Legami Disfunzionali
LEGAMI DISFUNZIONALI
Che cosa è un legame ? Dal latino “ligamen”, esso rappresenta una relazione d’obbligo che limita la libertà d’agire e di disporre di sé, è un concatenamento relazionale. Esiste un legame progressivo ed uno regressivo. Il primo determina autonomia e crescita, il secondo incastra e favorisce la regressione. Il primo legane è accudente, ha un termine temporale, esso è fondamentale ed è relativo alla crescita dei figli, è unidirezionale, il genitore è interessato se non al solo benessere e alla salute del figlio.
I legami hanno la loro accezione positiva se applicati alla prima ed alla seconda infanzia della vita se essi conducono alla crescita, essi durano un tempo determinato affinché avvenga l’ avviamento verso la vita. Il secondo legame, che verrà qui analizzato, è adulto, ha valenza regressiva, genera dipendenza affettiva. Esso non ha motivo di esistere se non nella direzione dell’ autonomia, del rispetto e della libertà dei soggetti.
Tutti quei legami che conducono ad una dipendenza, lasciano intravedere un inceppo nelle fasi della maturità affettiva. Esso viene realizzato come un legaccio, un nodo, una catena, delle manette, un cappio, che genera una inter dipendenza. Ma come mai si ha il bisogno di avere un legame di questo tipo, se esso ha un’ accezione ed un risvolto assai negativo ? attiva un legame distruttivo, l’ attrazione e la condivisione delle sofferenze. Esse hanno un tale potenziale calamitoso, tale da attaccare i soggetti All’ interno di una forza di condivisione.
In questa accezione, questi tipi di legami non generano relazioni sane, perché agite da personalità confusionali e complessate, esse generano relazioni nulle e strazianti, irrispettose, ambigue, perverse, perché fondate su dolori soggettivi non risolti e producono dolori al cubo nel rapporto, come dieci a uno, tutto ciò che era meravigliosamente semplice, diventa maledettamente ingestibile, anche se durano a lungo, trovano il tempo che trovano, perché dura poco il suo entusiasmo, mandano fuori di testa, consumano la pelle è fanno invecchiare.
“l’ amore che strappa i capelli è perduto ormai”, recita De Andrè, Queste sono relazione che richiedono troppo impegno e troppa fatica, sono estenuanti, si consumano nel giudizio, diventano relazioni competitive sulla base di chi è il migliore, superano ogni limite della pazienza e della decenza umana, non hanno logica,
In un legame disfunzionale, come ti assorbe, ti fagocitata e ti risucchia al suo fondale, la sofferenza, non ti fagocita l’amore. La sofferenza è una sabbia mobile che non da possibilità di movimento, per quanto ci si dimeni, costringe a rimanerci dentro. Per un legame, sofferenza è più potente dell amore, essa paralizza e lega molto di più dell’ amore, che ne fa la storia.
non ti vedono, sei trasparente, non ti sentono, ma ascoltano se, si impongono, ostentano e sono avari, ti rendono la vita equivocabile, si fissano in testa come un chiodo, sono come la cocaina, gelosi possessivi, ossessionanti, tirano fuori il peggio di te, ti portano al limite dell’ impossibile, assurdo, è l’ aggettivo più coniugato, istigatori e dispensatori di violenza per frustrazioni calcarizzate, direttivi, maschilisti, dittatori, giocolieri di potere, manipolativi al limite del femnicidiio.
Tale legame il più delle volte rappresenta un incastro in un labirinto senza uscita, assai complicato, senza una via d’ uscita. Quando si avvia una tale relazione non si sa quasi mai nulla dell’ altro, se non delle sue sofferenze ed in quale caos si sta ficcando. A breve termine risulta essere un grosso inganno, appare in modo camuffato, al principio viene percepito come amore, ma poi si rivela un caos, un pasticcio, un calesse, come afferma l’ autore.
La trappola di una relazione di questo genere, viene costruita sulla base della condivisione empatica delle proprie sofferenze e delle proprie confidenzialità condivise. La sofferenza ha una connotazione molto sacra, intima, rappresenta il proprio crogiolo segreto, essa è un magma fatto di passioni, di turbinii, di contratture, di fenomeni e di contorsioni dell’ anima repressi, sensazioni e riserve trattenute, bisognose di essere vedute e condivise.
La loro condivisione è già una relazione sessuale, rappresenta una relazione intima, un atto liberatorio, di grande generosità e e di affido di contenuti unici e profondi, il dolore emotivo è il massimo della presenza di se è stracarico di sensazioni negative e di prospettive positive, esso è la proiezione verso la vitalità, se condiviso in un legame, conduce ad un legame forte ma relativo, perché solo esso non basta perché bisognerebbe essere soggetti risolti e in salute mentale. La piacevolezza di scaricare e condividere le proprie sofferenze, genera il legame.
Il legame nasce dalla condivisione di sofferenze ma rischia di generare dispiacere se dall’’ altre parte c’è chi si pensa di conoscere.Ti È facile confondere il piacere di un legame, intensificato con la condivisione dei dolori, con l’ attrazione e l amore. Ma l’ attrazione ha cone causa il bisogno irrinunciabile della condivisione. Tutto ha uno scopo di convenienza, utilizzando la sofferenza. Tali relazioni sono d’ aiuto, non d’amore, pur se conducono all’ intimità, l’ amore un’ altra cosa, è libero non chiede nulla, è totalmente gratuito, gode se stesso per quello che è, per questo regge, non chiede mai di essere diversi.
Nel legame, giunti all’ intimità, tutto si fa più complesso, la relazione si pone per quello che non è, un amore straziante. Per ritrovare la serenità essa va rinquadrata per come essa nasce, è solo una relazione di aiuto e di sostegno. Infatti il rapporto verrà posto da quel momento in poi sempre su un piano di aiuto difficoltoso di aiuto, sempre su problemi da gestire, riaprendo a quel mondo personale che per un attimo era sfuggito, fatto di frustrazioni, nevrosi e psicosi personali. Questo tipo di legame è tale, perché dopo poco svela i limiti, le follie, le perversioni, le assenze, i vuoti dell’ altro.
Bisogna fare attenzione nel condividere i propri dolori, se ne potrebbe percepire, subito dopo, una violazione o un senso di svuotamento e di pentimento. E se questo è stato già fatto, va disinvestito. Le sofferenze sono il veicolo accelerativo per far penetrare l’ altro nella propria vita e cone un invasore che ne prende casa. Quando si afferma che, ormai mi ha preso la testa, è proprio questo l’ inceppo, averlo lasciato entrare nello scrigno dei propri segreti, in quell’ indicibile difficile da svelato a qualcuno, più importante della proprietà privata.
In tale processo di confidenzialità si attiva l’ accensione dei motori della passionalità che si avvia piano, come un diesel, un ingranaggio che conduce e sbatte come su una cervice, diritto dentro alla propria anima. Lo scivolone viene assicurato, quando si arriva ad identificarsi e e ad affermare… “tu sei esattamente come me, come vivo e come sono io”. Attraverso questa espressione si genera l’ incastro perfetto: noi, un io e un tu che si confondono.
Insieme alle sofferenze condivise, c’è un secondo bisogno che detona la relazione: la solitudine di entrambi che ha spento ogni stimolo con la mancanza di complicità. Lo stato di solitudine viene determinato dallo stato di isolamento assorbito per via dei ruoli assunti relativi alla genitorialità, a quelli della famiglia come agenzia di servizi, ai gravosi sensi del dovere, di obblighi e di responsabilità. La solitudine in un rapporto nasce dall’ incapacità di entusiasmo, di gioco e di condivisione.
L’ assenza degli stimoli in un rapporto, determinato l’ aprirsi al peggio, all’ orrido e deriva dal senso dell’ obbligo e del dovere che uccidono la relazione nella monotonia casalinga. Passata la prima fase della condivisione dei propri dolori emotivi e dei propri segreti, appare il grande delirio, ii personaggio, il caratteraccio, lo psicopatico.
giorgio burdi
ContinuaBisogna innamorarsi quando si è pronti, non quando si è soli
Quando si ha la capacità di essere soli si è pronti ad una relazione
Bisogna innamorarsi quando si è pronti, non quando si è soli
Quando si ha la capacità di essere soli, si è pronti ad una relazione.
Si è pronti ad una relazione, paradossalmente, non solo quando si “sente” il sentimento o lo slancio emozionale, ma quando da esso si è liberi.
Ad una relazione si è pronti, quando della relazione non si ha “bisogno” , quando la relazione non dipende dal solo “assecondare”, dal solo entusiasmo occasionale frutto della sola adrenalina, ma dalla libertà dall’ ormone.L’ ormone dell’ entusiasmo, il più delle volte forviia , devia dall’ obiettività, in realtà in quei momenti avremmo più bisogno di noi stessi che di un altro.
Lo stato di solitudine rappresenta una condizione ed uno stato di bisogno, che non ti permette di guardare la persona in toto e al suo proprietario, e qualsiasi stato di bisogno deforma l’ obiettività e la gratificazione piena; la persona viene inconsciamente utilizzata come un mezzo, non come un fine, per godere e rispettando la bellezza del gusto della conoscenza profonda dell’ altro.
Ogni relazione sana, non nasce mai da colpi di fulmine; in questo modo non sarebbe mai sana una relazione adeguata, quando si è in affanno nel cercare la persona giusta o quella definitiva, ma sarebbe sano, solo se il soggetto interessato sa mettersi in gioco su una relazione relativa, tutta da scoprire e da costruire, ovvero se è in grado di vivere le micro situazioni emozionali nei suoi istanti, solo se è collegato a se stesso e sta bene ed è presente a se stesso. chi perde o svaluta le meraviglie di tale processo nel presente, pensando ad un perfezionismo di una storia che non c’è, rischia di attenderla invano per tutta una vita.
Ogni storia importante non può mai nascere nel criterio del definitivo, ma solo nel criterio costante del relativo. Chi vive nel relativo di una storia vive pienamente quella Storia, se pur per un brevissimo tempo, essa diviene intensa perché il soggetto è presente a se stesso, da concedersi la profondità di quegli istanti profondi in divenire.
l’ attesa di una storia definitiva, è l’ attesa del nulla, di un principe fiabesco che non c’è, sono solo le meraviglie del presente, quando accadono, e se si permettono il loro accadere, che andrebbero colte come perle preziose irripetibili. Realizzeremmo che quegli istanti superano le fiabe, e ciò accade solo perché siamo a noi presenti.
Chi è affannato nel ricercare l’ ideale, non vedrà mai, perché vede solo la sua ideazione. La persona presente vive, perché in tutti i suoi momenti relativi c’è, e gode delle sensazioni in essi presenti. Cercare il definitivo risulta essere una perdita di tempo e molto pericoloso, perché si rischia di non vivere mai. Vivere nel relativo, con tutti i suoi difetti, lascia esplodere la vitalità dell’ essere presenti e che potrebbe aprirsi, solo in questa prospettiva, ad un definitivo. Pertanto, un definitivo deve sempre nascere da una sequenza interminabile di relativi.
Si è pronti ad innamorarsi solo quando siamo presenti negli istanti relativi, ovvero quando non abbiamo più il bisogno di tutelarci dagli altri o di tutelare gli altri a noi, perché non più paurosi della solitudine da riempire o di ciò che non è definitivo.
Non si è mai pronti ad innamorarci, quando cerchiamo sempre certezze, sicurezze, definitivi, presenze fuori fuori di noi, spalle sicure, futuri, tutte frustrazioni di chi non sta bene con se stesso, bisognoso, bisognoso di appoggiarsi, di possedere, di ingelosirsi, di dipendere affettivamente, cone dipendere dalla propria solitudine.
La vita va vissuta per il nuovo, il bello, per tutto il diverso che non era stato previsto ed inquadrato, per tutto il relativo che si offre, se sei nell’ idea del relativo, sei profondo, cogli, se invece sei imperniato sull’ ideale del definitivo, perdi ogni cosa, ogni istante, la tua vita, se ne va, vacante.
Il bisogno di un altro è il bisogno di un feticcio, che rappresenta l’ attaccamento ad un particolare. Ma è inevitabile, saremmo tutti dei feticisti, perché quando chiediamo, perché lo ami, iniziamo a stilare una carrellata di caratteristiche feticistiche dell’ altro. Esattamente come se l’ altro fosse composto da un mosaico di tasselli e di pezzettini di caratteristiche tutte colorate che danno luce ai nostri bui.
Quelle caratteristiche rappresentano solo minimamente la rappresentazione di noi e dei nostri bisogni, sminuiscono noi e l’ altro, deformandoci sulla taglia nostra o su quella altrui.
Lo stato di solitudine richiamerebbe un processo compensativo atto a ricolmare dei vuoti esistenziali molto antichi o avrebbe un aspetto consolatorio per tutelarci dai mostri che affiorano durante le fasi di profonda solitudine
Il senso di solitudine nasce da quel processo di distacco da se e di attaccamento agli altri, alla madre originaria, la quale non avrebbe mai avuto il coraggio di lasciare la nostra mano o di non averla mai presa. La soluzione sta sempre nel giusto e il problema nell’ eccesso, ne troppo sale, ne troppo zucchero.
Il senso di solitudine è correlato al bisogno di avere sempre una madre o un padre DIALOGICO E CONTENITORE accanto. Hanno dato tutto, ma senza questi, il tutto diventa nullo, quasi mai esistito. Come si sostiene la paura e le incertezze dei temi di un adolescente che sente gli ormoni a palla, con una fiorentina a cottura media ?
Parimenti, il nostro senso di solitudine nasce, e viene indotto, da una madre non in grado di lasciarci andare, perché a sua volta bloccata in una storia di solitudine nei confronti di sua madre, resa assente dalla solitudine di una altrettanta madre sola. E’ evidente una questione generazionale.
la solitudine è l’ attaccamento all’ assenza della solitudine materna e non esclusa quella paterna, perpetuata e tramandata attraverso generazioni.
Il senso di solitudine, secondo questa accezione, viene generazionalmente ereditato dai propri avi e generato da processi di attaccamento, attivati dai meccanismi dell’ assenza, protratti lungo il tempo.
Il senso di solitudine allora è rappresentato dalla convivenza con un genitore presente, ma in realtà assente, a sua volta perduto nel vuoto del suo genitore presente assente .
La vera relazione nasce dunque dal superamento e dall’ accettazione, che diviene piacere, del senso della solitudine, ed è costituita dalla presenza di due solitudini accettate e condivise al punto tale che entrambi stanno bene anche da soli.
La vera Presenza è la coscienza di se e della propria gradita solitudine .Un’ autentica relazione nasce dall’ attaccamento non propriamente e solo all altro, ma dall’ attaccamento alla propria solitudine, quasi in modo morboso e geloso.
Bisogna che ci rendiamo capaci di essere soli, questo ci renderebbe PRESENTI a noi stessi e poi subito dopo agli altri in una relazione più dinamica e funzionale. Diversamente, creiamo i presupposti per rimanere nella solitudine dei due, se anche l’ altro non è mai stato in grado di incontrarsi e di capirsi.
Una relazione efficace nasce su queste attenzioni e presupposti, sulla base essenziale di non rinunciare mai ai presenti relativi , mai carichi di progettualità, ma intrisi di sensazioni e forti emozioni, esse soltanto rappresentano una corsia preferenziale verso la progettualità e l’ auto affermazione, verso un futuro assoluto.
Pertanto bisogna potersi vivere tutto, e tutto ciò che non necessariamente avrebbe senso e proiezione futura, ma tutto ciò che personalmente è carico di significati che abbiano il solo loro fascino nel presente relativo.
giorgio burdi
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