CHI SPERA FRENA, CHI CREDE VOLA
Sostanziali differenze per progettare
Il bisogno di sperare che accada un evento auspicato, è insito nel vettore uomo. Gli auguri rappresentano quel buon auspicio, quasi un presagio per esorcizzare le forze avverse per il raggiungimento di un obiettivo, tale che tutto vada nella giusta direzione.
In bocca al lupo, in culo alla balena, o varie locuzioni di questo tipo, sono tracce di pensieri magici ancestrali, sono insiti ed interconessi nelle galassie dei nostri sistemi neuronali, anche chi giura di non essere superstizioso, si trova comunque a lasciar fluttuare nel proprio oceano di pensieri, un suo totem.
Chi più o chi meno, dipendiamo un po’ tutti da mantra filosofici, educativi, meditativi, soggettivi, politico religiosi. Comunque sia, la nostra esistenza è appesa a rituali automatici, più di quanto noi potremmo immaginare.
Il rituale coatto rappresenta l’asta del funambolo, senza di essa, si cadrebbe, si scivolerebbe sulle proprie incertezze. Ma il vero problema sono esattamente le proprie incertezze. Diciamolo francamente, chi non ha mai fatto un pensiero scaramantico ? Non costa nulla è gratuito e può essere un gioco simpatico, anche se quel gioco potrebbe reggere una illusione.
Sperare, potrebbe essere un atteggiamento scaramantico, essa lascia aperti alle illusioni, procrastina l’ immobilismo, lo status quo, rappresenta l’ attesa, un sogno forse realizzabile.
Il vero problema è esattamente quel forse, ci stende al tappeto, in una attesa spesso interminabile, ci lascia piano piano moribondi nella stasi, il forse è pericoloso, rappresenta semplicemente la perdita del tempo. Forse nasce da qui il detto ” chi di speranza vive, disperato muore ” .
La speranza è sorella dell’ immobilismo, entrambi, sono figli dell’ attesa, i precursori acerrimi della noia.
Chi attende, si annoia sempre, aggancia la sua malinconia, entrambi educati dal “non osare mai”, sono ad intraprendenza zero.
I genitori della speranza credono che sia la vita a determinare gli eventi, che noi potremmo determinare poco. La vita ci rende sfortunati o fortunati, deve andare così, non si puó far nulla, per essi c’è chi nasce senza camicia e c’è chi ha culo.
Per i genitori della speranza, non c’è nulla da fare, è una questione il carattere, di destino, capacità d’azione e determinismo zero. L’ accezione cristiana persino ammette, che sperare non basta affatto, ma “aiutati, che Dio ti aiuta”.
Chi spera, è morto, chi invece crede, vive. Accettare certe verità è molto più attivo che attendere che i cambiamenti capitino. Sperare va bene, ma dopo una serie di azioni.
Chi spera, lascia passivamente che accada, ma ciò che di solito accade, è riconoscere il protagonismo altrui, subendolo.
Chi crede è un osservatore attento, vede, non guarda solo, tira le somme, riesce a distinguere l’ impossibile dal possibile, il soggettivo dall’ oggettivo, magari si impegna anche per l’ impossibile, ma sulla base dei dati di fatto, ha radici, i piedi piantati per terra, egli è intanto un diagnosta, decripta l’ ambiguo, è un ricercatore delle cause, un attivo decodificatore delle illusioni.
Chi crede non si azzarda a voler cambiare gli altri, ad attendere le loro metamorfosi o sanare le altrui amputazioni, è realista, accetta che la realtà sia quella, non è sopito nel suo sogno, si lava la faccia, si sveglia dal sonno. Chi crede, non si ama perché lo amano gli altri, è un uomo, si ama a prescindere.
L’illusione di chi spera, è nella convinzione e nell’ attesa che gli altri cambino, però spesso gli altri non lo sanno su cosa vorrebbero o dovrebbero cambiare o non lo ritengono nemmeno opportuno.
Il desiderio di cambiamento prevede l’ affidarsi al proprio talento del saper dubitare, delle proprie ed altrui convinzioni ed atteggiamenti. Chi non sa dubitare mai, ignora, è insufficiente e insicuro, anzi è un sufficiente, saccente, nega gli altri, deficia, frena e arena il suo tragitto. Non cresce.
Chi crede è nelle proprie mani, chi spera è sempre nelle mani altrui.
giorgio burdi
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