Gratitudine e Riconoscenza
GRATITUDINE e RICONOSCENZA
La gratitudine e la riconoscenza rappresentano quegli atteggiamenti attraverso i quali il soggetto diviene consapevole dei propri limiti e delle proprie risorse e riconosce attraverso gli altri, l’ opportunità di arricchimento.
Tali atteggiamenti rappresentano veri e propri valori e sono esattamente in opposizione al narcisismo, all’ introversione e a gran parte di quei disturbi di personalità. La loro presenza o la loro assenza possono essere strumenti per valutare l’ equilibrio, il benessere mentale e dell’ intelligenza di un soggetto.
L’ irriconoscente possiede una personalità apparentemente in relazione, in realtà ha tratti anti sociale, non sa affatto cosa sia o cosa rappresenti una relazionare, si pone come se la relazione fosse una transazione economico – commerciale, si comporta attraverso un opportunismo camuffato. È facile svelare un soggetto con questa modalità comportamentale, egli ha l’ atteggiamento dell’ “interessato” ; dalle sue prime impostazioni, dall’ accanimento delle sue attenzioni, dalle sue innumerevoli intromissioni attraverso continue domande e dal suo graduale distacco e distanziamento. Il suo sguardo all’ inizio appare lusingato, in itinere si spegne, al termine diviene iper critico e distaccato e ciò che all’ inizio appariva affetto si rivela competizione e strafottenza.
L’ ingrato è rispettoso se è indiscreto, si presenta in punta di piedi ma, di li a poco , si rivela oppositivo, rivale ed ingombrante, indaga, è curioso, circospetto, pone domande a raffica, ascolta come un radar, ma non risponde, la sua inutilità risulta inequivocabile, irriverente, è uno di cui si potrebbe tranquillamente fare a meno. Una volta scomparso, non lascia traccia, non lo vedi, ne lo senti più, non lascia di se alcun ricordo, ti lascia il solo rammarico di essere stato svuotato, derubato e violato, la sensazione netta di aver subito un danno.
L’ irriconoscente, prende, consuma e non paga, non lascia nemmeno la mancia, sputa nel piatto in cui ha mangiato, ti usa e poi ti getta, prende ancora e non gli basta mai, fa suo il tuo stile e ti rinnega, non dice a nessuno di averti conosciuto, si vergogna, è il tuo più acerrimo traditore, nel suo egocentrismo non ti riconosce nulla di ciò che hai dato, anzi lo contesta,e se ha imparato, afferma che è suo e ha perso con te solo tempo; ti sminuisce, è un giudice intransigente, è avvilente, ti umilia, è cinico e sarcastico, è un sadico, vorrebbe che scomparissi da lasciar posto alla sua prima donna, è sprofessionalizzante.
È uno sciacallo che si nutre solo delle riserve altrui e come un cleptomane ne diventa padrone, ma in realtà è malato non ha nulla e prima o poi fallisce quando esaurisce le tue riserve. Sorride e complotta sotto sotto, è sornione, lo noti per la sua risata isterica, appare accogliente ma si defila, diventa un fantasma, ostenta conoscenze ma è una fotocopia, ma di suo non ha pen poco, sfoggia deontologia e moralismo, ma per il suo bigottismo viene isolato.
Una gentilezza, una cortesia, un favore, un gesto di cordialità, una stretta di mano, un abbraccio, una carezza, una presenza o una parola detta al momento giusto, possono cambiare il decorso della vita.
In questa epoca di guerre, in cui i le presenze, i valori non si sanno cosa siano, in cui l’uomo viene calpestato, l’ irriconoscenza e la gratitudine sono diventati di moda e la vicinanza e la solidarietà umana sembrano essere diventate estreme e rare eccezioni.
Dire irriconoscente, equivale a dire, parsimonioso, avaro, tirato, tirchio, l’ ingrato non si fa notare, giudica in modo spietato, ma da colpa ad altri, come un ladro del tuo tempo, è incapsulato nel proprio utilitarismo. La gente la frequenta, se è utile.
L’ ingrato è un ladro del tuo tempo, di un tempo che non ha ne prezzo e ne costo, si impasta nelle tue risorse e si crea il suo lievito madre. La sua caratteristica peculiare è scomparire all’ improvviso, si dilegua, non farai mai parte della sua memoria, come se non fossi mai esistito o non ti avesse mai incontrato. Egli non fa storia, non ha una storia, e se ce l’ha è striscia sugli altri come una sanguisuga, si illude, trova il tempo che trova, si nebulizza, è un vuoto a perdere, non c’è, diventa un peso per tanti un pensiero, un assenza che subisci.
Non fa altro che chiedere, lo fa anche con discrezione, ma, se lo cerchi, non puoi contare mai su di lui, trovi l’ aria fritta; se poi dai novantanove, solo per uno, diventi imperdonabile; scompare, poi ritorna e riprende a quattro mani, mette in tasca con destrezza e non sai come perquisirlo. Ha la pretesa di poter disporre di te, come e quando vuole.
Non è per fortuna, ma esistono persone, davvero persone umane, compiaciute di essere così naturalmente generose, consapevoli, alle volte, di farsi derubare, perché essere esseri umani porta con se il rischio e mettono in preventivo l’ opportunità di prendere fregature. Vivono a testa alta con dignità dinanzi a tanta distrazione e poco buon senso.
Il lavoro analitico, ad esempio, non rappresenta solo e semplicemente un lavoro, ma rappresenta una vera e propria rivoluzione e stravolgimento della propria esistenza. Esso, ti cambiala vita perché ti cambia lo stile, lo schema e il modo di essere, di pensare, ti avvicina a te stesso, snrevoticizza, ti rende migliore, assolutamente vicino alla propria natura umana, permette di credere più in te stesso e negli altri, rende migliore il mondo dei rapporti intorno a noi E il mondo degli uomini.
Dall’ oltre oceano avremmo dovuto importare la Festa del Ringraziamento, piuttosto che quella della carnevalata di Halloween. Ringraziamo e siamo grati per tutte quelle gratitudini che ci ritornano, ma vogliamo restare attenti per tutti coloro che le sfruttano.
È vero che, Il bene è per sempre, fa del bene e scorda, il bene rimane, non fare mai omissione di soccorso, aiuta il prossimo, ma iaggiungerei, fa tutto ciò che è nella nostra natura, ma fa attenzione nel comprendere, verso chi ti rendi così tanto disponibile, “non dare le perle ai porci”.
giorgio burdi
ContinuaAutoerotismo femminile e tabù
Sebbene la sessualità sia sempre meno un tabù e si ha più libertà di parlare di diverse sfaccettature e orientamenti che prima rimanevano nell’ombra, ancora oggi parlare di autoerotismo femminile resta un argomento ostico.
Per lungo tempo, falsi miti e credenze hanno visto la masturbazione protagonista nel pensiero sociale di diverse realtà quale pratica esclusivamente maschile per soddisfare un bisogno fisiologico o per soccombere alla mancanza di relazioni sessuali di coppia.
Molti pregiudizi hanno ritenuto volgare l’accostamento donna-piacere sessuale, considerando l’autoerotismo femminile una forma di peccato per il corpo e per l’anima. La donna è sempre stata considerata oggetto sessuale passivo, poteva ricevere piacere dal proprio partner, ma non poteva procurarsi piacere da sola.
A lungo l’autoerotismo è stato stigmatizzato da diverse ideologie religiose. Con l’avvento del Cristianesimo l’autoerotismo femminile fu considerato un peccato contro natura. Paradossalmente in Epoca Vittoriana, i medici iniziarono a curare l’isteria con la stimolazione del clitoride nonostante la masturbazione fosse considerata causa di malattie mentali.
Anche attualmente non mancano tabù in merito. Già nell’infanzia c’è una forma di discriminazione nella sessualità maschile e femminile.
Si pensi agli adulti che ritengono normale e fisiologico quando i maschietti si toccano i propri genitali, associano questo gesto alla scoperta del corpo; al contrario se sono le femminucce a farlo, le rimproverano e accusano di un comportamento “sporco”. Ciò sviluppa nelle bambine, durante la crescita, il senso di colpa e di vergogna che le accompagnerà nelle diverse fasi della vita.
La donna, dunque, sin da bambina ha sempre vissuto la conoscenza del proprio corpo e il raggiungimento del piacere con la masturbazione, con sensi di colpa anziché in modo spontaneo come dovrebbe essere.
Questo lo si evince anche perché i maschi già nella prima adolescenza parlano liberamente in gruppo delle dimensioni dei lori genitali e delle loro fantasie sessuali, mentre le femmine tra loro non affrontano questi argomenti perché provano imbarazzo.
Nello scenario comune, dunque, la masturbazione maschile viene accettata, riconosciuta come fase fisiologica, tappa evolutiva associata prevalentemente all’adolescente che diventa adulto.
Anche per l’uomo adulto l’autoerotismo viene considerato normale, mentre per la donna è un piacere celato, nascosto molto spesso per problemi culturali.
È un piacere non accettato, a volte anche dalle stesse donne, molte delle quali non lo praticano perché associano la sessualità esclusivamente alla presenza di un partner, e in assenza rinunciano senza considerare che la sessualità può essere appagante anche senza la presenza di un’altra persona.
Altre volte, invece, le donne non ammettano di praticare autoerotismo per un senso di pudore. È una pratica intima di cui non vogliono parlare apertamente. Ancora oggi, molte donne provano vergogna e imbarazzo nel parlare della propria sessualità.
È noto, infatti, che molti disturbi della sfera sessuale come il vaginismo, l’anorgasmia e la mancanza di desiderio sono la conseguenza di chiusura verso l’autoerotismo e la conoscenza del proprio corpo, spesso a causa di un’educazione sessuale rigida improntata sul pudore e sulla vergogna.
In realtà, chi pratica autoerotismo non ha nulla di cui vergognarsi, è un aspetto sano e naturale della sessualità, sia per l’uomo che per la donna.
La sessualità è la massima espressione dell’energia vitale e l’autoerotismo è un aspetto molto importante della sessualità, ha risvolti positivi personali e nel rapporto con il partner, per questo non andrebbe trascurato.
Così come è importante vivere la sessualità a qualsiasi età, l’autoerotismo dovrebbe essere praticato a qualsiasi età. La conoscenza del proprio corpo, del linguaggio del corpo, la risposta agli stimoli esterni, non sono competenze innate, ma si raggiungono nel tempo solo attraverso la pratica e l’esperienza.
A differenza che per gli uomini, per le donne l’autoerotismo non è solo un atto fisiologico. La donna che pratica autoerotismo trae numerosi benefici sia fisiologici che psicologici, vive una sensazione di benessere diffuso. Per la donna l’autoerotismo è un gesto di amore e cura verso sé stessa.
Con la masturbazione la donna familiarizza con il proprio corpo, sperimenta le zone erogene, impara a conosce meglio il proprio corpo, le proprie fantasie più nascoste, a sentirsi sessualmente appagata a prescindere dal partner.
L’autoerotismo deve essere considerato dalla donna come spazio di intimità personale piacevole e appagante e non come mera alternativa alla mancanza di un uomo.
L’autoerotismo femminile è un diritto al piacere alimentato da fantasie sessuali, pensieri liberi e non censurati; è come fare l’amore con sé stessa, coccolarsi, rilassarsi, godere.
Si riscontra come la donna che pratica autoerotismo si evolvi personalmente e potenzi l’autodeterminazione sessuale; praticare autoerotismo è fondamentale per una crescita psicosessuale armoniosa.
L’autoerotismo porta benessere psichico e fisico, è una pratica che non va assolutamente interrotta anche se si ha una relazione di coppia. A volte, però, questa pratica non viene ben accettata dal partner perché erroneamente associata all’idea di mancata soddisfazione e gratificazione sessuale.
Le donne che praticano autoerotismo non vuol dire che non abbiano un partner che le soddisfi sessualmente. Così come l’autoerotismo può essere un ausilio, un sostituto o una fuga dalla vita di coppia non soddisfacente, esso può tranquillamente coesistere nella vita di una donna senza nulla togliere alla vita di coppia, anzi è un valore aggiunto. La donna che pratica la masturbazione in modo regolare, impara a conoscere cosa le provoca piacere e lo condivide con il partner.
L’autoerotismo non deve essere considerato un atto esclusivamente solitario, anzi porta numerosi vantaggi nella coppia come l’aumento di complicità ed erotismo.
Al pari di un rapporto sessuale, l’autoerotismo permette di raggiungere l’orgasmo; ne consegue il rilascio di diversi neurotrasmettitori al cervello, tra questi l’ossitocina utile a ridurre i livelli di cortisolo, ha un effetto calmante e favorisce il rilassamento, e la dopamina responsabile del piacere.
L’orgasmo può essere considerato un rimedio naturale, un antidolorifico naturale perché rilascia endorfine conosciute come ormoni del benessere, le stesse sostanze prodotte quando si fa sport, riducono lo stress e contribuiscono al benessere psicofisico.
Nelle donne che praticano regolarmente autoerotismo vi è un aumento dell’intensità della propria libido, maggiore scioltezza e disinvoltura durante i rapporti sessuali, una maggiore consapevolezza e maturazione sessuale grazie alla conoscenza delle proprie reazioni all’eccitazione e al piacere.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso
Studio BURDI
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la Poli a riguardo del tema,
vedi il video qui sotto
Erotismo femminile (parte 2)
ContinuaLa Terapia di Gruppo e Il Gioco degli Specchi
Il Gioco degli specchi
La potenza della Gruppo Analisi
Seduto su una sedia, attendo che altre sedie, tutte posizionate in circolo attorno a me, accolgano il loro ospite.
Uomini e donne, come punti in equilibrio su una circonferenza, tutti alla ricerca del loro centro.
E per trovarlo, il loro centro, hanno deciso di spogliarsi di ogni orpello, di ogni maschera e specchiarsi nelle vite ed esperienze altrui.
C’è Chi siede sempre nello stesso posto. Chi invece lo cambia continuamente, forse alla ricerca dello specchio che gli restituisca più nitidamente la propria immagine.
Chi si siede ma in realtà non è lì.
Chi si siede e ascolta.
Chi parla ma non ascolta.
Chi a volte piange ma, alla fine, va via con un sorriso.
Chi sembra forte ma è fragile dentro.
Chi sembra fragile ma è in realtà duro come il diamante.
Tutti diversi ma tutti legati a questo sottilissimo filo d’oro circolare che si passano di mano in mano come una cordata su una catena montuosa e lo tengono stretto per non cadere nei soliti burroni, cercando di restituirselo integro la volta successiva.
Da un anno faccio parte di questo cerchio, da un anno mi specchio in ciascuno di quei puntini ed in ognuno di loro trovo qualcosa di me.
E in questo “gioco di specchi” lo scopo è quasi sempre togliere: paure, ansie, credenze, convinzioni, dipendenze, certezze fasulle, tutto ciò che io non sono.
Ognuno si riflette nella vita dell’altro e toglie dentro di sè scorie che pensava ormai inamovibili.
Una voce fuori campo, parla.
Ascolto e sento parlare di Indicibile, di Numero Uno, di 101 %, di Risorse, di Valorizzazione della persona, di Amore, di Azione, di Uccidere il Buddha, di desideri, di tutto ciò che mi riporta forte in vita.
C’è qualcuno che mi parla sempre, prima fuori nel gruppo e poi dentro e c’è chi quel cerchio lo ha pensato e disegnato e contenuto nel palmo di una mano, perché tutti i suoi punti possano più precisamente allinearsi, caratterizzarsi e individualizzarsi.
Qualcuno che quel cerchio cerca ad ogni incontro di levigarlo nei suoi attriti in modo che possa rotolare via lontano, senza inciampi e mai più far ritorno.
Un applauso ad ogni vita ritrovata.
Una sedia si svuota e si festeggia, ma il cerchio non si stringe mai.
Chi va via, lascia sempre il posto ad un altro specchio pronto dal proprio buio a farsi luce e a riceverla a sua volta.
Sono seduto sulla mia sedia ed in attesa di trovare, oggi, il mio riflesso penso a quanto sarebbe più facile la vita sol che si avesse il coraggio di lasciarsi andare all’ascolto e guardare senza mai abbassare lo sguardo, parlare senza aspettare, agire senza procrastinare e rinunziare a vivere la propria scena.
Le sedie attorno a me sono ora tutte occupate. E’ tempo di iniziare. La Voce comincia a parlare… E’ ora di “riflettere”… E’ ora di “riflettersi”, è ora di cambiare.
francesco pastore
giorgio burdi
disegno del fantastico fumettista giun
ContinuaProcrastinare
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE IL PROCRASTINARE
Cos’è la procrastinazione
Procrastinare significa rimandare qualcosa al futuro prossimo o lontano. Termine che ha origine dal latino “pro” (a favore), “crastinus” da cras (domani), è l’atto di rinviare dall’oggi al domani, da un giorno a un altro, posticipare, differire, prorogare, temporeggiare, posporre, indugiare.
Ad ognuno di noi è capitato almeno una volta di rinviare un’attività, un compito, un impegno, un esame, una decisione, una scelta importante, un progetto di lavoro, lo studio, la dieta, l’attività fisica, buoni propositi per il nuovo anno…rimandare qualcosa che avremmo potuto iniziare o fare nell’immediato, ma a causa di mancanza di volontà abbiamo procrastinato.
Se rimandare occasionalmente qualcosa per pigrizia o perché considerato noioso è un atteggiamento non preoccupante, da considerarsi normale, posticipare continuamente è invece disfunzionale.
La procrastinazione, a volte, può diventare un’azione abituale, ricorrente, un’abitudine consolidata. Se cronica si trasforma in un vero problema, procura molteplici disagi, stress e frustrazione.
Chi ha la tendenza a procrastinare ha consapevolezza delle conseguenze negative di tale comportamento come l’accumulo di lavoro da dover svolgere all’ultimo minuto, la sovrapposizione di scadenze, l’aumento di ansia…ciò nonostante, sostituisce attività prioritarie con altre secondarie, meno importanti, ma ritenute piacevoli.Sceglie le distrazioni perché regalano sollievo, allentano la tensione e allontanano il senso di inadeguatezza.
Alla base della procrastinazione c’è un blocco mentale e psicologico. Rinviando si evitano le proprie paure, insicurezze, i propri limiti, si sfugge da problemi e preoccupazioni, non si prende responsabilità delle proprie azioni.
Generalmente si tende a procrastinare le attività più impegnative, complesse, le scelte più importanti, questo perché la procrastinazione è legata alla regolazione delle emozioni.
Tuttavia, però, più rimandiamo ed evitiamo qualcosa, più le sensazioni negative che si hanno verso quella situazione si rafforzano rendendo tutto più difficile.Molto spesso la procrastinazione induce il senso di colpa per non aver portato a termine qualcosa di programmato, questo senso di fallimento innesca un circolo vizioso che porta a continuare l’atteggiamento di procrastinazione.
Cause
Diverse cause possono essere attribuite all’origine della procrastinazione. Sicuramente la propensione a rimandare è genetica: non tutti procrastiniamo allo stesso modo.
Tra le maggiori cause della tendenza a procrastinare:
A prescindere dalla causa, senza dubbio procrastinare è un comportamento autodifensivo, di protezione. Rimandiamo per la paura di insuccesso, di fallire, di scoprirci imperfetti, di deludere le nostre e altrui aspettative, di essere giudicati.
Si pospone un’attività per allontanare le sensazioni negative da essa procurate e ottenere così un immediato sollievo seppur momentaneo da qualcosa che ci pesa.
Sintomi
Cura
È possibile smettere di procrastinare individuando le cause nascoste dietro questo meccanismo di difesa.Questo è il primo passo verso il cambiamento.
È importante intervenire tempestivamente perché ilprocrastinatore cronico ha grandi probabilità di incorrere in problemi di salute fisici e mentali. L’accumulo di stress e ansia, la continua insoddisfazione, il senso di frustrazione, la bassa autostima, possono indurre stati depressivi ma anche problemi fisici quali mal di testa ricorrenti, problemi gastrici, disturbi cardiovascolari.
Procrastinare in maniera assidua, inoltre, comporta conseguenze in ambito personale, relazionale e lavorativo. Limita la produttività personale e il raggiungimento dei propri obiettivi.
Intraprendere un percorso di psicoterapia è un valido aiuto. La psicoterapia permette di lavorare sulla regolazione emotiva imparando a tollerare e modificare le emozioni negative, sull’autocompassione e sul perfezionismo.
Attraverso la psicoterapia si impara a perdonare séstessi, a non avere vergogna per gli errori commessi, ma imparare da questi per rompere gli schemi in cui si è intrappolati. Si impara ad accettare di essere imperfetti e fallibili e a superare le rigidità.
La psicoterapia aiuta a cercare nuove abitudini funzionali, a riconoscere la procrastinazione come un inganno e a non assecondarla continuando a rimandare ma passando all’azione anche a piccoli passi perché tutto diventa più facile una volta iniziato. Partire gradualmente, focalizzarsi su obiettivi più piccoli, aiuta il raggiungimento dell’obiettivo finale.
L’autoconsapevolezza ci permette di raggiungere i nostri obiettivi.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera Tirocinante di Psicologia presso lo Studio BURDI
Le Transenne
Il perfezionismo:
Una vita in transenna
.Il perfezionismo è un’arma a doppio taglio per cui, se da una parte è tutto perfetto, dall’altra c’è tanto disordine.
L’idea di perfezione si accompagna con il concetto di ossessione, ansia, panico, compulsività: la ricetta utile per far impazzire un essere umano o dargli la possibilità di spegnersi.
Le regole, ciò che più piace al perfezionista, esistono, lì dove seguono il naturale funzionamento dell’oggetto. La vita è un apparecchio che deve seguire il suo automatismo.
I computer hanno un tasto di accensione e una procedura che porta a compiere una data operazione programmata da altri alla quale conformarsi.
L’essere umano non è dotato unicamente della parte programmatica o razionale ma anche di quella emotivo- sensibile, a programmata e sprogammabile, una follia per il perfezionista.
La capacità di saper raccontare ciò che si ha dentro, è al servizio dell’emozione stessa, che nasce ancor prima di essere pensata/organizzata mentalmente.
Vien da sé che il perfezionista, una volta ultimato il progetto di vita, non è poi capace di viverlo attraverso la propria pelle, perché dovrà seguire quella programmazione che ha costruito, riscontrando un disagio tra schema e vita di adattamento.
Quale ordine è allora quello del perfezionista? Si può dire simile ad un recinto chiuso in cui tutto è minimamente organizzato nei limiti in cui non entra un alito di imprevisto e di vento di sensazioni pronte a creare scompiglio.
E’ più facile immaginare un gregge di pecore in uno spazio recintato che pecore impaurite allo sbando. Il perfezionista vive l’ identica situazione.
Rigidità, linearità, logicità, raziocinio, rappresentano le transenne, le staccionate che fanno da padrone nella vita personale, militarmente organizzate del perfezionista.
Il respiro non si espande ed è soffocamento e dunque somatizzazione, perché ho una cefalea muscolo tensiva o una emicrania ? Perché i muscoli del mio corpo si irrigidiscono da soli? Eppure non ho fatto sforzi.
Il muscolo dell’anima sottoposto ad un movimento disfunzionale, contrario alla sua inclinazione, si satura alle contratture, sviluppando dolore, senza che sia la persona a volerlo.
Lo schematismo, il perpetuarsi dell’ossessiva organizzazione dell’agire, diventa come una ginnastica fatta male che porta la persona ad un irrigidimento, corporeo, insensibile ad alcuna emozione, ritenuta inutile.
Nulla è abbastanza, nemmeno uno svuotamento completo delle tensioni se la causa resta intangibile. Non c’è siddisfacimento per il perfezionista che da grande progettista, diventa un disabile nel fiume in piena della vita nella quale annegherebbe.
Lasciare le proprie staccionate, sprogrammare le abitudini,la routine, andare oltre, significa avvicinarsi a se stessi significherebbe far funzionare le proprie funzioni vitali, la circolazione, far pulsare serenamente il cuore, far respirare della pelle.
Uscire per poter rientrare in noi stessi dentro le nostre vesti che dona la possibilità di vibrare.
L’idea che meglio rende il danno di colui che tutto progetta è, che se il perfezionismo e l’emozione si incontrassero per strada, neanche si saluterebbero.
silvia valenza
Continua
Il Perfezionismo È Una Disavventura
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE IL PERFEZIONISMO
Perfezionismo negazionista
Il perfezionista non si lancia, scalpita e attende, pregusta ma non osa, rimugina, in fervore come una pentola con l’acqua che bolle e attende che vengano calati gli spaghetti.
(Approfondimenti su pensiero focalizzato e azione “Pensa e arricchisci te stesso” autore Napoleon Hill).
Ama la pianificazione, nei minimi dettagli, l’attesa dell’azione, ma non l’azione in se: essa infatti potrebbe nascondere l’insidia dell’errore.
Ma non è per errori che impariamo, che iniziamo a camminare in posizione eretta, che scoviamo le nostre debolezze e le nostre paure che sappiamo celare con maestria, che sperimentiamo cose o azioni a noi sconosciute?
Strettamente connessi, vagano per la nostra mente due energumeni di nome “errore” e “giudizio”.
Costoro, andrebbero tenuti a bada e non lasciati liberi di inquinare il nostro giardino mentale a loro piacimento, facilitando la creazione di convinzioni negative.
(Approfondimenti sulle convinzioni “Psicocibernetica”, Maxwell Maltz). Infatti, questi, ingordi delle nostre insicurezze, non sono mai sazi: portano a farci sentire inadeguati, sbagliati, talvolta con ansia da prestazione. Sono sempre lì, in agguato, dobbiamo dunque imparare a conviverci.
Vedete non penso esista un assoluto negativo o positivo, ma ritengo vi siano molteplici sfumature. Se presi nel modo giusto, dunque, errore e giudizio possono insegnarci molto. Ma come?
Nella sua eccezione negativa nella nostra società il giudizio è parte integrante, consequenziale, dell’errore.
Ma se voi sbagliaste, ed oltre ad esservi messi alla prova e aver tracciato con sincerità i vostri confini – estendibili gradualmente tramite la pratica – apprendereste come migliorare ogni giorno, non diventereste forse persone migliori?
Secondo la Psicocibernetica, siamo predisposti per tendere a un fine autoimposto raggiungibile tramite tentativi, volti al perfezionamento graduale della tecnica, sino al raggiungimento del fine stesso.
Mentre scrivo, mi trovo nella periferia estrema di Barcellona, causa un errore organizzativo con i miei amici che mi hanno portato a cambiare alloggio, senza però trovare una zona migliore.
Meraviglioso! Da questo “errore” organizzativo ho trovato in me il meccanismo inceppato che cercavo di oliare più volte, senza però essermi trovato nelle condizioni ottimali per farlo.
Zaino in spalla, pronto ad andare all’avventura in cerca di una nuova sistemazione. Quante virtù sento scorrere in me ora, prima come assopite e arginate da una diga nella routine quotidiana, ora fluiscono in me come un fiume in piena. Intuito, intelligenza emotiva, caparbietà, le sento ora dentro come non mai.
Ditemi, vi entusiasmerebbe forse di più un viaggio organizzato nei minimi dettagli, con le attività pianificate ora per ora? Ma ciò, in fondo, non si ridurrebbe alla mera esecuzione di un piano?
Spegnete i telefoni e chiudete per un attimo le agende, lanciandovi alla riscoperta del vostro numero 1.
Non lasciatevi inquinare dai piani dell’amico del bar, dai capricci del vostro partner, dalle aspre frecciatine di una collega. Entrate in contatto con il vostro io primordiale, senza timore dell’inevitabile giudizio esterno, spesso riflesso delle convinzioni altrui proiettate ottusamente su di voi e non di un feedback oggettivo. Amate errare, perché – errare humanum est – e perché privarsi di una delle migliori espressioni di umanità, se esso nasconde potenzialmente i frutti di un vantaggio superiore o equivalente.
Chi è audace, sbaglia per natura, interpretando l’errore con la propria percezione volta alla fiducia personale come opportunità e non come tragedia.
Chi fa, spesso viene giudicato, ma sa selezionare dalla lista come si fa su di un tablet al ristorante giapponese, quello sotto casa dove si va la domenica sera, solo i giudizi oggettivi e costruttivi per trarne vantaggio.
Dunque, il perfezionista non avrà dubbi di essere il migliore nel suo acerbo mondo interiore, fatto di sovrastrutture e specchi, che riflettono la luce ma non brillano di luce propria. Difatti, da una porticina scorgerà una luce abbagliante, dietro la quale si celano le mille tonalità di colore della vita, come un prisma, che egli non ammetterà alla propria vista, poiché sprovvisto delle lenti giuste.
Entrate al di là della porticina, perché dietro di essa si celano i colori più belli e lucenti del nostro cammino. E se nel vostro personale cammino vi imbatterete in qualcosa che non sia perfetta per i vostri standard, sappiate che perfezione fa rima con percezione e non per caso, è soggettiva e fallace, poiché ogni cosa può essere vista da infinite prospettive.
Non precludetevi mai opportunità e siate pronti a coglierle, quando questo diviene possibile, la vita diventa un’ avventura.
Carlo MASTROIANNI
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ContinuaVERGOGNA ED IMBARAZZO
I freni al Tuo Big Bang
L’imbarazzo e la vergogna sono il peggior nemico dell’ espressione profonda di se, la cristallizzazione della naturalezza e della spontaneità, l’ altra faccia della medaglia della rigidità, amica delle corazze caratteriali, una tendinite dell’ anima, la negazione della bellezza. Sono le pasticche dei freni della vitalità e dell’ emancipazione dai luoghi comuni populisti.
Un bambino, per imbarazzo e vergogna è costretto a vivere dietro alle grate della propria ovattata prigionia dorata educativa, essa pone il confine frustrante tra mondo interiore, prospettive e il mondo sociale dei piaceri e dei giochi , irraggiungibile e pericoloso agli occhi dei suoi fobici adulti .
Un bambino che non gioca, fa il bambino adultizzato che da adulto farà l’ adulto Peter Pan. Un bambino imbarazzato è timoroso del mondo, violato nei suoi capricci, taciuto dalle diffidenze adulte, percosso e umiliato dai loro complessi, abbandona il contatto con se stesso e con la socialità diffidata.
Senza il contatto con la propria pelle non c’è vitalità , si delega sul contatto altrui. La propria pelle diventa la pelle degli altri, certi di esistere solo se gli altri ci sono. Questa modalità genera la frustrante paura per la solitudine e la frustrante persecutoria paura che gli altri abbandonino, tale da fomentare quella odiosa dipendenza affettiva delirante .
La pelle rappresenta il confine contenitivo e delimitante tra la nostra entità e il mondo. La pelle pone il confine tra l’ anima e la profanazione dell’ indiscrezione dell’ invadenza. Ogni parola azione rimbalza sulla pelle se non edifica, passa attraverso di essa se promuove e comprende, se la oltrepassa come una lancia, viola e traumatizza.
La prossemica è quella distanza metrica naturale che ci impone di tutelarci dalle altrui invadenze e di accorciarle quando c’è accoglienza.
Il progetto di approdare alla propria pelle, a Se Stessi, riordina l ‘ assetto verso l’ auto appartenenza, nemica della dipendenza affettiva.
La fobia che gli altri siano abbandonici, innesca un vissuto di irraggiungibilità di relazioni stabili, che fagocita nella rabbia, che il mondo sia ostico e squilibrante, tale da desiderarne la distanza. È la paura che gli altri abbandonino a condizionare gli altri ad abbandonare per l’ incertezza che suscita la paura .
O rimaniamo soli e odiamo il mondo, o impariamo a toccarci e a recuperare il contatto con se per sentirci e percepirci presenti a noi stessi e al mondo. L’ assenza del contatto con se, con il piacere di se e attraverso con la propria auto realizzazione, genera l’ assenza e la distanza dagli altri.
Se qualcuno ci ha violati, toccati, nostro malgrado, viviamo la perdita del confine, la violazione di quel preciso sacro confine esistente tra noi e il mondo. Si annida nella memoria la macchia da voler mantenere la distanza è il distacco da tutto per effetto della generalizzazione.
In analisi sradichiamo le loro mani dalla nostra memoria, certe parti di se che non venivano più considerate, riprendono a far parte di noi come legittimi proprietari . ci riconciliamo con noi stessi e con quegli altri che non c’entrano, condannando il solo violatore che ha profanato noi stessi.
Il recupero della propria pelle è il recupero della propria integra identità che si chiama persona e lo sradicamento e lo scollamento delle mani, dalla memoria, del demone dalla nostra pelle, è lo sradicamento delle loro mani, come delle metastasi dalla propria vita partendo dalla propria memoria, che rimane circoscritta in quel tragico ricordo deprivato dei ponti verso il presente. Questo è un modo metodologico per procedere al recupero del senso della propria integrità e del proprio benessere .
Nei casi di abusi sessuali la vera violenza non è determinata solo dall atto in se, ma dal radicamento dell’ esperienza traumatica, come metastasi immobilizzante la quotidianità.
La memoria del trauma viene percepita non come la memoria del passato, ma onnipresente nel qui ed ora, come un cancro di adesso.
La vitalità esiste innanzitutto nel contatto con se stessi e non con le aspettative altrui, attraverso le loro opinioni c’è l’ incertezza di vivere perché non sono le propria con la conseguente paura di essere sempre sbagliati, tentennanti come funamboli sul filo della vita.
Madre natura ci ha dotati di due gambe e due piedi per essere stabili e camminare su noi stessi, ma facciamo di tutto per camminare con i piedi e stare sulle gambe degli altri, vediamo con i loro occhi e con i loro valori non curanti del valore di noi stessi.
giorgio burdi
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Reazioni di Sissi
Diario, 1 novembre 2021
Sento le spalle chiudere il torace mentre mi guardi, mentre parli e mi chiedi qualcosa. Sono io che chiudo il fiore della mia anima con tutti i petali che conosco perché temo che a guardarlo se ne scorgano le sbavature.
Mi guardi, mi trafori, vuoi prendermi l’anima, gustarla fino a sputarla come se fossi il primo goccio di vino guasto. Tutto questo tempo a correre sui binari, sempre e solo binari, come recinti innevati dove raccogliere sogni e respiri; binari che per me sono la vittoria di sapermi al mio posto, nel posto che il mondo ha accettato di concedermi, un posto a cui mi sono solo adeguata e che non ho scelto.
Ed è sotto queste sembianze rattrappite, incolte, senza venature, che allungo il collo, lascio che il naso esplori oltre gli aromi e mi bevo i colori del mondo. Così brillanti, vispi, vivaci, veri.
E le profondità io le vedo, proprio perché mi sono negate, o forse qualcosa in me è portato a vederle. Quante crepe, quanta lava in questo corpo recinto dai binari della solitudine, da quei nodi rimasti incagliati nelle ancore di barche mai partite.
Ma com’è possibile che la solitudine sia tanto affollata? E sono sempre a chiedermi se il mondo si accorga che le orme che lascio sono orme di mostro, che ho la responsabilità di tutti i miei limiti, che sono un fascio fallito di emozioni belle e che mi chiedo quanto povera sia questa mia anima se non conosce amore, se non conosce carezze.
Quanto è difficile la gentilezza dell’intimo contatto per me. Se la immagino, quasi mi nausea. Eppure la sento in un posto remoto di me, un posto sigillato dall’esperienza di anni di sacrificio segreto e stratificato. Nel contatto mi pare esserci sempre un grido d’aiuto che io non ho energie per offrire. E lo sento sulla pelle quel grido: l’altro diventa lo sventurato che s’aggrappa alle pendici del burrone per non cadere.
Sono io quelle pendici e dell’altro mi rimane la disperazione, gli occhi gonfi di buio e terrore, mentre rimango solida per non farlo cadere. Ma la verità è che a furia d’essere solida mi son saputa friabile e son caduta io nel vuoto non sapendomi aggrappare all’aria, non volendomi aggrappare affatto.
Se ruoto gli occhi nel mio petto, so che esiste un altro tipo di contatto. Eccole, le vedo se chiudo gli occhi: sono due mani tiepide che s’accarezzano, due corpi che emanano calore e profumi a furia di baci infiniti, fiori dischiusi, brividi che scuotono anni e istanti, a seguire lo spartito del cuore che accelera per pompare più sangue, a far vibrare la pelle e il sesso con cerchi concentrici di piacere così simili a quell’acqua che si espande in cerchi sotto il tocco e l’ingresso di un sasso.
Come mi sento simile all’oracolo Cassandra nell’amarezza di sapere con gli occhi interiori questa vasta meravigliosa verità e contemporaneamente come sono simile a chi l’ascoltava nel non vederla fuori io stessa.
Da qui, come un marchio purulento, la vergogna d’essere me, d’essere i miei anni, d’essere la mia storia, di sentirmi il fallimento della naturalezza umana.
Fra questi binari, a sera, sospiro, m’accarezzo e m’asciugo leguance intiepidite dalle lacrime. Il calore che sento me lo dono come la promessa d’essere per me una mano d’intima gentilezza.
Sissi
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L’ OPPORTUNISTA
L’ OPPORTUNISTA
Mi serve, lo uso, lo prendo, lo getto, è un domo pack, una prestazione d’ opera gratuita, una agenzia di servizi, è come uno scarabocchio nel cassetto, un appunto stropicciato, un barattolo nel cestino, un fazzoletto soffiato, un tovagliolo sulle labbra, un profilattico, una scatola di sigari, un vuoto a perdere, un cellofan dei biscotti, l’ acqua degli spaghetti, un sacchetto della spesa, un pranzo in una dissenteria, l’ umiltà in soffitta, il fumo di un toscano, un falò fatto cenere, un botto di capodanno, un battito di ali verso il cielo.
Può un uomo essere così fugace, consumato come uno stuzzicadenti, sola sorgente di informazioni, di prestazioni, di energia da utilizzare, un uomo mono uso usa e getta ?
L’ opportunista è un bulimico, ti fagocita, e poi ti sputa, è un ladro, fa furto del tuo tempo, delle competenze, ti usa, e non sta bene, si ricarica e scompare, dimentica, non fa memoria, è macchiavellico, il fine, è renderti utile, non fa riguardi , non è discreto o riconoscente, gli è tutto dovuto, si spaccia per amico, fratello o famigliare e alla fine, per completare la sua manipolazione, ti dice di volerti bene.
L’ opportunista, non tollera il no, è un manipolatore, adulatore, un affettivo di circostanza, è l’ amico su Facebook, è la bambola di gomma di Tinder, è un invadente, spregiudicato nel giudizio, si autorizza a fare interminabili domande, l’ antitesi della privacy, l’ opinionista è incompetente, è un conformista globalizzato, sa “come si vive”, da consigli non richiesti, è un invidioso, di chi l’invidia non la conosce.
L’ opportunista ti gira le spalle, se ne frega, “ l’ acqua passata, non macina più” , lontano dagli occhi, lontano dal cuore, passato il santo, passata la festa, è l’ uomo che vive alla giornata, domani ci pensa, cinico, ha la memoria corta, è scordevole ed obblighi non ha, ha l’ alzheimer da circostanza, “ Chi ha avuto, ha avuto.,chi ha dato, ha dato… scurdámmoce ‘o ppassato, Simme … paisà! “ . Tutti luoghi comuni, cosi tanto evidenti e presenti che impregnano la nostra cultura e la rendono insignificante.
L’ opportunista, è anche l’ uomo dei favori, che attende dieci volte il loro rientro, non è un meritocratico, salta la fila, è frettoloso, scavalca, arrampicatore sociale, quello dello status simbol, ama, quelli di “una mano lava l’ altra”, o “mi potrà essere utile”, ti promette, è un politico che baratta prestazioni e cortesie.
L’ opportunista è un pappone, un business man, uomo d’ economia, spilorcio d’ affari, barattatore, uno scambista, non spende mai è uno scroccone, fissato alla fase anale, vende fumo, va sempre al ribasso e ti rifila un mattone, alla prima occasione ti vende.
Ti frequenta finché produci, tu vali quanto capitalizza è un consumabile. Materialista spudorato, per lui sei materiale deteriorabile, nemmeno riciclabile, un fecaloma da espellere prima o poi.
L’ opportunista è un ricercatore di opportunità, di prospettive di un suo migliomento. Prendi tre e ne paghi uno.
L’ opportunismo è uno stile di vita dei peggiori vizi capitali di nuova generazione.
L’ opportunista è il materialismo della dignità, l’ assenza e la non curanza dell’ intelligenza, è la rappresentazione dell’ uomo oggetto, che lo vede schiavo. La rivoluzione contro l’ opportunismo è la riqualificazione per un uomo non riducibile ad oggetto di consumo, rappresenta il recupero del rispetto di se dell’uomo e della sacralità del proprio tempo.
giorgio burdi
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