Rinascere
rinunciare alle fragili abitudini
Per l’ infinito che resta
Rinascere
Il tuo percorso
in una scia di erba,
Poi un tratturo,
una strada sterrata,
hai messo la ghiaia, con fatica battuta,
verso la tua autostrada
Vuoi andare lontano,
Ma non c’è orizzonte per Te,
così troppo irraggiungibile
Fai tutto da solo,
ti rimbocchi le maniche
dai tuoi geni alla tua strada
si parte sempre dal buio
divorato lentamente dalla luce
Sui Ciottoli che ti rompono i piedi
che con pazienza diventano asfalto
dal sudore, al piccone
Scolpisci le pietre.
Monta muri a secco
La tua idea si fa progetto
testata d’ angolo
Dai forma alla malta
Impasta pensieri, ghiaia, estro,
sudore ed argilla
Si erge la torre
Incastra laterizi, archi e capitelli
Sei Una labile idea
Che struttura un castello imperiale
quanta fatica
Dover rinunciare alle fragili abitudini
per l’ infinito che resta
Che diviene e trapassa l’ effimero
Ciò che è fatica, resta
Accogli il tuo dolore profondo
se vuoi tornare al respiro
Vivere alla giornata angustia,
come La buccia secca perisce,
La fatica, se ci credi è gaudio
rimane per una gioia infinita
Una scia di gioia finisce
Per un fuoco di paglia che esplode
A tutti coloro che edificano dentro,
Sarà roccia il palazzo che è fuori,
perché si evolve chi cambia
non disdegna fa fatica
Per chi Riconosce i limiti
ma non solo quelli degli altri,
commisera la povertà del proprio passato
e fa del proprio presente
la sua rivoluzione,
la leggerezza della propria rinascita
AUGURI
giorgio burdi
ContinuaVINTAGE
VINTAGE
Noi siamo vintage, diversamente anime, genialità e sregolatezza, ordinati, sobri ed essenziali, quelli delle linearità, dalle forme armoniche, irregolari, ma utili, fresche e colorate; siamo quelli che hanno osato, danziamo da i classici ai figli dei fiori, tra ghirlande, bouquet e papaveri, siamo bucolici, da trattoria, da feste nelle masserie con la pizzica e la taranta, siamo quelli del tango e della febbre del sabato sera o quelli che odiano la discoteca, siamo quelli del riordino, che fanno spazzatura del vecchio e l’ antico lo fanno meglio del nuovo.
Siamo quelli della gavetta, ai quali non è mai stato regalato nulla, quelli che si fanno il culo, quelli dalla colazione col pane e pomodoro e un filo di sale e coratino e un calice quattordici di Troia nero, invece del latte. Siamo quelli che hanno rotto il salvadanaio, non avevano soldi ma non disperavano mai. Siamo quelli che ascoltano Debussy, Pink Floid e Dire Strait, De Andrè e De Gregori. noi siamo quelli di Santana, Samba Pa Ti e country blues e di Lucio, Dalla e Battisti, che hanno fatto inventato la radio libera effe emme, le bands e suonato la chitarra in spiaggia proprio dentro ai falò.
Saltiamo da una tavolozza di colori, amiamo il blu perché va oltre i confini, dipingiamo granai, campi di grano, praterie con staccionate tutte da saltare, a noi, non fanno paura gli ostacoli. Non usiamo valigie, ma zaini a spalla; siamo minimal, timidi ma intraprendenti, odiamo il consumismo, non portiamo griffe, il brand è solo per il nostro nome, ci piace fare tutto ciò in cui crediamo; ci ritrovi ancora nei mercati americani, ma non siamo poveracci, ma ci sentiamo sempre adolescenti.
Siamo raffinati, abbiamo sempre il sorriso ed un libro nelle tasche, abbiamo tanti abiti, ma per comodità usiamo sempre gli stessi; amiamo i missionari, i francescani e i buddisti, tutti quelli che per davvero aiutano il prossimo, siamo naturalisti ed ecologisti, viaggiamo su una R4 col cambio sul cruscotto, preferiamo borghi e le strade di campagna. Ci piace essere leggeri e superficiali, perché siamo molto profondi. Per ogni problema abbiamo mille soluzioni e lottiamo contro il pessimismo di chi ha l’ alibi di non voler far nulla, di chi ha sempre mille problemi per ogni soluzione.
Siamo progressisti, ci piace l’ uomo sulla luna e crediamo negli ufo, siamo cresciuti col bianco e nero, due soli canali ed un telecomando che faceva tic tac; abbiamo inventato internet, per abbattere le distanze, proliferato radio, tanta musica e la Tv con i colori, amiamo la cabina con i gettoni e ci scordiamo a casa il cellulare, ci accontentiamo anche solo di respirare, siamo quelli che facciamo il vino in casa, comprano i pani per spillare la birra, sereni e di viaggiare sotto il vento, col sole sulla pelle, camminare sotto la pioggia, siamo quelli che guardiamo sempre l’ orizzonte, oltre chi pone inutili confini.
Ci sposiamo sulla sabbia, facciamo l’amore discreti sotto le stelle, ci piace parlare ed ascoltare di persona, odiamo le chat se non per necessità e per lavoro; siamo affamati di parole mai ascoltate, di tutto ciò che è indicibile ma vero. Noi siamo figli dei partigiani, quelli coraggiosi, con le palle, senza pretese, che non hanno peli sulla lingua, quelli per i quali non c’era mai tempo perché lavoravano sempre, ma eccoci, siamo qui, ci siamo cresciuti e siamo riusciti bene, siamo i sindacalisti dei torti subiti, che garantiamo ancora la libertà pagata dai nostri padri.
Ci piace spezzare e dividere il pane, darci entrambe le mani e dove ci sono trenta fa lo stesso con trentuno, ci piace essere umili e farci prendere in giro e anche se abbiamo tanto, ci piace vivere di poco, come se ci bastasse solo il cuore che ci batte; non ci montiamo mai la testa e non ci sentiamo mai a posto o arrivati, perché siamo sempre curiosi di sapere e le cose più intense, sono ancora tutte da sapere, non ci facciamo comprare da chi poi si vende, ci piace la chiarezza e sia molto diretti, siamo quelli del vivi e lascia vivere, non ci piacciono i consigli e non li sappiamo nemmeno dare, perché ognuno è intelligente per sapere dove andare. E se l’ amico è ventennale, dorme spesso a casa nostra, siamo sempre banchettari, dove ognuno porta il suo,
ci piace metter tavola e spesso c’è sempre un estraneo, un fratello extracomunitario senza famiglia ma che ha trovato casa, che si trova già a proprio agio per brindare, ridere e scherzare. E quando sul portone, tutti pronti per partire, con con una Prinz, la 127 o l’ Alfa Sud che per frenarla serviva un cuneo al disotti sotto dei pneumatici, per andare a funghi; che gioia ritrovarsi, per poi tornare a casa, per una frittura una spaghettata, o cento pizze al mare nel forno a legna, per parlare di politica, pettegolezzi, musica, e in silenzio raccontare di problemi personali o giocare a carte.
Noi vintage, amiamo la vita, odiamo i litigi e tanto meno le guerre ignoranti, ci droghiamo e ci facciamo solo di noi stessi, siamo matti di noi, siamo folli ed originali, odiamo ogni tipo di sostanza che ci toglie la voglia della danza, magari ci godiamo una Molinari con la mosca, un sigaro toscano o una Malboro, mentre studiamo, dopo un caffè psicologico o in piazza mentre chiacchieriamo con chi ci va.
Fanatici dei Ray Ban, delle scarpette bianche Superga, jeans e camicia bianca, beviamo alla stessa bottiglia, mangiamo la caramella che è caduta per terra, perché gli anticorpi, noi da bambini li abbiamo fatti sulla strada. Parliamo col barbone, col presidente della repubblica e l’ operatore ecologico, diamo il fazzoletto se il passante piange nel treno dei pendolari e se ci chiedono l’elemosina, la stringiamo senza timori nelle loro mani, parliamo con tutti o nel tram a chi incrociamo negli occhi.
Noi vintage siamo quelli che non creano distanze, che non si montano mai la testa, non dimenticano mai le origini, che ringraziano ma si emancipano da esse e gli restano devoti, non ci dimenticano mai che le radici sono sempre nel fango e che siamo tutti strani ed esseri umani e siamo in grado di parlare con il buono di ognuno, vogliamo essere ingenui, facciamo finta di niente, facciamo sempre lo stesso errore, quello di fidarci di tutti e facciamo molta fatica a diffidare, siamo incorreggibili, ma nessuno ci toglie mai dalla testa una scusa, quella di credere che il mondo può sempre essere migliore se guardato, come da noi, con occhi diversi.
Noi vintage abbiamo pochi valori, tutti gli altri perbenismi li abbiamo cestinati, ragioniamo con la nostra testa e tanto più col cuore, non siamo severi, ne intransigenti, siamo laici e moderati, diventiamo impertinenti e ci disgusta il fanatismo e gli estremismi, siamo sempre illusi che la bontà e l’amore vincerà sempre, perché la vita è trafficata da opere d’ arte ed ognuno ha un suo talento ed un posto per permettere di migliorare la qualità di vita di tanti. Per chi ancora non lo sa, noi vintage, lasciamo il meglio di tutto ciò che tutti noi siamo.
giorgio burdi
ContinuaL’uomo è più potente del suo dolore e della morte
Che senso ha la sofferenza
L’uomo è più potente del dolore e della morte
Ogni volta che ci troviamo di fronte ad un qualsiasi dolore, veniamo chiamati a rinnovarci, attraverso la sua presenza, possiamo comprendere forzatamente o piacevolmente, che si sta prospettando la necessità di una nuova nascita.
Non siamo nati per soffrire, ma quando il dolore è presente, invita ad una evoluzione verso L’ equilibrio e la serenità, direziona verso un aiuto, una presenza super partes, verso una voce che ci accompagni mano nella mano.
Il dolore mentale o fisico si presenta come un parto verso un nuovo adattamento. È l’adattamento verso la nuova prospettiva che si impone, che strugge l’anima.
La sofferenza denota il bisogno di adoperarsi per una evoluzione che fa spavento. Tutto ciò che è nuovo, orientato verso la sua differente prospettiva, fa letteralmente paura.
Il più delle volte percepiamo solo tutta la veemenza del dolore che oscurantisce la prospettiva del cambiamento. Non lo capiamo, non lo sappiamo, ma quando soffriamo si esige un cambiamento.
Gli stessi sintomi rappresentano una ribellione ad una condizione e in quel momento il dolore rappresenta paradossalmente il nostro miglior amico che vorrebbe indicarci la strada e ciò che di fatto non va.
La sfida del sintomo è dover riconoscere da cosa esso viene generato per avviare una metamorfosi liberatoria rispetto alla situazione generatrice del sintomo.
Accertati che non ci siano cause di natura organica, se hai un dolore alla gola, domandati, quante parole non dici, soffocate a mezza lingua.
Gli acufeni denotano la presenza di pressioni emotive scaricate sui timpani, gli attacchi di panico che ti fanno temere la pazzia o la morte, denotano cosa davvero ti fa impazzire o ti fa morire nella vira quotidiana. La mancanza di autostima non rappresenta uno stato di deficienza personale, ma a quanti giudizi sul mio conto ho creduto.
La ricerca continua del senso della vita, il mal d’ esistere, denota che c’è molto che non da senso alla mia vita.
Comunque sia, il dolore non è nostro nemico ma al contrario un amico che incita verso una trasformazione di equilibri, verso la serenità e la felicità.
Ma, lì dove è complesso cambiare, cosa succede ? La sofferenza impone e propone l’ adattamento e la capacità di accettazione che acquieta e rigenera una nuova nuova forza di vita. Comunque sia,
l’ organismo è sempre reattivo, per adattamento, al miglioramento di se.
La prostrazione della sofferenza rende vulnerabili, spinge verso l’errore, spinge verso una dimensione comunque umana di differenti prospettive. L’ errore rappresenta la ribellione verso il dolore, è un confuso tentativo irrefrenabile verso una prospettiva di miglioramento.
L’errore rappresenta il partner del cambiamento, è un urlo di liberazione, senza sbagli non si cambia. D’ altronde il bisogno di liberazione, in una condizione di sofferenza che genera confusione, non sempre è progettabile, per quanto si cerchi di non sbagliare perché l’errore è sempre ripugnabile, ma esso è il puro ribelle del dolore, verso una evoluzione al di là dello stesso.
L’uomo è più potente del dolore, della morte perché comunque vada o comunque sia, per istinto di vita o di sopravvivenza, l’uomo si difende sempre, lotta e vive in trincea perché auspica sempre al desiderio di vita e di vittoria. Non molliamo mai.
giorgio burdi
ContinuaRINASCERE
Dover rinunciare alle fragili abitudini Per l’ infinito che resta
Rinascere
Il tuo percorso
in una scia di erba,
Poi un tratturo,
una strada sterrata,
hai messo la ghiaia, con fatica battuta,
verso la tua autostrada
Vuoi andare lontano,
Non c’è orizzonte per Te,
è sempre così troppo irraggiungibile
Fai tutto da solo,
ti rimbocchi le maniche
dai tuoi geni alla tua strada
Che piano piano diventa afalto
dal sudore, al piccone
Scolpisci le pietre.
Monta muri a secco
La tua idea si fa progetto
testata d’ angolo
Dai forma alla malta
Impasta pensieri, ghiaia, estro,
sudore ed argilla
Si erge la torre
Incastra laterizi archi e capitelli
Sei Una labile idea
Che struttura un castello imperiale
quanta fatica
Dover rinunciare alle fragili abitudini
per l’ infinito che resta
Che diviene e trapassa l’ effimero
Ciò che è fatica, resta,
Vivere alla giornata angustia,
come La buccia secca perisce
La fatica rimane per una gioia infinita
Una scia di gioia finisce
er un botto di fuoco di paglia
A tutti coloro che edificano dentro,
Sarà roccia l’ edificio che è fuori,
perché si evolve chi cambia
non disdegna fa fatica
Riconosce i tuoi limiti.
non solo quelli degli altri.
commisera la povertà del proprio passato
e fa del proprio presente
la sua nuova vita,
la leggerezza della propria rinascita
AUGURI
giorgio burdi