LA DIPENDENZA AFFETTIVA
“La dipendenza affettiva presenta una terribile limitazione, l’incapacità di essere davvero felice, arginata solo da un rimedio: l’altro.”
Dire basta alla dipendenza affettiva. Imparare a credere in se stessi- Marie-Chantal Deetjens.
LA DIPENDENZA AFFETTIVA
La paura del vuoto e una crepa nel processo dell’ identificazione personale
La dipendenza affettiva, in inglese love addiction, rimanda ad una tipologia di relazione che può essere definita disfunzionale e disturbata. Questa, infatti, si distingue per una situazione di svantaggio del dipendente e da un rapporto “a senso unico”, in particolar modo per colui che sviluppa la dipendenza.
Chi soffre di dipendenza affettiva si sente inadeguato e non degno di amore e vive costantemente con il terrore di abbandono.
È noto come nei rapporti amorosi vi sia la prima fase di “idillio”, la fase di amore romantico, costituita da estrema felicità, passione, euforia e idealizzazione del partner. Durante questa fase alcuni autori (Aron, Brown, Fisher, Xu), hanno individuato in alcuni individui la presenza di sintomi caratteristici dei disturbi di dipendenza, tra cui euforia, desiderio, tolleranza, dipendenze emotiva e fisica, ritiro e ricaduta.
Quando le connotazioni più dipendenti diventano prerogative e necessità assolute, vi è la possibilità di cadere nel versante più disfunzionale del rapporto, quale la dipendenza affettiva patologica.
Il rischio di maturare una dipendenza affettiva, infatti, deriva dalla capacità di entrambi i soggetti di riconoscere la propria individualità e rispettarsi come individui separati.
È utile notare che, in lingua inglese, il termine addiction richiama una condizione generale in cui la dipendenza psicologica esorta alla ricerca dell’oggetto di interesse, senza il quale la vita mancasse di valore.
Il soggetto dipendente si basa su una profonda paura dell’abbandono e fa qualunque cosa per evitarlo, oltre ad una condizione di vuoto emotivo interno che cerca di compensare. Nonostante provino sentimenti negativi come tristezza, disperazione e insicurezza, la loro intensa paura della rottura contagia il legame emotivo, rendendoli vulnerabili, patologici e deleteri. La paura della rottura è tale che rimangono in relazioni che causano loro disagio, sacrificando i propri desideri e bisogni e portando al deterioramento della loro qualità di vita.
La dipendenza affettiva si presenta, quindi, come un modello disadattivo della relazione che determinata una condizione di angoscia clinicamente significativa e deterioramento. La mancanza della persona amata può essere sovrapponibile ai sintomi tipici dell’astinenza da sostanze: ansia, irritabilità, rigidità, sensazione di vuoto e la lacerante ricerca dell’altro (craving). Allo stesso modo lo sviluppo della dipendenza si può caratterizzare da ripetute deprivazioni o rotture del rapporto. Come nella dipendenza da sostanze però, la negazione non fa altro che aumentare il desiderio e quindi aumentare drasticamente lo sviluppo della dipendenza. Così, il dipendente è alla continua ricerca della relazione, nonostante l’esistenza di problemi creati dalla stessa.
Freud parlava di coazione a ripetere, ovvero la tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze. Così, la persona dipendente ricerca inconsciamente un partner che possiede già tutte quelle caratteristiche che la porteranno a soffrire. Anche nel caso di rottura il soggetto andrà a cercare una nuova relazione in cui metterà in atto le stesse dinamiche.
Nella costruzione dei rapporti affettivi, quindi, un elemento fondamentale è la formazione dell’immagine di sé a partire dai processi di separazione e individuazione, che sfociano in quello di “identificazione personale”.
A tal proposito è possibile far riferimento alla piramide dei bisogni di Maslow (1954) che inserisce al quarto e al quinto posto i bisogni di appartenenza ed autostima.
La scarsa autostima spinge il soggetto dipendente a leggere la scarsa disponibilità del partner non come informazione sull’altro, ma come un’errata visione di sé (“non mi ama perché io non vado bene”).
La dipendenza affettiva nasce prima dell’inizio del rapporto di coppia. Questa, affonda le sue radici nel rapporto genitoriale durante l’infanzia. La qualità dei rapporti primari, infatti, determina la strutturazione dei legami futuri, in particolar modo in riferimento agli stili di attaccamento.
Chi da adulto sfocia in una dipendenza affettiva, quando era bambino ha ricevuto continui messaggi da parte dei propri genitori di non essere degno di amore né di attenzioni. Spesso sono stati dei bambini che, per essere accettati si sono trovati a dover dimostrare sempre qualcosa, imparando che l’unico modo per essere amati è quello di sacrificarsi ed annullarsi per l’altro.
È l’esempio di una paziente che, nonostante abbia chiesto aiuto per la propria dipendenza affettiva dal partner, durante una seduta di gruppo si presenta descrivendo anche il complesso rapporto genitoriale; la pressione di questi, la conseguente sensazione di inadeguatezza e la continua sensazione di dover dimostrare e raggiungere un obiettivo per la soddisfazione di tali.
L’elevata ansia per l’abbandono, un alto desiderio di vicinanza, intimità, impegno e preoccupazione ossessiva, veicolano la differenza tra l’attaccamento ad una persona e la dipendenza i quali, sembrano avere un confine molto sottile.
È stato dimostrato come il tipo di attaccamento influenzi l’espressione funzionale o disfunzionale della rabbia. A tal proposito, le persone che hanno maturato un attaccamento preoccupato, predominante nella dipendenza emotiva, sono inclini a provare maggiore rabbia e l’impossibilità di regolamentarla.
“La rabbia ha una cattiva reputazione, è spesso associata a violenza e aggressività ma anche questa emozione può avere risvolti positivi. La rabbia può essere canalizzata per far rispettare i propri diritti e apportare cambiamenti intorno a noi”.
A seguito di un rispecchiamento nel corso della seduta di gruppo, un paziente, che può vantare ad oggi di un grande percorso di cambiamento, racconta di come la presa di consapevolezza e l’espressione della rabbia prima repressa sia stata un punto importante nel proprio percorso.
Questa carica emotiva, diventa funzionale e fondamentale nella tutela dei propri limiti e bisogni, e si struttura come difesa del proprio valore personale.
Al contrario, è possibile osservare come nei soggetti incapaci di amare se stessi esprimono un tipo di rabbia “disfunzionale”.
Dunque, la riflessione conseguente alla presenza di una dipendenza, affettiva e non, si orienta alla ricerca delle motivazioni profonde ed intrinseche (piuttosto che alla sola soluzione) che spingono il dipendente a relazioni deleterie e disfunzionali. È come se la persona avesse imparato a recitare solo e sempre lo stesso copione: per cambiare bisogna arricchirne le trame ed i personaggi.
Francesca Scalera
laureata in psicologia clinica e della riabilitazione – Tirocinante Presso lo Studio BURDI
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IO MI FACCIO DI ME
Dedicato a tutti coloro che si fanno di Se. Alle radici dell’ autodeterminiamo .
Il nostro sistema nervoso, in condizioni di regolarità, è una industria farmacologica e ormonale interminabile di prodotti naturali.
In condizioni di salute e di tranquillità con noi e con l’ ambiente circostante, per effetto omeostatico, produciamo ormoni del benessere a rilascio lento e continuo in modo equilibrato ed esponenziale, tale da stabilire una bilancia tra un io reattivo e il fuori.
Gli stressor interni – le preoccupazioni – e quegli esterni – i conflitti in genere – hanno la facoltà non solo di abbassare o far oscillare l’ umore, ma hanno effetti immuno depressivi.
In condizione di serenità e di tranquillità psico fisica generiamo quella magica condizione di piacevolezza e serenità omeostatica, produttrice degli ormoni della vita.
Abbiamo bisogno di tutelare la nostra serenità mentale e la nostra salute corporea.
Nella donna gli ormoni della vita, ad esempio, sono legati prevalentemente all’ovaio che secerne estrogeni, progesterone e pochi ormoni androgeni maschili, mentre i suoi surreni producono ormoni Dhea e altri androgeni trasformati attraverso il tessuto adiposo.
La donna possiede tre sorgenti di vitalità importanti, quali le ovaie, i surreni e il tessuto adiposo. Un buon contenuto di grasso corporeo ha una funzione vitale antidepressiva. Da qui la popolare espressione che la donna magra sarebbe triste.
Nell’ uomo, gli ormoni della vita, sono legati a quelli sessuali, in particolare al testosterone che è l’ ormone più raporesentativo degli androgeni. Una maggiore vita sessuale, come una regolare attività fisica, maggiorano più ormoni della vita.
Le gonadotropine che sono gli ormoni ipofisari , denominati con le sigle FSH e LH, sono in grado di regolare il funzionamento del testicolo, responsabile a catena della produzione del testosterone.
Estrogeni, testosterone, endorfine, catecolamine, sono tutti gli ormoni del piacere, e della pulsione di vita, prodotti da chi è reattivo, alla cerca di interessi, di stimoli passionali e curiosità, fortemente in sintonia con se stesso, desideroso di esplorare il mondo intorno a se.
L’ assenza di tutto ciò sarebbe alla base delle dipendenze globali, che avrebbero una funzione compensativa, relativa alla bassa produzione ormonale naturale, atte nel far apprezzare e delegare alle ‘ sostanze ‘ fuori, il benessere producibile dentro, tutto di proprio.
Vivere verso una tale direzione, rappresenta la massima autodeterminazione ed autorealizzazione, rappresenta la stima e la fiducia in se.
giorgio burdi
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