Amare non significa dipendere da qualcuno
Può sembrare una frase scontata ma è reale: l’amore nasce quando si incontrano due unità, non due metà. L’amore implica equilibrio e reciprocità, un dare e un ricevere, un donarsi senza annullarsi, non certamente un rapporto a senso unico. Eppure capita spesso che si resti bloccati in relazioni disfunzionali dove la presenza dell’altro non è più una libera scelta ma una scelta subita: senza l’altro non si ha la percezione di esistere. I propri bisogni e desideri individuali vengono negati e annullati per nutrire una relazione simbiotica in cui il partner è spesso rifiutante, sfuggente e a sua volta dipendente in forme diverse da altro come gioco d’azzardo o uso di sostanze. La dipendenza genera la paura dell’abbandono ed alimenta il desiderio di essere amati proprio da chi non ci ricambia in modo soddisfacente; tale amore cresce in proporzione al rifiuto, anzi se non ci fosse quest’ultimo, il presunto amore non durerebbe. La persona che ha una dipendenza affettiva di solito soffoca ogni desiderio e interesse individuale per occuparsi dell’altro ma inevitabilmente viene delusa e il suo amore si trasforma in risentimento ma la relazione non termina, in virtù “dell’ amare troppo”, non rendendosi conto che questo comportamento attiva dinamiche distruttive. Rabbia, senso di colpa, vergogna e al contempo una paura ossessiva di perdere la persona amata nutre l’ambivalenza del dipendente che si determina nel : “non posso stare con te” , “ne senza di te”. La dipendenza affettiva affonda le sue radici nel rapporto con i genitori durante l’infanzia, periodo in cui i bisogni emotivi sono stati trascurati. Da adulti, attraverso l’identificazione con il partner, le persone dipendenti cercano di colmare le proprie carenze affettive. In questo tipo di relazioni, paradossalmente, è proprio la “speranza” in un cambiamento impossibile che alimenta la patologia e il cambiamento arriva quando si raggiunge il fondo in quanto rappresenta l’unica possibilità di uccidere le illusioni che hanno nutrito il mostro che inconsapevolmente hanno creato.Dr.ssa Alessandra Grasso – Psicologa Clinica
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