Transfert
Transfert
Il termine transfert, trasferire, si riferisce a quel meccanismo emotivo relazionale, attraverso il quale, una nuova persona, viene designata ed insignita dell’ effige, per una relazione seria ed “ideale” . Solitamente del transfert non si possiede la consapevolezza di come l’ altro verrebbe investito di questo ruolo, nel quale il soggetto verrebbe immaginato; il transfert, contrariamente a quanto si possa pensare, può essere utilizzato a vantaggio di una potentissima terapia, qualora la consapevolezza porti a distinguere la rappresentazione del soggetto, con la persona reale.
Il transfert, nello specifico, rappresenta il trasferimento delle sensazioni e del desiderio erotico su un nuovo soggetto, percepito come speciale ed interessante e si pone attraverso una percezione involontaria. Esso viene percepito, come un bisogno liberatorio, atto a tirarsi fuori da un attaccamento malsano, attraverso l’ istinto fantasioso di provare piacere per un nuovo soggetto e rappresenta un tentativo per divincolarsi da una relazione patologica.
Nelle dipendenze affettive, si è alle prese con una lotta di pensieri e preoccupazioni che si dimenano tra il desiderio di voler modificare il soggetto persecutore e il bisogno di liberazione da esso. Nel transfert, il nuovo soggetto viene rappresentato nella sua perfezione, rispetto al disastro che si possiede.
Il transfert rappresenta la liberazione e la speranza che esistano persone differenti rispetto a quelle presenti. Questa speranza inizia a spianare una prospettiva liberatoria dalla dipendenza.
Le relazioni ideali del transfert sono relazioni immaginative, mentalizzate, la psicologia psico dinamica le chiama, relazioni oggettuali. Una dipendenza affettiva, si pone come in un continuo conflitto tra ciò che si immagina dell’ altro e la realtà dei fatti inaccettabili. È una follia, che psichiatrizza, voler lottare per tenere in vita i due parametri immodificabili, l’ immagine e la tremenda verità.
La fatica nel risolversi, da una situazione di questo genere, diviene un circolo vizioso, fintanto che si resta imprigionati in questo tranello, tra relazione presente e relazione oggettuale ideale immaginale, fintanto che esse rimangono confuse. La nostra mente confonde il desiderio antico di un bisogno non soddisfatto, con la realtà presente frustrata.
Il transfert, è un meccanismo difensivo protettivo, esso giunge come un 118 di richiesta di aiuto verso un soggetto di interesse emotivo più elevato, rispetto alla personale condizione di vita, compassionevole e comprensivo e rappresenta la speranza verso la propria terra promessa.
L’ uscita da una dipendenza affettiva disfunzionale, può avvenire dalla decisione di intricarsi emotivamente all’ interno del transfert. L’ “intrico”, in realtà non rappresenta la nascita di una nuova relazione, ma il solo tentativo di uscita dalla relazione deleteria. Se l’ intrico venisse concordato, durante un transfert, con tutta chiarezza e consapevolezza, quasi come un “contratto”, genererebbe un respiro, una percezione di autonomia e di libertà, nel diritto incondizionato di essere se stessi.
Il dato più sorprendente della dipendenza affettiva, viene dato dal fatto che da essa, il più delle volte, non si vuole uscire. Voler risolvere una dipendenza affettiva è come imbattersi in un lutto, un lutto e la fine di un progetto di un sogno, del quale diviene faticoso riconoscerne il fallimento. Questo mancato riconoscimento, ulteriormente, annichilisce e sfianca il soggetto dipendente che resta condannato e imprigionato alla propria condizione. Sarebbe opportuno imparare ad accettare la realtà, soffrirla e magari, aiutati dal transfert, realizzare che il resto del mondo è più affascinante e totalmente differente rispetto a quello sofferto.
La liberazione dalla dipendenza affettiva genera paura. Crea disorientamento e terrore. Ogni distacco, anche quello più patologico, genera sdoppiamento e disorientamento. La frustrazione si dimena tra bisogno e timore del distacco.
Ma chi lo ha detto che affrontare un distacco, debba essere necessariamente preceduto da una sofferenza ? Il dolore è solo mentalizzazione, viene pensato e pertanto sofferta, esso è una ipotesi, richiamato dai timori, che richiama la memoria di un passato di sofferenze, è immaginativo e ciò accade quando si cade nel tranello di attribuire al soggetto di dipendenza, un potere liberatorio dal dolore e dall’ angoscia.
Concedersi ad un transfert, rappresenta il tradire quel potere, è rendersi conto, di li a poco, che tutto potrebbe essere diverso, da quell’ istante inizia ad esistere una nuova prospettiva, l’ opportunità di poter superare il malefico e di sostituire, un oggetto “buono”, con quello “cattivo”. Il transfert rappresenta l’ oggetto relazionale buono per cambiare la direzione, per riprendersi il diritto a ciò che è scomparso, il diritto al proprio benessere.
Il contrario della dipendenza affettiva, è l’ autonomia e l’ auto gratificazione. In questa direzione, vogliamo attribuire, una enorme importanza alla funzione dell’ auto erotismo, come una delle primaria oasi della privacy, di autonomia e di auto realizzazione verso il piacere di se. Esso rappresenta quel luogo di riserva – affettiva, attraverso il quale viene determinato l’ incontro amoroso verso se stessi. La personalità dipendente, attende invece le gratificazioni esclusivamente dall’ esterno, mai da se, ma esclusivamente dall’ altro.
In tale direzione, Il passaggio verso l’ autonomia, diventa difficoltoso, per via dell’ incapacità di perseguire l’ auto gratificazione. Ciò riporta nella dimensione antica del mancato svezzamento di una madre che non ha educato il figlio a procurarsi il piacere in autonomia.
Nello svezzamento c’è il primo esordio dell’ autonomia, nel momento in cui il bambino inizia a prendere il cucchiaio, inizia a non aver più bisogno della mamma. In qualsiasi dipendenza affettiva, la mamma non è mai stata in grado di mettersi da parte, o è rimasta invadente, invalidante con la sua onnipresenza o ancor più, assente;
nell’ auto erotismo,invece, prende forma il primordiale inizio della autonomia, esso si affaccia nella vita del soggetto, già nei suoi primissimi anni di vita, che Freud individua all’ interno della terza fase fallica dello sviluppo psico sessuale, definita fase onanistica auto erotica ; durante l’ uto erotismo la mamma viene blindata fuori dalla propria mente, dalla propria vita, il bambino proclama la sua supremazia, anche se rimane aperta, chiude la porta ad ella e al al mond; l’ auto erotismo rappresenta la palestra verso il riservarsi e l’ indipendenza, verso la ribellione dell’ adolescenza, ove gratificare è bastare a se stesso, ed è decisamente migliore rispetto all’ attesa dei tempi di gratificazione degli altri.
Il passaggio verso lo svezzamento, è molto complesso. trova un muro, una resistenza moralistico – educativa familiare, che chiederà un passaggio di consegne da dagli altri a se stessi, tale da dover tradire “la madre” , il mondo, a vantaggio del proprio primato.
L’ auto erotismo, attraverso l’ oggetto del transfert, si pone come una funzione fondamentale , che tradisce la patologia della dipendenza. Esso rappresenta il ritorno alla propria patria, al potere di auto determinarsi. O predomina l’ Eros attraverso l’ auto erotismo supportato da un transfert, come quel luogo mentale dove accade l’ ideazione , il sognare relazioni slanciate ed autonome, o si lamenta il Thanatos, una vita in prigione, senza il diritto di essere amati, chiusi nelle paure e nell’ isolamento, ossessionati dalle fobie per le malattie
Una dipendenza affettiva, non viene mai superata, se convive con essa un moralismo imperante e la paura per il giudizio sociale per una nuova relazione. Ciò è superabile solo nel concetto di piacere.
Chi ha paura di vivere, è vittima della sua disistima. non tralascia il suo apparente equilibrio; chi è dipendente, desidera solo una persona tutta di un pezzo e per sé, un suo costante punto di appoggio, una fermata su un passo carrabile, tutto ciò che è sanzionabile ma distrugge una relazione; chi si concede alla vita è acquisisce elasticità, fluisce e si stupisce per il nuovo, impara a non farsi sconcertare, è potente per la sua autorevolezza , ha carattere ed è audace.
Le relazioni centrate su l’ indipendenza, le rendono longeve, perché ognuno, rimane imperniato sul proprio talento. È necessario relazionare con personalità che energizzino i vicendevoli talenti, piuttosto che invidiarli, tali da generare relazioni intense, creative e profonde.
In conclusione un transfert, l’ auto realizzazione e l’ autoerotismo, possono rappresentare un vantaggio verso l’ emancipazione di se, possono essere un viaggio o una vacanza anche a tempo determinato, tali da determinare una rimessa su strada, una ripresa del motore, un modo per uscire dall’ isolamento dello svezzamento e poter riprendere la propria vita tra le dita.
Quando arriva questa unica e rara occasione, viviti e goditi il transfert, in totale consapevolezza, stipula un contratto di minima, è la tua occasione, attraverso esplosive, dignitose e rispettose emozioni, è il tuo momento fatale, il tuo ancoraggio, per ritornare a te stesso, il tuo defibrillatore che ti riporta in vita, per stupirti che il battito in te ancora esiste, credere che è ancora possibile ballare, gioire e respirare, che esiste ancora il tuo sogno, che tutto è nuovo e diverso, che c’è ancora motivo di vita, lascia andare il vecchiume, apri la serratura, lascia esplodere le tue sensazioni, apprezzerai quanto è meraviglioso poter perdere l’ affezione al tuo carceriere che sottomette la tua dignità e che la vita esiste ancora ed è tutt’ altro, tanto il transfert trova il tempo che trova, è tutta una scusa, una sola occasione che la mente trova inconsciamente per aggrapparsi e tornare a vivere. Quando ti capita, chiedi, vuoi essere il mio transfert ? Perchè il transfert lo ami e ti fa sentire amata . È solo un gesto di profonda , naturale ed amorevole umanità, per liberarsi dal disumano e tornare ad amarsi.
giorgio burdi
ContinuaL’ Umiliazione della Dipendenza Affettiva
L’umiliazione della dipendenza affettiva
Amare è il valore esponenziale più elevato ed imponente che possiamo vivere e condividere, è il verbo onnipresente più sentito ed agito, reso a volte ridicolo e coniugato nel mondo. Esso ci pone in una modalità ed una forma di eccellenza relazionale, nulla avrebbe senso senza l’ amore umano.
Ma in ogni caso e per diverso genere, necessita del suo equilibrio. A pranzo non consumiamo due grammi o un chilo di pasta a testa o non sorseggiamo in un calice due gocce di nero del Salento o una damigiana ! Ogni cosa possiede il giusto valore se nella giusta misura e perde di qualità nella poca o eccessiva quantità.
L’ amore rappresenta una trappola se è fuori misura. l’ amore donato o corrisposto diviene una galera se è troppo poco o se è esasperato, diventa invasivo. Nella dipendenza affettiva siamo sempre cimentati a riempire dei vuoti, a ricolmare i nostri fallimenti, le nostre delusioni e i bisogni.
Accontentarsi delle briciole d’ affetto, elemosinarle o desiderare tutto dall’ altro, pone le fondamenta verso l’ incastro di una infinita richiesta. È necessario chiedersi se l’ amore per se stessi è superiore all’ amore che si chiede.
L’ amore innanzitutto per se è per quello che si è e per quello che si fa, anzi direi è fare, ciò che si è, rappresenta il calibro che delinea l’ equilibrio all’ interno di una relazione d’ amore, è risolvere innanzitutto i propri vuoti e le personali beghe, è bonificarsi.
Quando non si è mai soddisfatti, contenti, quando è presente una continua criticità, un rancore persistente, una lamentela ed una aggressività passiva, un conflitto reiterato, siamo di fronte alla miglior coltura della dipendenza affettiva.
All’ interno della dipendenza affettiva, ci si perde nell’ altro, la propria identità viene stracciata, ferita, l’ altro diviene il se, si acquisisce il nome e il cognome, si diventa ridicoli, un attore, la smorfia, la maschera, il soprannome altrui, ci si annienta, si diventa stupidi; L’ altro diventa il nostro bullo romantico, all’ altro viene attribuito il potere di farci respirare, di scioglierci l’ angoscia dal petto, di farci esistere. Quando l’ altro diventa la nostra felicità, di lì a poco diventerà il nostro inferno, la nostra ansia perenne. Nella dipendenza affettiva l’ altro rappresenta la vita ed io la morte, lui il tutto, io quasi il nulla, una nuvola, il fumo di un antico toscano, una panna montata, l’ aria fritta in un battito di cuore.
Ci si impasta con l’altro, si si porta l’ anima ad una ustione, ad uno stato di fusione, l’ amore non è uno shake, si rischia di sbattersi, scuotersi tanto da farsi vicendevolmente seriamente male, non serve a nulla questo tipo di frappé di unità confuse. Sono ridicole quelle affermazioni come, cerco “ la mia dolce metà “ , quando ognuno dovrebbe mirare alla propria unita, è una richiesta eccessiva ed una personale ingiustizia farsi completare dall’ altro; cerco “ l’ anima gemella “ , ma se siamo tutti diversi, vogliamo illuderci ? Possiamo essere empatici, sincroni, ma questo accade se ognuno sta bene di suo, le richieste pressanti rappresentano già la fine.
Dovremmo avere più attenzioni e più riguardi verso di noi, dovremmo chiedere mille volte perdono a noi stessi ed essere più seri nei nostri confronti, più compassionevoli, che accattare disperatamente amore.
È umiliante per se stessi e poco dignitoso. Nella dipendenza affettiva ergiamo l’ altro ad una onnipotenza che non possiede, lo viviamo come la terra promessa, il liberatore, il nostro salvatore. Bisogna chiederci da cosa vorremmo effettivamente essere salvati, certamente non da lui. Non si può dipendere dalle promesse altrui se a noi stessi non ne abbiamo fatta neanche mezza.
La promessa più grande che potremmo farci è legata dalla nostra personale progettualità. Senza una propria progettualità, in sintonia con le proprie passioni ed attitudini, siamo tutti in trappola, in pericolo, propensi ed inclini verso un incastro affettivo.
Se lavoro sul mio tutto, l’ altro diviene una parte, se pur importante diverrebbe un valore aggiunto, ma relativo. Ma se l’ altro diviene il proprio tutto, imbocchiamo un intricato tunnel buio.
Ogni storia è buona ed è una potente risorsa, se ognuno sta bene ed è detentore di equilibrio. Chi si accontenta o si logora per l’ ideale, che non esiste, chi persegue il perfezionismo e vuole tutto per se, parte molto svantaggiato, perché la vita è bella perchè è un dono gratuito sempre, per ciò che ci offre e se presi così per come noi siamo.
giorgio burdi
ContinuaSuperare la dipendenza affettiva
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA DIPENDENZA AFFETTIVA
Cos’è la dipendenza affettiva
La dipendenza affettiva è una dipendenza comportamentale, non caratterizzata dall’abuso di alcol o sostanze, ma da comportamenti patologici di vivere una relazione. È un disturbo relazionale.
La dipendenza affettiva è una condizione patologica e in quanto tale è caratterizzata da ossessività, impulsività e compulsività. L’ossessività del pensiero verso una persona, generalmente il partner; l’impulsività di determinati comportamenti quali numerosi messaggi, frequenti chiamate di controllo ecc…; la compulsività, cioè la difficoltà a trattenere ed evitare determinati comportamenti.
Chi soffre di dipendenza affettiva la confonde molto spesso con l’amore. In realtà è una forma di amore malato ed ossessivo, disfunzionale, in cui la persona dipendente rinuncia ai propri bisogni, al proprio spazio, mette le proprie opinioni da parte. Il partner viene considerato come unica gratificazione e fonte di amore, per questo la paura di perderlo è incontrollata.
Apparentemente la dipendenza affettiva offre un senso di benessere, ma allo stesso tempo aumenta il bisogno di legame al partner da cui si dipende. La persona che soffre di dipendenza affettiva considera la propria vita insignificante e vuota senza la presenza del partner.
La dipendenza affettiva è un bisogno eccessivo di fare affidamento sul partner, un eccessivo bisogno di protezione e cure associati alla paura di rimanere soli. Inevitabilmente queste relazioni non sono gratificanti, ma insoddisfacenti e dolorose.
Spesso le persone che soffrono di dipendenza affettiva diventano potenziali vittime di manipolazioni emotive o di violenze all’interno della relazione; hanno difficoltà ad esprimere disaccordo, a prendere decisioni autonomamente e indipendentemente dagli altri. Questo, se da un lato genera nell’altro un forte senso di coercizione nel doverle continuamente accudire, assistere, guidare, dall’altro gli attribuisce una sensazione di potere all’interno della coppia.
La dipendenza affettiva genera relazioni affettive e sentimentali disfunzionali, non una dipendenza positiva che nelle relazioni ha valore funzionale, sano e reciproco.
Cause
Diversi studi hanno dimostrato che il mal funzionamento della dopamina a livello cerebrale sia un fattore determinante per lo sviluppo della dipendenza affettiva.
Anche l’ambiente familiare influisce in modo significativo allo sviluppo della dipendenza affettiva, in particolar modo famiglie in cui non vi è una chiara distinzione dei ruoli ed in cui si ha una costante intromissione nei pensieri, nei sentimenti e nelle azioni altrui.
Alla base di una personalità dipendente c’è sicuramente insicurezza, scarsa autostima, difficoltà a prendere decisioni, sensazioni di disagio quando si è soli.
La dipendenza affettiva è una patologia che coinvolge prevalentemente le donne, generalmente provenienti da famiglie problematiche che le hanno portate a sviluppare inadeguatezza ed indegnità personale.
La persona dipendente è fragile, bisognosa di conferme e terrorizzata dall’abbandono. Influisce nello sviluppo di una dipendenza affettiva anche la presenza di disturbi d’ansia, il disturbo distimico, il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo ossessivo compulsivo e altre forme di dipendenza come quella da alcol, sostanze, cibo ecc…
Sintomi
La dipendenza affettiva è caratterizzata da sintomi simili a quelli delle altre dipendenze comportamentali:
- Piacere derivante dall’oggetto della dipendenza
- Tolleranza e necessità di aumentare il tempo trascorso con il partner
- Ossessività
- Impulsività
- Compulsività
- Negare i propri bisogni a fronte di quelli del partner
- Ansia costante di poter perdere la persona oggetto della propria dipendenza
- Continuo bisogno di rassicurazioni
- Continue richieste affettive
- Emozioni negative quando il partner è distante
- Repressione della rabbia
- Perdita di controllo
- Accettazione della sofferenza pur di non restare soli
Cura
È importante riconoscere la dipendenza affettiva per prevenire, in caso di interruzione della relazione, reazioni eccessive quali comportamenti persecutori come lo stalking, gravi depressioni o tentativi di suicidio.
La dipendenza affettiva può essere curata con l’aiuto di uno specialista Psicoterapeuta che inquadra il disturbo all’interno della storia di vita del paziente.
Il primo passo è il riconoscimento della propria dipendenza affettiva da parte del paziente e delle conseguenze prodotte dal disturbo. Il paziente con l’aiuto del terapeuta ripercorre e analizza la relazione attuale e le eventuali relazioni passate, individua gli eventi scatenanti che hanno indotto l’instaurarsi del disturbo.
La Psicoterapia aiuta il paziente ad intraprendere un processo di cambiamento partendo dalla gestione delle emozioni negative legate alla solitudine, al rifiuto all’abbandono. Essa, inoltre, aiuta il paziente a gestire l’astinenza evitando eventuali ricadute, a riconoscere i propri bisogni e la necessità di stabilire confini personali.
Obiettivi importanti della terapia sono inoltre, l’indipendenza del paziente, lo sviluppo di competenze affettive, comportamentali e sociali.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
LA SOSTANZA AFFETTIVA
LA SOSTANZA AFFETTIVA
Breve compendio sulle dipendenze
Tra le sostanze psicotrope più diffuse che creano maggior dipendenza organica ed emotiva, tra le più complesse da trattare in termini di tempi di psicoterapia, secondo una scala di difficoltà di trattamento, abbiamo al primo posto l’ eroina, a seguire, il crack, l’ alcool, la cocaina e in fondo alla scala la cannabis.
Esse richiedono un periodo di trattamento di psicoterapia mediamente lungo e statisticamente pari a tre anni per la prima, due per il crack e l’ alcool, un anno per la cocaina e per la cannabis; per tutte queste dipendenze il lavoro di psicoterapia deve essere condotto con continuità e senza interruzioni.
La dipendenza affettiva, risulta essere la più radicata e la più complessa da trattare, si pone al primo posto per il suo livello di difficoltà di trattamento e esattamente si pone prima dell’ eroina; per questo la definiremo, sostanza affettiva; essa infatti affonda le sue radici causali più profonde all’ interno della relazione parentale e si comporta come una vera e propria sostanza che viene assunta per gratificare quei sistemi di ricompensa mancati nella relazione affettiva originaria.
La dipendenza affettiva ha tutt’ altro che una dimensione razionale, essa va di gran lunga oltre quei processi del pensiero ed è complessa nel riconoscimento delle sue cause;
la sostanza affettiva risiede in meccanismi inconsci ed ombrosi, all’ interno di sfumature antiche, attentive ed affettive compromesse della famiglia.
La gamma dei sintomi determinati dalla sostanza affettiva sono numerosi e comprendono: fobie generalizzate, frustrazione per l’ assenza della figura affettiva, percezione del vuoto emotivo e sensazione di smarrimento, paura per la solitudine e per gli abbandoni, timore intermittente di perdere l’ oggetto amato, timore di essere rifiutato e il bisogno di rassicurazioni continue.
La dipendenza affettiva si confonde con l’ amore, ed è cosa molto diversa dall’ amore; la prima è caratterizzata dalla presenza evidente di un litigio continuativo, è conflittuale ed insostenibile;
i partners sono orientati prevalentemente nell’ imporre i propri bisogni in modalità ossessivo e manipolativa, dove il dipendente, il più delle volte, è sottomesso.
La dipendenza nasce dall’ accanimento di voler soddisfare i bisogni frustrati di un tempo. Voler soddisfare un bisogno determina il gap di non considerare mai, e non aver in mente, la persona interlocutrice, riscoperta in seguito come incongruente ed ingannatrice, solo dopo avere soddisfatto il bisogno.
L’ amore non è mai dipendenza affettiva, al contrario è un’ opera d’ arte che va contemplata per la sua poesia e la sua delicatezza, è gratuità di sentimenti, è autonomia dell’ uno verso l’ altro, è attesa, non coercizione o cospirazione, è paziente, comprensiva, guarda alla persona, non al progetto, esso viene tanto dopo, è orientato non al bisogno da soddisfare,ha stima, fascino per l’ altro, non fa contratti, compromessi, ne ricatti, non ha obblighi, è rispettoso e discreto, desidera, è passionale e compassionevole, dialoga ininterrottamente, si incanta, non litiga sempre, non comanda, non è mai direttorio, è umile, impara, ma, non insegna o conosce saccenza, non si erge, o si piega, copre, promuove, è protettivo, non usa imperativi, è stupito, è riparativo e devoto, sa chiedere scusa, è in preghiera per la meraviglia e se discute ne apprezza le differenze per evolversi.
La sostanza affettiva è una sabbia mobile che non ti permette mai lo slancio, le emozioni del bello, decreta la fine già dall’ inizio; procrastina, per la chiarezza torbida dell’ obiettività, è quel bisogno che rende cieca l’ oggettività; la sostanza affettiva proclama la fine di se e delle proprie risorse, tira fuori il peggio di se, da credere di non essere mai stati migliori; condanna alla prigionia dell’ altro, a sentirsi ripetutamente sbagliati ed errati; fa arrampicare sugli specchi dell’ impossibile e della malattia.
Ma come si struttura e da cosa nasce la dipendenza affettiva come una sostanza ? Le dipendenze da sostanze psicotrope hanno delle origini più ravvicinate di quelle affettive. Diciamo subito che le dipendenze in generale, si innescano all’ interno di quei circuiti dopaminergici, relativi ai meccanismi della ricompensa.
I bassi o I mancati stimoli delle ricompense affettive ambientali, inducono una ricerca esterna di stimoli compensativi surrogati, coadiuvanti e suppletivi, che creano ad essi la dipendenza. La sostanza affettiva rappresenta una sostanza di rimborso delle carenze attentive non soddisfatte.
Il nostro cervello necessita di produrre la dopamina, che è l’ ormone della gratificazione, attraverso stimoli specifici ambientali consoni. In assenza di tali stimoli ambientali affettivi specifici, il sistema adrenergico, si rifà sui sostituti “surrogati” dell’ ambiente, sostituendo lucciole a lanterne come mezzo di auto sopravvivenza.
Cosa manca ad un soggetto che soffre di dipendenza ? “LA PRESENZA”. Riempirà il malessere delle assenze, con la presenza e le premure di uno qualunque approssimativo surrogato, attraverso il contatto rassicurante di una comparsa o attraverso l’ euforia della cocaina, o tramite la parola di un ammalato di vuoti come lui, o attraverso l’ alcol, o attraverso la fame del come stai o attraverso la ludopatia per i giochi dell’ infanzia mai condivisi.
L’ assenza, genera il timore e la paura per la solitudine, per tutte le crisi abbandoniche subite. Una delle origini della dipendenza affettiva è la storia e il susseguirsi degli abbandoni subiti. Una relazione più è frustrante, più alto è l’ indice di insinuazione di una dipendenza, più si presentano stati paranoici e persecutori.
Attraverso i processi abbandonici, il dipendente sarà alla ricerca estenuante di un suo accuditore dedito e devoto, di un “badante”, di un infermiere che lo curi e lo ami, come quella cannabis che lo fa cedere accasciato tra le proprie braccia. La Dipendenza affettiva si equivale a tutte quelle crisi abbandoniche subite.
Un genitore, con le sue assenze e i suoi abbandoni, respinge il proprio figlio, si percepisce indesiderato, ma allo stesso tempo lo lega, lo vincola tra le mura domestiche, lo rende socio fobico, bloccato al suo utero, all’ interno di una relazione asfissiante e trasparente, lo lega nell’ attesa che arrivi prima o poi quell’ attenzione, uno slancio o un abbraccio, uno scorcio di sorriso, di una rassicurazione, o di un come stai.
La motrice primaria per liberarsi dalla dipendenza affettiva risiede innanzitutto:
1 nella consapevolezza di essere un dipendente affettivo,
2 nella comprensione dei meccanismi che lo legittimano ad un tale meccanismo patologico,
3 e nell’ investire energicamente su di se , su quegl’ interessi che stravolgono la propria esistenza che si definiscono attitudini.
giorgio burdi
ContinuaABBRACCIARE GLI SPETTRI
Da “ Se incontri il Buddha per strada, uccidilo “ di Sheldon Kopp.
Se incontri uno spettro per la strada, abbraccialo
Ogni uomo è tormentato dallo spettro di un gemello che rappresenta tutto ciò di sé stesso a cui direbbe “no” (Sheldon Kopp).
È un’ombra svelta e meschina che viene a disturbarci lungo il cammino. Un brigante. In pochi secondi, vediamo tutto il lavoro impiegato per trovare la pace dei sensi e la felicità svanire.
Crisi.
Evidentemente ci è sfuggito qualcosa, non abbiamo capito fino in fondo la nostra vita. La strada che con tanta fatica ci siamo costruiti è sbagliata. È una strada che porta verso il caos, l’incertezza…non va bene.
Che confusione! Eppure, una chiave ci deve essere, deve esistere un modo per cambiare come siamo. È diventato insopportabile vivere così. Non è possibile camminare su una strada così fallibile, incerta e solitaria.
È in questo momento che iniziamo a trovare mille possibilisoluzioni al nostro problema. Un problema che ci fa sentire in difetto, guasti. È da quel momento che potremmo vedere negli altri, “più risolti ed equilibrati”, la soluzione. Può essere un familiare, un amico, lo psicoterapeuta.
Automaticamente, la persona che noi riteniamo abbia ricevuto il dono dell’illuminazione diventa centrale per la nostra vita. Finalmente, nel nostro cammino, abbiamo incrociato il Buddha: ci siamo quasi.
Quello che accade, in realtà, è che stiamo idealizzando. Quando idealizziamo qualcuno (o qualcosa) stiamo proiettando il nostro bisogno di trovare una soluzione. Un chiave che apre (e quindi chiude) tutte le porte della nostra mente.
La proiezione è efficace soprattutto perché siamo noi, in primis, a credere di poter raggiungere la “perfezione”. Siamo convinti di far parte di una specie animale di norma pura e onnipotente. È un’idea bellissima che ci fa continuare a credere di poter un giorno essere invulnerabili ai problemi della vita. La seconda convinzione è quella di poter raggiungere lo stato di “persona giusta” attingendo da forze esterne a noi.
Il fatto è questo: non c’è soluzione, perché non esiste il problema. Non siamo una specie interamente buona o interamente cattiva. Noi, essere umani, siamo animali. Abbiamo istinti e parti irrazionali. Non siamo delle divinità, siamo carne e ossa. Abbiamo il dono dell’amore, ma anche il suo gemello complementare: l’odio. Non possiamo fare miracoli, non possiamo eliminare le emozioni negative e, soprattutto, nessun essere umano è capace di controllare e salvare nessuno. Non abbiamo questo potere, non possiamo controllare gli altri e gli eventi. In effetti, la strada che percorriamo è fragile, caotica e solitaria… è così per tutti!
Lungo la strada, come tutti gli altri, devo sopportare i miei fardelli. Ma non intendo sopportarli graziosamente, né in silenzio. Prenderò la mia tristezza e per quanto posso la canterò. In questo modo, quando gli altri sentiranno la mia canzone, forse le faranno eco e risponderanno dal profondo dei loro stessi sentimenti(Sheldon B. Kopp).
I nostri spettri vanno amati perché ci ricordano di essere umani. E in quanto animali, siamo nel posto giusto. I nostri piedi sono adatti per poggiarsi per terra e camminare. Non siamo né interamente buoni, né interamente cattivi; siamo naturali.
Se ci ricordiamo di essere fallibili, impariamo a perdonarci. Se ci ricordiamo di essere incerti, impariamo a lasciar perdere il futuro, non possiamo controllarlo, e a vivere nel presente. Se ci ricordiamo di essere soli, capiamo di essere noi i veri padroni di noi stessi.
E quante lacrime e quanta tristezza ci furono ancora quando giunse a capire che la parte che voleva, in realtà, era sua, se la chiedeva, e lo era sempre stata!
(Sheldon B. Kopp, Se incontri il Buddha per la strada, uccidilo)
Susanna García Rubí
ContinuaLA DIPENDENZA AFFETTIVA
“La dipendenza affettiva presenta una terribile limitazione, l’incapacità di essere davvero felice, arginata solo da un rimedio: l’altro.”
Dire basta alla dipendenza affettiva. Imparare a credere in se stessi- Marie-Chantal Deetjens.
LA DIPENDENZA AFFETTIVA
La paura del vuoto e una crepa nel processo dell’ identificazione personale
La dipendenza affettiva, in inglese love addiction, rimanda ad una tipologia di relazione che può essere definita disfunzionale e disturbata. Questa, infatti, si distingue per una situazione di svantaggio del dipendente e da un rapporto “a senso unico”, in particolar modo per colui che sviluppa la dipendenza.
Chi soffre di dipendenza affettiva si sente inadeguato e non degno di amore e vive costantemente con il terrore di abbandono.
È noto come nei rapporti amorosi vi sia la prima fase di “idillio”, la fase di amore romantico, costituita da estrema felicità, passione, euforia e idealizzazione del partner. Durante questa fase alcuni autori (Aron, Brown, Fisher, Xu), hanno individuato in alcuni individui la presenza di sintomi caratteristici dei disturbi di dipendenza, tra cui euforia, desiderio, tolleranza, dipendenze emotiva e fisica, ritiro e ricaduta.
Quando le connotazioni più dipendenti diventano prerogative e necessità assolute, vi è la possibilità di cadere nel versante più disfunzionale del rapporto, quale la dipendenza affettiva patologica.
Il rischio di maturare una dipendenza affettiva, infatti, deriva dalla capacità di entrambi i soggetti di riconoscere la propria individualità e rispettarsi come individui separati.
È utile notare che, in lingua inglese, il termine addiction richiama una condizione generale in cui la dipendenza psicologica esorta alla ricerca dell’oggetto di interesse, senza il quale la vita mancasse di valore.
Il soggetto dipendente si basa su una profonda paura dell’abbandono e fa qualunque cosa per evitarlo, oltre ad una condizione di vuoto emotivo interno che cerca di compensare. Nonostante provino sentimenti negativi come tristezza, disperazione e insicurezza, la loro intensa paura della rottura contagia il legame emotivo, rendendoli vulnerabili, patologici e deleteri. La paura della rottura è tale che rimangono in relazioni che causano loro disagio, sacrificando i propri desideri e bisogni e portando al deterioramento della loro qualità di vita.
La dipendenza affettiva si presenta, quindi, come un modello disadattivo della relazione che determinata una condizione di angoscia clinicamente significativa e deterioramento. La mancanza della persona amata può essere sovrapponibile ai sintomi tipici dell’astinenza da sostanze: ansia, irritabilità, rigidità, sensazione di vuoto e la lacerante ricerca dell’altro (craving). Allo stesso modo lo sviluppo della dipendenza si può caratterizzare da ripetute deprivazioni o rotture del rapporto. Come nella dipendenza da sostanze però, la negazione non fa altro che aumentare il desiderio e quindi aumentare drasticamente lo sviluppo della dipendenza. Così, il dipendente è alla continua ricerca della relazione, nonostante l’esistenza di problemi creati dalla stessa.
Freud parlava di coazione a ripetere, ovvero la tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze. Così, la persona dipendente ricerca inconsciamente un partner che possiede già tutte quelle caratteristiche che la porteranno a soffrire. Anche nel caso di rottura il soggetto andrà a cercare una nuova relazione in cui metterà in atto le stesse dinamiche.
Nella costruzione dei rapporti affettivi, quindi, un elemento fondamentale è la formazione dell’immagine di sé a partire dai processi di separazione e individuazione, che sfociano in quello di “identificazione personale”.
A tal proposito è possibile far riferimento alla piramide dei bisogni di Maslow (1954) che inserisce al quarto e al quinto posto i bisogni di appartenenza ed autostima.
La scarsa autostima spinge il soggetto dipendente a leggere la scarsa disponibilità del partner non come informazione sull’altro, ma come un’errata visione di sé (“non mi ama perché io non vado bene”).
La dipendenza affettiva nasce prima dell’inizio del rapporto di coppia. Questa, affonda le sue radici nel rapporto genitoriale durante l’infanzia. La qualità dei rapporti primari, infatti, determina la strutturazione dei legami futuri, in particolar modo in riferimento agli stili di attaccamento.
Chi da adulto sfocia in una dipendenza affettiva, quando era bambino ha ricevuto continui messaggi da parte dei propri genitori di non essere degno di amore né di attenzioni. Spesso sono stati dei bambini che, per essere accettati si sono trovati a dover dimostrare sempre qualcosa, imparando che l’unico modo per essere amati è quello di sacrificarsi ed annullarsi per l’altro.
È l’esempio di una paziente che, nonostante abbia chiesto aiuto per la propria dipendenza affettiva dal partner, durante una seduta di gruppo si presenta descrivendo anche il complesso rapporto genitoriale; la pressione di questi, la conseguente sensazione di inadeguatezza e la continua sensazione di dover dimostrare e raggiungere un obiettivo per la soddisfazione di tali.
L’elevata ansia per l’abbandono, un alto desiderio di vicinanza, intimità, impegno e preoccupazione ossessiva, veicolano la differenza tra l’attaccamento ad una persona e la dipendenza i quali, sembrano avere un confine molto sottile.
È stato dimostrato come il tipo di attaccamento influenzi l’espressione funzionale o disfunzionale della rabbia. A tal proposito, le persone che hanno maturato un attaccamento preoccupato, predominante nella dipendenza emotiva, sono inclini a provare maggiore rabbia e l’impossibilità di regolamentarla.
“La rabbia ha una cattiva reputazione, è spesso associata a violenza e aggressività ma anche questa emozione può avere risvolti positivi. La rabbia può essere canalizzata per far rispettare i propri diritti e apportare cambiamenti intorno a noi”.
A seguito di un rispecchiamento nel corso della seduta di gruppo, un paziente, che può vantare ad oggi di un grande percorso di cambiamento, racconta di come la presa di consapevolezza e l’espressione della rabbia prima repressa sia stata un punto importante nel proprio percorso.
Questa carica emotiva, diventa funzionale e fondamentale nella tutela dei propri limiti e bisogni, e si struttura come difesa del proprio valore personale.
Al contrario, è possibile osservare come nei soggetti incapaci di amare se stessi esprimono un tipo di rabbia “disfunzionale”.
Dunque, la riflessione conseguente alla presenza di una dipendenza, affettiva e non, si orienta alla ricerca delle motivazioni profonde ed intrinseche (piuttosto che alla sola soluzione) che spingono il dipendente a relazioni deleterie e disfunzionali. È come se la persona avesse imparato a recitare solo e sempre lo stesso copione: per cambiare bisogna arricchirne le trame ed i personaggi.
Francesca Scalera
laureata in psicologia clinica e della riabilitazione – Tirocinante Presso lo Studio BURDI
Continua