Il Catetere
Cosa accade quando siamo costretti a dover convivere con un oggetto, quale è un catetere, ritenuto indispensabile per determinate funzionalità fisiologiche e organiche, ed avvertirne tutta l’ avversione del corpo, attraverso il dolore, per la presenza di un oggetto estraneo non riassorbibile che attraversa il nostro corpo ? In tal senso, un catetere ha una funzione fondamentale di bypass e di drenaggio, potenzialmente temporaneo, che viene accettato solo nell’ attesa che si ripristini una funzionalità e venga immediatamente quanto prima rimosso.
Immaginiamo per un istante, cosa possa significare convivere, in situazioni di disagio relazionale e mentale, in cui si viene coercitati e costretti a rimanere in condizioni di persistente sofferenza, per questioni solo meramente organizzative e funzionali. Ci si ritrova a sentirsi condannati quando il rigetto si fa impossibile, quando il corpo estraneo deve rimanere lì a prescindere, ed ogni forma di liberazione da esso diviene pressoché impossibile tale da produrre una condizione di dolore insostenibile.
Il dolore mentale, alla pari di quello fisico, alle volte è meno sostenibile. Molte pazienti riferiscono di tagliarsi, sentire lo strazio di una ferita sulla pelle, che percepire la lancia nell’ anima di una frustrazione. Comunque sia, ciò che ci permette di avere la percezione di esistere, è il dolore e il piacere, ma tanto di più il dolore. Quando stiamo bene, non ci rendiamo conto, ma quando soffriamo, ci ricordiamo e solo allora ci percepiamo, prima sembravamo non esistere.
il dolore ci da la dimensione e l’ intensità dell’ esistere e per il suo essere così intenso, può mancare da sentirne la nostalgia, paradossalmente ha la capacità di avvicinarci se condiviso, tra due persone che soffrono esso permette di aprirsi e raccontarsi, ci rende intensi e vicini, molto più dell’ amore, sentimento senza radici, carico alle volte di sole aspettative, rispetto al dolore quando è carico di partecipazione. Chi condivide un dolore, ha più l’ opportunità di unirsi ed amarsi, se comunque non diviene la norma. La condivisione del dolore è il preludio dell’ amore se è empatico, anche se il dolore molto spesso viene adoperato come sciacallaggio per adescare.
Il piacere ci mette a contatto più con il mondo, il dolore, esclusivamente con noi stessi e favorisce l’ isolamento. Il dolore ti costringe ad una introversione, a guardar dentro ciò che non vorresti vedere, ad una ispezione dei sotterranei, equivale ad un rifugio, ad un rientro nel guscio in una qualsiasi confort zone, il piacere è velocemente consumabile, proclama la condivisione immediata, l’ estroversione, il dolore è lento, impone la pazienza, impone una relazione paziente.
Quando soffriamo mentalmente, abbiamo dentro di noi tanta roba che non vogliamo rivisitare, da volerci riempire di rumori e di folle intorno. Ma l’ insoddisfazione generata da una modalità simile, può avere il suo compromesso solo attraverso
l’ isolamento. Nell’ isolamento, ci auto condanniamo ad incontrare i nostri ostacoli, a confrontarci ripetutamente con i diversi cateteri, corpi estranei, utili un tempo, ma fastidiosissimi nel presente se persistenti, ci ritroviamo a fare i conti con tutti i nostri numeri due.
A questo punto sarebbe il caso aiutarci nel cambiare rotta, basta ad evitarli, a far finta, come se non ci fossero, consideriamo che non si può sopravvivere a lungo con i tormenti, col loro essere onnipresenti e comunque i corpi estranei devono essere rimossi; parliamo col nostro isolamento, con i nostri disagi e ricerchiamo uno ad uno i nostri cateteri mentali per capire come liberarsene, fatti aiutare, come per un intervento chirurgico che da solo non lo puoi fare.
Il dolore fisico può essere una vacanza, anche se brutta per sua natura. Ti costringe a riflettere a stare con te stesso. Ti permette di staccare con tutto , è uno dei pochi validi momenti in cui, vieni ri fiondato su te stesso e può avere il suo risvolto positivo. Il luogo del dolore è il luogo per eccellenza in cui, vuoi o non vuoi, stai con te. Il dolore ti strattona tutto, ti impone a lasciar perdere, a distaccarti, ti impone l’ abbandono, ti dice, adesso basta, ci sei solo tu, sei tuo, pensa a te.
Ti chiede di mettere da parte qualcosa, pone le tue mani di fronte al mondo, impone lo stop, la manutenzione, il tagliando, urla, lasciatemi stare, raccogli e rimani con poche certezze, ti rimangono solo quelle vere, le migliori, quelle indispensabili con molti abbandoni, ti rendi conto chi hai intorno per davvero, fai caso solo allora all’ effimero, a tutto ciò che è mascherato e inutile, Il dolore fa una selezione naturale, serve a dare un significato più vero a tutto ciò che si è, e a ciò che si ha.
Quando c’è il dolore, non abbiamo più scuse, ne più desideri, se non quello di guarire, non desideriamo nient’ altro e nessun’ altro, vogliamo circondarci solo da chi ci sta più vicini, entriamo in modalità protezione non ci sono piu idioti che tengano, ne bisogni, nulla che catturi vacue attenzioni, nulla che dia stimoli o ci soddisfi, se non unicamente poter star meglio. Ogni ri tornare in salute è un ricordarsi di tornare a vivere, è l’ unica cosa più giusta e migliore che possa desiderare.
Il dolore crea una scrematura inevitabile, genera la differenza, ti sbatte un pugno diretto in faccia, lancia la sfida e il confronto, ti porta sul ring e ti sferra un ceffone, ti dice, sveglia, addormentato, la vita è altro, ti frantuma sullo specchio, guardati e riguardati. Il dolore ti strappa la maschera, ti scaraventa per terra come uno straccio bagnato, ti tratta a muso duro, ti fa vedere gli opportunisti, ha priorità ed ha sempre ragione, non ha filtri, parla solo di te.
Il dolore ti cambia la vita, te la fa ritrovare pulita e purificata, ti dice quello che realmente serve e tutto quello che devi buttare.
È la nostra salute che decide tutti i nostri significati. Quando essa tentenna o viene meno, ritorniamo sempre all’ essenziale. Nella routine del benessere o nel malessere quotidiano, dimentichiamo ciò che abbiamo e di essere vivi, abbiamo la tendenza sistematica a fissarci sempre su un nuovo problema, su un qualche cavillo rompicapo, da non smetterla mai.
Ci lamentiamo di continuo, ci lasciamo tormentare dai conflitti, dallo stile e dalla qualità della vita che conduciamo, ma solo quando vacilla la salute, apprezzavamo la routine, pretendiamo che ci vada meglio, quando invece ci andava già bene, da poter dire che quando andava peggio, andava comunque meglio, ma allora non eravamo propensi nel ricercare i corpi estranei, perché viviamo da predestinati, che la vita debba andare avanti così nella scontatezza, comunque e basta.
Basterebbe già comprendere, cosa all’ improvviso ci cambia l’umore, per intercettare i vari cateteri sparsi e galleggianti nella nostra mente; fare la loro mappatura, caricarsi di coraggio, prendere delle nette posizioni, serve per ristabilire il nostro equilibrio. Equivale a ricercare l’ elenco dei fastidi che non ammettiamo di avere, su tanta roba inutile accumulata, da poterli riporre in una discarica. I nostri dolori dipendono dalle concessioni offerte attraverso una nostra licenza.
giorgio burdi
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benny
Solamente tu potevi trovare il meglio in una situazione così opprimente e fastidiosa, la gioia e il desiderio durante una parentesi di “stasi” fisica che al contempo ti riporta all’interno e ti riporta a te, meraviglioso l’articolo.
Che fortuna che ho avuto a incontrarti in questo momento, sei una persona meravigliosa.. vita pura.
mena
Buongiorno Giorgio, ho letto il tuo post sul catetere. Mi sono molto immedesimata, perché anche per me la sofferenza fisica in questo periodo è sentire un oggetto in gola che mi toglie il respiro, a volte ho paura di morire asfissiata, a volte ho paura di morire e basta.
Per una cazzata, perché di per se è una cazzata, eppure mi sto rendendo conto che si può morire anche per una cazzata, non solo per un cancro oppure per la Sla o per tante altre cose che suscitano un immaginario di gravità nella nostra mente.
Spesso ce ne dimentichiamo che la vita è un soffio, che non dipende da quanti esami e controesami facciamo, da quanto stai attento a questo o a quello.
Io clinicamente sto bene, non ho niente di grave, ho solo una maledetta cosa sulla corda vocale che mi dà un senso di soffocamento per molto tempo durante il giorno.
Ad oggi non ha più senso nessuno dei problemi che avevo, vivrei senza sesso anche tutta la vita, pur di averla di nuovo una vita, senza dolore. Oggi è così, poi già lo so che magari guarisco e tornerò a percepire le cose allo stesso modo di prima, ma da un lato spero che tutto questo, se e quando passerà, possa mostrarmi un diverso lato o senso della vita che finora non ho visto.
La vita ha voluto che smettessi di dire anche solo una parola, ma non basta perché provo ancora dolore, allora ho provato a fare pace con la mia rabbia che è la cosa che nell’ultimo anno mi ha fatto più male, a perdonare e accettare certe situazioni, ma non è semplice.
cristina
Buongiorno Dottore, è impressionante come questo link sia veritiero. E’ esattamente così che mi sono sentita quando ho subito l’intervento. Ero concentrata su me stessa, poco interessata al mondo esterno. Anche prima dell’intervento volevo che il mio compagno andasse a Milano, nonostante fossi preoccupata per Milano.
Preoccupazione svanita appena entrata in ospedale. *Il dolore ti sfinisce, impone lo STOP*. Il problema reale sussiste quando si ritorna alla normalità, quando il dolore fisico scompare e piano piano il dolore mentale ri-torna e vieni nuovamente risucchiata in mille pensieri e preoccupazioni nocive.
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