
SUPERARE LA BULIMIA
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA BULIMIA
Cos’è la bulimia
Il termine bulimia deriva dal greco boùs (bue) e limòs (fame), letteralmente “fame da bue”.
La bulimia è un Disturbo della nutrizione e dell’alimentazione caratterizzata da grandi abbuffate, note come crisi bulimiche, e successive condotte compensatorie.
Chi soffre di bulimia nervosa mangia in breve tempo grandi, spropositate quantità di cibo che poi elimina attraverso il vomito autoindotto.
Questo disturbo può insorgere a qualsiasi età e colpire sia donne che uomini. Diversi studi hanno dimostrato una maggiore incidenza nelle donne tra i 16 e i 40 anni. A volte può interessare anche i bambini, seppur in casi molto rari.
I soggetti bulimici hanno un disturbo del comportamento alimentare dovuto all’ossessione di ingrassare, di prendere peso e trasformare le forme del proprio corpo.
Le crisi di fame molto spesso non sono di natura fisiologica, ma hanno un’origine psicogena. Si tratta di una fame nervosa nel tentativo di controllare ed arginare emozioni negative e dolorose.
Il bulimico ha un bisogno incontenibile di ingerire cibo.Spesso per evitare l’aumento di peso dopo aver ingurgitato quantità di cibo significativamente eccessive, oltre al vomito autoindotto, adotta comportamenti inappropriati quali l’uso di lassativi e diuretici, digiuno, intensa attività fisica.
Questi comportamenti disfunzionali sono dettati dal senso di colpa e da un senso di fallimento che i bulimici avvertono dopo crisi di abbuffate compulsive.
Importanti sono le ripercussioni a livello fisico: problemi intestinali; problemi cardiaci, aritmie e insufficienza cardiaca; squilibri elettrolitici; disidratazione; irregolarità nel ciclo mestruale; amenorrea; alito cattivo, erosione dentale, infiammazioni alla gola quali conseguenze del vomito autoindotto.
Cause
Così come per gli altri disturbi del comportamento, anche all’origine della bulimia nervosa ci sono fattori biologici, psicologici e ambientali.
Coloro i quali hanno familiari che soffrono di bulimia o sono stati affetti da questo disturbo, hanno una predisposizione genetica a sviluppare la stessa patologia. Anche l’obesità infantile è spesso causa di un successivo sviluppo di comportamenti alimentari disordinati.
Indubbiamente alla base del disturbo bulimico c’è una percezione distorta della propria immagine corporea e del proprio peso.
Particolari tratti della personalità e del comportamento incentivano l’insorgenza della bulimia. Si è riscontrato come gran parte dei soggetti bulimici abbia grandi difficoltà a gestire lo stress, bassa autostima, difficoltà a riconoscere e gestire le proprie emozioni, perfezionismo, e soffra di ansia e depressione.
Inoltre, disturbi di personalità, dell’umore, disturbo ossessivo-compulsivo, abuso di sostanze, disturbo post-traumatico da stress in seguito alla morte di una persona cara, alla fine di una relazione sentimentale, alla perdita del lavoro, abusi sessuali subiti, problemi familiari e problemi interpersonali, predispongono l’insorgenza e lo sviluppo della bulimia.
Sintomi
La bulimia è un disturbo difficile da individuare e riconoscere perché molto spesso chi ne soffre ha un peso corporeo nella norma.
I sintomi della bulimia possono essere di natura psicologica, fisica e comportamentale.
- Grandi e ricorrenti abbuffate di cibo
- Perdita di controllo durante le abbuffate
- Mangiare con voracità
- Atteggiamento ossessivo verso il cibo
- Provare senso di colpa e disagio dopo aver mangiato troppo
- Vomito autoindotto
- Uso di diuretici e lassativi
- Digiuno
- Diete restrittive
- Attività fisica esagerata
- Visione non realistica del proprio corpo e del proprio peso
- Ansia
- Depressione
- Ossessività
- Irritabilità
- Sensazione di inadeguatezza
- Scarse relazioni personali
- Tendenza a isolarsi
Cura
Guarire dalla bulimia è possibile attraverso un intervento multidisciplinare: nutrizionista, psichiatra, psicoterapeuta.
Dopo un’attenta valutazione medica dello stato generale di salute del paziente attraverso specifici esami di laboratorio, si valuta la gravità della situazione e si definisce il percorso terapeutico da seguire.
Obiettivo primario è ristabilire un sano atteggiamento verso il cibo. In tal senso è importante da un lato il ruolo del nutrizionista che definisce equilibrati e adeguati piani alimentari molto spesso coinvolgendo l’intera famiglia, dall’altro il ruolo dello psicoterapeuta che lavora sull’aspetto emotivo e psicologico del paziente, aumenta la sua motivazione al cambiamento e diminuisce l’eccessiva preoccupazione per il peso corporeo e l’aspetto fisico.
Fondamentale è la consapevolezza.Il paziente che deve riconoscere di essere malato e che necessita di cure.
La Psicoterapia aiuta il paziente a controllare i comportamenti disadattivi e disfunzionali, ad individuare i disagi psicologici sottostanti il disturbo, a riconoscere e meglio gestire le proprie emozioni. Aiuta altresì a gestire le relazioni interpersonali in quanto la bulimia nasce come rapporto problematico sia con il cibo sia con le persone, e amigliorare la comunicazione.
Guarire dalla bulimia è possibile se si cambiano le proprie abitudini alimentari, si assume un atteggiamento sano verso il cibo, si segue un percorso di psicoterapia.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

SUPERARE L’ ANORESSIA
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE L’ANORESSIA
Cos’è l’anoressia
Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento dei disturbi del comportamento alimentare definiti a livello clinico “disturbi della nutrizione e della alimentazione”.
Ad essere maggiormente colpiti sono i giovani, prevalentemente le donne, tuttavia una percentuale, seppur inferiore, interessa anche gli uomini.
L’esordio del disturbo è tra la preadolescenza e l’adolescenza, periodo in cui l’individuo vive diverse trasformazioni fisiche e psichiche, definisce una propria identità sessuale, inizia un percorso di individualizzazione differenziandosi dalla famiglia di origine, cerca e sviluppa una propria autonomia. Nonostante ciò, ci sono casi di anoressia anche in età adulta.
Tra i disturbi del comportamento alimentare il più conosciuto è l’anoressia nervosa, termine che racchiude una situazione psicologica e fisica di profondo malessere e disagio. Chi soffre di anoressia nervosa ha una eccessiva e maniacale preoccupazione per il proprio peso e per le forme del proprio corpo, ha un disordine psicologico. Soffre di dismorfofobia, ha una visione distorta e turbata, una percezione non obiettiva ed oggettiva della propria immagine corporea.
Il soggetto anoressico è magro, molto magro, mangia pochissimo o digiuna, ma si vede sempre più grasso. Ed è così che l’atto del cibarsi viene vissuto come momento di profonda angoscia e preoccupazione.
Il pensiero ossessivo legato al cibo e al peso corporeo influisce ed interferisce negativamente con le attività quotidiane, lavorative e relazionali.
Esistono due forme di anoressia: l’anoressia restrittiva e l’anoressia con bulimia. La prima caratterizzata da una dieta rigida e drastica spesso accompagnata da periodi di digiuno e associata ad un’eccessiva attività fisica e sportiva. L’altra, invece, caratterizzata oltre che da forti restrizioni alimentari, anche da abbuffate accompagnate da comportamenti di eliminazione del cibo, vomito autoindotto e uso di lassativi e/o diuretici.
Il paziente anoressico adotta diversi comportamenti disfunzionali per controllare il cibo e non ingrassare: sceglie alimenti poco calorici, distribuisce il cibo su tutto il piatto sminuzzandolo in piccoli pezzi, mastica molto lentamente, non mangia in compagnia per evitare controlli, prepara per altri cibo e piatti complessi che non mangia ecc…
L’anoressia è un disturbo molto pericoloso per la vita a causa del grave deperimento fisico e delle disfunzioni fisiologiche che ne derivano, può causare danni irreversibili agli organi vitali: cuore, fegato, reni, ossa, apparato digerente…
Cause
Alla base di un disturbo alimentare come l’anoressia, c’è un rapporto patologico con il cibo e il proprio corpo.
Diversi possono essere gli eventi scatenanti: una dieta ipocalorica di cui se ne perde il controllo, un trauma, un accadimento doloroso, un lutto, una separazione, un allontanamento, un rifiuto, un abbandono, aver subito una violenza sessuale, un conflitto intrapsichico caratterizzato da un bisogno costante di controllo dei propri spazi interni ritenuti troppo fragili ecc..
L’anoressia è il frutto di una convergenza di fattori biologici, psicologici, sociali e relazionali. Sicuramente i problemi psicologici specifici dell’individuo, l’età, la famiglia di appartenenza con i suoi valori e le dinamiche relazionali, influenzano notevolmente la comparsa di questo disturbo.
Anche la cultura sociale gioca un ruolo importante, intesa come cultura della società dei consumi e del benessere. Non è un caso se nei paesi poveri, nel cosiddetto “terzo mondo”, questo disturbo sia sconosciuto.
La moda della magrezza, inoltre, influenza gli ideali estetici femminili. I corpi asciutti predominano nell’immaginario collettivo. Si enfatizza la magrezza del corpo. La bellezza esteriore conta più di quella interiore, dell’unicità e dell’identità della persona.
Ci sono anche fattori genetici che determinano l’insorgenza dell’anoressia come avere un familiare che soffre o ha sofferto di questo disturbo.
Anche la personalità ricopre un ruolo importante: l’eccessivo perfezionismo, obiettivi sempre più difficili da raggiungere, la scarsa autostima, sentimenti ossessivi e maniacali, difficile gestione dello stress, asocialità, eccessive preoccupazioni per il futuro, spesso accomunano i pazienti anoressici.
La presenza di altri problemi come depressione, ansia, abuso di alcol, disturbo bipolare, comportamenti autolesionistici, può incentivare lo sviluppo dell’anoressia.
Una famiglia prevalentemente conflittuale, chiusa al dialogo, al confronto, alla comunicazione, dove regna un eccessivo rigore ed è difficile esprimere le proprie emozioni e sentirsi capiti e amati, è sicuramente una condizione negativa che predispone lo sviluppo di un disturbo alimentare quale l’anoressia.
Sintomi
Nei pazienti anoressici è sovente riscontrare:
- Peso corporeo significativamente sotto la norma per età ed altezza
- Intensa paura di aumentare il peso e le forme del proprio corpo
- Alterazione dell’immagine corporea
- Gravi restrizioni alimentari
- Digiuno
- Perdita di peso
- Nausea
- Inappetenza
- Eccessiva attività fisica
- Vomito autoindotto
- Uso di lassativi e/o diuretici
- Uso di farmaci che riducono il senso di fame
- Amenorrea
- Abbassamento della temperatura corporea e della pressione
- Ipotermia
- Vertigini e/o capogiri
- Affaticamento
- Bradicardia
- Anemia
- Anomalie elettrolitiche
- Carenze di vitamine e minerali
- Alterazioni endocrine
- Osteoporosi
- Fragilità di unghia e capelli
- Pelle secca
- Irritabilità
- Difficoltà di attenzione e concentrazione
- Depressione
- Isolamento sociale
- Tendenze suicide nei casi più gravi
Cura
I pazienti anoressici difficilmente chiedono aiuto, generalmente tendono a tenere nascosto il problema o, come forma di difesa, non lo riconoscono tale.
Un intervento tempestivo permette di guarire dall’anoressia senza dover ricorrere al ricovero ospedaliero che molte volte risulta necessario.
Sicuramente il primo passo per curare l’anoressia è un intervento multidisciplinare di psico-educazione alimentare.
Il paziente deve raggiungere la consapevolezza, riconoscere il problema e comprendere che molti dei sintomi rientrano con la normalizzazione del peso corporeo, e partire proprio da lì. Fondamentale in questo è il ruolo del nutrizionista che elabora una terapia alimentare completa e bilanciata coinvolgendo anche la famiglia.
Il suo intervento deve essere supportato da quello di uno psicoterapeuta, importante per sviluppare e aumentare costantemente la motivazione del paziente alla cura ed evitare le ricadute.
Se da un lato è importante la matrice organica del disturbo, dall’altro sono di notevole rilievo gli aspetti intrapsichici alla base del disturbo. Il cibo, spesso, diventa manifestazione di bisogni e conflitti interiori.
In questo, la Psicoterapia ha un ruolo cardine, aiuta a correggere convinzioni e comportamenti errati, aiuta il paziente a cercare le cause che hanno scatenato il disturbo e ad individuare le dinamiche relazionali disfunzionali.
È stato riscontrato il successo della cura con percorsi di terapia individuale, familiare e di gruppo. Condividere i propri stati d’animo, le proprie paure, i propri vissuti, aiuta i pazienti anoressici a superare l’atteggiamento di chiusura che li caratterizza e ad aprirsi al mondo.
Con la Psicoterapia, dall’anoressia si può guarire senza riammalarsi mai più.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

Superare la dipendenza da gioco
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA DIPENDENZA DA GIOCO
Cos’è la dipendenza da gioco
Il gioco d’azzardo patologico comporta il fallimento della capacità di controllo. Seppur non ci sia un’intossicazione da sostanza, la dipendenza da gioco d’azzardo si può sviluppare presentando fenomeni analoghi alla dipendenza da sostanze: tolleranza, craving, assuefazione.
Il gioco d’azzardo patologico, in clinica definito “disordered gambling” ossia gioco problematico, è un disturbo del controllo degli impulsi con comportamenti di gioco persistente, ricorrente e maladattivo; ciò compromette le attività personali, familiari, sociali e lavorative. L’esordio del disturbo da gioco d’azzardo risale generalmente alla prima età adulta, tuttavia può manifestarsi anche a mezza età o addirittura in tarda età.
Chi soffre di dipendenza da gioco è incapace di resistere alla tentazione di giocare somme di denaro, molto spesso cifre elevate, a carte, lotterie, scommesse sportive, slot machine ecc… Il giocatore d’azzardo gioca non considerando il grosso rischio che corre, anzi prova eccitazione giocando grosse somme di denaro. Infatti, sono particolarmente inclini a sviluppare questa dipendenza i soggetti molto competitivi, che tendono ad avere manie, i soggetti inquieti.
I giocatori d’azzardo patologici non sono affascinati tanto dal vincere molti soldi, quanto dall’eccitazione provocata da grandi puntate. Il loro umore oscilla tra l’euforia nel momento del gioco e la disperazione se il gioco finisce male. Se c’è una vincita questa rinforza il comportamento e la voglia di giocare, se c’è una perdita il giocatore patologico vuole rifarsi e rimontare entrando in un circolo vizioso senza fine. Paradossalmente, nel giocatore patologico, l’aspettativa di vincita aumenta se cresce il numero delle sconfitte.
Chi ha sviluppato una dipendenza da gioco è disposto a fare qualsiasi cosa per procurarsi il denaro utile a soddisfare il suo bisogno; il suo umore è irritabile e scontroso se non ha i soldi per giocare.
Il gioco patologico, pertanto, ha un’influenza negativa sulle relazioni personali e familiari perché molto spesso è causa di perdite finanziare, debiti, problemi legali.
Cause
Come in gran parte delle dipendenze, anche in quella da gioco d’azzardo, le cause all’origine possono essere di natura biologica, psicologica, socio-ambientale.
Spesso la dipendenza da gioco d’azzardo si sviluppa come risposta disfunzionale a eventi traumatici della vita, a periodi in cui ci si sente particolarmente sopraffatti da emozioni intense, forti e difficili da gestire. La depressione e lo stress aumentano il bisogno di rischiare al gioco come forma di evasione dai problemi della vita.
Il gioco d’azzardo è un forte stimolante, provoca eccitazione intensa, fa sentire forti e onnipotenti, crea l’illusione di poter cambiare la propria vita.
Ci sono diversi fattori di rischio che aumentano le probabilità di potersi ammalare di dipendenza da gioco. Sicuramente la familiarità è il principale fattore di rischio, avere familiari dipendenti dal gioco d’azzardo incentiva lo sviluppo di questa dipendenza. Anche la presenza di altri disturbi del comportamento e dell’umore è un fattore di rischio, così come la presenza di disturbi di personalità caratterizzati da impulsività, disturbo borderline e disturbo narcisistico.
Un’altra causa, non meno importante, che facilita lo sviluppo di una dipendenza da gioco è la facile disponibilità, si pensi alla rete e all’uso indiscriminato di giocare on-line, alle sale da gioco dove scommettere è una pratica legalizzata.
Sintomi
Il disturbo da gioco d’azzardo comporta disagio e sintomi clinicamente significativi per un periodo di almeno 12 mesi:
- Giocare somme di denaro sempre maggiori
- Giocare con frequenza crescente
- Giocare per recuperare le perdite
- Pensieri persistenti sul gioco
- Occupare la maggior parte del tempo con il gioco
- Perdita di interessi verso altre attività o relazioni sociali e affettive
- Necessità di mentire per continuare a giocare
- Chiedere prestiti o rubare soldi per poter giocare
- Irrequietezza a seguito di astinenza dal gioco
- Tentativi ripetuti e falliti per ridurre o smettere di giocare
Cura
Quando si soffre di dipendenza da gioco d’azzardo è sempre utile chiedere il consiglio di un medico Psichiatra e/o Psicoterapeuta per valutare l’entità del problema e il miglior percorso di recupero.
La dipendenza da gioco d’azzardo è un disturbo clinicamente significativo e in quanto tale necessita l’intervento di specialisti. Inizialmente potrebbe risultare necessaria una terapia farmacologica soprattutto per gestire gli aspetti clinici del disturbo come l’impulsività e l’anedonia, la perdita di interesse per attività comunemente ritenute piacevoli.
La cura della dipendenza da gioco d’azzardo non si limita a condurre il paziente a smettere di giocare bensì anche ad evitare che possano esserci ricadute. Il primo passo è portare il paziente alla piena consapevolezza di avere un problema. Il paziente deve riconoscere di essere un giocatore patologico, non di avere un vizio, e deve individuare ed analizzare tutte le conseguenze che ciò ha portato nella sua vita e di quante altre ancora ne porterebbe se non interrompesse il gioco come comportamento patologico.
La Psicoterapia aiuta il paziente a cambiare il suo stile di vita e ad evitare ricadute, soprattutto lo guida a trovare costantemente una motivazione alla cura e al cambiamento. La Psicoterapia, inoltre, permette di lavorare sulle distorsioni del pensiero, ovvero su tutte quelle distorsioni cognitive associate al gioco: potere e controllo sugli esiti delle giocate, sovrastima delle probabilità di vincita, superstizione ecc…Essa permette anche di analizzare le situazioni antecedenti al gioco consentendo così di comprendere le situazioni a rischio, soprattutto imparare a gestirle.
Diversi studi in merito hanno riconosciuto e dimostrato che la Psicoterapia di Gruppo è tra i trattamenti più efficaci per curare una dipendenza da gioco d’azzardo. Guarire da questa dipendenza è possibile.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

Superare la dipendenza affettiva
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA DIPENDENZA AFFETTIVA
Cos’è la dipendenza affettiva
La dipendenza affettiva è una dipendenza comportamentale, non caratterizzata dall’abuso di alcol o sostanze, ma da comportamenti patologici di vivere una relazione. È un disturbo relazionale.
La dipendenza affettiva è una condizione patologica e in quanto tale è caratterizzata da ossessività, impulsività e compulsività. L’ossessività del pensiero verso una persona, generalmente il partner; l’impulsività di determinati comportamenti quali numerosi messaggi, frequenti chiamate di controllo ecc…; la compulsività, cioè la difficoltà a trattenere ed evitare determinati comportamenti.
Chi soffre di dipendenza affettiva la confonde molto spesso con l’amore. In realtà è una forma di amore malato ed ossessivo, disfunzionale, in cui la persona dipendente rinuncia ai propri bisogni, al proprio spazio, mette le proprie opinioni da parte. Il partner viene considerato come unica gratificazione e fonte di amore, per questo la paura di perderlo è incontrollata.
Apparentemente la dipendenza affettiva offre un senso di benessere, ma allo stesso tempo aumenta il bisogno di legame al partner da cui si dipende. La persona che soffre di dipendenza affettiva considera la propria vita insignificante e vuota senza la presenza del partner.
La dipendenza affettiva è un bisogno eccessivo di fare affidamento sul partner, un eccessivo bisogno di protezione e cure associati alla paura di rimanere soli. Inevitabilmente queste relazioni non sono gratificanti, ma insoddisfacenti e dolorose.
Spesso le persone che soffrono di dipendenza affettiva diventano potenziali vittime di manipolazioni emotive o di violenze all’interno della relazione; hanno difficoltà ad esprimere disaccordo, a prendere decisioni autonomamente e indipendentemente dagli altri. Questo, se da un lato genera nell’altro un forte senso di coercizione nel doverle continuamente accudire, assistere, guidare, dall’altro gli attribuisce una sensazione di potere all’interno della coppia.
La dipendenza affettiva genera relazioni affettive e sentimentali disfunzionali, non una dipendenza positiva che nelle relazioni ha valore funzionale, sano e reciproco.
Cause
Diversi studi hanno dimostrato che il mal funzionamento della dopamina a livello cerebrale sia un fattore determinante per lo sviluppo della dipendenza affettiva.
Anche l’ambiente familiare influisce in modo significativo allo sviluppo della dipendenza affettiva, in particolar modo famiglie in cui non vi è una chiara distinzione dei ruoli ed in cui si ha una costante intromissione nei pensieri, nei sentimenti e nelle azioni altrui.
Alla base di una personalità dipendente c’è sicuramente insicurezza, scarsa autostima, difficoltà a prendere decisioni, sensazioni di disagio quando si è soli.
La dipendenza affettiva è una patologia che coinvolge prevalentemente le donne, generalmente provenienti da famiglie problematiche che le hanno portate a sviluppare inadeguatezza ed indegnità personale.
La persona dipendente è fragile, bisognosa di conferme e terrorizzata dall’abbandono. Influisce nello sviluppo di una dipendenza affettiva anche la presenza di disturbi d’ansia, il disturbo distimico, il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo ossessivo compulsivo e altre forme di dipendenza come quella da alcol, sostanze, cibo ecc…
Sintomi
La dipendenza affettiva è caratterizzata da sintomi simili a quelli delle altre dipendenze comportamentali:
- Piacere derivante dall’oggetto della dipendenza
- Tolleranza e necessità di aumentare il tempo trascorso con il partner
- Ossessività
- Impulsività
- Compulsività
- Negare i propri bisogni a fronte di quelli del partner
- Ansia costante di poter perdere la persona oggetto della propria dipendenza
- Continuo bisogno di rassicurazioni
- Continue richieste affettive
- Emozioni negative quando il partner è distante
- Repressione della rabbia
- Perdita di controllo
- Accettazione della sofferenza pur di non restare soli
Cura
È importante riconoscere la dipendenza affettiva per prevenire, in caso di interruzione della relazione, reazioni eccessive quali comportamenti persecutori come lo stalking, gravi depressioni o tentativi di suicidio.
La dipendenza affettiva può essere curata con l’aiuto di uno specialista Psicoterapeuta che inquadra il disturbo all’interno della storia di vita del paziente.
Il primo passo è il riconoscimento della propria dipendenza affettiva da parte del paziente e delle conseguenze prodotte dal disturbo. Il paziente con l’aiuto del terapeuta ripercorre e analizza la relazione attuale e le eventuali relazioni passate, individua gli eventi scatenanti che hanno indotto l’instaurarsi del disturbo.
La Psicoterapia aiuta il paziente ad intraprendere un processo di cambiamento partendo dalla gestione delle emozioni negative legate alla solitudine, al rifiuto all’abbandono. Essa, inoltre, aiuta il paziente a gestire l’astinenza evitando eventuali ricadute, a riconoscere i propri bisogni e la necessità di stabilire confini personali.
Obiettivi importanti della terapia sono inoltre, l’indipendenza del paziente, lo sviluppo di competenze affettive, comportamentali e sociali.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

Superare la dipendenza da sostanze
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA DIPENDENZA DA SOSTANZE
Cos’è la dipendenza
Con il termine dipendenza si intende un bisogno assoluto di assumere una sostanza o di adottare determinati comportamenti. Tale bisogno si trasforma in una necessità incontrollata e compulsiva a tal punto da diventare una situazione patologica.
Chi sperimenta le droghe e le sostanze stupefacenti, a volte agisce per semplice curiosità e per provare sensazioni diverse, altre volte per alleviare un periodo di forte stress, ansia o depressione, spesso inconsapevole dei reali rischi. Tra le sostanze stupefacenti maggiormente utilizzate troviamo: cocaina, eroina, marijuana, oppiacei, allucinogeni, metamfetamine ecc…
Le droghe e le sostanze stupefacenti alterano il modo di inviare, ricevere ed elaborare informazioni del nostro cervello, creano un’eccessiva stimolazione della dopamina, un neurotrasmettitore che controlla le sensazioni di piacere, generano euforia. Questa sensazione induce a voler ripetere il comportamento in modo incontrollato, dunque a fare abuso della sostanza. Le droghe, quindi, sostituiscono e alterano nel cervello sostanze prodotte dall’organismo in modo naturale, ciò crea illusorie situazioni di piacere, tanto che assumere droga diventa un bisogno. Più che dipendenza dalla sostanza, si ha dipendenza dai suoi effetti. La dipendenza non è nella sostanza in sé, ma in come questa ci fa sentire. Gli stupefacenti, infatti, creano un’illusoria sensazione di evasione dalla realtà e dai problemi.
La tossicodipendenza può essere distruttiva sul corpo, sulla vita e sulle relazioni di una persona. I pensieri e i comportamenti di dipendenza, ricorrenti e compulsivi, interferiscono con la vita familiare, lavorativa e sociale. Spesso causano la perdita del lavoro, liti familiari e gravi problemi economici.
La dipendenza da sostanze stupefacenti ha conseguenze sulla salute fisica e mentale. L’abuso prolungato di sostanze stupefacenti provoca alterazioni del pensiero, delle emozioni e del comportamento, nonché il rischio di alterazioni permanenti delle principali funzioni neurologiche e psicologiche; queste alterazioni ostacolano la capacità di resistere all’impulso di assumere sostanze. L’abuso, inoltre, genera ansia, depressione, schizofrenia, paranoia, disturbi bipolari e della personalità. Importanti sono anche i danni fisici e alle funzionalità base dell’organismo: al fegato e al pancreas, malattie cardiovascolari, insufficienza renale, infertilità, impotenza, lesioni polmonari e spesso anche la morte.
Cause
Diverse sono le cause che possono contribuire allo sviluppo di una dipendenza. Sicuramente si possono individuare fattori biologici, ambientali e di sviluppo. Molto spesso la dipendenza da sostanze può essere ricondotta ad un disagio personale e sociale, alle relazioni e all’ambiente.
Diversi studi, inoltre, dimostrano l’aumento di probabilità di sviluppare una dipendenza da sostanze in presenza di disturbi mentali e di personalità. Anche storie familiari di dipendenza influiscono nello sviluppo di una dipendenza così come vissuti personali difficili prevalentemente durante l’infanzia. Il trauma rappresenta sicuramente una delle maggiori cause. L’uso di droghe e stupefacenti può essere ricondotto al tentativo di controllare una sofferenza che non si riesce ad annullare, una forma di difesa e automedicazione.
Sintomi
Il disturbo da uso di sostanze è una modalità patologica d’uso della sostanza che conduce a disagio o compromissione clinicamente significativi.
Sono presenti i seguenti sintomi:
- La sostanza è assunta in quantità eccessive per periodi prolungati
- Forte desiderio all’uso della sostanza
- Uso continuativo della sostanza nonostante problemi sociali o interpersonali causati dagli effetti della sostanza
- Tolleranza: bisogno di dosi sempre più elevate
- Astinenza
- Alterazioni del pensiero
- Alterazioni delle emozioni
- Alterazioni della capacità decisionale e di azione
- Cambiamenti delle abitudini
- Cambiamenti del comportamento
- Comportamenti rischiosi per sé e per gli altri pur di procurarsi la sostanza
- Impulsività
- Irrequietezza
- Irritabilità
- Aggressività
- Ansia
- Ossessività
- Compulsività
- Insuccessi nel tentativo di liberarsi dalla dipendenza
Sintomi dell’astinenza:
- Ansia
- Irritabilità
- Nausea
- Vomito
- Tremori
- Spossatezza
Cura
Il trattamento e la cura della dipendenza da sostanze prevede un approccio multidisciplinare. A seconda della gravità della situazione è prevista la collaborazione di diverse figure specialistiche: psichiatra, neurologo, psicoterapeuta.
Trattare una dipendenza significa oltre che aiutare l’interessato ad interrompere l’assunzione della sostanza senza rischio di ricadute, anche aiutarlo a recuperare il suo ruolo nella società, in famiglia e a lavoro. Se da un lato la terapia farmacologica è fondamentale per gestire i sintomi dell’astinenza, dall’altro la psicoterapia è un forte ed indispensabile contributo per curare i disturbi psicologici.
Attraverso la psicoterapia è possibile correggere i comportamenti che hanno generato la dipendenza, aiutare il paziente ad evitare una ricaduta analizzando le possibili conseguenze, acquisire comportamenti più funzionali, imparare a gestire le emozioni, migliorare il funzionamento interpersonale e le relazioni.
Diversi studi dimostrano quanto e come la terapia di gruppo sia efficace nel trattamento e nella cura delle dipendenze, promuova la crescita e il cambiamento strutturale della personalità.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

Superare la dipendenza da alcol
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA DIPENDENZA DA ALCOL
Cos’è l’alcolismo
L’alcolismo, definito come “uso problematico di alcol”, è una malattia cronica, recidivante e potenzialmente mortale. Chi soffre di alcolismo non ha più il controllo sul consumo di alcol, ne fa abuso: beve frequentemente eccessive quantità di alcolici in qualsiasi momento della giornata sviluppando tolleranza, astinenza e dipendenza.
La dipendenza alcolica rientra tra le maggiori e principali problematiche di salute al mondo. L’abuso di alcol causa nel tempo diversi danni fisici e psicologici. Sebbene molti organi possano essere compromessi dal consumo smisurato di questa sostanza, sicuramente il fegato e il cervello sono i più colpiti. I danni al fegato possono sfociare in cirrosi e/o neoplasie epatiche, non meno importante è il rischio di ictus e disturbi cardiovascolari. Sul cervello, invece, l’alcol assunto in piccole quantità rilascia endorfine, mentre in quantità eccessive rallenta notevolmente l’attività cerebrale alterando capacità di apprendimento, giudizio e autocontrollo.
Importanti sono anche i danni che l’alcolismo provoca nella vita familiare, relazionale, sociale e lavorativa di chi ne soffre. L’individuo che fa abuso di alcol soffre di alterazioni della personalità e sviluppo di aggressività: è spesso irascibile, scontroso e litigioso. Ciò porta inevitabilmente diversi problemi sul posto di lavoro fino a causarne la perdita, e in ambito familiare, a vivere relazioni conflittuali spesso associate anche a violenza domestica.
Oltre ai danni fisici, psicologici e della sfera sociale, l’alcolismo può causare gravi problemi legati alla salute mentale con la presenza di sintomi psicotici quali i deliri e le allucinazioni. Queste manifestazioni tendono a scomparire pian piano con la fine dell’intossicazione; tuttavia, è fondamentale evidenziare come un abuso alcolico possa peggiorare notevolmente disturbi psichiatrici già esistenti. Una patologia molto grave correlata al disturbo da uso di alcol è la psicosi o sindrome di Korsakoff, nota come “disturbo anamnestico da alcol”. Chi ne soffre manifesta danni alla memoria, in particolare quella legata ai ricordi recenti: dimenticano mi, volti e situazioni, ha difficoltà nella pianificazione di attività strutturate oltre ad un declino intellettivo e lesioni corticali.
Cause
Alla base dell’alcolismo vi è un’interazione di carenze strutturali, fattori genetici, ambientali e psicologici. Problemi di autostima, di modulazione dell’affetto e incapacità di prendersi cura di sé stessi portano ad un consumo eccessivo di alcolici: l’alcol si sostituisce alla mancanza di strutture psicologiche.
Di rilievo è la predisposizione genetica allo sviluppo di una dipendenza da alcol. Crescere in un contesto familiare in cui uno o entrambi i genitori è alcolista, facilita l’abuso di alcol. La familiarità è un aspetto dominante, diversi studi evidenziano l’elevata probabilità per i figli di alcolisti di diventare a loro volta alcolisti in età adulta anche se adottati da altre famiglie. Spesso questi soggetti a rischio possono essere incentivati all’abuso di alcol anche a causa di contesti sociali e ambientali.
Ci sono anche diverse cause psicologiche responsabili dell’alcolismo. L’alcol, infatti, spesso viene usato in modo improprio per le sue proprietà rilassanti da chi soffre di stress eccessivo, ansia, depressione o anche patologie psichiatriche come il disturbo bipolare, la schizofrenia, il disturbo ossessivo compulsivo.
Un’altra causa che facilita lo sviluppo di una dipendenza alcolica è aver subito maltrattamenti o traumi nell’infanzia, così come sviluppare un disturbo di personalità.
Sintomi
Chi soffre di “disturbo da uso di alcol” presenta almeno 2 dei seguenti sintomi per un periodo di almeno 12 mesi:
- Assume alcol in quantità eccessive per lunghi periodi
- Desiderio costante e persistente di assumere alcolici
- Fallimenti nel tentativo di ridurre l’assunzione di alcol
- Impiega gran parte del tempo a bere, recuperare alcolici o gestire gli effetti post-sbornia
- Bisogno incontrollabile di bere
- Sviluppo della tolleranza verso l’alcol e conseguente aumento della quantità consumata per soddisfare il bisogno
- Utilizzo continuativo di alcol anche dopo la comparsa di problemi psicologici e/o sociali attribuibili all’abuso alcolico
- Sintomi di astinenza
- Comportamenti atti a non provare sintomi di astinenza
L’astinenza dovuta alla brusca interruzione del consumo di alcol, nota come Delirium Tremens, va inizialmente trattata in ambito ospedaliero. I sintomi sono:
- Disorientamento spazio-temporale
- Eccessiva suggestionabilità
- Allucinazioni visive ed intensa paura
- Tremore delle mani, della lingua e delle labbra
- Febbre
- Sudorazione
- Alterazioni del battito cardiaco
Cura
Immaginare di poter risolvere il disturbo da uso di alcol solo con la forza di volontà è inutile; i meccanismi fisici e mentali caratterizzanti la dipendenza necessitano di un aiuto adeguato. È dunque fondamentale per il paziente alcolista riconoscere e accettare di non essere in grado di gestire il problema da solo. È importante rivolgersi a chi, per esperienza e formazione, dispone delle capacità e degli strumenti necessari per risolvere il problema.
Sicuramente in fase acuta, in caso di astinenza, è consigliabile affidarsi a cure ospedaliere; tuttavia, per affrontare l’alcolismo è necessario un approccio multidisciplinare. Non è sufficiente la disintossicazione da alcol per smettere di bere. Superata la fase acuta, bisogna necessariamente affrontare i problemi psicologici, cognitivi, emotivi ed affettivi alla base dell’abuso di alcol e lavorare sulla prevenzione alle ricadute.
La terapia di gruppo ha mostrato di essere quella maggiormente consigliata. Con la psicoterapia e i gruppi di aiuto è possibile imparare a gestire le proprie emozioni e a controllare gli impulsi. La psicoterapia adotta metodi rivolti a bisogni psicologici facilitando un cambiamento strutturale e duraturo della personalità. La psicoterapia, inoltre, aiuta a curare la depressione che nasce dal riconoscimento doloroso di tutta la sofferenza causata a sé stessi e agli altri, di tutte le perdite e le separazioni causate dalla dipendenza da alcol. La psicoterapia è utile nel processo di elaborazione di tutti questi aspetti dolorosi.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

Studio BURDI è anche su TELEGRAM
Lo Studio BURDI da oggi è anche su TELEGRAM
Clicca sull’icona Telegram e poi iscriviti gratuitamente al nostro canale.
Riceverai aggiornamenti periodici in tutta comodità nel pieno rispetto della tua privacy.
CLICCA SULL’ICONA TELEGRAM
Continua
L’ ASSENZA NEL QUI ED ORA
Ansia del futuro o del presente?
“tutto sembra instabile. Il futuro si tinge di colori poco rassicuranti e di una forma indefinita”
Riempiamo le nostre giornate di preoccupazioni; ci muoviamo senza una vera consapevolezza, ma con la mente costantemente trasportata nel passato, a ciò che è stato o sarebbe potuto essere o nel futuro, a cosa sarà.
Viviamo così, con un atteggiamento di proiezione costante, assenti dal qui ed ora.
Ci giustifichiamo parlando di obiettivi e progettualità, ma in realtà navighiamo in pensieri negativi, sommersi da ansia ed apprensione; abbiamo paura del futuro (o di vivere il presente?).
“ho paura di non farcela”, “sarà la scelta giusta?”, “cosa potrà accadere?”.
La paura è un’emozione primaria che, attivandosi alla percezione di uno stimolo potenzialmente dannoso, garantisce la propria sopravvivenza e riveste un ruolo adattivo enorme. Di fronte alla minaccia l’organismo effettua una valutazione, dunque, non è importante in sé e per sé quale sia l’evento esterno, ma piuttosto quale sia la valutazione che il nostro organismo ne da.
Quando le emozioni negative prendono il sopravvento, la paura si prepara a difenderci con reazioni comportamentali dell’evitamento o paralisi (effetto freezing).
Quindi, pensare e immaginare che in futuro possa accadere qualcosa di negativo, l’ansia, la paura, ci portano ad evitare la situazione o a rimanere fermi.
Questi atteggiamenti, spesso, condizionano e sono condizionati dagli aspetti di vulnerabilità individuale.
“Vivere l’ansia significa fare le prove su un palco e concludere che la prestazione non raggiunge uno standard richiesto (da chi?). Da qui la preoccupazione per l’esito della gara. Il pericolo non è presente in quel momento, ma lo è nel futuro. L’atleta entra in contatto con un pensiero, una fantasia e vive l’esperienza dello smarrimento, dell’incertezza verso il futuro, diventando difficile per lui vivere il qui e ora. Egli si stacca fisicamente ed emotivamente dal mondo, lascia il presente per andare nel futuro bloccando l’azione.”
In questo modo, come un circolo vizioso, siamo sempre assenti dal qui ed ora perché costantemente in attesa di un futuro che, quando arriva è il nuovo presente.
Così, come la paura di morire può riflettersi nella paura di vivere, chi è proiettato mentalmente nel futuro effettua uno spostamento: la paura del futuro si riflette nella paura del presente.
In questo modo il presente perde di significato e tutto è accelerato. La paura del futuro segnala la necessità di rallentare e godersi il momento, accogliere le proprie emozioni ed elaborarle.
Francesca Scalera
Laureata in Psicologia clinica e della riabilitazione- tirocinante presso Studio Burdi
Continua
VERGOGNA ED IMBARAZZO
I freni al Tuo Big Bang
L’imbarazzo e la vergogna sono il peggior nemico dell’ espressione profonda di se, la cristallizzazione della naturalezza e della spontaneità, l’ altra faccia della medaglia della rigidità, amica delle corazze caratteriali, una tendinite dell’ anima, la negazione della bellezza. Sono le pasticche dei freni della vitalità e dell’ emancipazione dai luoghi comuni populisti.
Un bambino, per imbarazzo e vergogna è costretto a vivere dietro alle grate della propria ovattata prigionia dorata educativa, essa pone il confine frustrante tra mondo interiore, prospettive e il mondo sociale dei piaceri e dei giochi , irraggiungibile e pericoloso agli occhi dei suoi fobici adulti .
Un bambino che non gioca, fa il bambino adultizzato che da adulto farà l’ adulto Peter Pan. Un bambino imbarazzato è timoroso del mondo, violato nei suoi capricci, taciuto dalle diffidenze adulte, percosso e umiliato dai loro complessi, abbandona il contatto con se stesso e con la socialità diffidata.
Senza il contatto con la propria pelle non c’è vitalità , si delega sul contatto altrui. La propria pelle diventa la pelle degli altri, certi di esistere solo se gli altri ci sono. Questa modalità genera la frustrante paura per la solitudine e la frustrante persecutoria paura che gli altri abbandonino, tale da fomentare quella odiosa dipendenza affettiva delirante .
La pelle rappresenta il confine contenitivo e delimitante tra la nostra entità e il mondo. La pelle pone il confine tra l’ anima e la profanazione dell’ indiscrezione dell’ invadenza. Ogni parola azione rimbalza sulla pelle se non edifica, passa attraverso di essa se promuove e comprende, se la oltrepassa come una lancia, viola e traumatizza.
La prossemica è quella distanza metrica naturale che ci impone di tutelarci dalle altrui invadenze e di accorciarle quando c’è accoglienza.
Il progetto di approdare alla propria pelle, a Se Stessi, riordina l ‘ assetto verso l’ auto appartenenza, nemica della dipendenza affettiva.
La fobia che gli altri siano abbandonici, innesca un vissuto di irraggiungibilità di relazioni stabili, che fagocita nella rabbia, che il mondo sia ostico e squilibrante, tale da desiderarne la distanza. È la paura che gli altri abbandonino a condizionare gli altri ad abbandonare per l’ incertezza che suscita la paura .
O rimaniamo soli e odiamo il mondo, o impariamo a toccarci e a recuperare il contatto con se per sentirci e percepirci presenti a noi stessi e al mondo. L’ assenza del contatto con se, con il piacere di se e attraverso con la propria auto realizzazione, genera l’ assenza e la distanza dagli altri.
Se qualcuno ci ha violati, toccati, nostro malgrado, viviamo la perdita del confine, la violazione di quel preciso sacro confine esistente tra noi e il mondo. Si annida nella memoria la macchia da voler mantenere la distanza è il distacco da tutto per effetto della generalizzazione.
In analisi sradichiamo le loro mani dalla nostra memoria, certe parti di se che non venivano più considerate, riprendono a far parte di noi come legittimi proprietari . ci riconciliamo con noi stessi e con quegli altri che non c’entrano, condannando il solo violatore che ha profanato noi stessi.
Il recupero della propria pelle è il recupero della propria integra identità che si chiama persona e lo sradicamento e lo scollamento delle mani, dalla memoria, del demone dalla nostra pelle, è lo sradicamento delle loro mani, come delle metastasi dalla propria vita partendo dalla propria memoria, che rimane circoscritta in quel tragico ricordo deprivato dei ponti verso il presente. Questo è un modo metodologico per procedere al recupero del senso della propria integrità e del proprio benessere .
Nei casi di abusi sessuali la vera violenza non è determinata solo dall atto in se, ma dal radicamento dell’ esperienza traumatica, come metastasi immobilizzante la quotidianità.
La memoria del trauma viene percepita non come la memoria del passato, ma onnipresente nel qui ed ora, come un cancro di adesso.
La vitalità esiste innanzitutto nel contatto con se stessi e non con le aspettative altrui, attraverso le loro opinioni c’è l’ incertezza di vivere perché non sono le propria con la conseguente paura di essere sempre sbagliati, tentennanti come funamboli sul filo della vita.
Madre natura ci ha dotati di due gambe e due piedi per essere stabili e camminare su noi stessi, ma facciamo di tutto per camminare con i piedi e stare sulle gambe degli altri, vediamo con i loro occhi e con i loro valori non curanti del valore di noi stessi.
giorgio burdi
________________
Reazioni di Sissi
Diario, 1 novembre 2021
Sento le spalle chiudere il torace mentre mi guardi, mentre parli e mi chiedi qualcosa. Sono io che chiudo il fiore della mia anima con tutti i petali che conosco perché temo che a guardarlo se ne scorgano le sbavature.
Mi guardi, mi trafori, vuoi prendermi l’anima, gustarla fino a sputarla come se fossi il primo goccio di vino guasto. Tutto questo tempo a correre sui binari, sempre e solo binari, come recinti innevati dove raccogliere sogni e respiri; binari che per me sono la vittoria di sapermi al mio posto, nel posto che il mondo ha accettato di concedermi, un posto a cui mi sono solo adeguata e che non ho scelto.
Ed è sotto queste sembianze rattrappite, incolte, senza venature, che allungo il collo, lascio che il naso esplori oltre gli aromi e mi bevo i colori del mondo. Così brillanti, vispi, vivaci, veri.
E le profondità io le vedo, proprio perché mi sono negate, o forse qualcosa in me è portato a vederle. Quante crepe, quanta lava in questo corpo recinto dai binari della solitudine, da quei nodi rimasti incagliati nelle ancore di barche mai partite.
Ma com’è possibile che la solitudine sia tanto affollata? E sono sempre a chiedermi se il mondo si accorga che le orme che lascio sono orme di mostro, che ho la responsabilità di tutti i miei limiti, che sono un fascio fallito di emozioni belle e che mi chiedo quanto povera sia questa mia anima se non conosce amore, se non conosce carezze.
Quanto è difficile la gentilezza dell’intimo contatto per me. Se la immagino, quasi mi nausea. Eppure la sento in un posto remoto di me, un posto sigillato dall’esperienza di anni di sacrificio segreto e stratificato. Nel contatto mi pare esserci sempre un grido d’aiuto che io non ho energie per offrire. E lo sento sulla pelle quel grido: l’altro diventa lo sventurato che s’aggrappa alle pendici del burrone per non cadere.
Sono io quelle pendici e dell’altro mi rimane la disperazione, gli occhi gonfi di buio e terrore, mentre rimango solida per non farlo cadere. Ma la verità è che a furia d’essere solida mi son saputa friabile e son caduta io nel vuoto non sapendomi aggrappare all’aria, non volendomi aggrappare affatto.
Se ruoto gli occhi nel mio petto, so che esiste un altro tipo di contatto. Eccole, le vedo se chiudo gli occhi: sono due mani tiepide che s’accarezzano, due corpi che emanano calore e profumi a furia di baci infiniti, fiori dischiusi, brividi che scuotono anni e istanti, a seguire lo spartito del cuore che accelera per pompare più sangue, a far vibrare la pelle e il sesso con cerchi concentrici di piacere così simili a quell’acqua che si espande in cerchi sotto il tocco e l’ingresso di un sasso.
Come mi sento simile all’oracolo Cassandra nell’amarezza di sapere con gli occhi interiori questa vasta meravigliosa verità e contemporaneamente come sono simile a chi l’ascoltava nel non vederla fuori io stessa.
Da qui, come un marchio purulento, la vergogna d’essere me, d’essere i miei anni, d’essere la mia storia, di sentirmi il fallimento della naturalezza umana.
Fra questi binari, a sera, sospiro, m’accarezzo e m’asciugo leguance intiepidite dalle lacrime. Il calore che sento me lo dono come la promessa d’essere per me una mano d’intima gentilezza.
Sissi
Continua

L’ OPPORTUNISTA
L’ OPPORTUNISTA
Mi serve, lo uso, lo prendo, lo getto, è un domo pack, una prestazione d’ opera gratuita, una agenzia di servizi, è come uno scarabocchio nel cassetto, un appunto stropicciato, un barattolo nel cestino, un fazzoletto soffiato, un tovagliolo sulle labbra, un profilattico, una scatola di sigari, un vuoto a perdere, un cellofan dei biscotti, l’ acqua degli spaghetti, un sacchetto della spesa, un pranzo in una dissenteria, l’ umiltà in soffitta, il fumo di un toscano, un falò fatto cenere, un botto di capodanno, un battito di ali verso il cielo.
Può un uomo essere così fugace, consumato come uno stuzzicadenti, sola sorgente di informazioni, di prestazioni, di energia da utilizzare, un uomo mono uso usa e getta ?
L’ opportunista è un bulimico, ti fagocita, e poi ti sputa, è un ladro, fa furto del tuo tempo, delle competenze, ti usa, e non sta bene, si ricarica e scompare, dimentica, non fa memoria, è macchiavellico, il fine, è renderti utile, non fa riguardi , non è discreto o riconoscente, gli è tutto dovuto, si spaccia per amico, fratello o famigliare e alla fine, per completare la sua manipolazione, ti dice di volerti bene.
L’ opportunista, non tollera il no, è un manipolatore, adulatore, un affettivo di circostanza, è l’ amico su Facebook, è la bambola di gomma di Tinder, è un invadente, spregiudicato nel giudizio, si autorizza a fare interminabili domande, l’ antitesi della privacy, l’ opinionista è incompetente, è un conformista globalizzato, sa “come si vive”, da consigli non richiesti, è un invidioso, di chi l’invidia non la conosce.
L’ opportunista ti gira le spalle, se ne frega, “ l’ acqua passata, non macina più” , lontano dagli occhi, lontano dal cuore, passato il santo, passata la festa, è l’ uomo che vive alla giornata, domani ci pensa, cinico, ha la memoria corta, è scordevole ed obblighi non ha, ha l’ alzheimer da circostanza, “ Chi ha avuto, ha avuto.,chi ha dato, ha dato… scurdámmoce ‘o ppassato, Simme … paisà! “ . Tutti luoghi comuni, cosi tanto evidenti e presenti che impregnano la nostra cultura e la rendono insignificante.
L’ opportunista, è anche l’ uomo dei favori, che attende dieci volte il loro rientro, non è un meritocratico, salta la fila, è frettoloso, scavalca, arrampicatore sociale, quello dello status simbol, ama, quelli di “una mano lava l’ altra”, o “mi potrà essere utile”, ti promette, è un politico che baratta prestazioni e cortesie.
L’ opportunista è un pappone, un business man, uomo d’ economia, spilorcio d’ affari, barattatore, uno scambista, non spende mai è uno scroccone, fissato alla fase anale, vende fumo, va sempre al ribasso e ti rifila un mattone, alla prima occasione ti vende.
Ti frequenta finché produci, tu vali quanto capitalizza è un consumabile. Materialista spudorato, per lui sei materiale deteriorabile, nemmeno riciclabile, un fecaloma da espellere prima o poi.
L’ opportunista è un ricercatore di opportunità, di prospettive di un suo migliomento. Prendi tre e ne paghi uno.
L’ opportunismo è uno stile di vita dei peggiori vizi capitali di nuova generazione.
L’ opportunista è il materialismo della dignità, l’ assenza e la non curanza dell’ intelligenza, è la rappresentazione dell’ uomo oggetto, che lo vede schiavo. La rivoluzione contro l’ opportunismo è la riqualificazione per un uomo non riducibile ad oggetto di consumo, rappresenta il recupero del rispetto di se dell’uomo e della sacralità del proprio tempo.
giorgio burdi
Continua