SUPERARE GLI ATTACCHI DI PANICO
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE GLI ATTACCHI DI PANICO
Cos’è l’attacco di panico?
Il termine “attacco di panico” ha origine dal mito greco del dio Pan, un essere pauroso con il corpo metà umano e metà caprino. Il mito narra che Pan, dio dei pascoli e della natura, sopraggiungeva improvvisamente spaventando le ninfe del bosco e i viandanti tanto da terrorizzarli. Proprio come l’improvviso sopraggiungere del dio Pan, l’attacco di panico giunge in modo inaspettato e intenso terrorizzando inevitabilmente chi lo vive. Gli attacchi di panico sono caratterizzati da intensa e profonda paura, forte ansia, apparentemente senza alcuna motivazione, senza alcun evento scatenante o reale pericolo.
Cause
Sebbene essi si manifestino senza reali situazioni di pericolo o potenziali cause, in realtà sono legati a profonde emozioni difficili da percepire e riconoscere. Spesso alla base ci sono periodi di stress intenso e prolungato, forte affaticamento, eccessiva responsabilità, smisurata preoccupazione, un lutto, una separazione, una malattia, traumi infantili…
Sintomi
La paura e l’intensa angoscia provate durante un attacco di panico sono accompagnate da sintomi somatici generati dall’attivazione del sistema simpatico, e sintomi cognitivi.
Sintomi somatici:
- Tachicardia
- Palpitazioni
- Dolore al petto
- Difficoltà respiratorie
- Soffocamento
- Sensazione di sbandamento
- Svenimento
- Capogiri
- Vertigini
- Stordimento
- Debolezza
- Sudorazione improvvisa
- Formicolio agli arti
- Nausea
- Vampate di calore
- Brividi
- Tremori
- Cambiamenti repentini della temperatura corporea e della pressione
Sintomi cognitivi:
- Paura di perdere il controllo
- Paura di impazzire
- Derealizzazione
- Depersonalizzazione
- Paura di morire
Seppure l’apice di un attacco di panico duri in media non oltre una decina di minuti, chi si trova a viverlo ed affrontarlo per la prima volta ne rimane profondamente turbato e difficilmente dimentica l’episodio. Generalmente il carattere inaspettato del primo attacco di panico e la presenza di sintomi somatici e cognitivi intensi, porta l’interessato a recarsi immediatamente al pronto soccorso perché teme di avere un infarto, di essere in pericolo di vita. Segue una serie di accertamenti medici in cerca di risposte. Molto spesso, escluse eventuali cause mediche, escluso un problema fisico, la persona prova vergogna e imbarazzo pensando che il malessere possa essere percepito all’esterno come un’immagine debole di sé.
A volte, inoltre, l’esclusione di una problematica fisica induce a rifiutare che ci possa essere un problema di diversa natura, pertanto a non affrontarlo dal punto di vista psicologico e ciò comporta inevitabilmente la ricomparsa degli attacchi di panico con una frequenza sempre più ravvicinata tanto da diventare un vero e proprio disturbo. Quando gli attacchi di panico sono ricorrenti, non sono causati da una condizione medica generale o giustificati da un altro disturbo e c’è preoccupazione persistente di avere altri attacchi di panico, si è di fronte ad un disturbo di panico.
Una conseguenza degli attacchi di panico è l’agorafobia, la paura di spazi aperti e/o affollati dai quali potrebbe risultare difficile allontanarsi in caso di pericolo, ricevere aiuto o semplicemente il timore del giudizio altrui se si dovesse stare male in pubblico. Inevitabilmente si innescano meccanismi di evitamento di tutte quelle situazioni che generano ansia pensando così di evitare l’insorgenza del panico. Ed è così che si evita di viaggiare, utilizzare mezzi pubblici, prendere treni, aerei, andare a teatro, al cinema, a un concerto, al supermercato, aspettare in coda, essere tra la folla, guidare, essere da soli… Tutto ciò compromette ovviamente l’aspetto sociale, lavorativo e personale.
Chi soffre di agorafobia evita categoricamente tutte le situazioni temute e se le affronta le vive con profonda ansia. Si diventa schiavi e vittime dei propri attacchi di panico, delle proprie paure: si vive una profonda frustrazione che può portare ad uno stato depressivo. Il carattere improvviso e l’imprevedibilità degli attacchi di panico, porta chi ne è colpito a sentirsi fragile, vulnerabile, ad avere paura della paura.
Cura
Affrontare gli attacchi di panico fino a superarli è possibile. Fondamentale è prendere consapevolezza che non dipendono da una condizione fisica, migliorare l’atteggiamento verso gli eventi esterni e le sensazioni corporee. Indispensabile è un percorso di psicoterapia: imparare tecniche atte a gestire l’ansia come le tecniche di respirazione, apprendere nuove modalità di pensiero e comportamento, soprattutto imparare a guardarsi dentro, a prendere consapevolezza di sé senza reprimere le paure.
Jung sosteneva che la paura è una via legittimada seguire. Le nostre paure, tutto quello che reprimiamo con forza, diventano prima o poi causa dei nostri conflitti interiori. La psicoterapia aiuta a dar voce alla paura riducendo le tensioni, a ristabilire l’equilibrio perso. La psicoterapia offre gli strumenti per vivere liberi.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
L’uomo è più potente del suo dolore e della morte
Che senso ha la sofferenza
L’uomo è più potente del dolore e della morte
Ogni volta che ci troviamo di fronte ad un qualsiasi dolore, veniamo chiamati a rinnovarci, attraverso la sua presenza, possiamo comprendere forzatamente o piacevolmente, che si sta prospettando la necessità di una nuova nascita.
Non siamo nati per soffrire, ma quando il dolore è presente, invita ad una evoluzione verso L’ equilibrio e la serenità, direziona verso un aiuto, una presenza super partes, verso una voce che ci accompagni mano nella mano.
Il dolore mentale o fisico si presenta come un parto verso un nuovo adattamento. È l’adattamento verso la nuova prospettiva che si impone, che strugge l’anima.
La sofferenza denota il bisogno di adoperarsi per una evoluzione che fa spavento. Tutto ciò che è nuovo, orientato verso la sua differente prospettiva, fa letteralmente paura.
Il più delle volte percepiamo solo tutta la veemenza del dolore che oscurantisce la prospettiva del cambiamento. Non lo capiamo, non lo sappiamo, ma quando soffriamo si esige un cambiamento.
Gli stessi sintomi rappresentano una ribellione ad una condizione e in quel momento il dolore rappresenta paradossalmente il nostro miglior amico che vorrebbe indicarci la strada e ciò che di fatto non va.
La sfida del sintomo è dover riconoscere da cosa esso viene generato per avviare una metamorfosi liberatoria rispetto alla situazione generatrice del sintomo.
Accertati che non ci siano cause di natura organica, se hai un dolore alla gola, domandati, quante parole non dici, soffocate a mezza lingua.
Gli acufeni denotano la presenza di pressioni emotive scaricate sui timpani, gli attacchi di panico che ti fanno temere la pazzia o la morte, denotano cosa davvero ti fa impazzire o ti fa morire nella vira quotidiana. La mancanza di autostima non rappresenta uno stato di deficienza personale, ma a quanti giudizi sul mio conto ho creduto.
La ricerca continua del senso della vita, il mal d’ esistere, denota che c’è molto che non da senso alla mia vita.
Comunque sia, il dolore non è nostro nemico ma al contrario un amico che incita verso una trasformazione di equilibri, verso la serenità e la felicità.
Ma, lì dove è complesso cambiare, cosa succede ? La sofferenza impone e propone l’ adattamento e la capacità di accettazione che acquieta e rigenera una nuova nuova forza di vita. Comunque sia,
l’ organismo è sempre reattivo, per adattamento, al miglioramento di se.
La prostrazione della sofferenza rende vulnerabili, spinge verso l’errore, spinge verso una dimensione comunque umana di differenti prospettive. L’ errore rappresenta la ribellione verso il dolore, è un confuso tentativo irrefrenabile verso una prospettiva di miglioramento.
L’errore rappresenta il partner del cambiamento, è un urlo di liberazione, senza sbagli non si cambia. D’ altronde il bisogno di liberazione, in una condizione di sofferenza che genera confusione, non sempre è progettabile, per quanto si cerchi di non sbagliare perché l’errore è sempre ripugnabile, ma esso è il puro ribelle del dolore, verso una evoluzione al di là dello stesso.
L’uomo è più potente del dolore, della morte perché comunque vada o comunque sia, per istinto di vita o di sopravvivenza, l’uomo si difende sempre, lotta e vive in trincea perché auspica sempre al desiderio di vita e di vittoria. Non molliamo mai.
giorgio burdi
ContinuaATTACCHI DI PANICO: Come crearli e come curarli
ATTACCHI DI PANICO
Come crearli e come curarli
Forse è passato poco tempo. Forse ne è passato tanto.
Comunque adesso, i ricordi, si sono presi lo strano diritto di richiamare loro sentimenti e sensazioni, fissandoli in improvvisi flashback.
A volte, mi dico di esser stato fortunato nell’aver vissuto l’epilogo del mio matrimonio, da accatastato, come uno dei tanti pacchi di quel trasloco improvviso.
Si andava di fretta e, ogni camera di casa era stata sollecitamente smontata e liberata. Solo in due ci contendevamo lo scomodo affitto: io e il mio cane. Ci eravamo scavati un unico posto vivibile, in soggiorno. Da mangiare, pizza o scatolette e come letto, un divano.
Non so quantificare con precisione, ma credo di esser rimasto lì, stranito, per ore. Io a guardare la tv e il cane a guardare me. Attorno a noi, solo cartoni imballati. Si doveva restituire tutto e subito e qualsiasi proprietà era stata divisa simmetricamente; in maniera precisa, come è proprio della foga del concludere.
Forse è stato anche questo ad aiutarmi a prendere distanza dalla ferita degli eventi. Ero un vagabondo, tra avanzi degli altri, in cerca di qualcosa di buono. Avere davanti ai piedi (e al cuore) quei pacchi, mi costringeva a trovare una mia strada, tra le macerie.
Era estate. Proprio quella stessa, venne definita dai sismologi, una delle più interessanti riguardo i movimenti tellurici. Dopo decenni, la media delle scosse (anche non umanamente percepite), aveva sfiorato i 40 episodi al giorno. Uno ogni mezz’ora. Dicevano che, in situazione di emergenza, il fenomeno sarebbe stato devastante sulla psiche degli sfollati.
Poco dopo, le zone di Amatrice, Accumuli, Pescara del Tronto lo avrebbero confermato. Squadre di psicologi erano stati mandati a presidiare gli accampamenti degli sfollati, perché proprio durante le scosse di assestamento, i sintomi del panico, andavano a interessare quasi tutti gli ospiti delle tendopoli. Il terremoto aveva abbattuto le case, i muri, perfino la stessa concezione di rifugio, dato che non c’erano più luoghi sicuri, dove, appunto “re-fuggire”, terminare la corsa innescata dalla paura.
E’ questo il panico: trovarsi in mezzo ad una libertà assoluta e non saperla gestire. Un respiro più ampio che toglie il respiro, un battito più veloce che confonde il cuore, una realtà improvvisa e inaspettata, così ridondante, da sembrare irreale. Chi è attraversato dal DAP, generalmente conosce un bivio: o cercare di fuggire dall’evento traumatico (“meglio andar via di qui”) o rimanere, aggrappandosi al passato e cercando il familiare in ciò che è rimasto (“ricostruiremo tutto com’era”). Insomma, o si tende all’ipocondria, assumendo farmaci per ogni starnuto o ci si attacca, in modo morboso, ad alcune figure di riferimento (genitori, amici, compagni).
Credo la psicoterapia, individuale o di gruppo, aiuti a ricollocare, il paziente in mezzo ai cartoni dei ricordi, alle macerie della disfatta, alla frattura del fallimento; presentandogli il presente, seppur problematico e caduco, come luogo preciso della guarigione, della remissione dell’accesso. Infatti, si può dire che l’appanicatoviva tutti i tempi verbali, tranne proprio, quello dell’oggi.
I suoi sintomi si confondono tra passato codificato (“non ce la faccio”; “non è per me”; “non sono capace”) e un futuro tragico (“sverrò”; “impazzirò”; “morirò”).
Rituffarsi nel presente, vuol dire pazientare. Aspettare che si sedimenti la polvere, per gustarsi il panorama della maturità e dell’indipendenza. Qualità oggettivamente non raggiungibili per induzione, ma che richiedono il personale coinvolgimento per risorgere dalle ceneri.
Da quell’estate sono trascorsi anni, a volte mi sembrano secoli. Onestamente non so dire dove io sia adesso; una cosa è certa: attorno a me non trovo più cartoni e macerie. C’è, forse, una casa più povera, più silenziosa, più piccola, ma quello che c’è dentro, so che è mio e solo mio.
Il mio cane continua a fissarmi. Lui è fortunato, perché i terremoti li annusa prima.
A noi uomini spetta passarci in mezzo, per diventare più grandi.
Luca
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