
ScriverE’
SCRIVERE’
Si scrive di tutto, prevalentemente di cronaca, di politica, di conflitti bellici, di menzogne, di fake, di illusioni, di chiacchiere, di gossip, di tutto ciò che non è, all’ interno di un teatro di maschere e di illusioni sceniche persuasive, alle quali quasi crediamo, perché abbiamo bisogno di credere in qualcosa per darci delle speranze, perché abbiamo un gran bisogno di sognare e siamo disposti per questo a lasciarci ingannare;
ma la scrittura su di se, rappresenta la più autentica forma di incontro con l’ autore, con noi stessi, la verità in realtà la conosciamo solo noi, noi solo sappiamo come stanno i fatti e non esiste bellezza più grande se non quella di svegliarci dal sonno e dall’ inganno, guardando dentro di noi, nella nostra realtà, dove essa stessa supera il sogno e i tanti bluffs, i piaceri effimeri e quelli di carta, di un mondo prevalentemente apparente,
La scrittura su di noi, rappresenta l’ aderenza all’ interlocutore che siamo, nel modo più diretto e più tangibile che possa esistere; attraverso la pagina bianca di uno schermo o il foglio, questo stesso diventa la materializzazione della nostra anima, la biografia di quell’ istante, del nostro movimento mentale o del nostro sindacato difensivo della nostra persona. Soggettivo o oggettivo, quel foglio rappresenta una via maestra di inizio di conoscenza e di consapevolezza su di noi.
Questo tipo di scrittura è sempre rivelatrice dell’ esistenza di un libro interminabile dentro ognuno di noi e ci apre al bisogno di lettura del nostro mondo interiore criptato, avente un nuovo linguaggio differente da ognuno. Noi tutti siamo delle meraviglie interminabili tutte da leggere e da scrivere, diverse dalle altre .
Il foglio bianco si pone cone un contenitore delle nostre interminabili risorse o come un album di fotografie che, di la a qualche istante, lascerà una serie di serigrafie, e di stampe su uno sfondo bianco, le impressioni, le copie dei nostri mondi più profondi; il foglio scritto diventa l’ evidente materia visibile di una vita interiore intensa, invisibile; nel momento in cui scriviamo di noi, in quell’ istante, rendiamo visibile ciò che era impercettibile, siamo veri, il foglio diventa foto sensibile, mentre focalizziamo l’ attenzione sulle nostre ripartizioni mentali, sul nostro oggetto turbativo o espressivo.
Il foglio si propone come lo sfondo di una tela sulla quale dipingere il nostro ritratto immaginale, bello o brutto che sia e accade attraverso la ricerca minuziosa della parola, ci conduce a fissare il focus su come stiamo, e sul perché siamo in quel modo, ripercorrendo la trama tra passato e futuro, fino a catturare quel filo dei significati e delle risposte ai nostri tanti perché.
Lo scrivere è molto più efficace del parlare. Nello scrivere scandagliamo la mente, la versiamo sul foglio prima a piccole goccioline, poi come un ruscello, dopo come un fiume in piena, non si deve far leva sulla memoria, con la scrittura si diventa ricercatori raffinati e più precisi attraverso il definire la parola esatta e attraverso la parola della parola, si definisce quella più idonea nella rappresentazione degli eventi interni.
Il solo parlarne, invece, fatica nel reggere la memoria, nel parlare si dimentica e si nega l’ evidenza o ciò che è stato detto, a meno che il parlare diventi psicoterapia, analisi, che aiuta nel mantenere la cordata.
La parola individuata, è lo strumento meraviglioso di indagine e di ispezione e di ispirazione, si scova tra i grovigli e i traffici di altre parole, nel tentativo di intercettare una situazione dubbia o confusa tale da diventare la parola che cattura, si pone come liberatoria e comprensiva nel marasma. La parola fissa, fa il punto, mette al muro, all’ angolo la situazione, intercetta quel fotogramma chiarificatore che, fino a poco tempo prima, lasciava nel dubbio e nelle titubanze, esprime un suo effetto catartico e terapeutico.
Nel tentativo di scrivere, la parola si fa vogatore, si fa spazio fra migliaia di molte altre, sbroglia la matassa e ridisegna una nuova trama, quella propria, liscia e serena. Scrivere è come porsi allo specchio, per intercettare le ombre, aldilà di ogni evidenza visibile, è una cordata o un tratturo che va tortuoso e dritto nel sottosuolo, è calare il secchio nel pozzo, è l’ incontro con il mistero del nostro caos, per ricercare le risorse nella miniera, da portare su alla luce. La parola cerca la strada di uscita, o di entrata, cerca la prospettiva del miglioramento e della felicità, se poi diventa parola agita, verbo e comprensione, diviene azione e cambiamento verso la propria realizzazione.
Quando provi a scrivere, tutto è complicato, non sai mai da dove incominciare, credi sempre di non riuscirci, perché il foglio è bianco e il vuoto ti fa paura, ti senti così, nullo e nella testa tutto è confuso, c’è solo il peso di una angoscia qualsiasi o di una festa, la sensazione magica di un paradiso, immerso in una giostra di problemi, o in un minestrone di situazioni, di turbamenti, di fastidì, in un traffico di gente mentale o nel frastuono più assoluto.
Poi arriva, una sola, quella parola che diventa il punto di un ricamo, che si espande molto piano verso il disegno.
Quanto desideri stare con te stesso, quanto interesse hai nel guardare ciò che ti disturba, quanto sei geloso del tempo dato agli altri ? C’è un momento in cui non hai più tempo da perdere, se non ti leggi e scrivi da dentro la tua storia, non potrai leggere o scrivere su nessun altro.
Senza una lettura e una scrittura di te, non avrai mai qualcuno, rimarrai insoddisfatto di te, della vicinanza di uno affettivo accanto, perché se non hai testa di stare dietro di te, come sarà possibile pretenderlo dagli altri. Le relazioni che creiamo sono lo specchio di come noi incontriamo o evitiamo noi stessi, e lo scrivere su di se, è uno strumento potente per fare chiarezza.
giorgio burdi
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L’ Indicibile
L’ INDICIBILE
La caratteristica fondamentale del Numero Uno, è quella di non rinunciare mai, alla verità, di voler esprimere incessantemente quel flusso di percezioni profonde e sconcertanti che, in modo diretto e vorticoso, freneticamente ruotano dentro ognuno di noi.
Parliamo di indicibile come la massima espressioni di se. Per essere tale, l’ indicibile, ha rigorosamente la necessità di essere verbalizzato, avendo per sua natura una connotazione prevalentemente emotiva ed innanzitutto extra verbale.
L’ indicibile è visibile sempre e decisamente nell’ extra verbale.
Tutti vorremmo conoscere le diverse percezioni altrui, i loro pareri e i giudizi sul nostro conto. La diffidenza verso gli altri, nasce dalla atavica paura verso il giudizio, verso il timore che esso possa essere devastante e difforme dalle nostre percezioni ed aspettative.
Quando affermiamo che certe persone sono vere ed autentiche ? Quando esse “parlano schiette, sono dirette, “ parlano in faccia”, affermano e dicono ciò che percepiscono e ciò che pensano, senza alcun filtro o sotterfugio o manipolazione, non inducono a incertezze o a confusioni e non utilizzano retoriche, non adoperano giri di parole, ma sono espressione di chiarezza, se pur alle volte inaccettabili.
Chi si pone nell’ ottica di voler esprimere l’ indicibile, ama la trasparenza, risulta franco, innovativo, propositivo, resiliente e rivoluzionario, reattivo, giusto, ma alle volte veemente, insostenibile, controcorrente, fuori dai valori comuni, ti punta e non perde di vista il tema, il filo e l’ occasione, non è ne rinviante, ne proscrastinante.
L’ indicibile è la casa, è casa nostra, pretende il diritto al libero pensiero, alla parola, alla risposta, alla domanda, alla coerenza, all’ incoerenza e all’ onestà di se. Nelle relazioni ci sono molte variabili e punti vi veduta differenti di ognuno che si intersecano, incomprensibili ad ogni interlocutore e chiaribili solo nell’ ottica dell’ espressione dell’ indicibile.
È molto difficile la comune comprensione, siamo tutti intricati e lontani, rappresentiamo la contraddizione l’ un dell’ altro, diveniamo irraggiungibili, strani e folli, è solo nell’ orientamento di svelare l’ indicibile, che ricreiamo quel ponte di ricongiunzione che potrebbe renderci più collegabili ed affini.
Quando parliamo di indicibile non ci riferiamo a qualcosa che non si può dire, ma al contrario, ci riferiamo al “non detto”, che è più importante ed imponente dell’ evidente. L’ indicibile invece si riferisce al timore di esprimere casa propria, il se autentico, perché appare inopportuno dire e non conforme alla situazione, perché la sua espressione risulterebbe imbarazzante e sconcertante.
L’ indicibile ha coraggio, non rinuncia al proprio tetto, a se, è teso nel combattere le vergogne e gli imbarazzi, le incomprensioni, i conflitti o a crearli li dove sembra tutto andar bene, chiama all’ appello; esso è diretto, non conosce il buono o il cattivo senso, perché persegue il senso, e non conosce la buona o la cattiva educazione, ma percepisce cosa è rispettoso; è ribelle al conformismo, è irriverente, indiscreto, teme, ma osa, non tiene conto dell’ opinione comune, o delle disapprovazioni, ma il suo verbo è, dire, ciò che gli altri direbbero, ma, inibiti, non osano.
L’ indicibile ha una struttura in cemento armato, è un travertino, un ponte in acciaio, ha una marcia in più, parte per primo e se rinunci ad esso ti fai massa, gregge, curva sud, ti globalizzi, ti emargini, diventi un pantano putrido, ti auto confini, ed escludi, accetti lo scontato, rinneghi la dignità del tuo nome, rimani assente, spettatore, rinunci all’ intelligenza differente, rinunci ai tuoi contribuiti, cadi nel mal pensare, diffidi, diventi un orso, un musone taciturno, inciampi nelle tane del pettegolezzo, triangoli. Chi rinuncia all’ indicibile, diventa cinico, sarcastico, tra il detto e il non detto, fa libera professione di aggressività passiva, amico del malumore e delle rimuginazioni, delle interpretazioni e delle perplessità, preda dei soliloqui, delle introversioni, della scontrosità e delle aversioni .
All’ indicibile si oppongono le apparenze del sottaciuto, le elaborazioni, gli espedienti, le scuse, gli escamotage, le menzogne, le retoriche, i giri di parole, tutti quegli atteggiamenti difensivi per non mettersi mai in discussione, come il negare l’ evidenza e il rinviare per non decidere mai.
L’ indicibile è il frutto di una introspezione agita, è la consapevolezza in persona che si fa azione, è il vetro trasparente e la liberazione di se dalle trappole. Esso è l’ evacuazione, la foce, lo sbattere in faccia la verità taciuta che se lungamente trattenuta diviene disagio, rammarico, teatralità protratta, malattia, psicosomatica, nevrosi, disgusto e dispiacere.
La narrazione dell’ indicibile, attraverso la consapevolezza di non voler rinunciare a se, conduce alla riattivazione del benessere, delle sinapsi e della salute, è il riscorrimento delle endorfine, è il respiro, la riscoperta delle anime affini.
L’ espressione dell’ indicibile consta nello scovare dove sono le maschere e nel coraggio di toglierle.
La navigazione e la narrazione nel flusso dell’ indicibile, conduce all’ autenticità, al miglioramento o alla chiusura anticipata di certi rapporti, prima che diventino dei falsi consolidati, fino alla riscoperta di altri, speciali.
Ci sono persone che non si conoscono da sempre, se pur si frequentino da tanto, risultano essere tra di loro, estranee. Chi entra nel flusso dell’ indicibile, avverte sincronicità o fa selezione ed esclusione da subito.
Poche volte accade, che nel fracasso nella folla, si percepisce, la presenza di un sottile filo d’oro che collega ad un qualcuno di importante, che si osculta ma non si vede, un impercettibile filo di Arianna, li tiene legati da sempre, da sentir pronunciare piano e poi forte il proprio nome, da riconoscere quel qualcuno, che ricordi, ma mai conosciuto, molto vicino, e prima di quell’ istante, mai visto, intimo più della famiglia ma conosciuto li per li. Questo accade quando si è a casa e in sintonia con se stessi, senza carnevalate e nascondimenti, quando si è sereni, senza maschere, con la propria nudità, si incontrano le meraviglie.
Quanto di quel tempo viene adoperato stando in contatto in relazioni brillanti, ma allo stesso tempo vacue, fagocitanti, confusionarie, fatte tutte di un pezzo, rigide, apparentemente infrangibili e alla minima difficoltà, friabili ?
L’ indicibile produce trasparenze e tra due trasparenze, la luce non farebbe fatica ad infrangere l’ incomprensione.
Chi lo decide quando dobbiamo esistere ? Lo decide la nostra anagrafica e il nostro nome, anche se già lo eravamo prima, dal concepimento. Solo quando ci chiamano, reagiamo all’ interno di in un sistema che ci stimola alla risposta, la chiamata del nome è la chiamata all’ appello, alla propria sede, il nome ci ricorda che siamo, nel nome chiamato, si materializza il se. Se non ci chiamano, impariamo a farlo da soli, proviamo quell’ emozione di chiamarci da soli, col proprio nome.
A Nessuno di noi è mai stato insegnato ad ascoltare se stesso, diversamente siamo stati educati ad ascoltare e rispettare gli altri. Ci hanno dato il nome, ci hanno chiamato, ma abbiamo imparato i nomi della storia, le date dei conflitti e degli eventi, ma mai ci hanno indicato di rispettare e ricercare il nome proprio e ad ascoltarlo. Abbiamo spesso sentito chiedere, ascoltami, mai ascoltati, siamo stati educati a rimanere sordi a noi stessi, a finta di nulla, ad ascoltare solo i “rumori” delle voci stridule altrui.
La nostra voce urla dal nostro primo vagito e nasce come l’ altra voce, ogni volta che nasce una nuova voce, nasce la rivoluzione, il contraddittorio, ma parallelamente nasce la volontà e la tentazione di volerla mettere gia a tacere per la sua diversità, per il suo indicibile, per i suoi “capricci”. Ognuno esiste, se riesce a darsi voce, chiamandosi all’ appello.
giorgio burdi
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L’ indicibile
L’indicibile è per coloro che non temono il giudizio, che, sicuri del loro sentire, percorrono la via della sincerità, della realtà, della libertà di essere e di esprimersi.
Non tutti sono ingrado di accettare tale schiettezza sbattuta in faccia, a molti non piace la verità, preferiscono la finzione, il buon viso a cattivo gioco.
La verità è per pochi. Ma di quale verità parliamo infondo? Non estite un’unica verità, ognuno è condizionato dalle sue esperienze, dalle sue emozioni, la verità è spesso distorta da quello che noi crediamo di vedere o sentire.
L’indicibile va oltre la verità, è l’essere autentico, nudo e crudo, senza paura e senza vergogna, perché non ci si deve vergognare di essere se stessi, anzi, bisogna coltivare l’indicibile, bisogna portarlo fuori, esorcizzarlo, renderlo familiare, amico, compagno.
Ma ormai credo che bisogna essere se stessi e non pensare di poter piacere a tutti o di trovare un legame con tutti. Ci sono persone che non ti apprezzeranno ma probabilmente sarà anche meglio così. Mostrando l’indicibile sarai apprezzato da chi è come te o da coloro che nel tuo indicibile vedono qualcosa di unico e meraviglioso
rossella ramundo orlando
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La Trottola
LA TROTTOLA
Ogni cosa ha il suo posto e ognuno è di se stesso, è proprio, ma se perde il suo asse, la propria centratura, va fuori dalla sua perpendicolare, fuori strada, è la crisi, subisce la lussazione di se, la decentratura del menisco che lo rende claudicante; ogni cosa per reggersi deve essere sul suo baricentro, è un assioma, non sei tu a deciderlo, lo decide la legge della forza della gravità.
Una ruota che perde l’ asse genera una sbandata, un fuori strada, uno slittamento se la strada è viscida, uno schianto, un pistone che non fluisce, blocca il motore, l’ ingranaggio fuori centro del bilanciere di un orologio, sballa il tempo. Una corda molla, stona, una sbavatura, sporca, una foratura ti obbliga alla fermata, una macchia su una camicia, rovina la festa, un treno oltre i binati, deraglia. Per funzionare, tutto ha un centro ed una propria collocazione.
È indispensabile curare, rettificare il verso, fare un’ auto centratura, una equilibratura, la convergenza del se, piuttosto che rimediare delle stampelle, una barella, una carrozzella, una ditta appoggio o cercare ripetutamente una spalla sulla quale gravare e continuamente piangere.
Ognuno che reitera lamentele, si ostina abitualmente a gratificare il suo bisogno di attenzioni, ricerca continuamente consigli e consensi, si incolla e si accolla, salta in groppa come su un dromedario, si appiccica come una zecca, un simbiotico, crea una una fusione, una confusione, faticosa da slacciare, fatta di un legame solo di aiuto, di supporto e di dipendenza. È molto pericoloso chiedere e dare aiuto se esso non guarda oltre, verso l’ autonomia. È molto pericoloso perché , se l’aiuto non è competente, blocca la crescita, genera il controllo e involuzione, oltre che produrre dipendenza, ad un problema se ne accolla un altro.
C’ è a chi non basta mai, a chi ti cerca sempre, a chi ne vuole ancora e vorrebbe tutto, un coatto, che ti toglie a pezzi, ti frantuma, è chi ti stende a terra, una iniziale benevolenza, si fa presunzione ti mette a tappeto, si fa zerbino, sacrificio, nel tentativo di renderti, proprio, assimilato, assorbito, fagocitato, digerito, defecato, reso meno dell’ inutile e poi espulso e buttato. Certi vittimisti generano vittime, depersonalizzano. Attenzione a chi si lamenta troppo, a chi si decide di ascoltare, prima di lasciarsi coinvolgere in un problema altrui.
Chi tutto vuole, nulla stringe, chi chiede di piu, richiede sempre di più, distruggerà quel sentimento di passione, di amore, di umana solidarietà e convivenza, verrà meno il rispetto, prima o poi esplode, si va in fuga, più compresi, estranei allo specchio, perché lì, vedrà sempre l’ altro.
È molto bello, affascinante osservare una trottola, gira solo se è sola su se stessa. Non ha alcun altro riferimento se non il solo punto del suo ago sul quale regge. Regge sul nulla, un semplice ago, non si lamenta, non è tanto, ma non è poco, ma è l’unica risorsa che ha, un solo punto, nemmeno un punto e virgola, fa solo riferimento ad esso. Anzi, un solo punto è abbastanza, è la perfezione, perché se ce ne fossero anche solo due di punti, ci sarebbe la sbandata, lo squilibrio.
Se rammenti e ritorni sul tuo punto di rotazione, allora diventi stabile, ma per lo sguardo altrui, un egoista, un cattivo, perché riprendi a roteare, un intollerante, un ipocrita, un incoerente, un inaffidabile disobbediente, che non ascolta piu gli ordini e la coscienza degli altri o le direttive e i loro comandi, che vai a briglie sciolte, un bugiardo allo sbaraglio, da temere, che ormai può mordere senza collare né museruola.
Una trottola non ha alcun ritegno o scontate direzioni, si diverte, salta e ruota sfiammante, tra sfumature di colori, pazza gira, diserta le traiettorie e le prospettive, danza in inaspettate geometrie e direzioni. La morte non è solo quella che tutti sappiamo, ma è permettere di lasciar di noi, tutto nelle mani di qualcuno.
Perchè diviene così inevitabile e a volte necessario e proficuo, diventare l’ ombra di qualcuno, perdersi dentro un chiunque, inseguendo le sue orme, le sue nebbie, pendendo dalle sue labbra ? Non ci rendiamo conto di diventare il tappeti, succubi, sottomessi, come fossimo delle bambole. Come mai ci imbattiamo e commettiamo grossi e soliti errori di valutazione e come delle marionette ci lasciamo manovrare da fili cosi impercettibili ?
Sono le assenze subite che ci fanno cercare presenze qualsiasi. Questa è la trappola. Ognuno, nutrito da assenze subite, si nutrirà di ulteriori assenze presenti. Quando parliamo di presenza, non dobbiamo confonderla coll’ aver ricevuto vitto e alloggio e sostentamenti vari. Tutte le persone che entrano in analisi con un disagio, affermano che a loro, alle volte, non manca nulla. Ciò che determina l’ assenza è la mancata comunicazione e il dialogo che si prende cura di se, nella massima domanda del “ come stai ? “ ed innanzitutto gli abbracci rassicuranti di una presenza fisica reale a dispetto dell’ anafettività. Si può avere tutto, ma senza gli abbracci, la presenza diviene un fantasma, quell’ affetto platonico che si fa retorica, assenza.
Il vero problema siamo solo noi, è quello che cerchiamo assenti, ci incastriamo ed inganniamo in apparenti presenze. Ma la responsabilità non è dell’ assente trovato, ma delle nostre assenze passate sofferte. Esse ci hanno formato nel cercare e selezionare, in modo quasi certosino e con un tocco da quasi professionisti, solo e solamente assenze.
Anche se scegliamo di rimanere da soli, perché quella, secondo noi , è la scelta più conveniente, essa è la condizione ancora più chiara che lascia esattamente intendere delle assenze subite. Non posso star bene con, se sono stata formata all’ assenza, pertanto starò bene sola, o si fa per dire.
Per contro, la persona sola o chi soffre di solitudine, a sua volta ha sofferto la solitudine per le assenze forzate e di conseguenza chi ricercherà se non presenze assenti, perché ha imparato a cercare solo ciò che ha ricevuto, il nulla.
Chi è formato all’ assenza non è propriamente stato formato al nulla, ma viene formato al problema, al problema di avere o di evitare per forza qualcuno nella propria vita.
Se ne giunge a capo, solo se ognuno si chiede di quali assenze originarie ha patito ? La bonifica va fatta a monte e non a valle. Non è colpa del destino o dell’ attuale condizione, questa la si può sempre cambiare, ma della matrice originaria, che genera “serigrafie” all’ infinito.
Non sarà mai troppo tardi per recuperare il tempo vissuto male e con inganno e pertanto non sarà mai troppo tardi per recuperare oggi quelle energie per tornare a se stessi, sulla scia di quella libera trottola che schizza, gira e danza, che si accontenta di un solo punto e per quanto poco possa essere, è il suo indispensabile, è il suo tutto, e se volesse di più, sbanderebbe. Il problema di ognuno, è quello di perdere il proprio punto e di temere di non poterlo più ritrovare, ostinandosi a cercarlo negli altri.
giorgio burdi
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Sono Psicosomatico
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE I DISTURBI PSICOSOMATICI
Cosa sono i disturbi psicosomatici
I disturbi psicosomatici sono reali disturbi corporei che si manifestano attraverso diversi sintomi percepiti a livello fisico, ma non direttamente riconducibili a patologie organiche o mediche.
I disturbi psicosomatici hanno origine nella nostra sfera emozionale, nel mondo affettivo, e riguardano la nostra psiche.
Alla base dei disturbi psicosomatici c’è la relazione mente–corpo e gli effetti negativi che la psiche riflette e trasmette al corpo. L’individuo è formato da entrambe le parti, psiche e soma, l’una influenza l’altra. In virtù di ciò una malattia organica può alterare la psiche e il funzionamento cognitivo, così come un disturbo psicologico può alterare il funzionamento dell’organismo. Trovare un netto confine tra corpo e mente può risultare spesso difficile data la continuità tra i due.
I disturbi psicosomatici, dunque, sono spesso risposte fisiche a disagi psicologici. Sono un ottimo campanello di allarme perché indicano la presenza di un disagio psicologico, di emozioni soffocate e dolorose. Essi nascondono un’interazione di problematiche fisiologiche, psicologiche, psicosociali e ambientali.
Attraverso i sintomi psicosomatici il corpo comunica quello che non si riesce a dire liberamente o ad accettare.
L’individuo che soffre di disturbi psicosomatici fatica a riconoscere che il problema sia legato ad una situazione emotiva compromessa e cerca solo risposte di natura medica e organica attraverso serie di accertamenti. Non riuscire ad individuare una patologia, un problema organico, non riuscire a dare un nome al malessere che si vive, genera ancora più ansia e stress.
Cause
Tutte le situazioni che mantengono il sistema nervoso simpatico in continuo stato di eccitazione e il protrarsinel tempo di situazioni stressanti non più ben tollerate e che affaticano il nostro organismo, genera sintomi fisici, provoca malessere. Tra le situazioni causa di sintomi psicosomatici:
I disturbi psicosomatici si manifestano quando la mente prova a controllare troppo.
Un’altra causa dei disturbi psicosomatici può essere riconducibile al legame disfunzionale del paziente psicosomatico con gli altri membri della sua famiglia così come sostenuto dallo psichiatra e psicoterapeuta Minuchin. Il legame disfunzionale è caratterizzato da relazioni non sane basate su eccessivo senso di protezione, eccessiva intrusione nelle questioni, rifiuto del disaccordo, conflitti irrisolti, mancato riconoscimento dell’individualità altrui.
Sintomi
I disturbi psicosomatici possono interessare diversi organi e apparati e manifestarsi con svariati sintomi:
apparato gastrointestinale
apparato muscoloscheletrico
apparato cardiocircolatorio
apparato respiratorio
apparato urogenitale
apparato tegumentario
sistema endocrino
Cura
Molto spesso i disturbi psicosomatici hanno un impatto negativo sulla vita dell’individuo condizionando la quotidianità e le relazioni.
Se i sintomi psicosomatici sono comuni nelle forme di depressione e dei disturbi d’ansia, essi sono presenti anche in assenza di disturbi di natura psicologica e questo rende più difficile per chi ne soffre attribuire il malessere fisico a un disagio psicologico anziché ad un problema organico.
Il primo passo per la cura delle somatizzazioni è riconoscere la loro natura. Sicuramente un approccio integrato tra discipline mediche e psicologiche risulta di grande supporto per il paziente.
La medicina aiuta a gestire i sintomi fisici e ad escludere problemi di natura organica, la psicoterapia ad ascoltare e accogliere i disturbi lavorando sull’individuazione delle cause.
La psicoterapia aiuta a guardare nella grande sfera delle emozioni, della paura, della rabbia e del dolore. Permette di individuare i pensieri ricorrenti, gli schemi rigidi di ragionamento e di ristrutturarli.
La psicoterapia, inoltre, permette di ristrutturare il modo di interpretare gli eventi negativi attraverso un lavorosulla consapevolezza delle proprie risorse. Molto spesso le reazioni emotive sono esagerate perché la nostra mente non valuta le proprie capacità e sopravvaluta la minacciosità e pericolosità degli eventi.
Il lavoro terapeutico aiuta a riconoscere la presenza di una componente emotiva che causa il sintomo fisico, riporta l’attenzione sulla parte emozionale e relazionale del problema.
Trovare la forza di lavorare su sé stessi scoprendosi, permette di migliorarsi, di trovare un proprio equilibrio emotivo e il proprio benessere.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso lo Studio BURDI
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Perfezionismo
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE IL PERFEZIONISMO
PERFEZIONISMO
Il perfezionismo, per quanto possa apparire tale, al contrario, rappresenta una delle tante facce dell’ insicurezza. Esso è un abito indossato di una genitorialità severa e direttiva, forgiata sui tanti limiti subiti, tali da sviluppare manie di onnipotenza.
È un lifting, una liposuzione, un rigonfiamento botulinico, con lo svantaggio inconsapevole di procurare una deformazione sulla personalità, scolpita e levigata sulla base di un protocollo.
Il perfezionismo è una ossessione per il miglioramento, per la disciplina e per un certo rigore d’ ordine, del tutto soggettivo; tutto deve essere orientato verso la condizione ottimale e giusta, perché la mente è ubicata di fatto nel caos. Chi non sopporta i rumori è perché ha l’ ingombro in testa, non ha spazio per i suoni. Così l’intolleranza e la lotta verso l’ errore, rappresenta un’ altra peculiarità del perfezionista.
Egli è colui che fa della propria perfezione, una inconsapevole imperfezione, col bisogno di individuare i difetti in tutti gli altri, da ergersi come il meno imperfetto, il migliore. Il perfezionismo è generazionale, passa di famiglia in famiglia, di secolo in secolo, appare come un bisogno onorifico di emancipazione, invece rappresenta una paranoia, una cristallizzazione ed un astigmatismo della realtà. Rappresenta l’ annientamento, la lotta contro le diversità, tutto viene livellato secondo un proprio cliché, che si spiani verso un modello omogeneo standard, socialmente accettato e condiviso.
Il perfezionismo è una dispercezione, un meccanismo di alterazione della percezione di se e della realtà, si riconduce ai disturbi specifici dell’ apprendimento DSA; una parte dell’ apprendimento verrebbe distorto e modificato sulla base di processi interpretativi soggettivi. Le informazioni acquisiscono significati differenti da quelli che la realtà propone.
Presupposto che ognuno è diverso dall’ altro, possiamo affermare che ognuno è perfetto per quello che è, per via delle proprie unicità e diversità, esattamente come per la Bella natura, il perfezionismo rappresenta il di più, la pacchianata evidente, la maschera, il copertone, la saccenza , la storpiatura, la nevrotizzazione del soggetto, rappresenta l’ esordio di una lotta contro l’ umanità, basti considerare la folle selezione della razza ariana.
La mania al perfezionismo possiede una elevata forma di predisposizione verso l’ ossessione, la compulsione, la paranoia, la socio fobia, la socio patia e la psicopatologia.
Il perfezionismo riporta in ballo sempre un modello di riferimento al quale ispirarsi, uno stereotipo ben delineato, sulla base di congetture educative, religiose, etnico politiche.
Il perfezionismo rappresenta tutt’ altro che un miglioramento, non lo legittima affatto, ma rappresenta la perdita per eccellenza di significati ed uno svuotamento delle potenzialità umane.
Il perfezionista pertanto ha sempre un modello di riferimento, persegue come un automa e in modalità ostinata ed automatica, un determinato schema, tale da poter affermare il suo modello di riferimento, ma di fatto attua la sua più elevata forma di deviazione da se. Diviene l’ ombra di se stesso.
Gli acerrimi nemici del perfezionismo sono, la creatività, la naturalezza, la spontaneità, l’ affettività, i sentimenti e le emozioni. Per esso tutto ciò rappresentano errori e limiti, da evitare, sono il freno e la spaccatura nel raggiungimento del modello, perché conducono fuori dal loro perimetro di riferimento.
Un perfezionista deve rigorosamente essere anafettivo, sempre preparato e pronto nelle sue risposte, manager di se stesso e degli altri, h 24, ma non potendo garantire costantemente le aspettative per l’enorme sforzo richiesto, il più delle volte si defila e riappare nel massimo della performance; l’ imprevisto e l’ improvvisazione lo fa impazzire, lo fa dissociare, lo svela, lo rende per quello che è, timido ed impacciato.
La mania del perfezionista è il controllo su di se ed innanzitutto sugli altri, per poter mantenere in auge la sua immagine. Senza di esso c’è la crisi, la fuga dalla realtà. Il perfezionismo è un limite che genera un limitato, un formalismo, produce un soggetto che non vive, con un disagio di accomodamento e di rigidità, fino a quando non raggiungerà il modello da esibire, fiero da ostentare il suo narcisismo patologico.
giorgio burdi
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IL PERFEZIONISTA
Il perfezionista non si sente mai pronto, mai sicuro, mai abbastanza. Ogni occasione lo trascina nel vortice dell’incertezza, dell’insicurezza profonda di cui è artefice nella sua confusionaria mente.
Controllare ogni cosa, ogni movimento, ogni parola, ogni situazione, tutto deve essere sotto attento e vigile controllo. Tutto. E se qualcosa dovesse sfuggire, il perfezionista-insicuro, impazzisce: inventa, fantastica, favoleggia, sogna ad occhi aperti. È la sua verità e guai a smentirla.
È reale, così reale da poterla toccare con mano. Si brucia ma non gli importa, perché è soddisfatto della SUA verità. Nel suo caos vede l’ordine, nella sua chiusura mentale vede orizzonti.
Alla continua ricerca di una perfezione irraggiungibile, vive la sua frustrante e superficiale esistenza non rendendosi conto del male che crea a sé stesso e a coloro che ne vengono a contatto.
Il perfezionista si guarda allo specchio e non si piace. Non si piace mai. Tutti sono migliori di lui anche se non lo ammette. Tutti sono più belli, più preparati, più comunicativi, più intelligenti, più socievoli, più carismatici, più.
Il perfezionista è una persona irrisolta, una persona che giustifica le sue sconfitte con la scusa dell’essere un “perfezionista”. In questo modo la sua coscienza è pulita, si giustifica sempre : “Io sono un perfezionista, che cosa ci posso fare?”, “Io sono un perfezionista, o lo faccio bene o non lo faccio per niente”.
Il perfezionista è terrorizzato dal confronto. Vive nella perenne paura di essere rimpiazzato, di essere giudicato e messo a paragone con gli altri. E questa sua paura lo rende fobico e solo. La sua mente è un turbinio di raffronti, di ansie e preoccupazioni. Si sente unico e allo stesso tempo, immobile e rimpiazzabilissimo. Il perfezionista è un controsenso vivente.
rossella ramundo orlando
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Superare il lutto da separazione
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE IL LUTTO DA SEPARAZIONE
Cos’è il lutto da separazione
Quando si parla di relazione di coppia si evoca il concetto del “noi” sinonimo di unione, coesione, condivisione, integrazione fra le parti, complicità. Il “noi” racchiude un progetto condiviso di bisogni, esigenze, vissuti, desideri, e alimentato dall’impegno e dalla motivazione di entrambi i partner.
Il senso del “noi” prende forma costantemente se coltivato e nutrito quotidianamente di buoni propositi, cresce attraverso la comunicazione dei pensieri e degli stati d’animo di ognuno dei partner. La comunicazione è uno degli aspetti principali per la crescita della coppia, permette di conoscere e accettare l’altro con i suoi pregi e difetti, nonostante le diversità.
A volte però, per svariati motivi, il “noi” non è più condiviso nel tempo, non avvolge e nutre più la coppia, decade così come quel “per sempre” recitato e promesso il giorno del matrimonio.
La fine di una relazione di coppia, di un matrimonio, la separazione dal proprio partner, è un’esperienza difficile da affrontare e superare. Paragonabile a un lutto, è un distacco definitivo e doloroso da una persona importante che ha fatto parte della nostra vita.
La separazione è una perdita fisica e psicologica, con essa vengono a mancare tutte le certezze e le abitudini, a volte disfunzionali e spesso causa della rottura, ma inconsciamente rassicuranti. Questo provoca paura, solitudine, tristezza, fa vivere un senso di abbandono.
Chiudere una relazione genera un senso di sconfitta personale, fa sentire dei falliti, degli incapaci. Si perde il senso di unità familiare e tutti i progetti di vita futuri. Chiudere una relazione è quasi sempre una scelta sofferta da entrambi i partner. Se da un lato nella coppia generalmente chi lascia vive un senso di colpa e responsabilità, dall’altro chi subisce la scelta vive una sofferenza perché si sente rifiutato e crede impossibile la sopravvivenza senza il partner. Sicuramente il lutto da separazione viene affrontato ed elaborato da entrambi i partner seppur in modo differente.
Alcuni studi psicologici hanno riscontrato che l’elaborazione del lutto per la fine di una relazione avviene attraverso un modello ciclico che prevede tre emozioni: amore, rabbia, tristezza.
Inizialmente si sente nostalgia per la perdita, si spera che tutto possa sistemarsi, successivamente subentra la rabbia per il torto subito ed infine la tristezza legata allo sconforto e alla solitudine.
Alla fine di questo ciclo di emozioni si ha una visione più realista della separazione e si coglie l’opportunità di crescita personale che questa esperienza di vita, seppur dolorosa, ci offre. Non sempre però tutti riescono a superare queste fasi di elaborazione, a volte si resta intrappolati e si diventa vittime della rabbia e del rancore. In questi casi la separazione si trasforma in litigi e accuse di colpa, in una guerra alla ricerca di responsabilità.
Cause
I motivi che portano una relazione alla deriva possono essere molteplici. Sicuramente quando una coppia affronta una crisi è perché almeno uno dei partner non si sente più coppia, non riesce più a riconoscere quel senso del “noi”, quel senso di condivisione reciproca.
La fine di una relazione è dettata da innumerevoli motivi di diversa entità:
- La fine del sentimento d’amore che legava i partner
- Mancanza di comunicazione
- Mancanza di intimità
- Perdita di stima e di apprezzamento
- Mancanza di rispetto per l’individualità dell’altro
- Disinteresse del partner verso la famiglia, l’educazione dei figli…
- Infedeltà
- Invadenza delle famiglie di origine
- Incompatibilità di carattere
Quando una relazione finisce, a prescindere dalle motivazioni, è sicuramente responsabilità di entrambi i partner, non ci sono responsabilità unilaterali né ci devono essere deresponsabilizzazioni, si è parimenti responsabili.
Una relazione finisce quando non funziona già da diverso tempo, le motivazioni sono secondarie, non sono altro che un palesarsi della fine.
Sintomi
La separazione è un trauma importante per chi la vive, è fonte di grande stress. Diverse le emozioni e gli stati d’animo che si possono provare, così come i sintomi fisici e psicologici:
- Senso di smarrimento
- Perdita del senso dell’esistenza
- Senso di affaticamento mentale
- Confusione
- Apatia
- Senso di vuoto
- Sensi di colpa
- Sensazione di fallimento
- Rabbia
- Frustrazione
- Rancore
- Depressione
- Ansia
- Tristezza persistente
- Percezione di inutilità
- Insonnia
- Mal di testa ricorrenti
- Perdita dell’appetito
- Nausea
- Situazioni di abuso
- Tendenza a isolarsi
Cura
L’elaborazione del lutto da separazione avviene attraverso diverse fasi che conducono all’accettazione.
La letteratura insegna che si passa dalla negazione, il rifiuto per la separazione come meccanismo di difesa per non affrontare la sofferenza e il dolore, alla rabbia per il torto e l’ingiustizia subiti.
Chi vive l’abbandono da separazione spesso cade in uno stato depressivo, perde interesse per la vita, non ha più stimoli e vive un senso di fallimento e frustrazione. Altre volte, invece, vive una rabbia incalzante, vendicativa e furiosa.
Molto spesso la separazione rievoca traumi latenti come quello dell’abbandono, questo amplifica la sofferenza e il disagio.
In questa fase molto delicata è utile un supporto psicologico, un percorso di psicoterapia mirato ad una corretta gestione delle emozioni, della rabbia e alla presa di consapevolezza dell’accaduto.
La psicoterapia aiuta a dare un senso a quanto accaduto, a riconoscere gli schemi mentali e comportamentali disfunzionali nella relazione e le responsabilità di ognuno.
Aiuta a far emergere le proprie risorse e capacità in prospettiva di nuovi progetti futuri e a ridefinire l’individuo al di fuori della relazione
Elaborare il lutto da separazione con l’aiuto della psicoterapia, vuol dire trasformarlo andando oltre il dolore. Vuol dire trasformare la separazione in un momento di crescita, in un cambiamento.
Grazie alla psicoterapia la separazione può essere vissuta come un’opportunità.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

Vibrazioni
VIBRAZIONI
Esercizio per vivere il qui ed ora
La vibrazione di uno scalpello pneumatico che demolisce per ricostruire, quella di un diesel che parte, della turbina di un volo Ryan. La vibrazione ematica nelle arterie pulsanti, le note ritmiche dell’ amore, piano, forte, le convulsioni di un orgasmo, di una foglia al vento, il profumo di un risotto alla crema di scampi, dell’ oscillazione delle corde di una cetra, del canto di un soprano che fa riga un cristallo, l’ urlo di un uomo che invoca Geremia, la voglia irrefrenabile di un passate che vuole parlare, le moto che rombano, le ruote di un trolley sui san pietrini, il respiro di una donna su una panchina, io che mi appoggio alla transenna per digitare ritmicamente queste parole, la scala mobile che trema, il treno che è arrivato in uno stridio e che mi aspetta per Trastevere;
la vita, se la osservi vibra ovunque e dappertutto fuori e dentro di noi, osserva, osservala, osserva il tuo camminare, ciò che scorre intorno a te, ti parla sempre, non tace mai; come questa inglese che mi chiede where is Uber, sarà per la mia camicia di lino bianca, come fossi un addetto ad un ufficio di informazioni o semplicemente si avvicinano perché si fida delle vibrazioni della mia immagine che fuma il sigaro e scrive qui; subito dopo un altra che chiede where is the train ? È bella la vita perché dà segni ritmici di esistenza e ti fa credere che non esista la morte la vita vibra fuori solo perché vibra dentro.
Sei esattamente così come stai vibrando. Le vibrazioni vengono emesse da ogni forma di vita, su una gamma di frequenze che oscilla da un massimo di benessere, al massimo malore. Potremmo essere monitorati da oscilloscopi, da apparecchiature quali by feedback per renderci conto che siamo continuamente soggetti ad oscillazioni elettromagnetiche ed elettromiografiche. La frequenza cardiaca, l’ elettro encefalogramma, la conducibilità elettrica bio chimica tra i neuroni. La nostra vira è appesa al ritmo dei battiti cardiaci. Le nostre cellule sono in un continuo interscambio nutrizionale e di espellazione di tossine, pompe di energie che alimentano i nostri sistemi, difendono la vita e trattengono le malattie e la morte.
Le vibrazioni emesse dalla vita intera rappresentano la risposta all’ inesistenza, all’ inanimato, al vuoto, al nulla, all’ insensibile, a tutto ciò che è statico, stantio, immobile, morto.
La vita è sinonimi di vibrazioni. Stessa e Identica cosa accade per la vita più profonda, la vita dell’ anima. Tutta la gamma delle sfumature e sfaccettature emotive, rappresentano vibrazioni che ci offrono la consapevolezza della nostra presenza.
Potremmo chiederci, quali vibrazioni ho, se sto vibrando e per chi, per cosa o se sono fermo, se mi proteggo troppo o mi annoio, per chi vivo, se vivo da scontato, prigioniero delle abitudini se lascio fluire o freno e trattengo le novità. La nostra anima ha delle corde come un piano forte una chitarra pizzicata; con i pensieri e le circostanze, arpeggiano melodie continue che danno il tono al nostro umore.
Abbiamo tonalità musicali continue dentro di noi, suoni che oscillano come la marea o il maestrale o la bonaccia. Ciò che è fondamentale sapere è quale oscillazione è nostra e abbiamo, sappiamo anche che esse sono cangianti? istante dopo istante, come le sfumature dei colori e delle ombre. Sapere come sto è voler sapere quale vibrazione ho e quale emozione vorrei avere. Il cambiamento in noi è determinato dalla possibilità di poter lavorare per le emozioni che vorremmo avere.
Le vibrazioni chiamano vibrazioni, se ci sei, ci sono gli altri, le persone presenti che vibrano sono dei diapason, le senti, si cercano, si attraggono, non smettono di parlarsi, si percepiscono, si amano, lasciano il segno con la loro presenza e il vuoto della loro assenza.
Le vibrazioni non hanno misura, si estendo oltre confine, oltre il tramonto, sono inter continentali, interplanetarie, inter galattiche, aldilà dell’ nell’ iperspazio, oltre l’ altra dimensione, oltre l’ altra vita, sono telepatiche, quando siamo presenti diciamo, ti stavo pensando e mi hai chiamato.
Le vibrazioni sono tutte sincrone, ritmiche, innestano la marcia che ti fa avanzare, ti pongono nel flusso, come ora, prendi sempre il treno, sei sempre nel momento giusto e nel luogo giusto e se non lo sei, sei soltanto assente, preso da altro. Se non osservi, ti astieni se ti assenti, non puoi cambiare se resti prigioniero dei tuoi pensieri, nel caos asincrono, senti solo rumori, non movimento, sei lontano dal flusso della vita che è in te, fuori dal flusso. Solo quando decidi di esserci, ti ascolti, vedi, agisci, vivi.
giorgio burdi
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VIBRAZIONI
“Dove il terreno è piatto, l’acqua non defluisce, non ha dove andare, ristagna. Per produrre energia ci vuole una polarità, un sopra e un sotto, un dislivello, e più grande è il dislivello, più è forte la corrente”. C.G. JUNG
Sei esattamente così come stai vibrando. Sinfonia di frequenze su un ampio spettro. Polarità. E cosi’ sei anima e forma. E cosi, magnetica, nutri la vita in questo processo di fotosintesi amorosa, in cui la conoscenza di se’ ti permette di “scambiare” il vuoto, il nulla, l’amorfo, lo statico, la morte, con la vibrazione, la vita.
Le nostre cellule hanno bisogno della giuste sostanze nutritive per effettuare tutti i processi biochimici che consentono loro di crescere e riprodursi in modo funzionale alla vita, oltre che di liberarsi dalle tossine. Esattamente come per le piante e la loro fotosintesi clorofilliana, in un certo senso ognuno di noi è in grado di produrre autonomamente alcune sostanze nutritive utili a se’ e agli altri, mettendo in atto, di fatto, un proprio processo di fotosintesi. Queste sostanze nutritive sono proprio le vibrazioni che sono contemporaneamente reagente e nutrimento, causa ed effetto.
La fotosintesi è il processo che considera come primo reagente un momento buio, un evento negativo, una delusione, una idea di se’ bloccante (il mortale), ma anche la bellezza di una strada, lo struggimento di un tramonto, l’entusiasmo di un’alba, lo stupore di uno sguardo, di un gesto anelato in un momento inaspettato. Lo sguardo raccoglie, e la conoscenza del se’ agisce come il pigmento di clorofilla, che tanto più’ è presente, tanto più’ induce una quantità di nutrienti di qualità (le vibrazioni), che ci offrono la consapevolezza dell’esserci. E produciamo altresì’ sostanze nutritive per gli altri. Esattamente come la pianta trasforma l’anidride carbonica in ossigeno che rilascia nell’ambiente esterno: promotore di altra vita.
La vibrazione è vita. La vita, se la osservi, vibra ovunque e dappertutto fuori e tanto più dentro di te. Osserva, osservala, osserva il tuo andare, ciò che scorre intorno a te, ti parla sempre: la vibrazione di un diesel, della turbina potente di un volo Ryan; La vibrazione di un incontro che casuale non è. La voglia irrefrenabile di un passate che vuole parlare. Come questa donna inglese che chiede proprio a me tra tanti “where is Uber?”. Sarà per la mia camicia di lino bianca, come fosse di un addetto ad un ufficio informazioni. O semplicemente si è avvicinata perché si è fidata delle vibrazioni della mia immagine che fuma il sigaro e scrive qui, concentrato sulle sue vibrazioni. E subito dopo qualcun’altra mi chiede “What’s train?”. La vibrazione di una foglia al vento. Quel vento che sbatte sul mio viso e trascina profumi. Mi emoziono all’idea di tanta precisione. Mi batte il cuore: e di nuovo vibro. La vibrazione ritmica del battito cardiaco, quello di un orgasmo. E si. È sempre viva la vita, non esiste la morte per chi vive, la vita vibra fuori solo perché vibra dentro. E vibra fuori, di nuovo. Io che mi appoggio alla transenna per digitare ritmicamente queste parole. la scala mobile che trema, il treno che è arrivato in uno stridulo e che mi aspettava per Trastevere; le ruote di un trolley sui san pietrini, il respiro di una donna su una panchina.
Vibrazioni chiamano vibrazioni, se ci sei, ci sono, e le persone che vibrano si cercano e si attraggono, si parlano, si amano, lasciano il segno con la loro presenza e il vuoto della loro assenza.
Le vibrazioni si estendono oltre misura, dei confini e degli orizzonti, sono Inter continentali, interplanetarie, inter galattiche, aldilà nell’ iperspazio, oltre l’ altra dimensione, l’ altra vita. Sono telepatiche, quando siamo presenti.
Le vibrazioni se le vedi e le ascolti, sono tutte sincrone, ritmiche, entri in una sincronicità perfetta con il mondo, si innesta l’ ingranaggio, la marcia che ti fa avanzare. Ti poni nel flusso, come ora. Prendi sempre il treno, sei sempre nel momento giusto e nel luogo giusto e se non lo sei, sii determinato, cambialo verso la tua attitudine.
Potremmo chiederci, quali vibrazioni ho. Se sto vibrando e per chi. Per cosa. O se sono fermo. Se mi proteggo troppo o mi annoio. Per chi vivo. Se vivo scontato; se lascio fluire o freno e trattengo le novità, tutto. La nostra anima ha delle corde come un piano forte o una chitarra. Pizzicate con i pensieri e le circostanze, arpeggiano melodie continue che danno il tono al nostro umore. Abbiamo tonalità musicali continue dentro di noi, suoni che oscillano come le maree. Anche altissime. Anche bassissime. Cangianti nella frazione di un tempo piccolo.
Ciò che è fondamentale è sapere quale oscillazione è la nostra, quale emozione abbiamo, sappiamo anche che esse cambiano istante dopo istante. Sapere come sto e voler sapere quale emozione ho e quale emozione vorrei avere. Il cambiamento in meglio di noi è determinato dalla possibilità di poter cambiare le nostre emozioni, lavorando per le più adeguate. Instillando “clorofilla”.
La vibrazione di uno scalpello pneumatico che demolisce per costruire.
valeria carofiglio
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…. la verità di un’istante sia il risultato di un lungo lavoro in cui si gettano e si coltivano semi in quel senso e si genera piano piano qualcos’altro, qualcosa che ci blocca, che ci rallenta che ci fa addirittura ignorare di essere esseri che vibrano.
Mollare una certa immagine di se, quasi asettica, nell’illusione di celare in questo modo il nostro essere vulnerabili, feriti, feribili, dietro un’apparente intangibilità.
Mollare, significa lasciar andare e crescere, fiduciosi ciò che ci appesantisce e che forse tornerà semplicemente al momento giusto, e andare avanti vibrando di vita con la vita
laura cecchetto
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Due anime si incontrano, si fondono, danzano e vibrano alla stessa frequenza. Non sono nel passato, non sono nel futuro. Sono qui, ORA. Trascendono il sesso, trascendono l’amore. Sono pura e piena energia.
Si abbandonano, si lasciano accadere. Nessun condizionamento, nessun pensiero. Semplicemente fluiscono.
Dobbiamo nutrire le nostre vibrazioni, sfamarle, ascoltarle, elevarle, così da attirare vibrazioni simili, potenti, d’impatto.
Quelle vibrazioni che senti tue, che ti appartengono da sempre e che non riuscivi a percepire perché troppo preso dalla frenesia di una vita materiale, una vita caotica dove è più facile che le vibrazioni buone vadano disperse, sprecate, risucchiate da chi avidamente vuole farle sue. E così le tue vibrazioni si affievoliscono, si disperdono.
Annaspando cerchi di tornare su, di riprendere a vibrare con tutto te stesso, di riprenderti ciò che è tuo di diritto: la tua vibrazione, la tua forza vitale.
Sei lì, come un grande Sole che scalda l’anima, vibrante di energia, sprizzi energia da ogni raggio, da ogni poro del tuo corpo. Tutto intorno a te ha un senso, tutto è luce, consapevolezza. Ed è allora, solo allora, che godrai nel qui ed ora.
rossella ramundo orlando
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Superare la fobia sociale
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA FOBIA SOCIALE
Cos’è la fobia sociale
La fobia sociale o disturbo d’ansia sociale è una condizione di disagio in situazioni sociali.
Chi ne soffre teme di essere giudicato negativamente dagli altri, ha paura di agire in pubblico, di mostrarsi imbarazzato, di apparire ridicolo e incapace. Non teme tanto la presenza di altre persone, quanto che tutta l’attenzione possa essere concentrata su di sé e che ci possano essere dei giudizi alla sua persona.
Molto spesso chi soffre di ansia sociale evita le situazioni temute di interazione, di tipo prestazionale o che comportano l’essere osservati.
Evita tutte quelle attività, anche della vita quotidiana, soggette a forme di giudizio da parte degli altri come mangiare o bere in pubblico, prendere mezzi pubblici, parlare di fronte a un gruppo di persone, scrivere o firmare in pubblico, telefonare in presenza di altri, esporre una relazione, intervenire durante una riunione di lavoro, essere osservati nello svolgimento di un’attività, essere presentati a un estraneo…
Alcune volte, anche semplicemente parlare con uno sconosciuto, chiedere informazioni o entrare in una stanza dove ci sono persone già sedute può generare ansia.
Tipica dell’ansia sociale è l’ansia anticipatoria ovvero l’eccessiva preoccupazione per una situazione temuta prima di affrontarla. Alcune volte l’ansia aumenta in modo esponenziale tanto da generare un attacco di panico.
Chi soffre di ansia sociale si mostra eccessivamente riservato in pubblico, ha una postura rigida e difensiva. Generalmente parla a voce bassa, mantiene a fatica il contatto visivo, diventa rosso in volto, a volte trema e balbetta.
In alcuni casi si ha la tendenza a bere alcolici o assumere sostanze con lo scopo di essere più disinibiti e affrontare così le situazioni.
L’ansia sociale influisce negativamente nella vita, nelle relazioni e nella carriera lavorativa.
Gli individui con ansia sociale sono portati a scegliere posizioni lavorative meno esposte al contatto sociale, senza performance pubbliche, ciò inevitabilmente limita le potenzialità e riduce le aspirazioni professionali.
Cause
Tra le cause dell’ansia sociale c’è la timidezza. Alcuni fobici sociali, infatti, sono stati bambini molto timidi. Ciò, tuttavia, non implica che tutti i bambini timidi diventino da adulti dei fobici sociali.
Sicuramente una timidezza patologica ha maggiori probabilità di trasformarsi in un disturbo d’ansia sociale.
Anche un’esperienza stressante o umiliante può essere causa dell’insorgenza di questo disturbo, così come aver subito una critica o un’aggressione.
La fobia sociale, inoltre, può essere secondaria e manifestarsi in presenza di altri disturbi quali la sindrome di Asperger, il disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo evitante di personalità.
Sintomi
L’ansia sociale è un disturbo molto frequente con esordio durante l’adolescenza o nella prima età adulta.
I sintomi percepiti sono fisiologici:
- Ansia
- Paura relativa a una o più situazioni sociali
- Palpitazioni
- Tachicardia
- Tremori
- Sudorazione
- Rossore del volto
- Tensione muscolare
- Vampate di calore
- Mal di testa
- Confusione
- Stordimento
- Secchezza delle fauci
- Malessere gastrointestinale
- Dissenteria
- Nausea
- Bisogno impellente di urinare
comportamentali:
- Evitamento di situazioni sociali
- Scarsa partecipazione
- Tono di voce sottomesso
- Evitamento del contatto visivo
- Capo chino
- Torcere le mani
- Parlare in modo formale
cognitivi:
- Senso di inferiorità
- Ipersensibilità al giudizio
- Disagio nel trovarsi al centro dell’attenzione
- Paura di essere considerato ridicolo, goffo
- Scarsa assertività
Cura
È molto importante trattare e curare l’ansia sociale per evitare l’insorgenza di altri disturbi come la depressione.
Le persone che soffrono di questo disturbo, lontane dalle situazioni temute, riconoscono molto spesso che le loro paure sono eccessive ed irragionevoli, ciò nonostante, non riescono a superarle, le amplificano e potenziano con le condotte di evitamento.
La cura del disturbo d’ansia sociale può prevedere una combinazione di trattamento farmacologico e psicoterapico.
La Psicoterapia offre un valido supporto al superamento del disturbo d’ansia sociale, aiuta a modificare i pensieri disfunzionali che generano ansia e offre strumenti per fronteggiare e affrontare meglio le situazioni temute.
Con l’aiuto del terapeuta chi soffre di ansia sociale lavora sui propri schemi cognitivi rigidi, supera convinzioni radicate e poco adattive come quella di essere continuamente osservati o sotto giudizio altrui.
Inizialmente la terapia individuale risulta essere un valido supporto, successivamente valutare la psicoterapia di gruppo offre importanti vantaggi considerata quest’ultima una situazione sociale.
L’esposizione dunque allo stimolo temuto, la presenza di un gruppo, di persone non conosciute, il dover parlare in pubblico, il confronto, produrrebbero una graduale desensibilizzazione, una riduzione dei sintomi quindi anche dell’ansia.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

Superare l’agorafobia
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE L’AGORAFOBIA
Cos’è l’Agorafobia
Il termine agorafobia di origine greca, agorà (piazza) e phóbos (paura, fobia), significa letteralmente “paura della piazza”, ovvero degli spazi aperti e molto affollati. Tuttavia, è una situazione molto più vasta e complessa caratterizzata non solo dalla paura degli spazi aperti.
Gli agorafobici vivono situazioni di disagio, paura intensa e angoscia quando si trovano in spazi aperti così come tra la folla. Prendere un treno o un aereo, andare al supermercato, aspettare in coda, andare a teatro, al cinema, ad un concerto ecc… diventano situazione che generano ansia.
Molto spesso, chi soffre di agorafobia ha difficoltà ad uscire di casa da solo, necessita essere accompagnato.
Gli agorafobici hanno paura di non avere vie di fuga o di non poter essere facilmente soccorsi in caso di malore, questo li turba profondamente. Spesso temono anche il giudizio altrui se dovessero stare male in pubblico, vivono una sensazione di vergogna e frustrazione.
È frequente che chi soffre di agorafobia oltre a vivere situazioni ansiogene, venga colto da attacchi di panico, dunque evita gli spazi aperti e la folla perché teme di avere un attacco di panico.
In casi molto gravi, la fobia si scatena anche solo pensando a situazioni temute, di cui si ha paura.
La persona agorafobica cerca di evitare tutte le situazioni temute o cerca la continua presenza di qualcuno, ciò compromette inevitabilmente la quotidianità, la vita sociale e lavorativa. L’agorafobia può diventare un disturbo invalidante.
È possibile che l’agorafobia sia associata a depressione, comportamenti ossessivi e altre fobie come la fobia sociale.
Cause
L’agorafobia è spesso un disturbo secondario all’ansia, agli attacchi di panico e allo stress post-traumatico. Si sviluppa dunque come complicazione a questi disturbi.
Può essere conseguenza di un’esperienza traumatica vissuta durante l’infanzia e l’adolescenza, causa di un blocco della percezione di sé e delle proprie possibilità. In età adulta, anche la bassa autostima ha un ruolo di rilievo e contribuisce allo sviluppo del disturbo.
Eventi stressanti e traumatici possono essere causa dell’insorgenza del disturbo, si pensi a un lutto, alla perdita del lavoro, una separazione, un divorzio…
A volte la presenza di altri disturbi come l’anoressia, la bulimia, l’abuso di alcol o di droghe contribuisce e aumenta il rischio di sviluppare l’agorafobia.
In altri casi, invece, il malessere è associato a una paura generale per situazioni varie come le malattie, gli incidenti, la criminalità…
Sintomi
L’agorafobia comporta diversi sintomi fisici, psicologici e comportamentali:
- Ansia
- Angoscia
- Paura irragionevole, eccessiva e persistente
- Ansia anticipatoria
- Evitamento delle situazioni temute
- Paura e ansia sproporzionate rispetto al reale pericolo
- Attacchi di panico
- Tachicardia
- Respirazione affannosa
- Disfagia (difficoltà a deglutire)
- Senso di soffocamento
- Sudorazione
- Brividi o vampate di calore
- Mal di testa
- Nausea
- Vomito
- Vertigini
- Formicolio e prurito
- Intorpidimento
- Senso di svenimento
- Stato confusionale
- Senso di oppressione
- Disturbi visivi
- Disturbi uditivi, ronzio
- Pianto
- Timore di morire
Cura
La cura dell’agorafobia dipende dalla gravità del quadro clinico. A volte richiede la combinazione di un trattamento farmacologico e psicoterapeutico.
Risulta efficace una psicoterapia mirata e finalizzata al superamento della fobia.
La Psicoterapia aiuta il paziente a contestualizzare e razionalizzare la sua paura, offre gli strumenti per reagire ai pensieri ansiogeni e negativi associati al disturbo, induce e sviluppa nuovi modi di pensare e comportarsi.
Fondamentale è una graduale desensibilizzazione della fobia attraverso tecniche cognitive, comportamentali e tecniche di autocontrollo emotivo che permettono di ridimensionare l’ansia.
La psicoterapia può essere accompagnata a tecniche di rilassamento come training autogeno e yoga. In alcuni casi è stata riconosciuta valida e utile l’ipnosi.
Superare l’agorafobia è possibile.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

Superare la fobia degli insetti
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA FOBIA DEGLI INSETTI
Cos’è la fobia degli insetti
Il termine fobia dal greco phóbos (panico, paura) indica una paura irrazionale, intensa, persistente e duratura per uno specifico oggetto, animale, luogo o situazione.
Si tratta di un timore esasperato, immotivato, esagerato e sproporzionato per qualcosa che non rappresenta una reale minaccia, non è un pericolo.
Seppur non ci sia una minaccia reale, chi vive una fobia si trova di fronte ad una situazione incontrollabile: ha grande difficoltà a controllare e gestire la paura, questo genera molta ansia.
Avverte un’ansia anticipatoria che lo induce ad evitare lo stimolo fobico, la causa della paura. Se, invece, non vi è possibilità di evitarlo, è molto probabile che l’ansia aumenti così tanto da generare una crisi d’ansia, un attacco di panico.
Tra le diverse fobie, la fobia degli animali è una delle più diffuse, in genere è circoscritta a una singola specie animale.
L’entomofobia, comunemente paura degli insetti, è una fobia specifica molto frequente.
Maggiormente diffuse sono l’aracnofobia, ovvero la paura dei ragni, e l’apifobia, la paura delle api.
Chi ne soffre prova paura, avversione e repulsione verso gli insetti. Teme di essere punto o morso, di contrarre infezioni o malattie. La paura può manifestarsi sia in presenza di un insetto, sia alla vista di un’immagine che lo ritrae che solo all’idea di trovarsi in un luogo o in una situazione dove ci sono degli insetti.
La fobia molto spesso può diventare invalidante.
A livello comportamentale chi soffre di una fobia specifica evita tutte le situazioni associate alla paura, ma alla lunga questo atteggiamento diventa una trappola, un circolo vizioso, oltre che rinforza inconsciamente la pericolosità di quanto evitato preparando così l’evitamento successivo.
Ed è così che l’evitamento amplifica la paura.
Chi soffre di entomofobia controlla l’ambiente circostante per assicurarsi che non ci siano insetti, è sempre in iper-allarme e iper-vigilanza. Questo molto spesso compromette le normali attività quotidiane, così come la sfera relazionale e lavorativa, vincola le scelte dei luoghi e nei casi più gravi porta all’isolamento.
Cause
Diversi studi hanno riscontrato come all’origine dell’entomofobia ci possa essere da un lato la paura dell’ignoto, di ciò che non si conosce e dunque non si può controllare, dall’altro l’associazione a ciò che è sporco e potrebbe trasmettere eventuali malattie o infezioni.
Generalmente la fobia specifica come l’entomofobiaha esordio nell’infanzia o adolescenza. Probabilmente a causa di un evento traumatico come la puntura di un insetto o a causa di un condizionamento. Durante l’infanzia, infatti, il bambino esplora l’ambiente con curiosità, non consapevole dei pericoli. Tuttavia, non sempre l’esplorazione e la scoperta gli vengono concesse. Si pensi ai genitori molto ansiosi ed allarmisti che impediscono il contatto del bambino con l’ambiente circostante e ciò che ne fa parte, come gli insetti.
I genitori condizionano il bambino e gli trasmettono la paura che si protrae anche in età adulta. Questa paura, se non controllata, può trasformarsi in fobia.
Sintomi
Chi soffre di una fobia specifica come l’entomofobia, avverte gran parte dei sintomi associati all’ansia e agli attacchi di panico, reazioni fisiche ed emotive e forme di ansia invalidanti.
Tra i sintomi:
- Paura e ansia verso l’elemento fobico
- Timore paralizzante
- Evitamento dell’elemento fobico
- Paura e ansia spropositate rispetto al reale pericolo rappresentato dallo stimolo fobico
- Paura, ansia ed evitamento persistenti
- Tachicardia
- Vertigini
- Attacchi di panico
- Senso di soffocamento
- Dolore al petto
- Agitazione
- Respirazione difficoltosa
- Sudorazione eccessiva
- Rossore
- Prurito immaginario
- Tremori
- Spossatezza
- Appannamento della vista
- Calo dell’udito
- Mancamenti/svenimenti
- Sensazione di perdere il controllo
- Disturbi gastrici
- Nausea
- Crisi di pianto
Cura
Nella maggior parte dei casi, in particolare negli adulti, chi soffre di entomofobia, ha consapevolezza che la sua paura sia immotivata e irragionevole, poiché non c’è un reale pericolo, ma al contempo non riesce a controllarla.
L’evitamento dello stimolo fobico è solo una momentanea via di fuga, ma non risolve il problema, bensì lo amplifica inconsciamente.
La fobia degli insetti può essere superata con percorsi terapeutici adeguati. Sicuramente la psicoterapia lavorando con la gestione delle emozioni, come la paura, ha un ruolo fondamentale. Grazie alla psicoterapia il paziente impara a riconoscere e a controllare gli stati emotivi e le manifestazioni d’ansia.
Importanti sono le strategie comportamentali che si mettono in atto attraverso la psicoterapia al fine approfondire la conoscenza della paura, contenerla e controllarla.
Con l’aiuto del terapeuta, inoltre, il paziente individua i pensieri disfunzionali e li sostituisce con pensieri reali corrispondenti alla reale pericolosità dello stimolo fobico, assumendo così un contatto diretto e realistico con il mondo circostante.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI