Superare il rimuginare
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE IL RIMUGINARE
Cos’è il rimuginio
Il rimuginio è un processo mentale non funzionale e maladattivo. Possiamo paragonarlo a una spirale di pensieri ricorrenti, intrusivi, negativi e ansiosi che bloccano la nostra attenzione, ci intrappolano nella nostra mente, ci tengono ancorati al problema e ci allontanano sempre più dalla soluzione e dalla presa di decisioni.
Rimuginare significa preoccuparsi in modo ripetitivo di cose negative che potrebbero accadere in futuro, consiste nel prefigurare pericoli futuri. Quando invece si tende a riflettere continuamente e con insistenza sugli aspetti negativi della propria esistenza e quando i pensieri ricorrenti e intrusivi sono volti a un qualcosa accaduto nel passato, parliamo di ruminazione.
Il rimuginio è dunque un’attività anticipatoria, è il preoccuparsi di qualcosa molto prima. Consiste nel focalizzare l’attenzione su potenziali problemi futuri ben prima che si possano realizzare e ben oltre il potenziale rischio. È un atteggiamento perseverante, estremo e ansioso di preoccuparsi di cosa potrebbe accadere.
Lo scopo del rimuginio è quello di anticipare la minaccia e allo stesso tempo anticipare il modo di fronteggiarla o evitarla, costruendo mentalmente scenari per far fronte a situazioni potenzialmente pericolose e minacciose.
Durante il rimuginio agganciamo il pensiero negativo dandogli un valore di verità, questo porta una catena di pensieri sempre più negativi e ripetitivi. Anche il tentativo di trovare una soluzione, una spiegazione, diventa esso stesso motore di un nuovo giro di pensieri. La ricerca disperata di risolvere dubbi che appesantiscono la mente darà così luogo ad altri processi rimuginativi.
La persona che rimugina cerca di rispondere a un pensiero negativo iniziando a ragionarci sopra, elabora scenari negativi, li focalizza con immagini visive, elabora potenziali risposte. Il rimuginio è dunque un modo di ragionare faticoso: si cerca di risolvere la situazione quando concretamente non si può.
Rimuginando è come se bloccassimo la nostra mente in questo circuito di pensieri negativi e di ansia che rimane duratura e si aggrava nel tempo. Il rimuginio è un meccanismo sottostante ai disturbi psicologici come l’ansia e la depressione in cui il pensiero ripetitivo negativo viene percepito incontrollabile e produce prospettive distorte della realtà che alimentano stati d’animo negativi.
Esso, sebbene sia una forma di pensiero ripetitivo strettamente legato all’ansia, non è soltanto di tipo ansioso. Esistono diverse forme: il rimuginio desiderante, ossia quando torniamo con i pensieri e l’immaginazione su qualcosa che desideriamo, ma non abbiamo in quel momento, e pensiamo continuamente come poterlo ottenere; la ruminazione depressiva quando attiviamo catene di perché sui nostri disagi e sulle nostre problematiche, e la ruminazione rabbiosa che ha a che fare con una percezione di ingiustizia subita, di offesa o umiliazione ricevuta.
A prescindere dalle caratteristiche del rimuginio, esso è uno stile di pensiero che rende la vulnerabilità emotiva di ognuno più fragile e per questo è uno dei principali processi che prolungano e amplificano la nostra sofferenza psicologica.
Prolunga gli stati mentali spiacevoli, favorisce stati di insonnia, tensione, stanchezza, somatizzazioni, aumenta la sensazione di essere in pericolo, che ci sia una minaccia, un problema, e impedisce che la mente faccia il suo normale lavoro di autoregolarsi e transitare negli stati emotivi senza restare invischiata.
Il rimuginio è trasversale ad altre situazioni di sofferenza psicologica. Sicuramente è nucleo fondante dei disturbi d’ansia, ma interessa anche i disturbi del comportamento alimentare, il disturbo ossessivo-compulsivo, l’ipocondria, la fobia sociale e i disturbi di personalità.
In quanto processo mentale caratterizzato dalla ripetitività, il rimuginio provoca ripercussioni sullo stato emotivo e sulla personalità dell’individuo che entra in un circolo vizioso di pensieri ripetitivi e persistenti. Questa situazione prolunga l’umore negativo riducendo la capacità di attivarsi nella quotidianità, solidifica memorie negative.
Consuma le nostre risorse mentali, riduce l’attenzione, la concentrazione, la memoria, la nostra creatività, il pensiero diventa più astratto e si allontana dalla concretezza, ci rende indecisi perché alimenta dubbi e inibisce l’azione.
Cause
Nonostante il rimuginio sia uno stile di pensiero non funzionale, il rimuginare in alcuni casi ha una funzione specifica. In primo luogo, rimuginare crea l’illusione che si stia riflettendo sul problema; alcuni, infatti, credono che il rimuginio aiuti a risolvere ed affrontare le situazioni problematiche, preoccuparsi aiuta a risolvere il problema e a trovare la soluzione giusta. Ovviamente non è così, preoccuparsi troppo non dà gli strumenti per affrontare meglio il problema.
Altri ritengono che il rimuginio protegga dal soffrire troppo, è una sorta di scudo emozionale: se mi preoccupo delle cose negative che mi potrebbero accadere, soffrirei meno se mi dovessero accadere.
Un’altra convinzione del rimuginare è l’idea che farlo aiuti ad avere una conoscenza più approfondita di sé stessi, a non commettere errori e sbagli del passato.
Così come l’idea che rimuginare sostenga l’azione, cioè motivi ad agire. Spaventarsi delle conseguenze negative aiuta a spronarsi e motivarsi. In realtà rimuginare ostacola le capacità di concentrazione e non permette di agire.
È possibile, inoltre, ricondurre il rimuginio alla tendenza al perfezionismo, il timore dell’errore e la paura di dover affrontare una sensazione di fallimento.
Sintomi
Il rimuginio è già di per sé un sintomo che interferisce con il benessere psico-fisico della persona.
Chi rimugina ripetutamente può riscontrare diversi effetti negativi sulla salute e presentare sintomi di notevole importanza, alcuni di questi invaldidanti:
- Ragionamento perseverante e ripetitivo
- Pensieri sempre uguali
- Ragionamenti e dialogo interno
- Contenuti mentali negativi
- Pensieri incontrollabili
- Pensieri verbali e astratti
- Disturbi del sonno
- Ansia
- Depressione
- Irrequietezza
- Irritabilità
- Mancanza di concentrazione
- Affaticamento
- Somatizzazioni
Cura
La convinzione che il rimuginio sia incontrollabile è il primo fattore che sostiene la tendenza a rimuginare.
Scoprire di avere controllo sul rimuginio è un punto nevralgico dell’intervento per la diminuzione dello stesso e dell’ansia. Imparare a controllare il proprio rimuginio non significa non avere mai più pensieri negativi, cercare di sopprimerli ha un effetto boomerang, tornano nella nostra mente.
Dobbiamo imparare a lasciare scorrere i pensieri negativi, a non agganciarli, a non fermarli. Bisogna osservarli e trattarli per quello che sono, dei pensieri e non qualcosa di reale in quel momento.
Il rimuginio non è sempre presente nella nostra mente, questo significa che la mente è in grado di controllarlo. Rendersi conto di questo è il primo passo per mettere in discussione che il rimuginio sia incontrollabile.
Quando nella nostra mente affiorano pensieri negativi possiamo scegliere due strade: rimuginarci sopra, fissarci sul pensiero e creare una catena negativa di pensieri che porterà ansia e tristezza, oppure valutare il pensiero per quello che è, non come una realtà, ma come pensiero. Se non ha rilevanza pratica, spostare la mente nel qui e ora, così lo stato d’animo emotivo spiacevole transita, scorre e passa.
Quando il rimuginio diventa l’unico stile di pensiero per affrontare i problemi, le difficoltà, è opportuno modificarlo.
Come tutti i processi di pensiero, non si tratta di qualcosa di innato, bensì di appreso nel tempo dall’individuo, pertanto modificabile come qualsiasi altro comportamento.
Sicuramente la psicoterapia offre un grande aiuto perché lavora sulla ristrutturazione cognitiva. Aiuta a portare controllo sul pensiero, consapevolezza nell’identificare i processi negativi. Con una terapia cognitivo-comportamentale è possibile correggere gli atteggiamenti e modificare gradualmente il flusso di pensieri.
Il terapeuta attraverso tecniche psicoterapiche precise aiuta il paziente ad accogliere i pensieri intrusivi e lasciarli andare senza combatterli forzatamente. Promuove l’apprendimento di tecniche di problem solving per sostituire pensieri negativi e improduttivi con pensieri positivi e risolutivi.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
Superare l’autolesionismo
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE L’AUTOLESIONISMO
Cos’è l’autolesionismo
Con il termine autolesionismo si indicano tutti i comportamenti e gli atti intenzionalmente autolesivi verso il proprio corpo.
L’intento di chi soffre di autolesionismo è provocarsi dolore e danno fisico. Gli atti e i comportamenti autolesivi patologici sono classificabili in tre principali categorie:
autolesionismo moderato o superficiale
- tagli della cute con oggetti affilati come coltelli e taglierini
- perforazioni con punteruoli o altri strumenti appuntiti
- bruciature con oggetti roventi o marchiandosi con sigarette
- mordersi
- sollevare lembi di pelle
- grattare e raschiare la pelle
- conficcare le unghie
- strapparsi peli e capelli
autolesionismo maggiore
- ingestione di sostanze chimiche e tossiche
- ingestione di grandi quantità di farmaci e di alcol
autolesionismo latente
- mancata ingestione di cibo
- pratica smisurata di attività fisica
Tra le diverse forme di autolesionismo rientra anche l’autolesionismo stereotipico, ovvero tutti quei comportamenti ripetuti come morsi o colpi con la testa, riconducibili a un ritardo mentale, all’autismo o alla sindrome di Tourette.
L’autolesionismo interessa qualsiasi età sebbene ci sia una maggiore incidenza nell’adolescenza e nei giovani adulti, in prevalenza soggetti psichiatrici; tuttavia, può interessare anche soggetti affetti da disturbi d’ansia e depressione.
È una forma di auto-punizione in soggetti con un forte senso di colpa e con un’elevata autocritica. A volte è praticato solo per raggiungere piacere, in questi casi è spesso associato a pratiche sessuali.
Alcuni studi hanno riscontrato che molti soggetti praticano autolesionismo per emulare amici o parenti autolesionistici, altri che l’autolesionismo è un modo per rivendicare forme di discriminazione del proprio orientamento sessuale o del proprio credo, forme di pregiudizio nei propri confronti.
Contrariamente a quanto si possa pensare, raramente questi atti autolesivi sono tentativi di suicidio o chi li mette in atto ha tendenze suicidarie, essi hanno una natura diversa. Alcune volte, però, possono essere predittivi di tentativi di suicidio soprattutto quando vi è una progressiva desensibilizzazione al dolore fisico.
L’autolesionismo può essere a volte letale a causa di intossicazioni da farmaci o sostanze nocive, di un grave danneggiamento dei tessuti, a causa di emorragie provocate da tagli profondi o colpi alla testa.
Lo scopo dell’autolesionismo è indurre una sensazione positiva e ottenere sollievo da uno stato cognitivo negativo. Quando i pensieri negativi predominano, gli autolesionisti vivono un momento di crisi che non riescono a controllare e ciò li porta a provocarsi dolore. Il dolore induce da un lato uno stato di soddisfazione e godimento, dall’altro una perdita di controllo.
Per l’autolesionista procurarsi un dolore fisico e quasi sempre anche un danno fisico, è un modo per sentirsi meglio, per alleviare lo stato di angoscia che lo affligge, per provare un distacco emotivo.
Chi mette in atto comportamenti autolesivi lo fa per focalizzare l’attenzione sul dolore fisico spostandola da quello emotivo, da quello dell’anima. Il dolore fisico percepito risulta meglio controllato e tollerato rispetto a quello emotivo, rispetto al profondo vuoto interiore sentito. Il dolore fisico genera sollievo perché allontana le sensazioni negative, il senso di angoscia incontrollabile e insopportabile.
Gli atti autolesivi vengono quasi sempre utilizzati per attirare l’attenzione, sono una richiesta di aiuto manifestando un disagio. Chi li compie ha spesso difficoltà a riconoscere e gestire le proprie emozioni.
L’autolesionismo urla la sofferenza che non si riesce a comunicare a parole.
Cause
Alla base dell’autolesionismo c’è sicuramente uno stress emotivo imponente.
Chi mette in atto comportamenti autolesivi può aver vissuto traumi emotivi come la morte di una persona carao un aborto spontaneo e traumi fisici come violenza e abusi sessuali.
Anche situazioni difficili in ambito lavorativo, si pensi a un datore di lavoro opprimente, assillante, soffocante, che genera sottomissione, difficoltà e insuccessi scolastici, fenomeni di bullismo, problemi sociali, difficili relazioni, conflitti con i genitori o con il partner…possono indurre all’autolesionismo.
L’autolesionismo è spesso espressione di problemi di natura psicologica:
- Stati depressivi
- Ansia
- Accentuato senso di colpa
- Mancanza di autostima
- Disturbo borderline della personalità
- Disturbi dell’umore
- Perdita di controllo, impulsività
- Disregolazione emotiva
- Discontrollo degli impulsi
- Disturbi di personalità antisociale
- Sentimenti negativi verso il proprio corpo
- Disturbi alimentari
- Disturbi della condotta
- Tossicodipendenza
Sintomi
Le manifestazioni dell’autolesionismo sono:
- Pensieri autolesivi frequenti
- Difficoltà interpersonali
- Pensieri negativi prima del gesto autolesivo
- Preoccupazione incontrollabile per il gesto
- Presenza di tagli o bruciature sul corpo
- Tendenza a coprire le parti lesionate
- Continua autocritica
- Bassa autostima
- Disgusto verso sé stessi
- Tendenza a isolarsi
- Abuso di alcol o di sostanze
- Abuso di farmaci
- Tendenza a strapparsi i capelli
- Mangiarsi compulsivamente le unghie
Cura
In alcuni casi l’autolesionismo potrebbe richiedere un’ospedalizzazione immediata, si pensi all’overdose da farmaci, l’intossicazione da sostanze, emorragie a seguito di tagli profondi, gravi bruciature.
Sicuramente il punto di partenza per un’accurata pianificazione della terapia è la consapevolezza da parte degli autolesionisti di avere un disturbo e di necessitare di specifico supporto medico.
Generalmente il trattamento dell’autolesionismo prevede una collaborazione multidisciplinare tra psichiatra e psicoterapeuta.
Nello specifico la psicoterapia pone l’attenzione sugli aspetti irrazionali, aiuta il paziente a individuare e riconoscere quei pensieri intrusivi, negativi e distorti, che lo spingono a procurarsi un danno e del dolore. Lo aiuta inoltre a riflettere e lavorare sui sentimenti e sulle circostanze che precedono gli atti autolesivi.
Il terapeuta lavora sulla motivazione al trattamento, aiuta il paziente a sviluppare strategie utili a gestire le emozioni negative e gli stati di malessere che sono alla base dei comportamenti autolesionistici. Il lavoro è orientato a sviluppare emozioni positive che permetteranno di migliorare le relazioni e di arginare l’influenza delle emozioni negative.
A volte il terapeuta può coinvolgere nel percorso terapeutico anche la famiglia del paziente, affinché possa essere di supporto durante il percorso terapeutico. Ovviamente questo coinvolgimento risulterà inappropriato se dovesse emergere che l’autolesionismo ha origine da difficoltà e disfunzioni familiari.
La terapia di gruppo, in particolare, risulta essere molto indicata: rapportarsi e confrontarsi con soggetti che hanno vissuto o vivono situazioni simili rende più facile l’esternazione e la condivisione dei propri problemi.
Affinché ci sia riuscita della cura è indispensabile che ci sia continuità della terapia soprattutto per evitare le recidive che in questo disturbo sono molto frequenti.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI