La Saccenza della Sofferenza e l’ Arroganza della Diffidenza.
LA SACCENZA DELLA SOFFERENZA
e l’ Arroganza della Diffidenza
Colui che soffre è comprensibilmente afflitto, al limite di ogni forza, rassegnato, flaccido, sfiduciato,scontroso, insopportabile, al limite del pianto, dei suoi singhiozzi, e delle sue disperazioni,
si rompe, si spacca, è fragile, infastidito, insofferente, è ricotta, coatto, ossessionato, vive al limite e nel peggio della propria condizione, per lui non c’è soluzione, tutto è divenuto complesso, non c’è parola, presenza che tenga per comprenderlo, per poterlo aiutare o che lo scuotino, è molto critico e la sua sofferenza è tale che diventi complesso poter contattare chiunque.
Egli è visibilmente provato, lo incontri sempre a fine corsa, al capolinea, ti dice che questa è la mia ultima change, e ti chiede,senza alcun suo impegno, quanto tempo ci vorrà, giunge dopo aver caricato il suo ultimo tir di problemi, al limite di ogni sforzo, indeciso se andarsene o rimanere, è alle corde, è teso e tanto fragile da rompersi, acuto o cronicizzato, è un funambolo, barcollante sulla corda della vita, cammina in ginocchio sul cilicio, al confine con la fossa, non curante, ti chiede quanto costi, piu che alla vita oensa sempre alla tariffa, pensa sempre di farcela, anche se striscia, è sfregiato dall’ ansia e le sue ganasce dal brussismo, si ricirda di se al limite, non conosce prevenzione, procrastina con l’ acqua alla gola, giunge in apnea, perché le persone che soffrono, si concepiscono come nate per soffrire, si lasciano andare al limite di ogni umana sopportazione, e pur di non sentirsi matti, non chiedono mai aiuto, anche se sono ad un passo dalla benedizione.
Abbonati al 118, si trascurano fino all’ indrcenza, critici fino al limite della diffidenza, senpre auto convinti che non serve e non funziona nulla, diventano veggenti, predomina l’ arroganza e il pregiudizio che la loro esistenza sarà sempre con un altro fallimento; collaborano poco e sabotano l’ aiuto, per rincorrere confermare quel timore tanto temuto , per dimostrare che in fondo avevano ragione, ma sono i veri artefici del loro stesso destino,determinato dalla loro sofferta e construita arroganza.
Se entrano in analisi, ti aspettano al varco, cavillosi, puntigliosi, caotici con se stessi, ma precisini ,solo con gli altri , sono alla continua ricerca di un tuo difetto, per cercare qualsiasi alibi, per convalidare il loro diritto all’ auspicata fuga. Se, nel tentativo di aiutarli, tocchi il loro dolore e se peggio gli indichi la causa, ti punta il dito, ti accusa che gli hai fatto male ed ora la colpa del loro dolore è tutta tua.
Ma alle volte nel loro caos, la matassa da sbrogliare non c’è, il vero problema è il loro non problema; giungono già colti, edotti, preventivamente già consultati con i ministeri di chat gpt, instagram e dr google e il vero problema è che non sei uno specialista perchè non sei un avatar e pertanto, se hanno letto, tu non hai piu di loro competenze.
Il dolore e la sofferenza di un uomo in preda alla sua disperazione, lo rende statico, bradipo, insostenibile e ingestibile rispetto a se stesso e a chi gli gravita attorno. Non riconosce l’opportunità del cambiamento, è convinto che non ci sarà mai nulla di buono ed in grado di poter cambiare la sua condizione per lui insostituibile.
Non c’è essere umano in grado di ritenere sostenibile qualsiasi propria sofferenza continuativa ed acuta, che non sia la sofferenza degli altri. Le sofferenze altrui hanno sempre un minor valore rispetto alle proprie.
Il saccente è spesso convinto che il suo problema dipenda da una questione di carattere o di destino, che abbia delle forze oscure esoteriche o della natura o che ci sia il possesso di un demone nel suo inconscio, che non in grado di dominare e domare.
Per contro si lamenta, si dispera, supplica e piange, chiede aiuto e caccia via tutti come degli inetto con le mani tra i capelli, non esiste persona o professionista capace, onesto, che diventi un incompetente ed impotente, opportunista, economista, capitalista, speculatore sulle malattie. Chi soffre si lamenta, rifiuta ogni sorta di aiuto se non tocca il fondo. Chi soffre è difficile da trattare, devi davvero essere un equilibrista, che per tirarlo fuori, se non collabora, ti tira dentro la sua fossa.
La lamentela di chi soffre, alle volte diviene così prepotente ed insistente, ansimante ed asfissiante, che appare tutt’ altro che debolezza: la lamentela alle volte rende tanto, è l’ unica potenza del dolore, perchè è accentratrice di presenze.
L’ arroganza della diffidenza si evince nella tendenza alla facile squalifica professionale e all’ interno della presunzione dell’ impossibilità di esercitare ogni forma di aiuto e di cura, in tal senso qualsiasi dolore è presuntuoso.
L’ arrogante della sofferenza si rivela gia mentre si fissa il primo appuntamento. Da fastidio, vuole l, orario ideale, manipolativo che ti costringe e ti porta sui suoi impegni e magari in seduta non si presenta. È una sconfitta pre annunciata che rende prepotente e presuntuoso il dolore che acceca la persona sofferente.
Chi depone le armi, i remi in barca, chi si fa mettere in ginocchio, strisciare o continuare a lasciarsi calpestare o farsi sputare in faccia,
Nutrirà una scarsa fiducia negli altri, sara propenso al fai da te, all’ arroganza nel non credere in nessuno, nemneno nel fidarsi ed affidarsi professionista.
Passa da una arroganza subita ad una agita, la saccenza è aver imparato a fidarsi solo di se stesso anche nel periodo delle vacche magre.
La sofferenza o fa riflettere o rende flaccidi disumani, increduli e cattivi, diffidenti, esclusivisti, narcisisti patologici, esclusionisti, presuntuosi, colti della propria boria , del proprio pathos, la saccenza di chi non potrà mai star bene o essere compreso o mai aiutato, che non conoscerà mai la salute, perché il dolore crogiola, coccola e paradossalmente diviene casa ecunica condizione di vita che rende sufficienti e colti, eruditi sui Bignami delle proprie convinzioni.
Con il proprio dolore si è talmente così protetti all’ interno di un carcere che è, capace di rendere il mondo impotente.
Ida Bauer afferma: “se la sofferenza vi ha reso cattivi, l’ avete sprecata”. La sofferenza può essere curata o diviene cattiveria e presunzione se si afferma la sua non curabilità.
Chi soffre, per urgenza, fa pressing per ottenere un appuntamento, cerca la stanza dei miracoli, ma quando realizza che per aiutarlo devi attentamente osservarlo e studiarlo, perde l’ illusione del miracolo e perdi il ruolo di primario della magica clinica dalle 100 recensioni e se lasci intendere che alla sfera di cristallo dovrai sostituire la sua testa come sfera, decade la sua aspettatuva la tua stima, si fa cerca un pieno di imprevisti, annulla le visite, ma si ripresenta poi per ripetuti codice rosso..
E se l’ addolorata teme che la cura possa diventare dipendenza, la interrompe al nascere omettendo quanto dipendente sia già stato dai propri ventennali sintomi. Non c’è cura che possa mai essere efficace, se non vien fatta con continuità e magaari per una breve e momentanea dipendenza. Un arrogante ludopatico, dopo aver delapidato i suoi beni di circa cinque milioni di auro, chiede in prima seduta un preventivo di spesa per la cura della sua malattia.
E la domanda più affascinante di un paziente è quella che chiede se la prima visita è gratuita, essendo secondo il suo criterio, “solo di conoscenza”, rendendo suo,come un diritto acquisito, il tuo tempo. Questa è la saccenza della sofferenza. Non si è mai sentito chiedere ad un cardiologo se la sua prima visita fosse gratuita. È vero che se fai il lavoro che è la tua passione, non lavorerai un giorno, pertanto che senso avrebbe pagare.
Ognuno cerca il piu bravo professionista, che abbia un curriculum esteso, il più referenziato, il migliore recensito, con la massima esperienza, ma la presunzione del dolore lo porta ad affermare, che 1 € è tanto per un ora di consulenza, ma oltte alla competenza, un ora di vita quanto vale, avrebbe un valore inestimabile ?
Per aiutare un uomo e risolvere un suo problema serve la chiamata, la vocazione, la passione, l’attitudine, l’ umanità, la dedizione e l’ estenuante curiosità del ricercatore, serve la pazienza e la collaborazione di un paziente che si renda paziente, per ripercorrere insieme in modo del tutto complice, empatico e collaborativo, la strada e la risalita verso la sua liberazione.
giorgio burdi
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