Marcel Van Luit è l’ autore del dipinto, ispirato al film Artwork Willow , elabora, per la sua realizzazione, sotto forma iconica, la citazione: “The mind reflects the world, and the world reflects the mind”.
C’è una presenza, un assioma, un minimo comune denominatore umano che accomuna tutti: il caos di se, la sofferenza e il bisogno di gioire, che ruotano in testa come una giostra da capo giro. Leggendo solo il termine sofferenza, si avverte una reazione ripugnante, il desiderio di chiudere e cambiar pagina.
In realtà quando adoperiamo la fuga dalla sofferenza, non la evitiamo affatto, ma la subiamo, ci poniamo come soggetti passivi, tanto da esser messi in ginocchio.
La sofferenza, per quanto si possa scansare, è invece una macchina diagnostica a raggi X, una bilancia digitale, una ruspa per lo smaltimento rifiuti ,essa esegue lo screening di quello di cui prima si era inconsapevoli, pesa l’utile e butta il futile.
Se fosse una blogger la sofferenza avrebbe 7 miliardi di follower, quanti siamo sul pianeta. Chissà se un giorno la scienza inventerà un vaccino, contro di essa, una chimera, senza effetti collaterali, da augurarlo ai futuri nascituri.
Per fortuna Dio ha creato la risata, diciamo un medicinale omeopatico sublimatore a costo zero rispetto al peso della sofferenza.
La sofferenza è quel millimetro che fa la differenza per avviare la rottura o il riavvicinamento, delimita il confine tra l’ asfissia e l’ aria aperta, è una pet che non si perde nulla, è il sale nel caffè, è la glassa di zucchero, miele e panna che fa irritare le papille, è una rocca a difesa del re, è il centro del mare aperto, dove, perduto, cerchi di nuotare, è un pettine tra i capelli che tira i nodi.
La sofferenza è un rastrello sulle foglie secche, è il tac delle potature, l’ inverno che ghiaccia la vita, il sole che brucia la pelle è il monossido di carbonio, è la diossina, è l’ aria rarefatta, l’ aria che ti manca.
La sofferenza, dice la verità, esterna quella nascosta, sottaciuta e inammissibile, è un funambolo che ha come certezza solo il filo, è un urlo di ribellione che brama l’equilibrio, la terra ferma, la soluzione, è ciò che da la sensazione di essere vivi, è la via di mezzo tra ciò che non è vita e il respiro, conduce solo e sempre verso di te, all’ unica casa sicura e possibile; la sofferenza è quel bisogno ineluttabile di sfidare gli equilibri, è il no limits per l’ ingordigia del voler sempre di più o la discrezione di non pretender nulla o di perdere tutto.
La sofferenza, nel suo orizzonte, si pone come un confine verso la consapevolezza di se, consente di distruggere e distinguere l’ effimero dai contenuti fondamentali.
Il dolore, i sintomi, creano e segnano il passo alle priorità, getta via tutto, fa la differenziata in immondizie varie, ricercano il vero e i valori. Tentano di scollare di dosso quei veli di cellofan di ipocrisia asfissianti.
Le sofferenze detestano ed hanno come cause, la menzogna, l’ ipocrisia e la bugia, l’ invidia, l’ arroganza e l’ assenza, l’ incomprensione, la violenza, l’ oltraggio dei diritti e l’ indifferenza, la perdita del rispetto.
Esse coercitano a guardarsi seriamente dentro e fuori e ne giudicano il senso delle cose, orientano verso lo sgretolamento di certi veli di idiote convenzioni populiste.
Se la vita in apparenza è un olio di mare visibilmente calmo, non c’ è motivo di cercare il senso delle cose, quando tutto fluisce scontato, normale, non si pongono domande esistenziali, esse annoiano ed indispettiscono quel banchetto goliardico;
verosimilmente, attraverso le difficoltà della vita quotidiano, ci si intriga ed incastra con il mondo, in un attrito viscido, attraverso muri di incomprensioni o dossi di sufficienza e indifferenza, che pian piano trivellano la memoria del proprio sottosuolo da far sgorgare quel nero di sofferenza.
In quella trivellazione si scopre che certe verità esistevano da tempo e l’ opacizzazione dell’inconsapevolezza, offuscava la loro vista.
Quando inaspettatamente sorgono domande esistenziali, sul perché della vita e della sua fine, esattamente in quell’ istante, un uomo sta già cambiando, sta già mollando la tenso struttura del suo umore e sgretolando quella cataratta di opacità che lascia abbagliati, e ci richiama ad una vita minimal ed exenzial , meno ipocrita, meno corroborata da suppellettili, surrogati, comparse, ninnoli, soprammobili e figuranti.
L’ ipocrisia è la sede della vita normale, quella delle apparenze e delle inconsapevolezze, di tutto ciò che accade perché deve comunque accadere, tutto viene vissuto come predestinato in una corsa irrefrenabile.
La sofferenza rappresenta la chiamata all’ esistenza, alla messa in scena del proprio protagonismo, oltre il confine della comparsa e dell’ ovvio.
La giostra in testa che tutti abbiamo, va ascoltata nella sua musica e nel suo frastuono perché, sia la musica che il frastuono, sia la voluttuosità che la vulnerabilità di essa, se accolte, ascoltate ed agite, ci indicano la strada migliore verso la propria felicità .
giorgio burdi
Marcel Van Luit
http://artelandia.it/wp/marcel-van-luit/
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