PER CONOSCERE SE STESSI
bisogna tradurre i silenzi in parole
Quando ci chiedono “ come stai ? “, molto spesso dinanzi ad una tale domanda rimaniamo attoniti, pensierosi. Come sto ? Boh, Spesso percepiamo gli estremi, il massimo del dolore o la gioia, per il mezzo non sappiamo rispondere, c’è quasi un vuoto di percezione.
Noi “stiamo” come stanno le nostre sensazioni ed emozioni, noi siamo le nostre stesse emozioni, esse sono caratterizzate da reazioni neuro fisiologiche potentissime, ma occulte e silenti, rappresentano la nostra intimità e raffinatezza. La sensibilità è il senso della nostra umanità, è saper leggere certe sottigliezze.
Abbiamo bisogno di imparare a scansionare di continuo le nostre reazioni veementi, discrete , silenziose emotive e percettive, per essere presenti all’interno della realtà in cui viviamo, per realizzare la massima consapevolezza di noi e del mondo che ci circonda.
Parliamo continuamente, in moto vorticoso, un linguaggio interiore silenzioso tutto da scoprire, al quale nessuna istituzione ci ha mai aperti o preparati, è dato per scontato, non si è creata la dovuta necessaria del conoscere se stessi a scuola.
A scuola studiamo da sempre gli oggetti del pensiero, la fisica la matematica, la letteratura ect, ect, ma non c’ è la materia “persona”, non è mai stata considerata un oggetto di studio il soggetto.
Conosciamo la giurisprudenza, la matematica, la medicina, la letteratura, ma noi no nella dimensione emotiva, dell’ anima, del pensiero sommerso, di tutti quegli atteggiamenti di affettività, di cattiveria che determinano le globali relazioni e le transazioni umane. Le relazioni umane e i loro interscambi risentono degli umori e delle emozioni soggettive.
Senza la conoscenza di noi, non saremmo abbastanza umani, saremmo solo dei puri tecnici, avremmo relazioni programmatiche e automatiche, materialistiche, superficiali, monotone, avremmo relazioni monologhe.
Spesso osserviamo un medico o un assistente sociale, un professore, privi di capacità relazionale umana ed empatia, un medico che cura il proprio paziente non può curarlo mantenendo le distanze da ciò che lo caratterizza, la sua natura umana.
L’ ipocondria e le malattie psicosomatiche infatti, hanno valenze emozionali e suggestive, come si potrebbe prescindere dall’ omettere le architetture emozionali ?
Leggere in noi significa leggere nel presente e nella nostra memoria.
Nella nostra genetica c’ è la storia di tutta l’umanità, abbiamo una catena elicoidale infinita di storie, in un filo invisibile di dna, conduttore generazionale. Esso ci collega alle radici della storia, essa è la catena trasportatrice, di memorie, di reazioni emotive, di paure, di vitalità, di atteggiamenti, sensazioni e comportamenti.
Nelle nostre generazioni ci sono i sintomi, le patologie, le funzionalità, depositate nei campi della nostra vita genetica. I terreni sui quali noi costruiamo, hanno radici neolitiche, paleontologiche e preistoriche.
Noi siamo la memoria del passato e contemporaneamente gli innovatori del divenire presente, siamo i depositari di una intelligenza storica e di un inconscio collettivo, siamo l’ acme dell’ evoluzione della specie e nella nostra specie e siamo passeggeri presenti col bagaglio del passato.
La congiunzione tra passato e presente avviene attraverso il concepimento, esso è il connubio della storia umana.
Curando noi, curiamo le nostre generazioni passate, e curando il nostro passato, ci curiamo nel presente. Noi stessi siamo gli evolutori del nostro futuro e delle generazioni in divenire. Conoscendoci e curandoci, facciamo dono delle nostre emancipazioni ai nostri figli e alle generazioni future, delle nostre conquiste. Il segreto dell’ evoluzione futura è nella cura e nella lettura di noi che ci emancipa.
giorgio burdi
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