IL CAPPELLO CON LA COCCARDA
IL CAPPELLO CON LA COCCARDA
E i sogni della mia vita.
Non cediamo alla tentazione di ignorare il potente segnale emozionale carico di contenuti che il nostro inconscio riconnette a significativi oggetti della nostra esistenza !
Avevo, credo, 26 anni quando mi fu regalato da mia sorella un cappello, a forma di <<bombetta>>, rosso, con un coccardone verde. All’epoca vivevo a Napoli, dove studiavo, ed avevo un sogno, anzi, per la verità, più d’uno. Principalmente volevo diventare ricca e <<fare del bene>>, creare una fondazione che si occupasse degli <<ultimi>>.
Ogni volta che tornavo a casa di mia madre, casa che avevo lasciato dopo la sua morte, avvenuta in maniera del tutto imprevista e fulminea il 22 dicembre del 2000, alle 9,00 del mattino, per aneurisma cerebrale mentre, sole in casa, discutevamo dei preparativi per la vigilia di natale, che non avremmo mai più condiviso, andavo a vedere come stessero i miei numerosi cappelli tra cui quello con il coccardone, acciaccato e pieno di peli (bianchi) nello scatolone insieme agli altri e dove i gatti, nella mia assenza, erano andati a scorazzare.
Avevo lasciato quella casa per andare alla ricerca della mia strada e dove, di tanto in tanto, ritornavo e quando questo accadeva parlavo al mio cappello come fosse stata una persona e gli dicevo: <<un giorno, presto, tornerò a riprenderti!>>: un simbolo, più che un oggetto, di tutto ciò che vi compendiavo, forse la mia stessa vita, anelando, un giorno, a riappropriarmene definitivamente, come di tutto il resto!
Sono tornata in possesso di quel cappello dopo più di venticinque anni! Che grande conquista per me. Naturalmente insieme a lui mi ero riappropriata di tante cose, materiali e non. Mentre lo sistemavo e lo pulivo mi sembrava di stare rimettendo ordine nella mia vita.
Quando l’ho rivisto, a distanza del così tanto tempo frattanto incredibilmente trascorso, recava su di sé gli ineluttabili segni del tempo, come me del resto! Quei segni che persino quando non sono visibili sono percepibili, era anch’esso carico di una malinconica e nostalgica tristezza.
Lo guardavo e pensavo : <<amico mio, quanto abbiamo da raccontarci!>>. Lui era rimasto in quella che un tempo era casa mia, casa di mia madre con la quale amorevolmente e quasi simbioticamente avevo vissuto, ma non era rimasto solo, lo avevo lasciato lì insieme a tutti i miei effetti personali, oggetti cari, abiti, libri, tanti libri, tra cui quelli di musica, il mio pianoforte e Dio solo sa quanti ricordi e quanti sogni!
Quando, finalmente, mi sono riappropriata del mio amato pianoforte e……. del cappello con la coccarda ho pensato: <<eccovi, finalmente! Siamo ritornati insieme>>. Quanto tempo era passato! un battito d’ali, ma erano passati più di venticinque anni! E così, riemergendo la mia razionalità, cercavo di ripercorrerli mentalmente nel tentativo di ricordare come ed in che successione fossero trascorsi, cosa avevo fatto durante tutto quell’arco temporale, la mia vita. E senza che me ne rendessi conto in un attimo mi sono passati d’avanti, come in un film, tutti i principali accadimenti, gli eventi che avevano contrassegnato le tappe fondamentali di quel non breve periodo a cui cercavo di attribuire una successione cronologica. Dicono che quando si muore accada una cosa simile!
E così si sono affollati nella mia mente: la morte improvvisa ed imprevista di mia madre trovata riversa a pancia in giù con i segni evidenti dell’emorragia cerebrale su un lato della testa, la separazione lacerante da quella casa in cui avevo vissuto tanto intensamente, la mia depressione, la mia malattia, la diagnosi di artrite sieronegativa, l’annuncio maldestro del mio prospettato epilogo sulla sedia a rotelle, i diversi studi professionali nei quali, disperatamente, avevo cercato rifugio professionale, l’inizio della mia professione, l’incontro con quello che poi è diventato il mio meraviglioso compagno di vita, la convivenza, l’incontro con mio suocero che si è preso cura della mia salute salvandomi la vita, il matrimonio, i concorsi, le inaspettate conquiste professionali, la separazione dai miei fratelli, la morte di mio suocero, quasi cinque anni in Calabria, da magistrato, alle prese con la mafia, ma anche con un mondo meraviglioso fatto di uno scenario selvaggio e di gente straordinaria, il trasferimento in Puglia, il trasloco, la riaffacciatasi ma non riconosciuta depressione. Quante cose, e certamente qualcuna me ne è sfuggita.
Quanto tempo era passato e di quanto tempo ero stata letteralmente derubata! <<Di quanto cose dobbiamo parlare amico mio!>> dicevo al mio ritrovato cappello. Da quel dì sono trascorsi tre anni e, finalmente, oggi, 11.01.2022, quasi magicamente, già felice di riavere le mie <<cose>> con me, ritrovo il mio tempo. Il tempo per godere di me stessa e ciò anche quando questo porta a ripercorrere passaggi tenebrosi della nostra esistenza ma pur sempre essenziali per il passaggio successivo.
Ciascuno di noi ha un <<cappello con la coccarda>>, simbolo della propria storia e simbolo del percorso esistenziale che ci rammenta come e quanto tempo abbiamo davvero dedicato a noi stessi e quanto tempo, invece, abbiamo elargito ed a volte sprecato per adempiere agli innumerevoli doveri che ci strangolano ogni giorno, soccorrere chi non aveva nessuna voglia di rialzarsi, portarci addosso croci altrui; sottostare alla follia altrui, ma quella vera, fatta di soprusi, di instabilità, di sfruttamento, di egoismo, di cattiveria, di avidità, di narcisismo cronico che prosciugano la nostra energia inducendoci a perdere noi stessi abdicando ogni giorno di più ad ogni particella del nostro essere fino ad arrivare, senza che ce ne rendiamo conto, al suicidio interiore piuttosto che trovare la forza di dedicare quel prezioso tempo a ciò che desideriamo, che merita di essere coltivato perché ci fa crescere e ci fa stare bene con noi stessi e con gli altri imparando a gridare <<NO, basta, ora è il mio turno!>>.
Io il mio cappello l’ho ritrovato e non solo interiormente, lo indosso anche se logoro e quando ciò avviene ci guardiamo e siamo entrambi felici. Ed ora ho appena ricominciato il mio nuovo viaggio con lui e sono già per questo immensamente appagata.
A te amico/a mio, anche se non ti conosco ed anche se non ti conoscerò mai, suggerisco di ritrovare il tuo <<cappello con la coccarda>> e di riprendere il tuo cammino salvifico insieme a lui e scoprirai che è solo l’inizio di un grande <<miracolo>> che partendo dalla tua interiorità cambierà concretamente la tua esistenza per sempre.
Laura C.
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LA FINESTRA SUL MARE
LA FINESTRA SUL MARE
Quando non hai bisogno di nessuno stai bene con tutti.
Etimologicamente “Nessuno” dal latino “ne ipse unus”… cioè: “neppure uno”.
Il “non aver bisogno di nessuno” è una vera strategia per poter aver qualcuno e innanzitutto avere se accanto.
Cosa vogliamo intendere con questo ? La persona capace, è quella in grado di saper rinunciare agli altri, non per sport di isolamento, ma per la capacità di rendersi autonoma, anche al solo scopo di poter realizzare relazioni stabili.
La stabilità si prepara “in casa propria” , ovvero dentro di se, per non fomentare e reiterare, nell’arco della vita, terremoti relazionali.
Non si tratta affatto di una tecnica per poter realizzare rapporti significativi, o per incastrarsi nel proprio individualismo, ma della necessità di realizzare un vero e proprio cambiamento di atteggiamento, orientato verso di se, sulla centralità della propria esistenza, aspirando alla propria auto realizzazione.
Le persone non auto realizzate, orientano il proprio equilibrio verso chi può sostenere le proprie cause, decentrando il baricentro della propria esistenza verso altri perimetri, così edificando i pilastri in terreni altrui, verso la propria destabilizzazione.
Quando il prossimo detiene il merito di farci acquisire il senso di noi, l’investimento diviene esattamente pari a zero o nullo e decaduto.
Andiamo sempre in perdita, sulla base auto svalutativa di noi stessi, quando non ci sentiamo meritevoli e depositari delle potenzialità che la vita ci ha donato, ma percepiamo gli altri, i depositari, i fortunati di tali risorse.
Ci auto sabotiamo, mettendo un silenziatore alla nostra anima, rinunciamo a noi stessi, appoggiandoci sui meriti e sulle risorse altrui.
Non aver bisogno di nessuno, significa, aver bisogno di se, poter contare su se stessi, sulla propria stima e fiducia. Gli altri, sono la loro strada e percorrono comunque e sempre le proprie formazioni, seguendo parallelamente le quali, ci sentiamo prima o poi inadeguati, inefficaci.
La nostra strada, è la strada adeguata, è resilienza, ma potremmo non incontrarla mai senza una lettura attenta dei nostri talenti e delle nostre naturali attitudini. Chi si accontenta, non gode, ma si annoia, si deprime e si ammala.
Non aver bisogno di nessuno, non significa solo fare il lavoro giusto, sulla base delle proprie attitudini, ma fare un lavoro dentro di se, per illuminarci su come siamo fatti e funzioniamo.
Il non aver bisogno di nessuno, per stare bene con gli altri, è alle antipodi delle diverse forme di dipendenza e si realizza solo con l’auto realizzazione.
La mancata auto realizzazione è al vertice delle frustrazioni e delle nevrosi personali, e se pensiamo al rapporto nell’ ambito delle alle relazioni, un nevrotico, più un altro nevrotico, non fanno somma zero, ma fanno un nevrotico al quadrato.
Nella relazione più profonda, entrambi non hanno bisogno più di nessuno, perché essendo uno, secondo l’etimologia, sono esattamente nessuno, come perfetta fusione di intenti, perché sono stati entrambi rinunciatari della propria realizzazione fondata sugli altri.
L’ auto realizzazione è alla base della propria serenità e della ansimata felicità.
giorgio burdi
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