La psicoterapia: Dal necessario all’ impossibile
La psicoterapia: Dal necessario all’ impossibile
«Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile».
Beato Egidio.
Questa espressione dovrebbe essere la premessa di ogni percorso di psicoterapia. In studio, molto spesso, accede chi non conosce la fondamentale differenza tra psicologo e psicoterapeuta. Giusto qualche parola per i servi, ma su questo non mi dilungherò, è necessario chiarire che il primo è un laureato in psicologia, percorre un anno di tirocinio per poi sostenere l’ esame di stato per potersi iscrivere all’ albo degli psicologi.
Egli esercita una consulenza di sostegno, lavora sul sintomo, usa tecniche di alleggerimento degli stessi e produce una diagnosi. Lo psicoterapeuta, fa tutt’ altro, oltre ciò indicato, è un “agente di cambiamento”, è un ricercatore a tutti gli effetti delle cause della sua sofferenza psichica: dopo la laura in psicologia, frequenta una scuola specialistica, ad oggi quadriennale, tra un po’ diverrà quinquennale, il suo compito peculiare è intercettare, come fosse uno speleologo, le radici di certi malesseri.
Qualsiasi lavoro analitico, attraverso una psicoterapia, deve necessariamente produrre un cambiamento. La Psicoterapia fatta in assenza di un tale orientamento, è semplicemente un sostegno, una psicoterapia vacua ed inutile.
Una psicoterapia non usa mai solo tecniche di rilassamento, quali mind fullness, yoga, training autogeno, tecniche di de sensibilizzazione pari all’ mdr , all’ ipnosi ecc, tecniche adoperate dagli psicologi, in tale direzione, tra l’altro non si è mai riscontrato di osservare soggetti risolti, trattati solo attraverso tali impostazioni.
Uno psicoterapeuta fa tutt’altro, egli conduce un colloquio tortuoso, atto all’ individuazione delle cause, attraverso una indagine analitica; privarsi di questa peculiarità, il percorso perde di valore e di potenza, che di riduce al racconto delle attività della settimana, rappresenta una perdita di tempo, con un grave dispendio di risorse economiche.
Lo scopo della psicoterapia è quello di “ intercettare l’ evento ”, o i fatti sottostanti I problemi, ciò avviene esclusivamente attraverso quell’ assioma dell’ “indagine analitica” . Essa procede in avanti e a ritroso e viceversa, all’ interno della storia del soggetto, per l’individuazione delle cause del suo problema.
Un colloquio empatico, ispeziona e scandaglia i sotterranei delle sofferenze del soggetto, le “memorie del suo sottosuolo”, “ i sotterranei dell’ anima”, procede dalla profondità alla superficie, dal presente al passato e viceversa, funge come un Ping pong, in cui la persona si sente considerata ed accolta, presa in carico, seguita e compresa, tanto da poter restituire al soggetto, la lettura di quei meccanismi involontari che lo governano e lo lasciano affranto nelle sue pene.
Fare una psicoterapia per anni, solo per favorire l’ adattamento del soggetto al suo problema, rappresenta il fallimento più grande della stessa. Lavorare con tale modalità significa lavorare solo sul sintomo ed avvia la formazione verso una dipendenza dal professionista. La psicoterapia, contrariamente libera da qualsivoglia dipendenza, anche da quella dello psicoterapeuta .
Contrariamente, una psicoterapia adopera il sintomo, usa la sua lettura per giungere esclusivamente alle sue radici causali. Pertanto ripetiamo, che una psicoterapia che non cerchi ed indaghi esclusivamente le cause, non può definirsi tale. Successivamente, dovrà impegnarsi verso le probabili soluzioni necessarie, poi verso quelle possibili e necessariamente tener conto anche di quelle più complesse ed impossibili.
La psicoterapia secondo questa impostazione, rappresenta una vera e propria rivoluzione, che non può attuarsi, se non attraverso una sinergia, un accordo precedente ed in itinere concordato, tra paziente e specialista, lì dove si vuole arrivare.
Uno psicoterapeuta è uno “Che Guevara”, un professionista pacato, tranquillo, ma fortemente in azione, trasmette, se è possibile, che non c’è scampo per il problema, e nemmeno per gli auto sabotaggi che il paziente opporrà, e che la rivoluzione la si fa sempre insieme, qualsiasi essa sia, mai propone ed impone la propria rivoluzione, ma accoglie in assoluto il bisogno di cambiamento del soggetto e la sua assoluta direzione liberatoria.
Lo psicoterapeuta, non da consigli o la sua esperienza e qualora dovesse farlo, orienterebbe la rivoluzione del paziente verso la propria direzione auto realizzazione, da depistarlo, modificandogli il percorso di emancipazione. Le direzioni da intraprendere e le scelte, sono segrete e sacre e devono rimanere di pertinenza unicamente del soggetto, rappresentano la sua identità e non quelle del popolo e tanto meno dello specialista se in tal modo desidera farsi chiamare.
giorgio burdi
ContinuaL’ UOMO ANALITICO
L’ UOMO ANALITICO
Ostetrica dell’ anima
L’ uomo analitico appende al chiodo la sua maschera, mette a nudo la sua opera d’ arte, è vero, autentico, è numero uno, aspira al confronto, è reattivo, non disdegna il dolore, lo considera zona intima, ne il conflitto, li ritiene occasioni di sviluppo, si inoltra nei suoi fondali, ci nuota, si immerge, va a fondo più del profondo, va in apnea e sa riemergere, chiede e richiede a chi non risponde, non molla l’ osso, attraversa il buio e vede la luce li dove non c’è, non teme il problema, lo considera la soluzione, non lo schiva, gli va incontro, si impatta, affronta chi lo evita, non procrastina, è nemico dell’ ambiguità, dell’ ipocrisia, dei sotterfugi e delle incertezze, svela il non detto, è insolente, ama l’ indicibile.
Convive con la verità, aborra la menzogna, ha lo sguardo di un hacker, ti guarda dentro ma, ti svela, ma è discreto, è veemente, impertinente, non conosce vergogne, ironico, esprime l’ inammissibile, ama le trasparenze, non si nasconde, non spettegola sugli assenti, perché affronta i presenti, va contro corrente, in avan scoperta, è in prima linea, non attende alcuno e non decide per loro, è intraprendente, non teme l’errore pur di non lasciare l’ intentato, osa sempre e non procrastina, elogia l’ incoerenza, sgama l’ impostore e l’ imbroglione, il serpeggiante e il millantatore, l’ opportunista, non curante di chi ostenta, perché preso dalle proprie risorse e meraviglie.
L’ uomo analitico, non conosce potere se non quello della parola per ogni sibilo e brivido di vita , dialoga sempre, ascolta tanto, ma ti tiene testa, l’ ultima parola è sempre la sua, non ha paura di rispondere, si confronta, schivare il conflitto genera ansia, la risposta è il suo potente,
è collaborativo, non è corruttibile, ne omertoso, ne connivente, non convenzionale, perché la sua legge è la differenza, la simmetria è dittatura, non si lascia manipolare, è comprensivo, osservatore e creativo, improvvisatore, stupisce, non giudica, acceso ribelle contro gli stereotipi, non abita le consuetudini, ne le convenzioni o i dogmi, non è superstizioso, non ha convinzioni, e se ne ha, preferisce averne infinite.
Sa mettersi in gioco, cambia angolo di veduta, va in retro marcia, in divieto d’ accesso, è nauseato dal senso unico o dai luoghi comuni, sa mettersi in discussione, coltiva l’ arte del dubbio, rivede gli schemi di gioco, va al contrario, a ritroso, sotto sopra, di sbieco, di lato, prende la tangente, fintanto che la strada non la trova. Non è diffidente, alla richiesta di consigli, lui risponde, tu cosa senti, perché la sua esperienza non è legge, perché la strada è sempre personale, è un ostetrico che fa partorire se e chi ama e adora quando ognuno è se stesso; accoglie, fa silenzio, è attenti ed è empatico e comprensivo, dedito, raffinato, diplomatico, incisivo e molto affilato.
L’uomo analitico trova il bandolo della matassa, il filo di Arianna, mette tutti d’ accordo, è in grado di tenere insieme e riesce a non tener fuori nessuno, sa farsi contestare, ridisegna il ricamo e ricalcola il percorso, è un leader, conosce l’ esperanto, parla l’ emozione ed è lontano, diverso, ma vicino a tutti, misterioso, lucida la buccia, ma ama la sostanza, è un uomo di contenuti, ma è anche molto pragmatico e carnale, è raffinato ma anche sguaiato, passionale e meditativo, ha sempre tanto da imparare, ci rimette in prima persona, piange, si commuove, si dispera, si incazza e ride a crepapelle, senza nascondersi la faccia.
L’ uomo analitico non conosce vergogne, ne imbarazzi, è umile, ma va a testa alta, è difficile umiliare l’ umile, è astuto, asserivo, imbarazza i sensi di colpa, essi lo temono, fa loro paura, non sanno come incastrarlo, sono austeri, scoraggiati, lo guardano con le braccia scadute, accudisce e da una mano a tutti, non si lava le mani, ma non si sostituisce a nessuno e alle altrui responsabilità, restituisce loro la dignità di potercela fare, condivide i pesi, ma non lascia che diventino un peso, non è la loro stampella, ne il loro bastone, non si lascia ammorbare, si flette, è malleabile, ma non si spacca, è uno speleologo del profondo, uno specialista del problema, ricercatore del minimal e dell’ essenziale, appassionato e revisore delle origini, appassionato delle radici curative, avvia la svolta, non fa ostruzionismo, demagogia, ne lo struzzo, non nasconde la testa sotto la sabbia, riconosce le sabbie mobili dell’ effimero.
L’ uomo analitico, non si scoraggia e non si sconcerta dinanzi alle cadute e alle ricadute, ma, come un bambino, è temerario, si rialza sempre con il gioco tra le dita, si scortica, si rimette sempre in piedi, si disinfetta, torna a giocare, a camminare, a correre e ad avventurarsi nelle sue bizzarrie. Per quanto sia stato vittima del suo passato, sa che non lo potrà addebitare o accreditare sempre a nessuno, ne potrà cambiarlo, potrà solo usarlo per trarne vantaggi, per vivere meglio e rinforzare il suo presente. L’ uomo analitico è l’ uomo del qui ed ora, il suo hic et nunc è il suo cibo, tutto il resto, non esiste, è già stato defecato, è fuori luogo, è fuori tempo, è già partito, la memoria è deceduta e non serve preoccuparsi, ma occuparsi solo adesso.
Considera i sintomi, un gps, la via da ricalcolare, per cambiare rotta per superarli, una mappa per uscire dai suoi labirinti teatrali incastranti, è un uomo di lealtà, ancor più di realtà, i suoi piedi son ben saldi sul suo selciato con l’ anima slanciata oltre i confini del proprio fango,
Se vuole emanciparsi, da valore alle sue origini, non perde tempo sui social nel guardare gli altri, si cura da dentro, se sbaglia non da colpa a nessuno o al suo carattere, al proprio destino, alla fortuna o alla sua sfortuna, perché l’ uomo analitico è determinista, decide, comprende, sbroglia le matasse ed agisce sugli eventi, fa di tutto per non subirli, non fa auguri di buon auspicio o di speranza, non è superstizioso, ma crede che si cambia solo rimboccandosi le maniche.
L’uomo analitico sa assumersi molti doveri, ma sa che dovrà prima o poi votarsi ed abdicare al piacere e ai suoi desideri se non vorrà soccombere, porta a compimento ogni sua opera, che diventa titanica per una vita stellata ma, senza gli slanci verso i suoi desideri, ogni attitudine viene sgretolata.
L’uomo analitico sa, che la sua felicità ha sempre il costo, quello dei suoi fallimenti precedenti e che una volta felice, dovrà ricominciare di nuovo, per altri obiettivi, non c’è felicità senza costi e che non venga prima pagata, perché ogni felicità ha sempre un peso e la sua fatica, essa gira su un cerchio e rigira senza fine tra sconforto, gioia e fallimenti. Il motore di ogni felicità è la sua stessa fatica.
L’ uomo analitico fa paura alla paura, è capace di morire, per questo è in grado di vivere. non perde tempo dietro alle malattie o alla morte, perché ha troppa fretta di vivere, considera l’ ipocondria il collare del mulo, il coraggio che non ha di cambiare, di ripercorrere il tunnel della sua solitudine; l’ uomo analitico si perde e si ritrova, non teme, il deserto intorno, di essere lasciato solo, si smarrisce è fiducioso di ritrovarsi, è sereno, e se si perde esplora i nuovi territori, tutti nuovi da scoprire con le sue nuove avventure, non si preoccupa, e se talvolta teme la propria solitudine, dovrà cercare il mostro che si insinua dentro quella casa.
L’ uomo analitico per poter amare gli altri, ama per primo se stesso, come in aereo, nel caso di improbabile ammaraggio, indossa per primo la maschera per l’ ossigeno, per poi aiutare gli altri. L’ uomo analitico la smette di cercare consensi e conferme, fintanto che comprende che la sicurezza è già insita in se, perché ha sempre il suo numero Uno da interpellare. L’uomo analitico, vive sul suo assetto, sulla propria perpendicolare, lancia il piombo sulle sue oscillazioni, recupera il suo baricentro, ritrova l’ equilibrio e ridisegna le geometrie delle sue relazioni.
L’ uomo analitico sta bene con se e per tanto sta bene con tutti; se è in grado di guardarsi allo specchio, di sorridere e dirsi, ti amo, è in grado di valorizzare gli altri, per quanto valore si da.
Per tutti noi, gli altri valgono, per quanto fango, piombo o carati uno si da; l’ uomo analitico Vive, è fiero ed è grato alla vita, vive Bene. L’ uomo analitico è la sua stessa rivoluzione che cambia il mondo intorno a se che lo circonda.
giorgio burdi
ContinuaLa Saccenza della Sofferenza e l’ Arroganza della Diffidenza.
LA SACCENZA DELLA SOFFERENZA
e l’ Arroganza della Diffidenza
Colui che soffre è comprensibilmente afflitto, al limite di ogni forza, rassegnato, flaccido, sfiduciato,scontroso, insopportabile, al limite del pianto, dei suoi singhiozzi, e delle sue disperazioni,
si rompe, si spacca, è fragile, infastidito, insofferente, è ricotta, coatto, ossessionato, vive al limite e nel peggio della propria condizione, per lui non c’è soluzione, tutto è divenuto complesso, non c’è parola, presenza che tenga per comprenderlo, per poterlo aiutare o che lo scuotino, è molto critico e la sua sofferenza è tale che diventi complesso poter contattare chiunque.
Egli è visibilmente provato, lo incontri sempre a fine corsa, al capolinea, ti dice che questa è la mia ultima change, e ti chiede,senza alcun suo impegno, quanto tempo ci vorrà, giunge dopo aver caricato il suo ultimo tir di problemi, al limite di ogni sforzo, indeciso se andarsene o rimanere, è alle corde, è teso e tanto fragile da rompersi, acuto o cronicizzato, è un funambolo, barcollante sulla corda della vita, cammina in ginocchio sul cilicio, al confine con la fossa, non curante, ti chiede quanto costi, piu che alla vita oensa sempre alla tariffa, pensa sempre di farcela, anche se striscia, è sfregiato dall’ ansia e le sue ganasce dal brussismo, si ricirda di se al limite, non conosce prevenzione, procrastina con l’ acqua alla gola, giunge in apnea, perché le persone che soffrono, si concepiscono come nate per soffrire, si lasciano andare al limite di ogni umana sopportazione, e pur di non sentirsi matti, non chiedono mai aiuto, anche se sono ad un passo dalla benedizione.
Abbonati al 118, si trascurano fino all’ indrcenza, critici fino al limite della diffidenza, senpre auto convinti che non serve e non funziona nulla, diventano veggenti, predomina l’ arroganza e il pregiudizio che la loro esistenza sarà sempre con un altro fallimento; collaborano poco e sabotano l’ aiuto, per rincorrere confermare quel timore tanto temuto , per dimostrare che in fondo avevano ragione, ma sono i veri artefici del loro stesso destino,determinato dalla loro sofferta e construita arroganza.
Se entrano in analisi, ti aspettano al varco, cavillosi, puntigliosi, caotici con se stessi, ma precisini ,solo con gli altri , sono alla continua ricerca di un tuo difetto, per cercare qualsiasi alibi, per convalidare il loro diritto all’ auspicata fuga. Se, nel tentativo di aiutarli, tocchi il loro dolore e se peggio gli indichi la causa, ti punta il dito, ti accusa che gli hai fatto male ed ora la colpa del loro dolore è tutta tua.
Ma alle volte nel loro caos, la matassa da sbrogliare non c’è, il vero problema è il loro non problema; giungono già colti, edotti, preventivamente già consultati con i ministeri di chat gpt, instagram e dr google e il vero problema è che non sei uno specialista perchè non sei un avatar e pertanto, se hanno letto, tu non hai piu di loro competenze.
Il dolore e la sofferenza di un uomo in preda alla sua disperazione, lo rende statico, bradipo, insostenibile e ingestibile rispetto a se stesso e a chi gli gravita attorno. Non riconosce l’opportunità del cambiamento, è convinto che non ci sarà mai nulla di buono ed in grado di poter cambiare la sua condizione per lui insostituibile.
Non c’è essere umano in grado di ritenere sostenibile qualsiasi propria sofferenza continuativa ed acuta, che non sia la sofferenza degli altri. Le sofferenze altrui hanno sempre un minor valore rispetto alle proprie.
Il saccente è spesso convinto che il suo problema dipenda da una questione di carattere o di destino, che abbia delle forze oscure esoteriche o della natura o che ci sia il possesso di un demone nel suo inconscio, che non in grado di dominare e domare.
Per contro si lamenta, si dispera, supplica e piange, chiede aiuto e caccia via tutti come degli inetto con le mani tra i capelli, non esiste persona o professionista capace, onesto, che diventi un incompetente ed impotente, opportunista, economista, capitalista, speculatore sulle malattie. Chi soffre si lamenta, rifiuta ogni sorta di aiuto se non tocca il fondo. Chi soffre è difficile da trattare, devi davvero essere un equilibrista, che per tirarlo fuori, se non collabora, ti tira dentro la sua fossa.
La lamentela di chi soffre, alle volte diviene così prepotente ed insistente, ansimante ed asfissiante, che appare tutt’ altro che debolezza: la lamentela alle volte rende tanto, è l’ unica potenza del dolore, perchè è accentratrice di presenze.
L’ arroganza della diffidenza si evince nella tendenza alla facile squalifica professionale e all’ interno della presunzione dell’ impossibilità di esercitare ogni forma di aiuto e di cura, in tal senso qualsiasi dolore è presuntuoso.
L’ arrogante della sofferenza si rivela gia mentre si fissa il primo appuntamento. Da fastidio, vuole l, orario ideale, manipolativo che ti costringe e ti porta sui suoi impegni e magari in seduta non si presenta. È una sconfitta pre annunciata che rende prepotente e presuntuoso il dolore che acceca la persona sofferente.
Chi depone le armi, i remi in barca, chi si fa mettere in ginocchio, strisciare o continuare a lasciarsi calpestare o farsi sputare in faccia,
Nutrirà una scarsa fiducia negli altri, sara propenso al fai da te, all’ arroganza nel non credere in nessuno, nemneno nel fidarsi ed affidarsi professionista.
Passa da una arroganza subita ad una agita, la saccenza è aver imparato a fidarsi solo di se stesso anche nel periodo delle vacche magre.
La sofferenza o fa riflettere o rende flaccidi disumani, increduli e cattivi, diffidenti, esclusivisti, narcisisti patologici, esclusionisti, presuntuosi, colti della propria boria , del proprio pathos, la saccenza di chi non potrà mai star bene o essere compreso o mai aiutato, che non conoscerà mai la salute, perché il dolore crogiola, coccola e paradossalmente diviene casa ecunica condizione di vita che rende sufficienti e colti, eruditi sui Bignami delle proprie convinzioni.
Con il proprio dolore si è talmente così protetti all’ interno di un carcere che è, capace di rendere il mondo impotente.
Ida Bauer afferma: “se la sofferenza vi ha reso cattivi, l’ avete sprecata”. La sofferenza può essere curata o diviene cattiveria e presunzione se si afferma la sua non curabilità.
Chi soffre, per urgenza, fa pressing per ottenere un appuntamento, cerca la stanza dei miracoli, ma quando realizza che per aiutarlo devi attentamente osservarlo e studiarlo, perde l’ illusione del miracolo e perdi il ruolo di primario della magica clinica dalle 100 recensioni e se lasci intendere che alla sfera di cristallo dovrai sostituire la sua testa come sfera, decade la sua aspettatuva la tua stima, si fa cerca un pieno di imprevisti, annulla le visite, ma si ripresenta poi per ripetuti codice rosso..
E se l’ addolorata teme che la cura possa diventare dipendenza, la interrompe al nascere omettendo quanto dipendente sia già stato dai propri ventennali sintomi. Non c’è cura che possa mai essere efficace, se non vien fatta con continuità e magaari per una breve e momentanea dipendenza. Un arrogante ludopatico, dopo aver delapidato i suoi beni di circa cinque milioni di auro, chiede in prima seduta un preventivo di spesa per la cura della sua malattia.
E la domanda più affascinante di un paziente è quella che chiede se la prima visita è gratuita, essendo secondo il suo criterio, “solo di conoscenza”, rendendo suo,come un diritto acquisito, il tuo tempo. Questa è la saccenza della sofferenza. Non si è mai sentito chiedere ad un cardiologo se la sua prima visita fosse gratuita. È vero che se fai il lavoro che è la tua passione, non lavorerai un giorno, pertanto che senso avrebbe pagare.
Ognuno cerca il piu bravo professionista, che abbia un curriculum esteso, il più referenziato, il migliore recensito, con la massima esperienza, ma la presunzione del dolore lo porta ad affermare, che 1 € è tanto per un ora di consulenza, ma oltte alla competenza, un ora di vita quanto vale, avrebbe un valore inestimabile ?
Per aiutare un uomo e risolvere un suo problema serve la chiamata, la vocazione, la passione, l’attitudine, l’ umanità, la dedizione e l’ estenuante curiosità del ricercatore, serve la pazienza e la collaborazione di un paziente che si renda paziente, per ripercorrere insieme in modo del tutto complice, empatico e collaborativo, la strada e la risalita verso la sua liberazione.
giorgio burdi
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