Logos ed Eros
L’ emozione è la via, il pensiero la malattia.
Tutti azioniamo continuamente sottili meccanismi di razionalizzazione nei confronti del nostro stesso mondo emozionale, che per questioni di sofferenze, abbiamo disimparato ad auscultare e a comprendere, da cui tentiamo di proteggerci e di difenderci, rendendo la nostra vita veramente difficile da sostenere.
Come ci ricorda Jung, “Privo della dinamica affettiva, il fenomeno della coscienza perde ogni senso” (1958, 301). Il Logos distruggerebbe se stesso senza la controparte affettiva, antidogmatica e componente creativa dell’Eros.
Poiché Eros significa anche solidarietà e umanizzazione contro le moralizzazioni, le rigide norme della Legge, i suoi divieti, il suo limite.
Per comprendere quale arma a doppio taglio sia il potere razionale dell’uomo senza un supporto d’eros che conferisca valore anche etico alle cose, basta pensare
alla facilità con cui l’opinione pubblica accoglie la pratica di sospendere le cure a un neonato che viene alla luce deforme: tutti sembrano d’accordo nel negare l’accesso alla vita a una creatura così svantaggiata, così ’minorata’, appellandosi ad argomenti razionali che peccano però di giansenismo e nascondono, probabilmente, la paura del diverso.
C’è da dire intanto che, se vogliamo affidarci a criteri rigorosamente e scrupolosamente razionali, dovremmo anzitutto chiederci se e perché siamo sicuri che la mancanza di braccia o di gambe decida realmente del significato e dei risultati della vita di un individuo.
Ma la pericolosità di tali atteggiamenti non sta tanto nel caso specifico, quanto, a un livello più generale, nel concetto di ’controllo sociale’: dalla
soppressione di chi manca di braccia o di altro, alla soppressione di chi difetta di determinati requisiti psicologici o intellettivi che ’qualcuno’ ritenga fondamentali, il passo risulta pericolosamente breve.
Le azioni eroiche, quelle di chi arriva anche a sacrificare la propria vita, sono dettate dal sentimento, non certo dalla ragione, in ossequio alla quale non si potrebbe che optare per la conservazione della propria vita, per la sopravvivenza.
‘Sento’ che devo agire in questo modo: espressione umana comune che illumina circa l’origine emozionale che muove all’azione in determinate circostanze, anche contro le regole e le logiche del quieto vivere e della morale comune.
Ma perché l’uomo finisce per mortificare il suo sentimento al punto tale da essere poi condannato all’aridità e alla schiavitù di una condizione di esistenza rigida e inappagante? Ciò avviene quando l’uomo ha paura delle proprie emozioni.
L’emozione coinvolge laddove la ragione controlla: attraverso il Logos l’individuo guarda al mondo e alle cose in posizione frontale da calcolo e distaccata, dove c’è emozione, al contrario, c’è partecipazione e coinvolgimento.
L’amore abbatte le barriere divisorie tra amante e amato, travolgendo entrambi in un’identificazione reciproca per cui l’uno è l’altro.
La forza dell’Eros spezza ogni resistenza, e sembra annullare ogni remora morale e normativa, trasformando chi ne è oggetto in un trasgressore: la gelosia acceca, l’amore travolge, la passione, nella sua significazione etimologica, è una forma di sofferenza passiva, una possessione per la quale si è preda di qualcun altro.
Le emozioni represse conducono ad un groviglio caotico di pensieri che il logos tenta di sciogliere attraverso folli atteggiamenti e pensieri, tutti da decriptare e sfociare in rituali di comportamenti.
Quanto più i suoi sentimenti sono rimossi, tanto maggiore è l’influenza dannosa che essi esercitano segretamente sul pensiero.
Tutte le dimensioni dell’umano, della solidarietà, del vivere all’unisono sono dettate dall’Eros, dalla sensibilità attraverso cui si può cogliere l’altro nella sua nudità ed essenzialità, al di là delle regole, dei pregiudizi e delle categorizzazioni.
Lo psicologo del profondo è costantemente sottoposto alla richiesta da parte del paziente di una comprensione che va ben oltre il bisogno di decodificare razionalmente il proprio vissuto.
Ciò che si chiede è di essere accolti nella propria totalità, di poter dare voce alle proprie emozioni senza remore e freni inibitori.
la vita nella sua pienezza è norma e assenza di norma, razionale e irrazionale. Quanto più allarghiamo la scelta razionale tanto più possiamo essere sicuri che così facendo escludiamo la possibilità di sapere profondamente irrazionalmente chi siamo (jung 1917, 43-50).
Ciò è possibile solo se si è dato pieno diritto di cittadinanza al mondo dei sentimenti, al “cuore” e all’anima che parlano attraverso un sorriso, uno sguardo, un silenzio.
Credo che, nonostante le difficoltà, valga sempre la pena di avventurarsi sul terreno dei sentimenti e delle passioni e rischiare fino in fondo, giacché il linguaggio dell’eros svela aspetti della realtà che sfuggono al logos e verso il quale è giudice severo.
Avremmo prospettive e Aspettative che non conosceremo mai, se ci adeguassimo supinamente alle regole del gioco imposte dalla collettività:
c’è sempre un momento nella propria vita in cui bisogna infrangere le ‘regole’ e la ’legge’ per poter crescere e maturare psicologicamente.
L’educazione che abbiamo ricevuto dettava prescrizioni rigide: questo si può fare, questo no. Il nostro sviluppo è legato all’atto di infrangere la norma che proviene dall’esterno per sostituirla con una voce e una morale interna.
Per l’uomo pensante, per l’uomo del sottosuolo, l’ uomo delle profondità, giunge sempre il momento della presa di coscienza che richiede un ’tradimento’ nei confronti dei valori collettivi, e la creazione di nuovi valori.
L’uomo del sottosuolo deve trasgredire, deve infrangere le leggi derivate dall’eredità culturale, deve rompere con le regole, se vuole conoscersi, perché non è perimetrabile o scontato.
La coscienza è un’esigenza che si impone al singolo o che almeno gli “procura serie difficoltà”, essa “esige dal singolo che egli ubbidisca alla voce interiore anche a rischio di sbagliare”
Creare i propri valori significa infatti confrontarsi continuamente con la propria dimensione Ombra, con la possibilità di operare il male: “La coscienza più evoluta porta alla luce il conflitto morale latente o acuisce i contrasti che lo arrovellano”
Se il soggetto è sufficientemente coscienzioso, il conflitto è portato fino in fondo;
la sensazione di vivere autenticamente, come essere umano, deriva proprio dal coraggio di andare contro corrente, ascoltando se stesso, e la maturità consiste nel sopportare il peso del giudizio di un collettivo che necessariamente deve stigmatizzare il trasgressore come fuorilegge.
aldo carotenuto
giorgio burdi
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