Autoerotismo femminile e tabù
Sebbene la sessualità sia sempre meno un tabù e si ha più libertà di parlare di diverse sfaccettature e orientamenti che prima rimanevano nell’ombra, ancora oggi parlare di autoerotismo femminile resta un argomento ostico.
Per lungo tempo, falsi miti e credenze hanno visto la masturbazione protagonista nel pensiero sociale di diverse realtà quale pratica esclusivamente maschile per soddisfare un bisogno fisiologico o per soccombere alla mancanza di relazioni sessuali di coppia.
Molti pregiudizi hanno ritenuto volgare l’accostamento donna-piacere sessuale, considerando l’autoerotismo femminile una forma di peccato per il corpo e per l’anima. La donna è sempre stata considerata oggetto sessuale passivo, poteva ricevere piacere dal proprio partner, ma non poteva procurarsi piacere da sola.
A lungo l’autoerotismo è stato stigmatizzato da diverse ideologie religiose. Con l’avvento del Cristianesimo l’autoerotismo femminile fu considerato un peccato contro natura. Paradossalmente in Epoca Vittoriana, i medici iniziarono a curare l’isteria con la stimolazione del clitoride nonostante la masturbazione fosse considerata causa di malattie mentali.
Anche attualmente non mancano tabù in merito. Già nell’infanzia c’è una forma di discriminazione nella sessualità maschile e femminile.
Si pensi agli adulti che ritengono normale e fisiologico quando i maschietti si toccano i propri genitali, associano questo gesto alla scoperta del corpo; al contrario se sono le femminucce a farlo, le rimproverano e accusano di un comportamento “sporco”. Ciò sviluppa nelle bambine, durante la crescita, il senso di colpa e di vergogna che le accompagnerà nelle diverse fasi della vita.
La donna, dunque, sin da bambina ha sempre vissuto la conoscenza del proprio corpo e il raggiungimento del piacere con la masturbazione, con sensi di colpa anziché in modo spontaneo come dovrebbe essere.
Questo lo si evince anche perché i maschi già nella prima adolescenza parlano liberamente in gruppo delle dimensioni dei lori genitali e delle loro fantasie sessuali, mentre le femmine tra loro non affrontano questi argomenti perché provano imbarazzo.
Nello scenario comune, dunque, la masturbazione maschile viene accettata, riconosciuta come fase fisiologica, tappa evolutiva associata prevalentemente all’adolescente che diventa adulto.
Anche per l’uomo adulto l’autoerotismo viene considerato normale, mentre per la donna è un piacere celato, nascosto molto spesso per problemi culturali.
È un piacere non accettato, a volte anche dalle stesse donne, molte delle quali non lo praticano perché associano la sessualità esclusivamente alla presenza di un partner, e in assenza rinunciano senza considerare che la sessualità può essere appagante anche senza la presenza di un’altra persona.
Altre volte, invece, le donne non ammettano di praticare autoerotismo per un senso di pudore. È una pratica intima di cui non vogliono parlare apertamente. Ancora oggi, molte donne provano vergogna e imbarazzo nel parlare della propria sessualità.
È noto, infatti, che molti disturbi della sfera sessuale come il vaginismo, l’anorgasmia e la mancanza di desiderio sono la conseguenza di chiusura verso l’autoerotismo e la conoscenza del proprio corpo, spesso a causa di un’educazione sessuale rigida improntata sul pudore e sulla vergogna.
In realtà, chi pratica autoerotismo non ha nulla di cui vergognarsi, è un aspetto sano e naturale della sessualità, sia per l’uomo che per la donna.
La sessualità è la massima espressione dell’energia vitale e l’autoerotismo è un aspetto molto importante della sessualità, ha risvolti positivi personali e nel rapporto con il partner, per questo non andrebbe trascurato.
Così come è importante vivere la sessualità a qualsiasi età, l’autoerotismo dovrebbe essere praticato a qualsiasi età. La conoscenza del proprio corpo, del linguaggio del corpo, la risposta agli stimoli esterni, non sono competenze innate, ma si raggiungono nel tempo solo attraverso la pratica e l’esperienza.
A differenza che per gli uomini, per le donne l’autoerotismo non è solo un atto fisiologico. La donna che pratica autoerotismo trae numerosi benefici sia fisiologici che psicologici, vive una sensazione di benessere diffuso. Per la donna l’autoerotismo è un gesto di amore e cura verso sé stessa.
Con la masturbazione la donna familiarizza con il proprio corpo, sperimenta le zone erogene, impara a conosce meglio il proprio corpo, le proprie fantasie più nascoste, a sentirsi sessualmente appagata a prescindere dal partner.
L’autoerotismo deve essere considerato dalla donna come spazio di intimità personale piacevole e appagante e non come mera alternativa alla mancanza di un uomo.
L’autoerotismo femminile è un diritto al piacere alimentato da fantasie sessuali, pensieri liberi e non censurati; è come fare l’amore con sé stessa, coccolarsi, rilassarsi, godere.
Si riscontra come la donna che pratica autoerotismo si evolvi personalmente e potenzi l’autodeterminazione sessuale; praticare autoerotismo è fondamentale per una crescita psicosessuale armoniosa.
L’autoerotismo porta benessere psichico e fisico, è una pratica che non va assolutamente interrotta anche se si ha una relazione di coppia. A volte, però, questa pratica non viene ben accettata dal partner perché erroneamente associata all’idea di mancata soddisfazione e gratificazione sessuale.
Le donne che praticano autoerotismo non vuol dire che non abbiano un partner che le soddisfi sessualmente. Così come l’autoerotismo può essere un ausilio, un sostituto o una fuga dalla vita di coppia non soddisfacente, esso può tranquillamente coesistere nella vita di una donna senza nulla togliere alla vita di coppia, anzi è un valore aggiunto. La donna che pratica la masturbazione in modo regolare, impara a conoscere cosa le provoca piacere e lo condivide con il partner.
L’autoerotismo non deve essere considerato un atto esclusivamente solitario, anzi porta numerosi vantaggi nella coppia come l’aumento di complicità ed erotismo.
Al pari di un rapporto sessuale, l’autoerotismo permette di raggiungere l’orgasmo; ne consegue il rilascio di diversi neurotrasmettitori al cervello, tra questi l’ossitocina utile a ridurre i livelli di cortisolo, ha un effetto calmante e favorisce il rilassamento, e la dopamina responsabile del piacere.
L’orgasmo può essere considerato un rimedio naturale, un antidolorifico naturale perché rilascia endorfine conosciute come ormoni del benessere, le stesse sostanze prodotte quando si fa sport, riducono lo stress e contribuiscono al benessere psicofisico.
Nelle donne che praticano regolarmente autoerotismo vi è un aumento dell’intensità della propria libido, maggiore scioltezza e disinvoltura durante i rapporti sessuali, una maggiore consapevolezza e maturazione sessuale grazie alla conoscenza delle proprie reazioni all’eccitazione e al piacere.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso
Studio BURDI
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la Poli a riguardo del tema,
vedi il video qui sotto
Erotismo femminile (parte 2)
ContinuaVERGOGNA ED IMBARAZZO
I freni al Tuo Big Bang
L’imbarazzo e la vergogna sono il peggior nemico dell’ espressione profonda di se, la cristallizzazione della naturalezza e della spontaneità, l’ altra faccia della medaglia della rigidità, amica delle corazze caratteriali, una tendinite dell’ anima, la negazione della bellezza. Sono le pasticche dei freni della vitalità e dell’ emancipazione dai luoghi comuni populisti.
Un bambino, per imbarazzo e vergogna è costretto a vivere dietro alle grate della propria ovattata prigionia dorata educativa, essa pone il confine frustrante tra mondo interiore, prospettive e il mondo sociale dei piaceri e dei giochi , irraggiungibile e pericoloso agli occhi dei suoi fobici adulti .
Un bambino che non gioca, fa il bambino adultizzato che da adulto farà l’ adulto Peter Pan. Un bambino imbarazzato è timoroso del mondo, violato nei suoi capricci, taciuto dalle diffidenze adulte, percosso e umiliato dai loro complessi, abbandona il contatto con se stesso e con la socialità diffidata.
Senza il contatto con la propria pelle non c’è vitalità , si delega sul contatto altrui. La propria pelle diventa la pelle degli altri, certi di esistere solo se gli altri ci sono. Questa modalità genera la frustrante paura per la solitudine e la frustrante persecutoria paura che gli altri abbandonino, tale da fomentare quella odiosa dipendenza affettiva delirante .
La pelle rappresenta il confine contenitivo e delimitante tra la nostra entità e il mondo. La pelle pone il confine tra l’ anima e la profanazione dell’ indiscrezione dell’ invadenza. Ogni parola azione rimbalza sulla pelle se non edifica, passa attraverso di essa se promuove e comprende, se la oltrepassa come una lancia, viola e traumatizza.
La prossemica è quella distanza metrica naturale che ci impone di tutelarci dalle altrui invadenze e di accorciarle quando c’è accoglienza.
Il progetto di approdare alla propria pelle, a Se Stessi, riordina l ‘ assetto verso l’ auto appartenenza, nemica della dipendenza affettiva.
La fobia che gli altri siano abbandonici, innesca un vissuto di irraggiungibilità di relazioni stabili, che fagocita nella rabbia, che il mondo sia ostico e squilibrante, tale da desiderarne la distanza. È la paura che gli altri abbandonino a condizionare gli altri ad abbandonare per l’ incertezza che suscita la paura .
O rimaniamo soli e odiamo il mondo, o impariamo a toccarci e a recuperare il contatto con se per sentirci e percepirci presenti a noi stessi e al mondo. L’ assenza del contatto con se, con il piacere di se e attraverso con la propria auto realizzazione, genera l’ assenza e la distanza dagli altri.
Se qualcuno ci ha violati, toccati, nostro malgrado, viviamo la perdita del confine, la violazione di quel preciso sacro confine esistente tra noi e il mondo. Si annida nella memoria la macchia da voler mantenere la distanza è il distacco da tutto per effetto della generalizzazione.
In analisi sradichiamo le loro mani dalla nostra memoria, certe parti di se che non venivano più considerate, riprendono a far parte di noi come legittimi proprietari . ci riconciliamo con noi stessi e con quegli altri che non c’entrano, condannando il solo violatore che ha profanato noi stessi.
Il recupero della propria pelle è il recupero della propria integra identità che si chiama persona e lo sradicamento e lo scollamento delle mani, dalla memoria, del demone dalla nostra pelle, è lo sradicamento delle loro mani, come delle metastasi dalla propria vita partendo dalla propria memoria, che rimane circoscritta in quel tragico ricordo deprivato dei ponti verso il presente. Questo è un modo metodologico per procedere al recupero del senso della propria integrità e del proprio benessere .
Nei casi di abusi sessuali la vera violenza non è determinata solo dall atto in se, ma dal radicamento dell’ esperienza traumatica, come metastasi immobilizzante la quotidianità.
La memoria del trauma viene percepita non come la memoria del passato, ma onnipresente nel qui ed ora, come un cancro di adesso.
La vitalità esiste innanzitutto nel contatto con se stessi e non con le aspettative altrui, attraverso le loro opinioni c’è l’ incertezza di vivere perché non sono le propria con la conseguente paura di essere sempre sbagliati, tentennanti come funamboli sul filo della vita.
Madre natura ci ha dotati di due gambe e due piedi per essere stabili e camminare su noi stessi, ma facciamo di tutto per camminare con i piedi e stare sulle gambe degli altri, vediamo con i loro occhi e con i loro valori non curanti del valore di noi stessi.
giorgio burdi
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Reazioni di Sissi
Diario, 1 novembre 2021
Sento le spalle chiudere il torace mentre mi guardi, mentre parli e mi chiedi qualcosa. Sono io che chiudo il fiore della mia anima con tutti i petali che conosco perché temo che a guardarlo se ne scorgano le sbavature.
Mi guardi, mi trafori, vuoi prendermi l’anima, gustarla fino a sputarla come se fossi il primo goccio di vino guasto. Tutto questo tempo a correre sui binari, sempre e solo binari, come recinti innevati dove raccogliere sogni e respiri; binari che per me sono la vittoria di sapermi al mio posto, nel posto che il mondo ha accettato di concedermi, un posto a cui mi sono solo adeguata e che non ho scelto.
Ed è sotto queste sembianze rattrappite, incolte, senza venature, che allungo il collo, lascio che il naso esplori oltre gli aromi e mi bevo i colori del mondo. Così brillanti, vispi, vivaci, veri.
E le profondità io le vedo, proprio perché mi sono negate, o forse qualcosa in me è portato a vederle. Quante crepe, quanta lava in questo corpo recinto dai binari della solitudine, da quei nodi rimasti incagliati nelle ancore di barche mai partite.
Ma com’è possibile che la solitudine sia tanto affollata? E sono sempre a chiedermi se il mondo si accorga che le orme che lascio sono orme di mostro, che ho la responsabilità di tutti i miei limiti, che sono un fascio fallito di emozioni belle e che mi chiedo quanto povera sia questa mia anima se non conosce amore, se non conosce carezze.
Quanto è difficile la gentilezza dell’intimo contatto per me. Se la immagino, quasi mi nausea. Eppure la sento in un posto remoto di me, un posto sigillato dall’esperienza di anni di sacrificio segreto e stratificato. Nel contatto mi pare esserci sempre un grido d’aiuto che io non ho energie per offrire. E lo sento sulla pelle quel grido: l’altro diventa lo sventurato che s’aggrappa alle pendici del burrone per non cadere.
Sono io quelle pendici e dell’altro mi rimane la disperazione, gli occhi gonfi di buio e terrore, mentre rimango solida per non farlo cadere. Ma la verità è che a furia d’essere solida mi son saputa friabile e son caduta io nel vuoto non sapendomi aggrappare all’aria, non volendomi aggrappare affatto.
Se ruoto gli occhi nel mio petto, so che esiste un altro tipo di contatto. Eccole, le vedo se chiudo gli occhi: sono due mani tiepide che s’accarezzano, due corpi che emanano calore e profumi a furia di baci infiniti, fiori dischiusi, brividi che scuotono anni e istanti, a seguire lo spartito del cuore che accelera per pompare più sangue, a far vibrare la pelle e il sesso con cerchi concentrici di piacere così simili a quell’acqua che si espande in cerchi sotto il tocco e l’ingresso di un sasso.
Come mi sento simile all’oracolo Cassandra nell’amarezza di sapere con gli occhi interiori questa vasta meravigliosa verità e contemporaneamente come sono simile a chi l’ascoltava nel non vederla fuori io stessa.
Da qui, come un marchio purulento, la vergogna d’essere me, d’essere i miei anni, d’essere la mia storia, di sentirmi il fallimento della naturalezza umana.
Fra questi binari, a sera, sospiro, m’accarezzo e m’asciugo leguance intiepidite dalle lacrime. Il calore che sento me lo dono come la promessa d’essere per me una mano d’intima gentilezza.
Sissi
Continua