppiamento, alla vita e la vita rinasce se si possiede la spinta verso il piacere. Per quale motivo di follia allora dovremmo ontogeneticamente essere orientati a soffrire ? Vive chi reagisce al dolore attraverso il suo urlo di vita.
In assenza di piacere non avrebbero senso tutte le attività cliniche e sanitarie, compresa la mia, tutte alleate nel dichiarare guerra al dolore, alla sofferenza umana; il dolore non è mai la meta, ma il tramite per la salute, il benessere e la gioia. La vita va goduta, sul proprio balconcino sul prato o sul balcocino di Licata, come un caffè arabico, cremoso e dolce nel suo essere amaro e profumato nel suo sapore.
Quando si dice, è una persona viva, si intende attiva, agguerrita verso il dolore umano, serena, generatore naturale come l’ istinto che lo caratterizza, del desiderio di esistere, di godere quello che è e quello che fa piaccia o no agli altri. Tanto le sofferenze, i doveri e le responsabilità chi li scorda? Tra l’ altro non ci ricorderanno manco per essi. Le sofferenze ci saranno sempre e sono talmente tante, che sarebbe il caso difendere sempre l’ umore e la vitalità per la quale avranno più memoria.
Chi lo dimentica è vincolato alle proprie zavorre, non si ribella mai, non sbraita, e non spacca mai nulla per disperazione, con il rischio di identificare la vita al peso delle zavorre della mongolfiera, lasciale cadere se vuoi risollevarti dal terreno e dal fango, verso il crepuscolo dell’ orizzonte. Bisognerebbe lasciar traccia delle bellezze, considerato che abbiamo spesso solo la memoria del peggio.
Non si può essere poeti solo quando si soffre ma andrebbe dato onore ai poemi sulla gioia.
Chi possiede la malattia del dovere, trasmette la cultura della rinuncia, dell’ accontentarsi e del contenersi; chi possiede la cultura della vita vive inevitabilmente per il piacere che per sua prospettiva, si auto conduce alla propria felicità.
giorgio burdi
L’uomo è più potente del suo dolore e della morte
Che senso ha la sofferenza
L’uomo è più potente del dolore e della morte
Ogni volta che ci troviamo di fronte ad un qualsiasi dolore, veniamo chiamati a rinnovarci, attraverso la sua presenza, possiamo comprendere forzatamente o piacevolmente, che si sta prospettando la necessità di una nuova nascita.
Non siamo nati per soffrire, ma quando il dolore è presente, invita ad una evoluzione verso L’ equilibrio e la serenità, direziona verso un aiuto, una presenza super partes, verso una voce che ci accompagni mano nella mano.
Il dolore mentale o fisico si presenta come un parto verso un nuovo adattamento. È l’adattamento verso la nuova prospettiva che si impone, che strugge l’anima.
La sofferenza denota il bisogno di adoperarsi per una evoluzione che fa spavento. Tutto ciò che è nuovo, orientato verso la sua differente prospettiva, fa letteralmente paura.
Il più delle volte percepiamo solo tutta la veemenza del dolore che oscurantisce la prospettiva del cambiamento. Non lo capiamo, non lo sappiamo, ma quando soffriamo si esige un cambiamento.
Gli stessi sintomi rappresentano una ribellione ad una condizione e in quel momento il dolore rappresenta paradossalmente il nostro miglior amico che vorrebbe indicarci la strada e ciò che di fatto non va.
La sfida del sintomo è dover riconoscere da cosa esso viene generato per avviare una metamorfosi liberatoria rispetto alla situazione generatrice del sintomo.
Accertati che non ci siano cause di natura organica, se hai un dolore alla gola, domandati, quante parole non dici, soffocate a mezza lingua.
Gli acufeni denotano la presenza di pressioni emotive scaricate sui timpani, gli attacchi di panico che ti fanno temere la pazzia o la morte, denotano cosa davvero ti fa impazzire o ti fa morire nella vira quotidiana. La mancanza di autostima non rappresenta uno stato di deficienza personale, ma a quanti giudizi sul mio conto ho creduto.
La ricerca continua del senso della vita, il mal d’ esistere, denota che c’è molto che non da senso alla mia vita.
Comunque sia, il dolore non è nostro nemico ma al contrario un amico che incita verso una trasformazione di equilibri, verso la serenità e la felicità.
Ma, lì dove è complesso cambiare, cosa succede ? La sofferenza impone e propone l’ adattamento e la capacità di accettazione che acquieta e rigenera una nuova nuova forza di vita. Comunque sia,
l’ organismo è sempre reattivo, per adattamento, al miglioramento di se.
La prostrazione della sofferenza rende vulnerabili, spinge verso l’errore, spinge verso una dimensione comunque umana di differenti prospettive. L’ errore rappresenta la ribellione verso il dolore, è un confuso tentativo irrefrenabile verso una prospettiva di miglioramento.
L’errore rappresenta il partner del cambiamento, è un urlo di liberazione, senza sbagli non si cambia. D’ altronde il bisogno di liberazione, in una condizione di sofferenza che genera confusione, non sempre è progettabile, per quanto si cerchi di non sbagliare perché l’errore è sempre ripugnabile, ma esso è il puro ribelle del dolore, verso una evoluzione al di là dello stesso.
L’uomo è più potente del dolore, della morte perché comunque vada o comunque sia, per istinto di vita o di sopravvivenza, l’uomo si difende sempre, lotta e vive in trincea perché auspica sempre al desiderio di vita e di vittoria. Non molliamo mai.
giorgio burdi
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