Sento
Sento
Sentire è lasciar parlare la totalità di se, aldilà di ogni linguaggio e di ogni grammatica differente, è la grammatica dell’ anima, è esprimere un universo dentro di noi, denso di significati, è un eloquio veloce piu della luce, ci collega a noi, oltre ogni nostro orrizzonte e distanza, è come parlare in una stanza, anche se fossimo su pianeti diversi. Il sentire è la quarta dimensione, è ciò che trascende la pelle e va oltre ogni confine ed ogni dimensione è l’ aura intorno a noi, l’ espansione della nostra luce, è il proiettore dell’ anima, è vedere nel buio agli infrarossi.
Chi sente, anticipa, è un miglio avanti, è smart, veloce, sensitivo, veggente, “legge le carte”, ha un talento innato, tanto più se ha sofferto, chi ha toccato il fondo e si è risolto. Chi soffre va giù, come una trivella che trita e spacca i sassi, ma trova le risorse, i propri giacimenti.
Sente, solo chi ha brancolato nel buio e si è ingegnato per costruire torce dal nulla, chi ha camminato scalzo sui ciottoli, si è spianato la strada da solo, chi ha usato l’ aratro e il piccone, chi si è arrampicato a piedi scalzi sulle rocce o ha camminato sui pezzi di vetro, in frantumi, dei propri palazzi di sabbia.
Chi sente vede, anticipa, è attento, sensibile, arriva, riesce, ce la fa, cade e non si arrende, non perde ciò che gli altri non vedono, non si perde d’ animo, non rimane spalmato sull’ asfalto, perché nel suo sentire, percepisce la sua voce flebile che dapprima bisbiglia, poi suggerisce, parla e poi urla; e tanto più urla, quanto più viene mesa a tacere, e per nulla al mondo rinuncia a farsi tarpare le ali e a farsi più tappare la bocca.
Chi sente, trafigge e oltrepassa la notte, dalle sensazioni partorisce intuizioni, si fanno ruscello, che si srotola per chilometri a valle, parte dalla fonte delle più alte vette, dalle profondità delle rocce che levigano i ciottoli e travolge tutto fino alla pianura di un lago.
L’ intuizione del sentire, si fa movimento, scroscio, si fa salto nel vuoto, cascata nei dirupi che travolge i tronchi, delinea una scia e poi mette tutto al margine, l’ acqua pura prende il suo posto d’ onore centrale, secondo un ordine naturale, trova la dignità e la coerenza di se.
Chi sente è libero, e la libertà di sentire rende fieri, se agisce, sente solo chi è libero da fronzoli, da paranoie, da interpretazioni, dal giudizio, dalla mania del controllo, dagli stereotipi e dai pregiudizi, da ogni forma di indottrinamento moralistico o politico, sente chi non è diffidente, perché la diffidenza distorce tutto ciò che è nuovo, che diventa immancabilmente vecchio, chi sente è un open mind, sente chi impara a far tacere il mondo, che fa attenzione a non lasciarsi da esso annegare.
Chi sente, è inesauribile, attinge dalle proprie acque, dalle proprie risorse, resta integro, fedele a se, a ciò che realizza, è incorruttibile, intatto, cambia, ma resta tutto di un pezzo, diviene, rimanendo se stesso, tale e quale a se, compatto, un tutt’uno, un isotopo, un atomo, una batteria nucleare che non si esaurisce mai, è un sole tellurico, un focolaio che non si spegne.
Ma dove sono e si attingono tutte queste risorse, talmente misteriose ? Nel mistero del proprio vuoto, nella propria follia, intesa come il totalmente diverso dagli altri, nell’ indicibile, in ciò che gli altri non possono capire, nel non scontato, nel non ovvio, nei propri simboli, nello sragionare differente dal mondo, nel ragionare con la propria testa, nel proprio istinto, nel mondo onirico che è il confine oltre l’ altro cosmo di noi.
Chi sente, intuisce, prima bisbiglia con voce labile, ascolta, poi parla, sceglie, soffre, urla, agisce e cambia.
Le ossessioni non conciliano col sentire, perché l’ ossesso, non lo sa, ha in testa le voci degli altri, che lo confondono e lo rendono disordinato e ritardatario; è ritardatario, colui che perde tempo nel trovare la sua voce nella sua folla mentale; la strada è sentire ed ascoltare se, ma questo diviene possibile, se degli altri si spegne il volume; bisogna sbagliare tante di quelle volte per approdare al sentire, perché i pensieri fissi rappresentano il traffico dei rancori e rammarichi nella nostra mente, che va sgombrata per ascoltare se; si deve errare tante di quelle volte e soffrire, prendere molti pali ,cadute o fuori strada, per imparare a scrollarsi di dosso il mondo e sentire davvero se.
Il valore è nel dolore e non va trascurato, chi ha il dolore sente solo la voglia di morire, ma è proprio lì che inizia la vita, il parto, il dolore non va schivato, anche se ti costringe ad andare sempre e più giù, a scendere, a cadere e a farti male, l’ audacia e la tenacia, fa rinascere, scrosta e purifica, il ruscello che spacca la roccia dopo tanta caduta e fatica. È solo il dolore che ti fa riconoscere l’ effimero, il superficiale, il manipolatore in fuga che ti usa in preda alle sue evasioni.
Sente, solo chi ha un ascolto attivo, i rumori diventano silenzi, il mondo trasparente, scompare la routine, anche le noie riprendono il loro fascino insieme ai fracassi e alle distrazioni. Chi sente, è uno sceneggiatore, ha da raccontare e da dire, ha il teatro e la festa in testa se apre la combinazione del tuo libro, sa leggersi, ascoltarsi e agire. Domandati cosa sento e pertanto è ciò che vuoi e ciò che più desideri, ed agisci.
Due che sentono, diventano complici, si leggono dentro, fra le righe, hanno uno stesso pentagramma a quattro mani, adoperano in contemporanea le stesse identiche note e parole, sono il filo l’uno dell’altro, non perdono il baricentro, il bandolo, anche se si mescolano nel profondo del fondale, sono in grado di immergersi fino in fondo e di ri emergere velocemente per respirare.
Due che sentono, restano eterni, non muoiono, non si stancano e staccano mai, parlano sempre, non tacciono mai, si stupiscono per i piccoli gesti e per le semplici cose, si accolgono uniti.
Ognuno, nel suo sentire trova la propria strada, è un diamante di luce, tutto da vedere ed ascoltare; per apprezzarne il suo splendore si deve disincrostarlo dalle opacità delle paure quotidiane e dalle ombre altrui, perché se ti scrosti, scopri quanto sei nuovo e sei vivo da sempre, luminoso, ma ogni cosa nuova, anche se se si tratta di noi, fa spavento, perché anche il cambiamento di appartenersi può far spavento, rispetto all’ appartenere a qualcos’altro.
giorgio burdi
ContinuaSe Decidi Per Te, Decidi il Meglio
Se Decidi Per Te, Decidi il Meglio
Tra il mio “io” senziente ed il mio “me” profondo c’è sempre un via vai di informazioni. Un flusso costante bidirezionale di pensieri consci e ragionati, sovrapposti a sensazioni inspiegabili, nebulose ma tenaci, che svaniscono appena cerco di metterle a fuoco.
La ragione ragiona, pensa e simula. Immagina scenari a volte ottimistici ed a volte no. Proietta immagini davanti agli occhi che spero o temo siano messaggi dal futuro, a seconda se ció che ha scatenato il pensiero sia una speranza o una paura.
Altre volte la ragione sragiona, asseconda la mia speranza, l’immaginazione che vede per me, solo un futuro tinto di rosa ed azzurro. Poi cancella tutto e resta solo la desolante paura da “foglio bianco” dello scrittore.
È a questo punto morto che il pensiero nebuloso ed evanescente di prima, mi mostra il suo progetto che ha in serbo per me. Non appare dalle nebbie piano, piano ma si accende di scatto, nitido, reale. Tanto reale da farmi pensare che non sia un pensiero ma un cartellone pubblicitario su una strada o meglio un segnale stradale che indica il cammino, il viaggio, la méta e lo scopo.
Forse è tutto un sogno. Un dare un significato alla decisione presa. Forse sono solo fantasie ma ogni volta che decido io, per me, decido il meglio. Per contro, ogni volta che “altri “ decidono per me e per la mia vita, pensando di prendere ed appropriarsi, decidono il peggio per loro ed il meglio per me.
Sono fortunato? Certo! Cerco di farmi andare bene ciò che mi accade? Certo! Godo di tutto quello che ho, pensando che non è detto che lo avró per sempre? Certo! La spiegazione a tutto questo forse è un bel miscuglio di tutte queste ragioni o il mio sentirmi in armonia con il mondo in cui vivo.
Posso solo aggiungere che io vedo e sento ció che la mia mente non vede e non può sentire. Indaffarata com’è a mettere in fila i mattoncini della mia vita. Lei vede la pianta del progetto ma io vedo l’edificio finito con i gerani al balcone. ( E di solito è una villa).
Fabio
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