
Il Sintomo è Salute
Il Sintomo è Salute
Il nostro sistema nervoso centrale lo possiamo rappresentare come un insieme di apparati sincroni, determinanti in assoluto la nostra vita, la nostra funzionalità organica e il funzionamento della fabbrica della nostra mente e dei nostri pensieri.
Tra mente e corpo esiste una profonda e perfetta sinergia una sincronicità e linearità, che è inopportuno e scientifico non considerarli mai scissi, a se stanti e divisi; dovremmo evitare e smetterla di pensarli, all’ interno della cultura medica, come fratturati e in una loro dualità.
Questa errata visione della dualità, determina non pochi problemi di natura scientifica, essa depista, crea notevoli fraintesi e problemi in termini di definizioni sintomatiche e diagnostiche. La comunità scientifica ha il compito e il dovere di considerare la persona nella sua interezza, non a segmenti. Un medico non puó prescindere dall’ umanità di ogni soggetto, come uno psicoterapeuta non può omettere la sua organicità. Se alle volte la distinzione si rende necessaria, è solo per definire fenomeni differenti, che vanno riportati però sempre nel suo insieme.
Nella realtà il corpo è la mente e la mente è lo stesso identico corpo, la mente è la mente del corpo, ed il corpo è il corpo della mente; non può esistere la mente senza i suoi neuroni, così come non può esistere un corpo senza la sua anima, tutto sarebbe un feretro, materia inerte; nello stesso modo non esiste il sesso, il polmone,
il cuore il cervello, ma esiste esclusivamente l’ entità Uomo e non sono gli organi che definiscono l’ uomo, ma è quest’ultimo è costituito da essi nello stesso modo in cui non è il carburatore che definisce un’ auto, ma è l’ auto che da senso all’ esistenza di esso.
Gran parte dei sintomi e dei disturbi mentali indicati nel DSM 5, trovano prevalentemente la loro origine e la loro sede, all’ interno dei conflitti e dei traumi subiti nelle relazioni umane, si replicano e persistono all’ interno della memoria che conserviamo, nello stesso modo in cui ogni cellula del nostro corpo memorizza la storia traumatica o serena che abbiamo.
Desideriamo parlare della mente, nello stesso modo in cui parliamo della corporeità, delle cellule e degli organi. Pertanto ogni conflitto emotivo o mal funzionamento cellulare, appartengono necessariamente ad una stessa integrità.
La memoria è il contenitore dei nostri sintomi, dei traumi e dei nostri piaceri; in particolare, la memoria del passato rende il presente e la la percezione del futuro, piacevole o frustante; ogni presente viene filtrato attraverso la griglia della memoria, si pone come un filtro che distorce la nuova realtà in un qualcosa di già accaduto.
Vivere un presente soddisfacente, è una necessità perché tutto diventa memoria. La memoria funge da deposito, da cassa panca in soffitta, da sotto cantina e nostro sotto bosco. Noi siamo la prima casa con i suoi depositi e riserve. Con la nostra memoria siamo in grado di rivedere, tutta l’ ‘attualità , come antico e già vissuto, pur non avendolo mai visto prima. La memoria, in tal senso, è una grande trappola.
Prevalentemente ragioniamo attraverso preconcetti e visioni critiche ed antiche della nostra vita, anche lì dove si presentano situazioni innovative, siamo in grado di rovinare ogni opportunità che abbia un certo fascino, ricca di risorse. Hanno grande responsabilità, gli stereotipi, le convenzioni, i moralismi con i relativi fanatismi, i “valori”, i dogmi e le convinzioni, essi non ci permettono l’ emancipazione, di poter apprezzare le novità e il bello nella vita, considerata pericolosa, spiacevole perché assimilata al passato o corrotta dalle visioni altrui.
Ogni disfunzione o sintomo, ha per sua natura un enorme potenziale di vitalità, anche se la percezione è esattamente contraria, di fastidio, il sintomo è la ribellione ed un cattivo funzionamento, ad un corpo estraneo, ad un fuori misura, al caos, è un sos per un pericolo impellente. Il sintomo è così talmente vitale, che senza di esso non sarebbe possibile continuare a vivere, rappresenta una richiesta di aiuto e di intervento a vantaggio della salute e della vita.
Qualsiasi sintomo è enormemente vitale, si presenta come un sistema d’ allarme, una ribellione contro un tentativo di disorganizzazione, di malattia o di morte, e si manifesta attraverso un fastidio un disturbo attraverso il dolore. I sintomi evidenziano la necessità dell’ organismo di riportare l’ armonia.
Il Disturbo e il dolore rappresentano i nostri commensali fastidiosi ed odiosi, ma anche i nostri più cari amici, nel caso non fossimo ipocondriaci, essi ottemperano alla nostra salute, senza di essi, non potremmo venire a capo di una malattia, sono le spie sul cruscotto della complessa macchina umana, senza i quali verremmo condannati ad un black out, ad un crash, ad una strada senza ritorno.
Originariamente il sintomo nella sua insorgenza, può possedere una variegata sensibilità che va dal prurito al bruciore, fino al dolore, da un disturbo passeggero ad un disturbo medio, acuto, cronico ad alto potenziale dolorifico ingestibile, da richiedere l’ utilizzo di anti dolorifici particolari come la morfina.
Per quanto il sintomo possa essere considerato un demone malefico, per la sua insorgenza e manifestazione, rappresenta invece la più elevata forma di pulsione verso la vita che rivendica il diritto ad una decente esistenza. Il sintomo è vitale e serve a difende il nostro desiderio di esistere.
Ognuno di noi possiede un regolatore centrale, detta soglia di sopportabilità del dolore. Essa viene prodotto dalla presenza di un potenziale tensivo, che va dalla semplice ipo sensibilità, fino a livelli più intensi insopportabili di dolore in caso di patologia grave. Ognuno di noi ha un livello più o meno di tolleranza al dolore. Solitamente nelle donne è più elevato che negli uomini.
Tra dolore mentale e fisiologico non esiste l’ uno più importante dell’ altro, se il disturbo è fisiologico, inevitabilmente la mente urla la propria liberazione, se il conflitto emotivo diviene persistente, i valori psicodiagnostici, vengono rilevati in cartella clinica e sballano le frequenze biologiche.
Pertanto non esiste un sintomo o una malattia dell’ organo ed una mentale, i sintomi parlano di noi, della nostra interezza e globalità, parlano di certe eventuali cause di attacco contro di noi. Il sintomo va ascoltato, non sottovalutato, perché è il nostro salva vita.
giorgio burdi
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Il Desiderio
Il Desiderio
Il desiderio, si pone come il motore primo delle motivazioni umane. Tutte le progettualità e le azioni umane vengono mosse da esso. Il desiderio si muove attraverso una modalità del tutto involontaria allo scopp di raggiungere un obiettivo. Tutti abbiamo la necessità di relazionare gli uni con gli altri, partendo da scopi differenti, veniamo benevolmente o maleficamente mossi da un principio di opportunismo . Il desiderio nasconde comunque sempre un sottobosco di opportunismo.
Veniamo movimentati da diversi tipi di desideri, da quello estetico, vincolato alla bellezza, all’ arte di apparire ed esistere, a quello emozionale, a quelli legati ai nostri cinque sensi, a quello sessuale. Tutti i desideri, ed in particolare modo quest’ ultimo, si pongono come una profonda necessità per esorcizzare e superare il dolore, il conflitto, la fatica di vivere, la morte.
Tutti abbiamo un continuo diritto nel realizzare i desideri, anche attraverso il bisogno di rassicurazione e di conforto tanto da rifuggire nelle fantasie o in determinate relazioni come fossero un eden, un paradiso, dove pretendere il sereno, la tranquillità, attraverso la “messa a nudo” di noi stessi la leggerezza per far sostare le proprie fatiche; abbiamo tutti bisogno di adagiarci e stenderci tra le braccia di qualcuno che non ci giudichi e ci accarezzi soltanto.
La frenetica routine quotidiana, il correre e il rincorrere, annientano il desiderio, la sua soddisfazione è gioia, esso è lentezza, percezione ed immersione nelle pacatezze, è lasciarsi andare, tracimati oltre il proprio scontato territorio, è smettere di condurre e controllare, ma lasciarsi portare, è un nuovo desiderato territorio dove non siamo mai stati o faremmo fatica ad essere.
Il desiderio è il contrario della paura, se esiste l’ uno non può esistere l’altra, l’ uno può solo sostituire l’ altra. Chi non desidera soffrire di paure, deve imparare a desiderare. La paura controlla, il desiderio no, il controllo produce stress e fatica, perché monitora, è pensieroso, calcola, accumula,progetta, il desiderio è contemplazione, estasi e abbandono, è orgasmo. Per sua definizione l’ orgasmo è il punto più elevato del rilassamento.
Con esso, c’è aria fresca di mare o di montagna, si vola, non si fa fatica ad esistere, il desiderio pone una tregua dal dolore. È adagiarsi, mollare, è la resa delle tensioni e e delle contratture e lo scioglimento delle contratture e dei crampi delle guerre quotidiane è lasciarsi andare nel vento sulle onde del mare.
Il desiderio soddisfatto è una felicità a tempo, una pausa tra due tensioni, uno stacco ed una ribellione rispetto al tempo che impone, rispetto all’ invecchiamento, il desiderio reciproco rappresenta una tregua ed un divincolarsi rispetto alla trappola del dovere, degli obblighi e delle responsabilità dalle quali si rimane prigionieri. Desiderio e monotonia sono tra di loro incompatibili, quando predomina la monotonia, esploderà prima o poi il desiderio.
Senza il desiderio, non si potrebbero realizzare certe scelte fondamentali in modo soddisfacente: amare senza il desiderio per l’ altro, convivere o sposarsi per il dovere di farlo, vestirsi solo per coprirsi, acquistare una casa qualsiasi per viverci, consumare uno spaghetto bollito per riempirsi o studiare all’ università solo per dire di essere iscritti, fino a quando reggerebbe la salute ?
il desiderio è la risposta ribelle alle frustrazioni, prive di quelle serene e semplici gioie ludiche e, in presenza del desiderio, c’è la più elevata considerazione di sé e dell’ altro.
Il desiderio reciproco attiva la necessità di prolungarlo ad oltranza, per un periodo assai più lungo e per sempre, si ferma il tempo e nel tentativo di contemplare quel paradiso che rende vicini all’ eterno.
Il desiderio reciproco è una bestemmia contro la noia, contro la morte e la consuetudine, contro tutto ciò di cui la gente si accontenta, è contro tutto ciò che non si deve fare, permettere o pensare.
Il desiderio reciproco è una tregua ed una ribellione contro la tragedia di una memoria di sofferenze, di stanchezze e di doveri, con la quale si è condannati a convivere . Quando diciamo che abbiamo voglia, in realtà affermiamo la nostra supremazia al diritto di gioire e il nostro diritto e la voglia di esistere.
giorgio burdi
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No Influencer
No Influencer
Siamo tutti in guerra, ma cosa mai sarà una mancanza di rispetto nei diversi gesti quotidiani? Se la guerra convive con tutti noi, ci stiamo abituando ad essere tutti soldati. Essa ci sta cambiando i connotati, la percezione di essere umano come un essere mostruoso, ci conduce a difenderci dal mondo, a diffidare di tutti, ci predispone a restare in difesa, propensi al facile attacco, suscettibili ed irascibili, la guerra ci obbliga ad armare la vita quotidiana.
Se nella cultura della guerra è lecito il saccheggio, nella quotidianità sarà d’obbligo il furto, la cleptomania, il rubare o il disporre della nostra vita. La percezione dell’uomo del 2000 è quella di un invadente, di un invasore di un barbaro saccheggiatore senza ritegno.
Stiamo riuscendo a non farci più caso, la guerra sta diventando la nostra consuetudine e la nostra massima “Influencer” col suo reiterato bollettino di guerra. Il concetto di “Influencer” è diventato del tutto naturale ed accettato, per certi movimenti è del tutto regolare influenzare, manipolare e convincere. Tutto passa sotto una cultura commerciale, del non pensare, subiamo attraverso i social mitragliate subliminali di bisogni continui che terminano in shopping compulsivi che ingombrano la nostra testa e riempiono le nostre case di tanti oggetti riempitivi di vuoti esistenziali. Stiamo diventando un gregge per il quale sembra plausibile anche creare facoltà universitarie in “Influencer”, tale da poter targettizzare eserciti su misura, eserciti di soldati decerebellati, obbedienti, al servizio di una qual si voglia idiozia.
Stiamo crescendo nell’ involuzione, dall’ Homo Sapiens all’ Homo Demens. La Gran maggioranza dei social viaggiano sempre più verso la globalizzazione, l’influenza, con eserciti di messi in riga, pecore di followers, di YouTuber, automi incantati nello scroller, formiamo avatar, robot dall’ IA, tutti in riga, eserciti di soldati, decorticati, privati della propria volontà; l’intelligente non farà mai cassa né massa, siamo all’interno di un regime, quello del gregge, del pastore e dei cani da guardia.
L’ “Influencer”, per sua definizione, ha la connaturalità del manipolatore, dell’ invasore indiscreto, che deve insinuarsi nella mente, del persuasore subliminale occulto, del profanatore ed invasore delle coscienze, quello delle fakes, degli invadenti, che ti mettono in fila tra milioni di followers. Si Identica esattamente agli autocratici delle guerre, degli invasori.Ogni epoca ci ripropone sistematicamente, con una tradizione quasi secolare, il sociopatico di turno, un nuovo pastore del male, clonato, per condurre le ennesime flotte di “animali” al macello. In questa condizione cosa mai sarà lanciare immondizia dal finestrino, spaccare bottiglie per strada, correre come un coyote, affittare una Lamborghini e filmare la morte in diretta, per postare come YouTuber: cosa mai sarà farsi in ogni dove o un pusher che vende spazzatura per far soldi facili come un “Influencer”, tutti ispirati a Paperon de Paperoni, mercenari che in forme e nomi diversi entrano in casa per saccheggiare i nostri principi, se sommato, siamo in guerra !
Il male più esasperante che viviamo, è quello di subire le volontà di alcuni dei singoli narcisisti benigni o maligni che siano, senza avere l’opportunità di difenderci e ribellarci. Chi non si ribella è già stato fagocitato dal gregge. Siamo all’interno di una vera sabbia module di dittatura. Chi influenza le masse è irrispettoso è un sociopatico in frack di diverso livello, costruiscono i loro modellini e si infiltrano come dei gas nervini nelle nostre vite . Esistono sociopatici fintanto che sarà facile costituire dei greggi. Siamo bisognosi di punti di riferimento, di leadership e di governi e ci ribelliamo così tanto poco che alla fine meritiamo il loro comando. L’uomo per sua natura cerca sempre un suo comandante al quale genuflettersi per ottenere i suoi benefit, tutto ciò accadrà di continuo fino a quando non si risveglierà la coscienza e la consapevolezza di ciò che ci accade.
L’uomo consapevole per sua natura è un ribelle. Ragiona con la propria intelligenza, ed agisce col proprio sentire a vantaggio di sé e degli altri, impara ad essere punto di riferimento per sé stesso innanzitutto. Non accetta alcuna forma di manipolazione, schiva e resta indignato per tutto ciò che è futile ed imposto in modo subdolo, non ammette prevaricazioni, non si lascia mettere in fila dagli “Influencer”, combatte le autarchie e le supremazie, ogni forma di imposizione greve o diplomatica, contesta ed urla la propria libertà a tutti quei carini manipolatori seduttivi.
Come se non bastasse, stiamo diventando fieri, da farne anche delle università per creare “Influencer”, per insaccare masse di intelligenze, per poi creare dei filoni di salami. Università per decorticare le nostre unicità, massificare per dirigere. Tutto ciò che è assurdo, sta passando per regolare.
Ci stiamo sempre più orientando verso la ricerca del massimo potere, del come aver sempre più successo, arrivare in prima pagina e possedere sempre più denaro in brevissimo tempo, secondo l’ accezione del tutto e subito, dove il sacrificio è spazzatura come poter toccare milioni di anime e asservirle a vantaggio del proprio utile. Ma non era proibita la schiavitù ? Siamo servi di un potere non tanto più occulto, ma lo siamo ancor di per il sol fatto che non ci facciamo più caso. La perdita del senso è la più grande miseria umana, infangata dall’ indifferenza, la vita privata, non possiede più una porta blindata che tenga fuori lo sciacallo.
Faccio un pieno di alcool, un chilo di erba o di sesso, scarico tinder, the casual lounger , scopa–amici, cupid o senzapudore, faccio uno spaccio, divento bulimico di incontri mordi e fuggi, take away, multi gusto, le prendo, vellutate, chiare, nere, bionde o rosse con lentiggini, la vita è un ipermercato, mi affitto un amico, lo metto nel carrello, ne metto più di uno, così poi faccio la prima scelta, anche se poi scelgo sempre quello più malato, e ne esco sempre massacrato; ma con il mondo con la guerra in testa, si potrà mai trovar pace, se la pace non la trovi dentro in te?
Allora me ne vado su in montagna, divento un tibetano, rimedio un breviario ed una coroncina, resto tra le nuvole, sul granito delle scalate; l’uomo è l’ inferno, preferisco isolarmi. Mi sono rotto le palle, ho voglia di silenzio, mi faccio di erba e medito, così mi fumo i pensieri, forse è meglio un acido, cosi mi brucio l’ angoscia o tanto meglio mi cracco l’ ansia o mi faccio un buco di pace. Mi faccio un pieno di roba, quanto più sento in me un vuoto grande quanto un cratere.
Relazioni take–away, cotte e mangiate consumate come tranci di pizza, pago, prendo e mordo, birra e scappo, il vetro sul marciapiede e giù un’ altra; ci trattiamo come dei consumabili, uso e getto, non è un colmo rimanere sempre insoddisfatti, è la cultura del sempre è colpa degli altri. Se togliamo la maschera, scopriamo che siamo tutti uguali e il potere a non ci da la vita, ma la vita è il potere più grande, è tutto ciò che può darci il senso.
Samo al limite della tolleranza. Le guerre convivono con la nostra quotidianità e convincono che la vita sia quella, esse stanno diventando la normalità e ci rendono indifferenti; tutto lo scempio in diretta sta diventando ammissibile. Nella cultura dell’ “Influencer”, la guerra ha l’influenza nel suo massimo delirio verso l’ irrispettosità più patologica. La nostra, la possiamo definire, l’epoca dei barbari, dell’ insubordinazione, dell’ assenza è del caos dei ruoli, del me ne fotto, del nichilismo e dell’ anarchia, della disumanizzazione, dell’ insensibilità globalizzata, è la sotto cultura della perdita del senso, dell’ io trasparente.
La disumanizzazione diventa la logica, acquisisce un suo “ordine” ed un suo progetto caotico, una sua disorganizzazione nel suo sistema, aggiungiamoci a tutto questo l’intelligenza artificiale, la robotica autonoma. Tutta la sensibilità umana viene relativizzata e pertanto un figlio depresso in casa, chi mai sarà ? Siamo chiusi in un isolamento dove non c’è parola che tenga, il silenzio la fa da maggiore dove esso coniuga le assenze.
È necessario il recupero del senso di sé e delle relazioni, della parola, della condivisione umana dei sentimenti, tipica dell’essere uomini, della cooperazione, delle collaborazioni, è necessario recuperare ciò che ci contraddistingue, l’affetto e la presenza, tutto ciò che possiamo apprendere dalla nostra natura e dal mondo degli animali, nostri esempi di vita, perché l’uomo, così, non è più un esempio né per noi, né per gli animali.
giorgio burdi
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La Lettera Terapia
Scrivere, conoscere e curare
Spesso ci sono ricordi che contaminano i nostri pensieri, che ci condannano a vivere nel passato influenzando inevitabilmente e negativamente il nostro presente. Pensieri, esperienze, vissuti che non riusciamo a raccontare a nessuno, sofferenze e dolori taciuti che echeggiano rimbombanti nella nostra mente.
Il vissuto di ognuno di noi non si può sicuramente cambiare, fa parte della nostra vita, tuttavia relazionarci ad esso con prospettive differenti può aiutarci a vivere i ricordi con stati d’animo diversi, a raggiungere una maggiore consapevolezza di quello che è stato e di noi stessi.
La scrittura può aiutarci ad acquietare i pensieri che ci tormentano, a rasserenare il nostro animo liberandoci pian piano dal dolore. Scrivere è terapeutico se diviene un atto di libertà attraverso l’introspezione e la riflessione. Si può scrivere una lettera a sé stessi, mettendosi a nudo, attraversare la propria interiorità fino a incontrare l’altro, il vero sé. Si può scrivere una lettera alla madre o al padre, gli affetti predominanti e determinanti della nostra vita, a un amico, a un famigliare o al nostro senso di colpa.
Scrivere di tutto quello che ci provoca sofferenza potrebbe inizialmente essere doloroso, triste e angosciante, ma sicuramente ci porterà giovamento. Scrivere richiede solo coraggio, non è importante soffermarsi alla forma, ma farlo in modo scorrevole, naturale; è importante mettersi a nudo, mettersi in discussione senza vergognarsi. Questo permetterà di concentrarsi su ogni passo, su ogni emozione provata ripercorrendo così passo dopo passo tutto quello che ci condiziona, che condiziona le nostre scelte, le nostre decisioni, le relazioni e il nostro umore quotidiano.
È fondamentale non mentire, non sentirsi in colpa nei e dei racconti. È importante parlare di tutto, delle rabbie, dei torti subiti, delle offese, delle mancanze, delle paure, dei rimorsi, dei sogni, dei desideri, dei rimpianti, di tutte quelle parole che per troppo tempo non sono state dette all’esterno, ma che si sono moltiplicate dentro soffocandoci, di tutto quello che molto spesso non osiamo raccontare ad alta voce.
Scrivere aiuta ad evitare che quelle sofferenze interne taciute si trasformino in malessere fisico. Permette di mettere in ordine i nostri pensieri, di fare chiarezza, di sciogliere nodi, sgrovigliare matasse, dissolvere sensi di colpa e superare traumi. Ci dà la possibilità di comprenderci a noi stessi, di discernere le scelte sbagliate da quelle giuste.
Scrivere sviscerando e analizzando interamente le nostre esperienze palesa schemi e meccanismi interiorizzati e riproposti nel tempo. Schemi comportamentali che abbiamo appreso nella famiglia di origine e che per modellamento riproponiamo inconsapevolmente nella nostra vita indipendentemente dal nostro atteggiamento nei lori confronti.
Scrivere aiuta a smascherare meccanismi e relazioni familiari che hanno plasmato la rappresentazione mentale di noi stessi e degli altri, regole implicite, valori, senso di identità e appartenenza, ruoli assegnati, copioni familiari che si ripropongono perfettamente nel tempo.
Scrivere aiuta a svelare pessimi copioni di sceneggiature familiari dove ci sono ruoli predefiniti di chi deve fare cosa e quando rispecchiando perfettamente aspettative già stabilite, copioni che prescrivono e dettano legge su come si deve vivere e che causano disagio e sofferenza.
La scrittura, attraverso le parole che scorrono incontrollabili, organizza le idee, i pensieri e le esperienze emozionali dandone un senso. La scrittura ci aiuta a tirare fuori, a non lasciare più spazio alle frustrazioni, ad accettare quello che è stato con la consapevolezza di non poterlo cambiare, ma con la voglia di cambiare la nostra vita senza ulteriori condizionamenti. Mette in risalto ciò che per abitudine siamo stati e ciò che vorremmo essere ma non siamo per paura del cambiamento o dell’opinione e del giudizio altrui.
Scrivere di sé aiuta anche ad accettarsi, perdonarsi e amarsi. È un valido anti stress, una forma di automedicazione e aiuto psicologico. La scrittura aiuta a darci una nuova immagine di noi stessi, proiettata al cambiamento e alla ricerca di autenticità. La scrittura deve essere intesa come un progetto concreto di cura.
Elisabetta Lazazzera
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Tradire
Tradire
Il verbo Tradire, trova origine dal latino tradere, intende il consegnarsi e consiste nel “mettersi nelle mani di, in una nuova realtà o situazione, cambiando e sostituendo l’ oggetto di gratificazione, attraverso un cambiamento di direzione, verso un auto affidamento e in una nuova dimensione, in cui l’ emozione, il significato del senso e l’accoglienza, la fanno da maggiore, esso viene rappresentato come l’ antidoto contro la sofferenza dell’ incomprensione, del controllo dell’ oppressione del dovere .
il verbo tradire, secondo la l’ interpretazione più comune, ha un accezione fondamentalmente moralistica, se volessimo utilizzare una modalità più laica, il tradimento dovremmo considerare come un cambio di direzione.
Secondo l’ accezione popolare e la visione etico sociale, il tradire viene notevolmente perseguito e sentenziato come una forma di ipocrisia e di incoerenza, una fiducia disattesa, un oltraggio alla salute delle persone e alla famiglia, una vigliaccheria verso un impegno ed un contratto; Il tradimento è la messa in scena di un’ auto determinismo e di un’ auto affermazione, si pone come il compromesso tra verità oscurate e sottaciute, da non richiedere il consenso di alcuno; il tradire rappresenta la più estrema forma di auto appartenenza a se stessi, il ritorno a se stessi in cui il soggetto afferma di essere proprio, è il luogo, all’ interno del quale, viene delineato il netto confine di identità tra un io, un tu ed un voi, tra il numero uno e il numero due.
Il tradimento rappresenta la necessità di voler andare oltre il proprio disagio irremovibile, di non voler soccombere all’insuperabile o all’inaccettabile, esso vorrebbe convivere o chiudere un capitolo e per aprire un altro con rinnovate probabili nuove potenzialità, dove, spera un rinnovamento, oltre agli automatismi. Il tradimento è un atto ed un bisogno di verità verso sé stessi.
Il tradimento è la rivendicazione di quel pezzo di vita mancante e sacrificata, l’ altra parte determinante e oscura di sé importante che si impone, che non appariva e c’era, buia e luminosa di se, un detonatore profondo di liberazione dal non senso e dell’assenza, la liberazione dai limiti e dai perimetri, l’illusione di non volere vincoli, il sogno di libertà di poter riprendere il passo nel mondo e di poterlo lasciare; è quel dire mai detto, il voler fare l’ ancora mai fatto, l’ idea che la vita è ancora altro, la vergogna ribaltata di voler continuare ad esistere, è la ribellione al senso unico, all’ uni direzionali ta, l’ imbarazzo preso a pugni, il pudore calpestato, è la spudoratezza contro ì dogmi, l’opposizione ai bui dei paraocchi e delle incomprensioni, è l’ evidenza dell’ opportunità di un altro modo differente di essere, oltre le maschere, è l’ avversione verso le critiche, è il moralismo sbeffeggiato, un fuori strada per cercare la strada. È il me ne frego al perbenismo.
Ogni volta che si cambia direzione o si volta pagina, si cambia uno schema, ci si lascia dietro una situazione, a vantaggio di un’enigmatica sorpresa, il nuovo tradisce sempre ciò che era, lo trasforma, lo modifica, lo supera, lo evolve o lo involve . Per ognuno di noi esiste sempre un divenire, una continua e irrefrenabile metamorfosi che supera e tradisce ciò che eravamo, non siamo mai quelli di prima o di sempre, ogni istante ci cambia e ci evolve, tradisce quello che eravamo. Tutti i cambiamenti che operiamo, sono un tradimento delle situazioni precedenti, crescendo o regredendo cambiano i nostri pensieri e sentimenti e le nostre azioni, cone l’ età, tradisce, ammala o rende saggia la nostra immagine.
Il tradimento è una condizione onnipresente della vita, è una consegna continua al cambiamento e alla verità, è un contrassegno di delusione, e di trasparenza, una dichiarazione d’errore, di guerra e dei consensi altrui, è il senza fronzoli, è la verità sbattuta in faccia, la centratura sul proprio baricentro, la ricerca del proprio asse, è il decidere di non far esistere sempre e soltanto il mondo, è la riappropriazione della centralità di se nell’ universo, la rinuncia al veto, al senso di colpa, al non senso e al vuoto, è la ricerca disperata di ritrovare un significato, l’ aderenza al proprio egoismo ed egocentrismo, il bisogno di non perdersi di vista e di sfuggire al dubbio e all’urlo della solitudine. Il tradimento è un tentativo di sbrogliare una intricata matassa, un compromesso con l’inaccettabile idea di lanciarsi giù dal balcone.
Il tradimento viene raffigurato come tale, prevalentemente da chi lo subisce, chi lo agisce, lo rappresenta come un trascinamento emotivo all’ interno di un’opportunità evolutiva emozionale. Il tradimento è la rappresentazione di un conflitto taciuto o mai ascoltato, del quale entrambi i soggetti sono alla pari esattamente responsabili. sono sempre entrambi a tradiscono, tradito e traditore sono complici ella stessa scena e dello stesso fenomeno, chiusi entrambi in una cecità condivisa. Il tradimento trova sempre impreparati, arriva spesso cone un fulmine a ciel sereno, si espande sul cielo della trascuratezza e dell’ indifferenza, ed accade esattamente sempre quando tutto apparentemente sembra andar bene.
Il tradire rappresenta la luce nel non veduto, il suono del non sentito e del non ascoltato, è la voce del non parlato, è la calligrafia del non redatto, è il percepito, tra il certo ed l’ incerto, fra le righe, esso non rappresenta solo la sorpresa, ma la spiegazione. Quando viene subito, è la morte, chi lo agisce, apprezza viene distratto dalla vita. Ad un potere così doloroso e malefico, si accompagna uno sacrale; demoni e santi convivono su un filo di demarcazione che impone un equilibrismo tra un demone che convive abbracciato ad un santo. Il tradire si frappone tra un sacro e un profano, è il trade union tra la vita e la morte.
Il tradimento reiterato o promiscuo, potrebbe rappresentare una risposta alla sedimentazione di uno stato depressivo profondo e cronicizzato, dove la sessualità rappresenta il sostituto generico di una terapia di antidepressivi. Molto spesso si assiste, dopo un trattamento di psicoterapia, alla scomparsa depressiva e di conseguenza alla modificazione della compulsione del tradire.
Il potere seduttivo del tradimento viene dato dalla sua potenza emozionale sensazionale, in opposizione alle sofferenze di una vita emozionale divenuta piatta . Il tradire è la raffigurazione di un malessere evidente, legato al bisogno drastico ed impossibile di svoltare che ha come scopo il benessere personale.
Per sua natura, se emerge, avrebbe la caratteristica di spettacolarità e di drammaticità; propone uno stravolgimento della progettualità ed un cambiamento di rotta che prospetta e preannuncia laghi di sofferenze.
Il tradire si pone sempre al confine tra slancio, entusiasmo e sofferenza, tra vitalità e lacerazione, essi sono i due poli , le due facce della stessa medaglia.
Il tradire riproduce l’ immagine di un cantiere, di una casa da risanare, una ristrutturazione che prevede demolizioni e stravolgimenti di strutture e tramezzi, divisori, nuovi confini e perimetri, schemi e stili di vita; avvia verso inversione di tendenze, di ri-progettualità, socialmente non condivise e inaccettabili, ma soggettivamente ricercate.
il tradire propone una lotta tra società, convinzioni, convenzioni, valori, dogmi ed individualità, si pone tra eticismo, populismo e bisogni soggettivi profondi. Soggettivamente rappresenta la difesa della propria salute mentale, secondo l’equazione, se non cambio, mi ammalo e soccombo, mi spengo o muoio.
Le normativizzazioni, hanno un carattere inibitorio rispetto al bisogno di emancipazione del singolo, si associano al timore di non poter essere compreso e condiviso, accompagnati dalla paura di destabilizzare il contesto; per questa accezione e per sua natura il tradimento rimane occulto e silente. Rimane potenzialmente nascosto e auto difeso attraverso la menzogna, quest’ ultima rimane quel confine protettivo e prezioso della propria segretezza.
Il tradimento entra in scena nel momento in cui esplode l’ingestibile, i bisogni si contrappongono, non conciliano perché non vengono più condivisi, restano inosservati e violati, la comunicazione diviene un dogma, il dialogo rimane criptato e il decorso insieme si rende avverso e nevrotico come in un governo all’ opposizione, intriso di sole condizioni e regole, di obblighi e comandi, di vergogne e di imbarazzi; il tradimento si pone come quel luogo del riscatto dal ruolo, rivendicando la propria dignità di scelta e della persona, le balbuzie comunicative, divengono il modo del parlare.
Il tradimento rappresenta l’urlo verso la liberazione, che brama una condivisione degli slanci, degli entusiasmi, della complicità , è la sfida lanciata contro il pensionamento della relazione pantofolata, che ha generato il fermo biologico verso l’ estraneità; esso reclama l’esplosione della spontaneità, della naturalezza e della semplicità intima e del desiderio. Tutto ciò che veniva negato viene percepito improvvisamente vivo e disponibile, la negazione, diviene affermazione ed opportunità. Il tradimento si impone come l’emancipazione rispetto ad una relazione cristallizzata, diviene il sogno di una relazione rinata e ritrovata.
Una relazione longeva nasce, cresce e si evolve sulla base di una relazione discreta e sull’assenza del possesso, del giudizio e del controllo, sulla capacità di saper accogliere, promuovere e rispettare le altrui e totali differenze, la relazione di intimità si fonda sul desiderio di voler comunicare in merito a tutto ciò che comunemente non si può dire, nella direzione dell’ indicibile, è il superamento dell’ introversione, contro la presunzione e la scontatezza di voler credere di sapere sempre tutto dell’ altro.
Il tradimento si affranca, discute si pone contro la scontatezza che sopravvive nella consuetudine routinaria della relazione, ridotta a regolamenti societari automatizzati, ad agenzia di servizi, dove i sentimenti vpassano su un secondo piano, vengono calpestati, ignorati e logorati all’ interno di una robotizzazione della relazione.
La relazione tradita è la sede nella quale fa’ da padrone una lista di dubbi e di rancori mai chiariti, tutto ciò che è rimasto taciuto e mai espresso e non curato. La sommatoria e la nomenclatura dei conflitti e dei cechi rancori mai risolti, risultano essere, già già di per se, dei tradimenti e rappresentano le loro basi, costruiscono la sede della loro memoria, sono i loro precursori, che fanno della relazione, una relazione organizzata, come in una azienda equivalente alla presenza di “colleghi” di famiglia.
Nella coppia, l’eutanasia dei sentimenti viene favorita dalla rigidità dei ruoli e dall’incapacità di mettersi in gioco ed in discussione, nel senso più stretto dell’ espressione. L’irrigidimento dei ruoli, si insidia ed incide negativamente sul pavimento dei sentimenti più di quanto si possa pensare. Ma chi lo decide se un ruolo è più o meno rigido o insidioso ?
Di sicuro, un osservatore specialistico esterno, può rappresentare lo strumento utile di voi tale osservazione, per l’eventuale recupero di un equilibrio di coppia.
L’apparente sicurezza di un soggetto, viene espressa dalle sue forme di opposizioni, rappresentarle, il più delle volte, come vere e proprie dittature, molto lontane dalle apparenti sicurezze, sono invece delle fragilità per il sol fatto di non mostrare alcun dubbio per la difficoltà di vedere conflitti.
Il senso del dolore dato dall’oppressione, rende indolore il tradimento, attenua, e alle volte esclude, ogni forma di timore e di senso di colpa; il tradire si pone come una forza immane, onnipotente e misteriosa, mai vista e considerata prima, dove il suo potere distruttivo non viene per nulla percepito, perché viene reso lucido dalle rabbie, per le aggressività, le violenze per i valichi subiti, il tradire rappresenta un urlo al diritto di esistere, che esclude ogni forma di scrupolo.
Attraverso il tradire su elabora e si impara un nuovo codice di sopravvivenza e di vita, quello della difesa e dell’ ombra, come una confort zone, una terra promessa, il territorio della salvezza e del riscatto, della resurrezione del se. Il comportamento del tradimento rappresenta tanta roba, non è solo una fuga, merita studio, assenza di giudizio e notevoli approfondimenti, esso è molto più di ciò che semplicemente appare, rappresenta un riscatto, è la propria area ecologica e protetta difesa dagli sguardi indiscreti , considerata salubre e salutare, dalla quale attingere le proprie esaurite energie; in realtà nel tradire, non si nascondono gli scheletri nell’ armadio, ma si evincono i propri margini di vita, rispetto ai margini della perdita del senso di se.
Il tradimento può diventare rieducativo, da riportare alla coppia, attraverso la consapevolezza che la vita non può essere recisa tra piaceri e doveri, ma la funzionalità di una relazione viene data dalla fusione di entrambi, senza che venga lasciato l’una a vantaggio dell’ altra. Piaceri, rispetto e doveri, devono restare fusi, coesistere insieme. Il tradimento deriva dalla loro frantumazione e scissione.
La rinuncia al piacere, alle complicità ludiche nella relazione, la rinuncia alle leggerezze e alle spontaneità della vita e la supremazia dei doveri, sono i segnali di un tradimento alle porte. Esso rappresenta il compromesso con l’ipocrisia. Tra verità e finzione, esso paradossalmente tiene insieme la coppia, si pone come una forma di patteggiamento. Per quanto il tradimento possa essere superficialmente giudicato come una forma di ambivalenza, rappresenta un anti sabotaggio della coppia e il suo anti dolorifico.
Tra il tacito e l’inammissibile, il tradimento è alla base di un conflitto intra psichico lacerante, da non poter trattenere a lungo termine il suo dolore e il controllo della situazione, da generare un processo graduale di cedimento psicofisico difficilmente a lungo sostenibile
.Ma perché il mondo è prevalentemente proteso contro il tradimento ? Ognuno aspira al diritto di un’unità relazionale autentica e senza fine. Si dimentica o non si considera che l’ unità di coppia per realizzarsi o per reggere, necessita di attenzioni a largo raggio sia al singolo che alla coppia. La coppia che assorbe il singolo, degenera. Tutti sono propensi verso l’ idea di una unità eterna, senza fine, ognuno aspira e la difende, ma la distrazione dai bisogni del singolo, rappresenta il suo declino. La coppia che si confonde e si identifica col solo noi, è a rischio elevato di tradimento, rispetto al mantenere in considerazione dell’ esistenza di un io e di un tu.
L’ ideale dei sentimenti devono cedere il passo e fare i conti con la realtà, quest’ultima è fatta di scoperte di diversità, di incomprensioni, di difficoltà tutte da esternare, da non buttare alle spalle. Considerare tutto ciò, è guardare in avanti, verso soluzioni e migliori stabilità.
L’ assioma fondamentale drl tradimento, è che esso non è mai fine a se stesso o a senso unico, ma è sempre partecipato, nella coppia ne hanno esattamente responsabilità entrambi e alla pari. Hanno inoltre entrambi un desiderio profondo e reciproco di liberazione dall’ inganno, ed è una dichiarazione di guerra e di chiarezza, è il bisogno d’ accensione dei motori dalla stasi.
Nel tradimento è inesorabile, la disperazione richiama sempre la passione, il dolore richiama il piacere, il desiderio. La vita senza la passione rappresenta il trionfo del Thanatos, della morte, il superamento della supremazia e della sottomissione al destino. L’Eros è un continuo lottatore del non senso e della fine, a vantaggio dell’ istinto di vita, rappresenta l’ esorcismo contro l’alienazione del mal di esistere. Il desiderio continuo di guardarsi attorno rappresenta lo spostamento verso la pulsione di vita. Il desiderio guarda la vita, la dove non non viene percepita.
Un altro aspetto sorprendente inconsciamente è che gli amanti rappresentano gli ammortizzatori dei conflitti della coppia tradita. Essi Rappresentano il rilancio, l’ energia e la cura per la stessa, sono i traghettatori, i salvatori, i benefattori della coppia.
La coppia tradita, su questa modalità non si separa mai, a maggior ragione se il tradimento viene realizzato tra persone, entrambe, in crisi di coppia. Tali relazioni extra, posseggono un potenziale di relazione a lungo termine. La situazione si fa altamente repellente e alle volte straziante, se l’ amante è single e se realizza di costituire il trade d’ union della coppia.
Se resistono ancora i sentimenti, il tradimento può servire paradossalmente da rilancio e da supporto, tale che può essere superato, se si decide di vedere attraverso quel dialogo inizialmente scomparso, può crearsi una riapertura alla relazione. Il tradimento, stravolge e cambia l’ esistente, gira tutte le carte in tavola. Chi si chiude alla verità, si chiude alla realtà, sospende la partita di una storia.
Tradire è andare oltre le prospettive depauperate, è traghettare oltre i propri limiti e confini, oltre la fatica di sentirsi idioti ed inutili, è il sapere che si può vivere meglio e si può vivere peggio per un tempo, è la lotta contro la stanchezza del dover rinunciare ai continui stimoli Vitali, è la vita che può continuare, è la speranza per una vita migliore, è il contrario del procrastinare e della rinuncia, è la voglia di non voler morire ancora.
Quando non c’è via di scampo da un reiterati conflitto di coppia, c’è la malattia, da una condizione mentale impossibile si va verso uno scarico di tensioni psicosomatiche; il tradimento, in tal senso, diviene un valore per la salute, rappresenta la fuga dalle tensioni che la coppia ha generato, e si pone come una fittizia soluzione, una coercizione ed un rilancio a modificare lo stile di vita. La relazione tradita può essere risanata, ripartendo dall’ impossibile al probabile, li dove altri finiscono il loro percorso, lo si può riprendere ancora più slanciati, nel caso in cui i sentimenti lo consentano.
Per altre accezioni, possiamo dire che la vita, di suo, ci tradisce di continuo, ne dispensa di continui, allor quando, ad esempio, cambia i nostri progetti e le nostre prospettive. Il suo naturale divenire, di per se, è un tradimento, perché ci stravolge i percorsi, ponendo noi e il nostro passato continuamente alle spalle, con un presente totalmente differente. La vita ci fa cambiare pensieri, idee, stili di vita, gesti, scelte, ci promette e ci toglie, ci consente di tradire una visione precedente a vantaggio di una successiva contraddittoria; la vita ci tradisce, in virtù delle nostre evoluzioni o involuzioni. Il tradimento è uno scambio di prospettive, un ricambio ed un riciclo di schemi continui, con queste mescolanze veniamo richiamati ripetutamente ad adattarci. Il tradire rappresenta il centro tra uno step by step. Ogni step successivo è sempre differente da quello precedente e ne rappresenta il suo superamento e tradimento.
Il tradimento se trattato in analisi, può non essere una tragedia, ma un’occasione di crescita, un richiamo ad una relazione nuova rinnovabile, non bugiarda ma virtuosa, un rilancio da un incontro che era fondato sull’ assenza e le manchevolezze, verso una relazione consapevole e trasparente, sincera, serena, emozionale e rinnovata nei sentimenti.
giorgio burdi
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Mi Faccio Una Canna
Mi Faccio Una Canna
La cannabis è una pianta conosciuta anche come marijuana o canapa. La sua sostanza attiva principale è il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), che ha effetti psicotropi sul cervello e sul sistema nervoso centrale. Sebbene la cannabis sia usata a scopo medico e ricreativo in molte parti del mondo, l’uso a lungo termine può causare una serie di effetti collaterali degenerativi sulla salute.
Effetti a breve termine:
L’uso di cannabis a breve termine può causare una serie di effetti collaterali, tra cui:
- Alterazione delle capacità cognitive: la cannabis può compromettere la memoria, l’attenzione e la capacità di risolvere problemi.
- Cambiamenti del comportamento: l’uso di cannabis può causare forte nichilismo, acuta auto svalutazione, abbattimento cronico dell’ autostima, psicoastenia con relativa forte spossatezza, debolezza psico fisica, cambiamenti dell’umore, riduzione della motivazione, aumento acuto delle paranoie, aumento della inadeguatezza e disadattamento relazionale, insorgenza degli attacchi di panico assenza della progettualità e diminuzione della capacità di coordinazione, isolamento sociale, socio patia; prevalentemente viene utilizzata per combattere le ansie, ma diviene la causa della sua insorgenza. In psicoterapia, le ansie rappresentano i sintomi più importanti per risalire alle loro cause. Le ansie vanno curate, non drogate. Drogare le ansie, inizialmente rilassa, immediatamente acuisce, degenera e rinforza il malessere.
- Effetti fisici: la cannabis può causare arrossamento degli occhi, aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, secchezza delle fauci e vertigini.
Effetti a lungo termine:
L’uso prolungato di cannabis può causare una serie di effetti collaterali a lungo termine, tra cui:
- Problemi respiratori: fumare cannabis può irritare i polmoni e causare bronchiti croniche, tosse e produzione di espettorato. Ciò può aumentare il rischio di malattie polmonari croniche come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO).
- Problemi psicologici: l’uso di cannabis può aumentare il rischio di problemi psicologici come la schizofrenia, soprattutto nelle persone che hanno una predisposizione genetica alla malattia.
- Problemi cognitivi: l’uso a lungo termine di cannabis può compromettere la memoria a lungo termine, l’apprendimento e la capacità di pensare in modo chiaro e logico.
- Dipendenza: l’uso prolungato di cannabis può causare dipendenza psicologica e fisica. Quando una persona smette di usare cannabis dopo averne fatto uso regolare per un lungo periodo, possono insorgere sintomi di astinenza come irritabilità, ansia, insonnia e perdita di appetito.
- Impatto sulla fertilità: l’uso di cannabis può ridurre la fertilità sia negli uomini che nelle donne. Nelle donne, l’uso di cannabis può interferire con il ciclo mestruale e ridurre la produzione di ovuli. Negli uomini, può causare una riduzione della produzione di sperma e alterare la motilità degli spermatozoi.
Gli effetti collaterali della cannabis possono variare in base alla dose, alla frequenza e al modo di assunzione. Ad esempio, l’inalazione del fumo di cannabis può avere un impatto maggiore sui polmoni rispetto all’assunzione di cannabis tramite alimenti o bevande.
L’effetto della cannabis sulla salute mentale è stato oggetto di molte ricerche. L’uso regolare di cannabis può aumentare il rischio di disturbi psicologici come la depressione, l’ansia e la psicosi.
L’uso di cannabis durante la gravidanza può avere effetti negativi sullo sviluppo del feto. La cannabis può attraversare la placenta e raggiungere il feto, causando effetti sulla salute fisica e mentale del bambino. L’uso di cannabis durante l’allattamento può anche influire sulla salute del bambino, poiché il THC può essere presente nel latte materno.
L’uso di cannabis può influire anche sulla guida e sulla sicurezza stradale.
L’effetto psicotropo della cannabis può compromettere la capacità di guidare in modo sicuro, aumentando il rischio di incidenti stradali.
L’abuso di cannabis può portare a un aumento della tolleranza alla sostanza, rendendo necessaria una dose sempre maggiore per ottenere lo stesso effetto. L’astinenza dalla cannabis può causare sintomi come irritabilità, ansia, insonnia e perdita di appetito.
Sebbene ci siano usi medici della cannabis, come nel trattamento di alcune malattie come l’epilessia, è importante valutare i rischi e i benefici dell’uso della sostanza. Usata in poche condizioni in modo terapeutico, facilmente genera l’ alibi e la falsa illusione che essa potrebbe comunque sempre avere effetti terapeutici Le persone che desiderano utilizzare la cannabis per scopi medici dovrebbero consultare un medico per valutare i rischi e i benefici dell’uso della sostanza e valutare la possibilità di utilizzare altre opzioni terapeutiche.
Conclusioni:
L’uso di cannabis può causare una serie di effetti collaterali a breve e lungo termine sulla salute fisica e mentale. Sebbene la cannabis sia usata a scopo medico in alcune circostanze, l’uso ricreativo eccessivo può causare una serie di problemi di salute. Le persone che desiderano utilizzare la cannabis per scopi medici dovrebbero consultare un medico per valutare i rischi e i benefici dell’uso della sostanza e valutare la possibilità di utilizzare altre opzioni terapeutiche.
giorgio burdi
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VINTAGE
VINTAGE
Noi siamo vintage, diversamente anime, genialità e sregolatezza, ordinati, sobri ed essenziali, quelli delle linearità, dalle forme armoniche, irregolari, ma utili, fresche e colorate; siamo quelli che hanno osato, danziamo da i classici ai figli dei fiori, tra ghirlande, bouquet e papaveri, siamo bucolici, da trattoria, da feste nelle masserie con la pizzica e la taranta, siamo quelli del tango e della febbre del sabato sera o quelli che odiano la discoteca, siamo quelli del riordino, che fanno spazzatura del vecchio e l’ antico lo fanno meglio del nuovo.
Siamo quelli della gavetta, ai quali non è mai stato regalato nulla, quelli che si fanno il culo, quelli dalla colazione col pane e pomodoro e un filo di sale e coratino e un calice quattordici di Troia nero, invece del latte. Siamo quelli che hanno rotto il salvadanaio, non avevano soldi ma non disperavano mai. Siamo quelli che ascoltano Debussy, Pink Floid e Dire Strait, De Andrè e De Gregori. noi siamo quelli di Santana, Samba Pa Ti e country blues e di Lucio, Dalla e Battisti, che hanno fatto inventato la radio libera effe emme, le bands e suonato la chitarra in spiaggia proprio dentro ai falò.
Saltiamo da una tavolozza di colori, amiamo il blu perché va oltre i confini, dipingiamo granai, campi di grano, praterie con staccionate tutte da saltare, a noi, non fanno paura gli ostacoli. Non usiamo valigie, ma zaini a spalla; siamo minimal, timidi ma intraprendenti, odiamo il consumismo, non portiamo griffe, il brand è solo per il nostro nome, ci piace fare tutto ciò in cui crediamo; ci ritrovi ancora nei mercati americani, ma non siamo poveracci, ma ci sentiamo sempre adolescenti.
Siamo raffinati, abbiamo sempre il sorriso ed un libro nelle tasche, abbiamo tanti abiti, ma per comodità usiamo sempre gli stessi; amiamo i missionari, i francescani e i buddisti, tutti quelli che per davvero aiutano il prossimo, siamo naturalisti ed ecologisti, viaggiamo su una R4 col cambio sul cruscotto, preferiamo borghi e le strade di campagna. Ci piace essere leggeri e superficiali, perché siamo molto profondi. Per ogni problema abbiamo mille soluzioni e lottiamo contro il pessimismo di chi ha l’ alibi di non voler far nulla, di chi ha sempre mille problemi per ogni soluzione.
Siamo progressisti, ci piace l’ uomo sulla luna e crediamo negli ufo, siamo cresciuti col bianco e nero, due soli canali ed un telecomando che faceva tic tac; abbiamo inventato internet, per abbattere le distanze, proliferato radio, tanta musica e la Tv con i colori, amiamo la cabina con i gettoni e ci scordiamo a casa il cellulare, ci accontentiamo anche solo di respirare, siamo quelli che facciamo il vino in casa, comprano i pani per spillare la birra, sereni e di viaggiare sotto il vento, col sole sulla pelle, camminare sotto la pioggia, siamo quelli che guardiamo sempre l’ orizzonte, oltre chi pone inutili confini.
Ci sposiamo sulla sabbia, facciamo l’amore discreti sotto le stelle, ci piace parlare ed ascoltare di persona, odiamo le chat se non per necessità e per lavoro; siamo affamati di parole mai ascoltate, di tutto ciò che è indicibile ma vero. Noi siamo figli dei partigiani, quelli coraggiosi, con le palle, senza pretese, che non hanno peli sulla lingua, quelli per i quali non c’era mai tempo perché lavoravano sempre, ma eccoci, siamo qui, ci siamo cresciuti e siamo riusciti bene, siamo i sindacalisti dei torti subiti, che garantiamo ancora la libertà pagata dai nostri padri.
Ci piace spezzare e dividere il pane, darci entrambe le mani e dove ci sono trenta fa lo stesso con trentuno, ci piace essere umili e farci prendere in giro e anche se abbiamo tanto, ci piace vivere di poco, come se ci bastasse solo il cuore che ci batte; non ci montiamo mai la testa e non ci sentiamo mai a posto o arrivati, perché siamo sempre curiosi di sapere e le cose più intense, sono ancora tutte da sapere, non ci facciamo comprare da chi poi si vende, ci piace la chiarezza e sia molto diretti, siamo quelli del vivi e lascia vivere, non ci piacciono i consigli e non li sappiamo nemmeno dare, perché ognuno è intelligente per sapere dove andare. E se l’ amico è ventennale, dorme spesso a casa nostra, siamo sempre banchettari, dove ognuno porta il suo,
ci piace metter tavola e spesso c’è sempre un estraneo, un fratello extracomunitario senza famiglia ma che ha trovato casa, che si trova già a proprio agio per brindare, ridere e scherzare. E quando sul portone, tutti pronti per partire, con con una Prinz, la 127 o l’ Alfa Sud che per frenarla serviva un cuneo al disotti sotto dei pneumatici, per andare a funghi; che gioia ritrovarsi, per poi tornare a casa, per una frittura una spaghettata, o cento pizze al mare nel forno a legna, per parlare di politica, pettegolezzi, musica, e in silenzio raccontare di problemi personali o giocare a carte.
Noi vintage, amiamo la vita, odiamo i litigi e tanto meno le guerre ignoranti, ci droghiamo e ci facciamo solo di noi stessi, siamo matti di noi, siamo folli ed originali, odiamo ogni tipo di sostanza che ci toglie la voglia della danza, magari ci godiamo una Molinari con la mosca, un sigaro toscano o una Malboro, mentre studiamo, dopo un caffè psicologico o in piazza mentre chiacchieriamo con chi ci va.
Fanatici dei Ray Ban, delle scarpette bianche Superga, jeans e camicia bianca, beviamo alla stessa bottiglia, mangiamo la caramella che è caduta per terra, perché gli anticorpi, noi da bambini li abbiamo fatti sulla strada. Parliamo col barbone, col presidente della repubblica e l’ operatore ecologico, diamo il fazzoletto se il passante piange nel treno dei pendolari e se ci chiedono l’elemosina, la stringiamo senza timori nelle loro mani, parliamo con tutti o nel tram a chi incrociamo negli occhi.
Noi vintage siamo quelli che non creano distanze, che non si montano mai la testa, non dimenticano mai le origini, che ringraziano ma si emancipano da esse e gli restano devoti, non ci dimenticano mai che le radici sono sempre nel fango e che siamo tutti strani ed esseri umani e siamo in grado di parlare con il buono di ognuno, vogliamo essere ingenui, facciamo finta di niente, facciamo sempre lo stesso errore, quello di fidarci di tutti e facciamo molta fatica a diffidare, siamo incorreggibili, ma nessuno ci toglie mai dalla testa una scusa, quella di credere che il mondo può sempre essere migliore se guardato, come da noi, con occhi diversi.
Noi vintage abbiamo pochi valori, tutti gli altri perbenismi li abbiamo cestinati, ragioniamo con la nostra testa e tanto più col cuore, non siamo severi, ne intransigenti, siamo laici e moderati, diventiamo impertinenti e ci disgusta il fanatismo e gli estremismi, siamo sempre illusi che la bontà e l’amore vincerà sempre, perché la vita è trafficata da opere d’ arte ed ognuno ha un suo talento ed un posto per permettere di migliorare la qualità di vita di tanti. Per chi ancora non lo sa, noi vintage, lasciamo il meglio di tutto ciò che tutti noi siamo.
giorgio burdi
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Incesto Affettivo
Quando in una relazione interpersonale di amicizia, amore, genitore-figlio…una persona dipende completamente dall’altra o entrambe hanno dipendenza reciproca, in psicologia si parla di simbiosi, termine di origine greca, da Symbiosis che significa convivenza.
La simbiosi è caratterizzata da un comportamento di stretta dipendenza; è una forma di pensiero che si instaura sin dall’infanzia a causa di un disfunzionale rapporto con il genitore, prevalentemente la madre, e di una mancata differenziazione del sé.
È opportuno distinguere forme sane di simbiosi, da altre patologiche. Sicuramente il rapporto genitore-bambino in cui quest’ultimo necessita della presenza e dell’aiuto del genitore per sviluppare risorse personali che progressivamente lo renderanno autonomo e indipendente, è una forma di simbiosi sana.
Si consideri che il bambino è dipendente dal proprio genitore nei primi anni di vita, da lui dipendono i suoi bisogni primari e il suo benessere generale. A partire dall’adolescenza, invece, vi è una graduale scissione del rapporto di dipendenza in quanto si cerca la propria individualità e il proprio vero essere, si prende consapevolezza di essere diverso dagli altri.
Tuttavia, i bambini che durante l’infanzia non hanno soddisfatto alcuni bisogni, cercheranno in età adulta di soddisfarli instaurando relazioni simbiotiche che ripropongono il rapporto genitore-figlio. Questo accade perché gran parte degli individui, cerca in maniera inconscia, situazioni uguali a quelle di cui ha fatto esperienza, che già conosce e che molto spesso considera e ritiene le uniche possibili.
Diversi studi sulla simbiosi e sull’attaccamento dimostrano che una sana relazione simbiotica tra madre e figlio oltre ad essere fondamentale per la sopravvivenza del bambino lo è anche per il suo sviluppo emotivo e psicologico, affinché si senta sicuro di sé anche in assenza del genitore.
Bambini che hanno avuto genitori iperprotettivi, per esempio, si sentiranno sempre insicuri e dipendenti da qualcun altro. Instaureranno in età adulta relazioni simbiotiche confidando nell’altro e affidando all’altro la loro salvezza, perdendo la propria individualità e svalutando così inconsapevolmente le loro risorse e capacità di persona adulta.
In età adulta, dunque, la simbiosi è molto spesso alimentata dal bisogno di appagare personalità immature che svalutano e non riconoscono il proprio potenziale.
Il rapporto simbiotico genitore-figlio, normale e indispensabile durante l’infanzia, risulta invece insano e patologico quando non si ridimensiona con il tempo, manca l’individualità e prevale il mancato confine tra le due parti.
Capita molto spesso che genitori insoddisfatti e non in grado di ricoprire appieno il ruolo genitoriale, facciano ricadere sul figlio/a aspettative e proiezioni a tal punto da vederlo/a come un partner.
In questi casi l’affetto inappropriato, associare il figlio/aa un adulto al pari, esponendolo a confidenze e comportamenti inadeguati al ruolo, è paragonabile ad un incesto affettivo.
Si tratta di genitori narcisisti, immaturi, morbosi e patologici. Il copione è sempre lo stesso: una madre o un padre insoddisfatti del partner e che attribuisce al figlio/a il ruolo di sostituto.
Venendo meno una vita di coppia significativa, i genitori investono il loro potenziale emotivo e affettivo sul figlio/a creando un coinvolgimento. L’amore dato da questi genitori è egoistico, nasconde bisogni d’amore frustrati. Tutto deve essere conforme alle loro attese, ai loro modelli ideali, diversamente subentra la delusione che innesca il senso di colpa e di inadeguatezza nei figli.
Una madre che vive un incesto affettivo con il figlio non gli permetterà di fare esperienze e sperimentare, tenderà a farlo sentire incapace per poter, a sua volta, sentirsi sempre indispensabile.
Sarà invadente anche se il figlio creerà una propria famiglia e non gli permetterà di creare confini perché vorrà continuare a detenere il potere. Cercherà di manipolare e condizionare le sue scelte. Rinfaccerà i suoi sacrifici se non corrisponderanno a completa dedizione e gratificazione.
Un padre, invece, che riconosce la relazione affettiva con la figlia più intima di quella con la moglie, interferirà negativamente nello sviluppo affettivo e nella personalità della figlia che svilupperà un legame morboso e possessivo verso il padre anche in età adulta, rendendo difficile l’instaurarsi di una relazione equilibrata con il partner e di una sana sessualità.
In una relazione simbiotica malsana vi è una fusione completa di una parte o entrambe, il concetto di unione e del NOI domina e cancella l’IO. Relazioni di questo tipo sono disfunzionali e tossiche ancor più quando è solo una delle parti a subire la dipendenza dell’altro penalizzando la propria individualità, autonomia e realizzazione.
Colui che vive una relazione simbiotica irrisolta ha grosse difficoltà ad accettare l’allontanamento dell’altro o la separazione, prova un dolore insopportabile se ciò accade e questo a volte comporta comportamenti inadeguati o pericolosi per sé stessi e gli altri.
Se il distacco dal genitore non avviene in età adulta, questa forma di attaccamento e resistenza ad un’identità integrata e autonoma, diventa patologica e verrà inevitabilmente trasferita anche all’interno di altre relazioni instaurando simbiosi negative caratterizzate da dipendenza morbosa tanto da pensare di non poter vivere senza l’altro.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

L’ Elogio del Fallimento
L’ Elogio del Fallimento
&
l’ Assioma dell’ Errore
Non puoi guardare l’ orizzonte,
se non attraverso gli ostacoli.
Fallisce, non chi non vince, ma chi evita di perdere e di sbagliare e chi non regge all’ errore. (gb)
Tutti abbiamo bisogno di conoscenze , temiamo il fallimento e di non riuscire a cavarcela mai fino in fondo. Il fallire dipende molto dalla mancanza di adeguate informazioni, dall’ assenza di nuove conoscenze e da strategie di nuove soluzioni. Non si possono pretendere differenti risposte con relativi cambiamenti nutrendosi di identiche informazioni.
Per non fallire è necessario riuscire a spostare il proprio punto di vista, essere elastici nel pensiero e percorrere nuove strade, nuovi territori conoscitivi con nuovi orientamenti.
Chi non sa o non vuole acquisire nuovi dati, o chi semplicemente fa finta di sapere già tutto, vive da svantaggiato, è bloccato sul suo start, ai margini di un parcheggio, non parte mai, vive nel pressappochismo, vive da mediocre, è a rischio di sbandamento, è prigioniero dei suoi dogmi, dei quali ignora l’ esistenza. Egli ha l impressione di ragionare, ma ragiona solo , è soltanto pensieroso, intrappolato nei suoi schemi, già fallibile, disadattato e a breve deluso, perché vede e non sente ciò che è più grande della sua ragionevolezza, la sua elevata ed assoluta sensibilità.
La norma e la regola comune sono quelle di conoscere, imparare e di riuscire, ma anche la libertà di poter sbagliare. Chi sbaglia, non conosce, e chi non sbaglia mai, non vuole sapere, è rigido, fa fatica a raccogliere nuove esperienze o a concedersele, non progredisce perché ignora quantità elevate di differenti punti di vista. Chi conosce, trasgredisce alla tradizione e alla consuetudine e chi erra, è un ribelle del fanatismo. Si veda oggi nelle notizie del giorno, il governo dell’ Afghanistan, ha vietato alle donne la frequenza universitaria. Il non sapere consolida la tradizione, ovvero l’ idiozia, il crimine.
Chi non sbaglia mai, è statico, noioso ed un annoiato, severo con se e con gli altri, è un bigotto moralista, abita la caverna degli stereotipi, da fanatico è arroccato nei suoi dogmi, è un conformista, anti evoluzionista, nemico del progressismo.
Il progressista, invece, si nutre di errori, tra uno step e l’ altro è consapevole che la norma è poter collassare contro il limite, inciamparci dentro. Egli fa del suo successo, la certezza assoluta di aver sbagliato tanto ed essersi nutrito molto spesso dell’ amaro degli errori, e che la sua vita non è stata affatto per niente facile .
Solo chi cammina prende scivoloni ed inciampa nelle buche. Chi si infossa, si imbratta e si infanga, ha la certezza di camminare. Chi sta fermo non sbaglia mai, perché evita i problemi, l’ errore è fatto da chi si afferma, da chi affronta la vita, di petto, chi invece evita di sporcarsi le mani, come per lavare i piatti, evita di pulire e vivere il quotidiano. Domandati se hai mai lavato i piatti ! Si può brillare se si ha il coraggio di mettere le mani nello sporco, per toccare e rimuovere le incrostazioni e i cattivi odori. Ogni cosa ordinata parte attraverso la rimozione di un caos, di un disordine; un problema è un disordine, una incrostazione, un cattivo odore.
Si pensi al caos prodotto da una ristrutturazione di una casa o ad una bozza di un testo, che trova la sua origine in frullati di pensieri e di parole inizialmente tutte apparentemente inconcludenti e sconclusionate.
Chi è sereno col tema del fallire, vive meglio, dà per certo che l’ incontro con gli inciampi e con le ricadute, sono del tutto normali, anzi esse rappresentano una opportunità di rilancio. Quale pretesa possiamo avanzare, non conoscendo un territorio, di non sbagliare strada ? Se ciò accade non può lasciarci stupiti.
Vivere è errare. L’ errore è vitale ed inevitabile, perché senza di esso la vita non può evolversi su nuove prospettive, è una “conditio sine qua non”, volere o nolente, è sempre inevitabile e irremovibile questa condizione di fatto, anzi essa è una certezza. L’ errore è il nostro complice, è il nostro compagno di viaggio, timido e fidato, se lo guardi negli occhi e non lo schivi, ti sorride e ti dice, stai zitto, lo sappiamo io e te, hai fatto una calzata, non lo diciamo a nessuno. L’ errore poi si rivelerà, in seguito sempre, l’ ingrediente fondamentale di qualsiasi apprendimento.
Non si può pretendere che un piccolo bambino , eccitato dai suoi primi passi, non debba cadere o farsi male, piangere, rialzarsi e sorridere desideroso subito dopo di camminare e magari di ricadere ancora come per gioco.
Una partita di calcio sarebbe noiosa e inimmaginabile senza cadute ed infortuni, essa è fatta di ripetuti falli, di capitomboli ed incidenti, non per essi viene sospesa o non si gioca la partita.
Prendere la vita come un gioco ci rende convincenti e tenaci nel da fare e nel rialzarci,, questa modalità lascia intravedere il fallimento come una occasione per sfidare le avversioni e continuare la sfida.
La sommatoria di irrinunciabili e ripetute ricadute, rende perfettibili, predispone ad una maggiore stabilita, ma anche ad altri nuovi errori e a nuovi progressi. Errori, instabilità sicurezza, stabilità, sono in circolo, non finiscono mai nel ciclo della vita.
L’ errore è un fondamentale ed un assioma, esso è il cardine delle scienze esatte, che procedono attraverso un percorso irto di ostacoli e di perdite di tempi apparenti, per approdare raramente ad un sospirato finale risultato relativo, che riapre ad altre ricerche costituite da altri inciampi ed errori.
Sapere che questo confronto on i limiti è del tutto normale, acquieta, non scoraggia, perché a vita è questa, è fatta così, è come saper prendere il vento per galoppare l’ onda, sotto la corrente, seguire la sua scia, cadendo e ricadendo, per poi risalirla. La prima vittoria alla quale veniamo chiamati, è rialzarsi.
Il fallimento impone sempre di guardare oltre. Esso non ci sarebbe se non ci fosse una meta ben precisa da raggiungere. Ogni fallimento presuppone la presenza di una meta non soddisfatta. Ma, eccezionalmente, esiste alla base sempre una motivazione verso un progetto o un bisogno di auto realizzazione, la fatica nel superare il fallimento, dovrà far affidamento continuamente su questa motivazione verso una metà.
Non dovremmo essere sorpresi dal fallimento. Paradossalmente dovremmo ricercarlo, perché esso forgia, matura all’ oltrepassare i limiti dell’ instabilità e delle incertezze. Sarebbe una pretesa fuori luogo dover riuscire in una impresa, ai primi tentativi, saremmo già degli esperti o dei santoni.
Ci stabilizziamo e cresciamo, errore dopo errore, in tal senso, ogni fallimento sarebbe un successo, perché la direzione è quella del progresso personale ed ogni progresso possiede un regresso, un andare indietro per tornare avanti.
Il fallimento ha una caratteristica eccitatoria, è carico di delusioni, tentennamenti, rabbia e conquiste, esso può rappresentare uno stimolo, una forza propulsiva di caparbietà, una sfida contro l’ ovvio, verso la realizzazione della propria idea.
Chi molla dinanzi al fallimento, spera, sì muove in modo passivo, si adopera a casaccio o per tentativi, chi invece fallisce, convinto di riprendere, si arrabbia, si ostina e ci riprova, batte i pugni, diviene più forte, avanza a trotto, bada a temperarli, crede e si impegna su ciò che vuole realizzare, sulla potenza della sua abilità palestrata.
Il fallito, ha la rabbia e pertanto la grinta tutta dalla sua parte. Chi invece spera, fallisce prima, parte male, col piede sbagliato, inciampa di sicuro, è demotivato, la sua iniziativa tentenna, è titubante e frenato, barcolla, parte da perdente; chi crede, fallisce bene e vince prima con la sua ostinatezza, parte determinato, col passo deciso e felpato, avanza, cade e si rimette in perpendicolare, riparte convinto che sarà dura, ma il suo coraggio, è in corsa verso la meta.
Ogni fallimento, determina una sollecitazione alla lotta, contro le minacce e le intemperie e di tutto ciò che è avverso ed oppositivo; è avversario del decadentismo e dell’ accidia e del lasciarsi andare. Il fallimento ha la voce del “non c’è la faccio”, è la risposta spiacevole all’ invidioso e al competitivo, a chi complotta ed è arrogante.
Il fallimento pone un continuo confronto con la paura di sbagliare e di fare cattive figure , di essere giudicati, ma si può vivere sbagliando, che sbagliare di non vivere, senza provarci. il non provare è dettato dal ripensamento, è la messa a folle della vita, la mancanza di azione, è resistere alla tentazione di lanciarsi andare verso la novità, è pensarci a lungo in un immobilismo che non agirà mai alcun tentativo o cambiamento.
Chi fallisce e riprova ancora, è già vittorioso rispetto a chi molla, sperimenta di se, sia il limite, ma nello stesso momento il suo superamento.
Spostarsi dal fallimento al tentativo di volerci riprovare, fa tutta la differenza, rispetto a chi vive in pausa; egli è superiore, all’ interno della sua debolezza, opera un salto enorme di qualità, di coraggio e di follia, chi fa il passaggio dal fallimento all’ azione, snobba tutti, perché il fallito è convinto di non avere più bisogno dei consensi altrui, così fallito, riparte da solo e per questo è già un vincente, perché non dovrà dare conto più a nessuno, non subirà le loro apprensioni o le loro invidie, sarà in grado di modificare il proprio destino, perché si troverà finalmente di fronte a se stesso, più concentrato che mai e meno distratto dagli altri, in un contro corrente.
L’ inizio di qualsiasi percorso è sempre accompagnato dal caos, da confusioni ed equivoci, da un presente relativo tutto contraddittorio. Il nuovo, è un concentrato ed un contenitore di impurità, di sbagli ed imperfezioni, è un mistero sconcertante, ma affascinante, disorienta e lascia riflessivi, fintanto che il nuovo non viene inquadrato, resta approssimativo rappresenta il nulla, ma, da li a poco, potrebbe svelare un grande meraviglioso tesoro, perché il fallimento è come una miniera fatta tutta da dettiti che celano chili di oro.
Per questo è bello fallire. Invece delirio di onnipotenza, il presuntuoso che non vuole fallire, è perfezionista, ha già tutta la pretesa di essere tuttologo e di luccicare, ma difatti, non possiede nulla, perché solo la passione determina la resistenza nella fatica e alla lotta che permettono di sfondare e di vincere.
In tale prospettiva, chi fallisce e non si meraviglia o non si scoraggia di ciò, procede, cresce, perché consolida dal fallimento la propria identità. Imparare con umiltà a fallire serve a ricordarci che siamo tutti umani, da poter diventare un po più saggi, esperti e colti. Chi evita di fallire, perde, perché evita e schiva i problemi, chi lo persegue, lotta per se e per una società migliore.
Qualsiasi situazione che procede per il verso facile e per la pappa pronta, che non conosce sforzi, ne audacia , ha l’ opportunità di non farcela e di finire la sua corsa. Non potrà mai esserci una vittoria col vincere facile, senza una strada stretta e tortuosa, irta di ostacoli, di dossi, buche, dirupi e lotte, cadute e ricadute, che facciano da braccio di ferro con la vita; senza la lotta non si da senso a nulla, non c’è gusto a vincere, tutto perde di valore e di significato. Chi regge al fallimento, ha la vita già vinta.
giorgio burdi
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L’ Imbruttitore
L’ Imbruttitore
” ..magici calzari alati, un elmo che poteva renderlo invisibile e uno scudo riflettente. Cosi’ equipaggiato Perseo volo’ verso la dimora di Medusa, “
malvagia creatura che con serpenti al posto dei capelli, aveva il potere di impietrire tutti coloro che incrociavano il suo sguardo.
L’imbruttitore è la versione moderna di Medusa. Chiunque entra in contatto con lui viene pietrificato: diviene incapace di muoversi e di avanzare, diviene la peggiore versione di se.
Incantatore dall’intelletto perverso, l’imbruttitore dispensa alla sua amata mattoni di memoria (le illusioni) e realtà di pietra (le sue sofferenze): Illusioni e sofferenze sono zavorre grigie e rigide.
È lui stesso immobile ed immutabile, relegato all’idea del “come dovrebbe essere secondo me…”. A chi entra nel suo giardino è permesso solo di zigzagare tra i suoi presunti miracolismi e le sue convinzioni altrettanto statuarie, come le materie che dispensa.
Già pietrificatore del tempo, prosegue la sua opera catapultandoti in una dura e pesante realtà di ansie che tutto crolli, a cui secondi sono le attese e i silenzi. La sua testa di serpi racchiude certamente un combattente buono e ali per volare, ma sono imprigionati.
Davanti alle sue modalità si sperimenta tutta la fragilità del propio sguardo, che ha come unica strategia di volo l’indossare quell’elemo che rende inconsistente il proprio sè, già radicato e complice, e di guardare in altra direzione: dentro se stessi, nella stanza degli specchi.
Così.. tanto perché continuo ad incontrarlo per strada e mi verrebbe da menarlo
valeria carofiglio
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