Le favole ed il loro potenziale psicoterapeutico
Abbiamo tutti l’immagine di una mamma che racconta al proprio bambino una favola, magari la nostra non lo ha neanche fatto, che risultati e quali danni possiamo aver ricevuto ?
La maggior parte delle volte la sera, la mamma o il papà o la sorella maggiore, prima che ci addormentavamo, raccontava una favola e come una carezza rappresentava la nostra coccola per eccellenza.
Incantati , immaginavamo personaggi, colori e movimenti e noi immersi come in un cartoon tanto che quando finiva il racconto, dispiaciuti, li esortavamo che continuassero a descrivere la magica scena
Le favole rappresentano di certo una piacevole fuga dalla realtà, ma in particolar modo danno un contributo fondamentale alla struttura della vita emotiva del bambino, perché rappresentano l’ etichettamento, la rappresentazione e simbolizzazione delle pulsioni, sono fasi importanti dello sviluppo psichico dello stesso.
Nelle favole, attraverso la simbolizzazione delle angosce profonde che è alla base della nostra vita psichica, il bambino può affrontare e gestire le sue pulsioni più arcaiche.
Si pensi alla presenza della figura del lupo che simbolizza la pulsione orale, quindi, l’impulso di divorare.
A differenza del bambino, l’ adulto non sa fantasticare, in quanto fortemente aderente alle sue realtà, le vive marcatamente spaventose e per questo spesso lo conduce a non accettare, avendo un’immagine cruda dalla realtà.
Le favole stimolano i processi di riparazione, utili allo sviluppo emotivo dell’infante, perché attraverso la stimolazione dell’immaginazione il bambino può inventare finali diversi, sognare e auto produrre e modificare elementi appartenenti alla sua realtà psichica che riguardano dimensioni come l’amore, la paura, l’abbandono, la rivalità tra fratelli, la morte, la separazione.
Anche l’uso delle metafore ha una sua funzione psicologica perché queste simbolizzando i drammi e conflitti proteggono il bambino quando si proietta nella trama e nei personaggi garantendo una certa tranquillità nei processi di identificazione.
C’è da sottolineare, pero’, che ad essere terapeutico non è solo la trasmissione dei contenuti, quanto l’interazione autentica con lo sguardo, i gesti, il tatto, tra i soggetti coinvolti, perché raccontare ed ascoltare storie apre degli spazi tra il linguaggio e il corpo, spazi necessari per la crescita strutturale del piccolo.
Noi adulti dovremmo provare a raccontarci più favole, non solo per sognare e fuggire, ma per riformulare una realtà molto spesso inaccettabile.
Dovremmo poter portare la realtà più vicino alla favola alla favola e la favola nella realtà.
alessia potere psicologa
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