Superare la dipendenza affettiva
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA DIPENDENZA AFFETTIVA
Cos’è la dipendenza affettiva
La dipendenza affettiva è una dipendenza comportamentale, non caratterizzata dall’abuso di alcol o sostanze, ma da comportamenti patologici di vivere una relazione. È un disturbo relazionale.
La dipendenza affettiva è una condizione patologica e in quanto tale è caratterizzata da ossessività, impulsività e compulsività. L’ossessività del pensiero verso una persona, generalmente il partner; l’impulsività di determinati comportamenti quali numerosi messaggi, frequenti chiamate di controllo ecc…; la compulsività, cioè la difficoltà a trattenere ed evitare determinati comportamenti.
Chi soffre di dipendenza affettiva la confonde molto spesso con l’amore. In realtà è una forma di amore malato ed ossessivo, disfunzionale, in cui la persona dipendente rinuncia ai propri bisogni, al proprio spazio, mette le proprie opinioni da parte. Il partner viene considerato come unica gratificazione e fonte di amore, per questo la paura di perderlo è incontrollata.
Apparentemente la dipendenza affettiva offre un senso di benessere, ma allo stesso tempo aumenta il bisogno di legame al partner da cui si dipende. La persona che soffre di dipendenza affettiva considera la propria vita insignificante e vuota senza la presenza del partner.
La dipendenza affettiva è un bisogno eccessivo di fare affidamento sul partner, un eccessivo bisogno di protezione e cure associati alla paura di rimanere soli. Inevitabilmente queste relazioni non sono gratificanti, ma insoddisfacenti e dolorose.
Spesso le persone che soffrono di dipendenza affettiva diventano potenziali vittime di manipolazioni emotive o di violenze all’interno della relazione; hanno difficoltà ad esprimere disaccordo, a prendere decisioni autonomamente e indipendentemente dagli altri. Questo, se da un lato genera nell’altro un forte senso di coercizione nel doverle continuamente accudire, assistere, guidare, dall’altro gli attribuisce una sensazione di potere all’interno della coppia.
La dipendenza affettiva genera relazioni affettive e sentimentali disfunzionali, non una dipendenza positiva che nelle relazioni ha valore funzionale, sano e reciproco.
Cause
Diversi studi hanno dimostrato che il mal funzionamento della dopamina a livello cerebrale sia un fattore determinante per lo sviluppo della dipendenza affettiva.
Anche l’ambiente familiare influisce in modo significativo allo sviluppo della dipendenza affettiva, in particolar modo famiglie in cui non vi è una chiara distinzione dei ruoli ed in cui si ha una costante intromissione nei pensieri, nei sentimenti e nelle azioni altrui.
Alla base di una personalità dipendente c’è sicuramente insicurezza, scarsa autostima, difficoltà a prendere decisioni, sensazioni di disagio quando si è soli.
La dipendenza affettiva è una patologia che coinvolge prevalentemente le donne, generalmente provenienti da famiglie problematiche che le hanno portate a sviluppare inadeguatezza ed indegnità personale.
La persona dipendente è fragile, bisognosa di conferme e terrorizzata dall’abbandono. Influisce nello sviluppo di una dipendenza affettiva anche la presenza di disturbi d’ansia, il disturbo distimico, il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo ossessivo compulsivo e altre forme di dipendenza come quella da alcol, sostanze, cibo ecc…
Sintomi
La dipendenza affettiva è caratterizzata da sintomi simili a quelli delle altre dipendenze comportamentali:
- Piacere derivante dall’oggetto della dipendenza
- Tolleranza e necessità di aumentare il tempo trascorso con il partner
- Ossessività
- Impulsività
- Compulsività
- Negare i propri bisogni a fronte di quelli del partner
- Ansia costante di poter perdere la persona oggetto della propria dipendenza
- Continuo bisogno di rassicurazioni
- Continue richieste affettive
- Emozioni negative quando il partner è distante
- Repressione della rabbia
- Perdita di controllo
- Accettazione della sofferenza pur di non restare soli
Cura
È importante riconoscere la dipendenza affettiva per prevenire, in caso di interruzione della relazione, reazioni eccessive quali comportamenti persecutori come lo stalking, gravi depressioni o tentativi di suicidio.
La dipendenza affettiva può essere curata con l’aiuto di uno specialista Psicoterapeuta che inquadra il disturbo all’interno della storia di vita del paziente.
Il primo passo è il riconoscimento della propria dipendenza affettiva da parte del paziente e delle conseguenze prodotte dal disturbo. Il paziente con l’aiuto del terapeuta ripercorre e analizza la relazione attuale e le eventuali relazioni passate, individua gli eventi scatenanti che hanno indotto l’instaurarsi del disturbo.
La Psicoterapia aiuta il paziente ad intraprendere un processo di cambiamento partendo dalla gestione delle emozioni negative legate alla solitudine, al rifiuto all’abbandono. Essa, inoltre, aiuta il paziente a gestire l’astinenza evitando eventuali ricadute, a riconoscere i propri bisogni e la necessità di stabilire confini personali.
Obiettivi importanti della terapia sono inoltre, l’indipendenza del paziente, lo sviluppo di competenze affettive, comportamentali e sociali.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
Superare la dipendenza da sostanze
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
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SUPERARE LA DIPENDENZA DA SOSTANZE
Cos’è la dipendenza
Con il termine dipendenza si intende un bisogno assoluto di assumere una sostanza o di adottare determinati comportamenti. Tale bisogno si trasforma in una necessità incontrollata e compulsiva a tal punto da diventare una situazione patologica.
Chi sperimenta le droghe e le sostanze stupefacenti, a volte agisce per semplice curiosità e per provare sensazioni diverse, altre volte per alleviare un periodo di forte stress, ansia o depressione, spesso inconsapevole dei reali rischi. Tra le sostanze stupefacenti maggiormente utilizzate troviamo: cocaina, eroina, marijuana, oppiacei, allucinogeni, metamfetamine ecc…
Le droghe e le sostanze stupefacenti alterano il modo di inviare, ricevere ed elaborare informazioni del nostro cervello, creano un’eccessiva stimolazione della dopamina, un neurotrasmettitore che controlla le sensazioni di piacere, generano euforia. Questa sensazione induce a voler ripetere il comportamento in modo incontrollato, dunque a fare abuso della sostanza. Le droghe, quindi, sostituiscono e alterano nel cervello sostanze prodotte dall’organismo in modo naturale, ciò crea illusorie situazioni di piacere, tanto che assumere droga diventa un bisogno. Più che dipendenza dalla sostanza, si ha dipendenza dai suoi effetti. La dipendenza non è nella sostanza in sé, ma in come questa ci fa sentire. Gli stupefacenti, infatti, creano un’illusoria sensazione di evasione dalla realtà e dai problemi.
La tossicodipendenza può essere distruttiva sul corpo, sulla vita e sulle relazioni di una persona. I pensieri e i comportamenti di dipendenza, ricorrenti e compulsivi, interferiscono con la vita familiare, lavorativa e sociale. Spesso causano la perdita del lavoro, liti familiari e gravi problemi economici.
La dipendenza da sostanze stupefacenti ha conseguenze sulla salute fisica e mentale. L’abuso prolungato di sostanze stupefacenti provoca alterazioni del pensiero, delle emozioni e del comportamento, nonché il rischio di alterazioni permanenti delle principali funzioni neurologiche e psicologiche; queste alterazioni ostacolano la capacità di resistere all’impulso di assumere sostanze. L’abuso, inoltre, genera ansia, depressione, schizofrenia, paranoia, disturbi bipolari e della personalità. Importanti sono anche i danni fisici e alle funzionalità base dell’organismo: al fegato e al pancreas, malattie cardiovascolari, insufficienza renale, infertilità, impotenza, lesioni polmonari e spesso anche la morte.
Cause
Diverse sono le cause che possono contribuire allo sviluppo di una dipendenza. Sicuramente si possono individuare fattori biologici, ambientali e di sviluppo. Molto spesso la dipendenza da sostanze può essere ricondotta ad un disagio personale e sociale, alle relazioni e all’ambiente.
Diversi studi, inoltre, dimostrano l’aumento di probabilità di sviluppare una dipendenza da sostanze in presenza di disturbi mentali e di personalità. Anche storie familiari di dipendenza influiscono nello sviluppo di una dipendenza così come vissuti personali difficili prevalentemente durante l’infanzia. Il trauma rappresenta sicuramente una delle maggiori cause. L’uso di droghe e stupefacenti può essere ricondotto al tentativo di controllare una sofferenza che non si riesce ad annullare, una forma di difesa e automedicazione.
Sintomi
Il disturbo da uso di sostanze è una modalità patologica d’uso della sostanza che conduce a disagio o compromissione clinicamente significativi.
Sono presenti i seguenti sintomi:
- La sostanza è assunta in quantità eccessive per periodi prolungati
- Forte desiderio all’uso della sostanza
- Uso continuativo della sostanza nonostante problemi sociali o interpersonali causati dagli effetti della sostanza
- Tolleranza: bisogno di dosi sempre più elevate
- Astinenza
- Alterazioni del pensiero
- Alterazioni delle emozioni
- Alterazioni della capacità decisionale e di azione
- Cambiamenti delle abitudini
- Cambiamenti del comportamento
- Comportamenti rischiosi per sé e per gli altri pur di procurarsi la sostanza
- Impulsività
- Irrequietezza
- Irritabilità
- Aggressività
- Ansia
- Ossessività
- Compulsività
- Insuccessi nel tentativo di liberarsi dalla dipendenza
Sintomi dell’astinenza:
- Ansia
- Irritabilità
- Nausea
- Vomito
- Tremori
- Spossatezza
Cura
Il trattamento e la cura della dipendenza da sostanze prevede un approccio multidisciplinare. A seconda della gravità della situazione è prevista la collaborazione di diverse figure specialistiche: psichiatra, neurologo, psicoterapeuta.
Trattare una dipendenza significa oltre che aiutare l’interessato ad interrompere l’assunzione della sostanza senza rischio di ricadute, anche aiutarlo a recuperare il suo ruolo nella società, in famiglia e a lavoro. Se da un lato la terapia farmacologica è fondamentale per gestire i sintomi dell’astinenza, dall’altro la psicoterapia è un forte ed indispensabile contributo per curare i disturbi psicologici.
Attraverso la psicoterapia è possibile correggere i comportamenti che hanno generato la dipendenza, aiutare il paziente ad evitare una ricaduta analizzando le possibili conseguenze, acquisire comportamenti più funzionali, imparare a gestire le emozioni, migliorare il funzionamento interpersonale e le relazioni.
Diversi studi dimostrano quanto e come la terapia di gruppo sia efficace nel trattamento e nella cura delle dipendenze, promuova la crescita e il cambiamento strutturale della personalità.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
Superare la dipendenza da alcol
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
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SUPERARE LA DIPENDENZA DA ALCOL
Cos’è l’alcolismo
L’alcolismo, definito come “uso problematico di alcol”, è una malattia cronica, recidivante e potenzialmente mortale. Chi soffre di alcolismo non ha più il controllo sul consumo di alcol, ne fa abuso: beve frequentemente eccessive quantità di alcolici in qualsiasi momento della giornata sviluppando tolleranza, astinenza e dipendenza.
La dipendenza alcolica rientra tra le maggiori e principali problematiche di salute al mondo. L’abuso di alcol causa nel tempo diversi danni fisici e psicologici. Sebbene molti organi possano essere compromessi dal consumo smisurato di questa sostanza, sicuramente il fegato e il cervello sono i più colpiti. I danni al fegato possono sfociare in cirrosi e/o neoplasie epatiche, non meno importante è il rischio di ictus e disturbi cardiovascolari. Sul cervello, invece, l’alcol assunto in piccole quantità rilascia endorfine, mentre in quantità eccessive rallenta notevolmente l’attività cerebrale alterando capacità di apprendimento, giudizio e autocontrollo.
Importanti sono anche i danni che l’alcolismo provoca nella vita familiare, relazionale, sociale e lavorativa di chi ne soffre. L’individuo che fa abuso di alcol soffre di alterazioni della personalità e sviluppo di aggressività: è spesso irascibile, scontroso e litigioso. Ciò porta inevitabilmente diversi problemi sul posto di lavoro fino a causarne la perdita, e in ambito familiare, a vivere relazioni conflittuali spesso associate anche a violenza domestica.
Oltre ai danni fisici, psicologici e della sfera sociale, l’alcolismo può causare gravi problemi legati alla salute mentale con la presenza di sintomi psicotici quali i deliri e le allucinazioni. Queste manifestazioni tendono a scomparire pian piano con la fine dell’intossicazione; tuttavia, è fondamentale evidenziare come un abuso alcolico possa peggiorare notevolmente disturbi psichiatrici già esistenti. Una patologia molto grave correlata al disturbo da uso di alcol è la psicosi o sindrome di Korsakoff, nota come “disturbo anamnestico da alcol”. Chi ne soffre manifesta danni alla memoria, in particolare quella legata ai ricordi recenti: dimenticano mi, volti e situazioni, ha difficoltà nella pianificazione di attività strutturate oltre ad un declino intellettivo e lesioni corticali.
Cause
Alla base dell’alcolismo vi è un’interazione di carenze strutturali, fattori genetici, ambientali e psicologici. Problemi di autostima, di modulazione dell’affetto e incapacità di prendersi cura di sé stessi portano ad un consumo eccessivo di alcolici: l’alcol si sostituisce alla mancanza di strutture psicologiche.
Di rilievo è la predisposizione genetica allo sviluppo di una dipendenza da alcol. Crescere in un contesto familiare in cui uno o entrambi i genitori è alcolista, facilita l’abuso di alcol. La familiarità è un aspetto dominante, diversi studi evidenziano l’elevata probabilità per i figli di alcolisti di diventare a loro volta alcolisti in età adulta anche se adottati da altre famiglie. Spesso questi soggetti a rischio possono essere incentivati all’abuso di alcol anche a causa di contesti sociali e ambientali.
Ci sono anche diverse cause psicologiche responsabili dell’alcolismo. L’alcol, infatti, spesso viene usato in modo improprio per le sue proprietà rilassanti da chi soffre di stress eccessivo, ansia, depressione o anche patologie psichiatriche come il disturbo bipolare, la schizofrenia, il disturbo ossessivo compulsivo.
Un’altra causa che facilita lo sviluppo di una dipendenza alcolica è aver subito maltrattamenti o traumi nell’infanzia, così come sviluppare un disturbo di personalità.
Sintomi
Chi soffre di “disturbo da uso di alcol” presenta almeno 2 dei seguenti sintomi per un periodo di almeno 12 mesi:
- Assume alcol in quantità eccessive per lunghi periodi
- Desiderio costante e persistente di assumere alcolici
- Fallimenti nel tentativo di ridurre l’assunzione di alcol
- Impiega gran parte del tempo a bere, recuperare alcolici o gestire gli effetti post-sbornia
- Bisogno incontrollabile di bere
- Sviluppo della tolleranza verso l’alcol e conseguente aumento della quantità consumata per soddisfare il bisogno
- Utilizzo continuativo di alcol anche dopo la comparsa di problemi psicologici e/o sociali attribuibili all’abuso alcolico
- Sintomi di astinenza
- Comportamenti atti a non provare sintomi di astinenza
L’astinenza dovuta alla brusca interruzione del consumo di alcol, nota come Delirium Tremens, va inizialmente trattata in ambito ospedaliero. I sintomi sono:
- Disorientamento spazio-temporale
- Eccessiva suggestionabilità
- Allucinazioni visive ed intensa paura
- Tremore delle mani, della lingua e delle labbra
- Febbre
- Sudorazione
- Alterazioni del battito cardiaco
Cura
Immaginare di poter risolvere il disturbo da uso di alcol solo con la forza di volontà è inutile; i meccanismi fisici e mentali caratterizzanti la dipendenza necessitano di un aiuto adeguato. È dunque fondamentale per il paziente alcolista riconoscere e accettare di non essere in grado di gestire il problema da solo. È importante rivolgersi a chi, per esperienza e formazione, dispone delle capacità e degli strumenti necessari per risolvere il problema.
Sicuramente in fase acuta, in caso di astinenza, è consigliabile affidarsi a cure ospedaliere; tuttavia, per affrontare l’alcolismo è necessario un approccio multidisciplinare. Non è sufficiente la disintossicazione da alcol per smettere di bere. Superata la fase acuta, bisogna necessariamente affrontare i problemi psicologici, cognitivi, emotivi ed affettivi alla base dell’abuso di alcol e lavorare sulla prevenzione alle ricadute.
La terapia di gruppo ha mostrato di essere quella maggiormente consigliata. Con la psicoterapia e i gruppi di aiuto è possibile imparare a gestire le proprie emozioni e a controllare gli impulsi. La psicoterapia adotta metodi rivolti a bisogni psicologici facilitando un cambiamento strutturale e duraturo della personalità. La psicoterapia, inoltre, aiuta a curare la depressione che nasce dal riconoscimento doloroso di tutta la sofferenza causata a sé stessi e agli altri, di tutte le perdite e le separazioni causate dalla dipendenza da alcol. La psicoterapia è utile nel processo di elaborazione di tutti questi aspetti dolorosi.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
SUPERARE GLI ATTACCHI DI PANICO
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
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SUPERARE GLI ATTACCHI DI PANICO
Cos’è l’attacco di panico?
Il termine “attacco di panico” ha origine dal mito greco del dio Pan, un essere pauroso con il corpo metà umano e metà caprino. Il mito narra che Pan, dio dei pascoli e della natura, sopraggiungeva improvvisamente spaventando le ninfe del bosco e i viandanti tanto da terrorizzarli. Proprio come l’improvviso sopraggiungere del dio Pan, l’attacco di panico giunge in modo inaspettato e intenso terrorizzando inevitabilmente chi lo vive. Gli attacchi di panico sono caratterizzati da intensa e profonda paura, forte ansia, apparentemente senza alcuna motivazione, senza alcun evento scatenante o reale pericolo.
Cause
Sebbene essi si manifestino senza reali situazioni di pericolo o potenziali cause, in realtà sono legati a profonde emozioni difficili da percepire e riconoscere. Spesso alla base ci sono periodi di stress intenso e prolungato, forte affaticamento, eccessiva responsabilità, smisurata preoccupazione, un lutto, una separazione, una malattia, traumi infantili…
Sintomi
La paura e l’intensa angoscia provate durante un attacco di panico sono accompagnate da sintomi somatici generati dall’attivazione del sistema simpatico, e sintomi cognitivi.
Sintomi somatici:
- Tachicardia
- Palpitazioni
- Dolore al petto
- Difficoltà respiratorie
- Soffocamento
- Sensazione di sbandamento
- Svenimento
- Capogiri
- Vertigini
- Stordimento
- Debolezza
- Sudorazione improvvisa
- Formicolio agli arti
- Nausea
- Vampate di calore
- Brividi
- Tremori
- Cambiamenti repentini della temperatura corporea e della pressione
Sintomi cognitivi:
- Paura di perdere il controllo
- Paura di impazzire
- Derealizzazione
- Depersonalizzazione
- Paura di morire
Seppure l’apice di un attacco di panico duri in media non oltre una decina di minuti, chi si trova a viverlo ed affrontarlo per la prima volta ne rimane profondamente turbato e difficilmente dimentica l’episodio. Generalmente il carattere inaspettato del primo attacco di panico e la presenza di sintomi somatici e cognitivi intensi, porta l’interessato a recarsi immediatamente al pronto soccorso perché teme di avere un infarto, di essere in pericolo di vita. Segue una serie di accertamenti medici in cerca di risposte. Molto spesso, escluse eventuali cause mediche, escluso un problema fisico, la persona prova vergogna e imbarazzo pensando che il malessere possa essere percepito all’esterno come un’immagine debole di sé.
A volte, inoltre, l’esclusione di una problematica fisica induce a rifiutare che ci possa essere un problema di diversa natura, pertanto a non affrontarlo dal punto di vista psicologico e ciò comporta inevitabilmente la ricomparsa degli attacchi di panico con una frequenza sempre più ravvicinata tanto da diventare un vero e proprio disturbo. Quando gli attacchi di panico sono ricorrenti, non sono causati da una condizione medica generale o giustificati da un altro disturbo e c’è preoccupazione persistente di avere altri attacchi di panico, si è di fronte ad un disturbo di panico.
Una conseguenza degli attacchi di panico è l’agorafobia, la paura di spazi aperti e/o affollati dai quali potrebbe risultare difficile allontanarsi in caso di pericolo, ricevere aiuto o semplicemente il timore del giudizio altrui se si dovesse stare male in pubblico. Inevitabilmente si innescano meccanismi di evitamento di tutte quelle situazioni che generano ansia pensando così di evitare l’insorgenza del panico. Ed è così che si evita di viaggiare, utilizzare mezzi pubblici, prendere treni, aerei, andare a teatro, al cinema, a un concerto, al supermercato, aspettare in coda, essere tra la folla, guidare, essere da soli… Tutto ciò compromette ovviamente l’aspetto sociale, lavorativo e personale.
Chi soffre di agorafobia evita categoricamente tutte le situazioni temute e se le affronta le vive con profonda ansia. Si diventa schiavi e vittime dei propri attacchi di panico, delle proprie paure: si vive una profonda frustrazione che può portare ad uno stato depressivo. Il carattere improvviso e l’imprevedibilità degli attacchi di panico, porta chi ne è colpito a sentirsi fragile, vulnerabile, ad avere paura della paura.
Cura
Affrontare gli attacchi di panico fino a superarli è possibile. Fondamentale è prendere consapevolezza che non dipendono da una condizione fisica, migliorare l’atteggiamento verso gli eventi esterni e le sensazioni corporee. Indispensabile è un percorso di psicoterapia: imparare tecniche atte a gestire l’ansia come le tecniche di respirazione, apprendere nuove modalità di pensiero e comportamento, soprattutto imparare a guardarsi dentro, a prendere consapevolezza di sé senza reprimere le paure.
Jung sosteneva che la paura è una via legittimada seguire. Le nostre paure, tutto quello che reprimiamo con forza, diventano prima o poi causa dei nostri conflitti interiori. La psicoterapia aiuta a dar voce alla paura riducendo le tensioni, a ristabilire l’equilibrio perso. La psicoterapia offre gli strumenti per vivere liberi.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
SUPERARE L’ ANSIA
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
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SUPERARE L’ ANSIA
Cos’è l’ansia?
L’ansia è un insieme di reazioni che si manifestano quando il nostro organismo percepisce una minaccia, un pericolo, una situazione di allerta e paura. È una risposta innata, istintiva e naturale di attivazione: l’attenzione e la vigilanza aumentano per affrontare il pericolo percepito con una risposta di attacco o fuga. Scappare dal pericolo o combatterlo attaccando è una reazione automatica che si innesca quando ci troviamo di fronte a pericoli esterni reali; tuttavia, non sempre l’ansia è dettata da questi pericoli, molto spesso dipende da situazioni “interne” all’individuo, lotte, tensioni presenti e non ancora risolte. L’ansia può essere fisiologica oppure patologica. Se fisiologica è positiva e funzionale perché consente di affrontare in modo adattivo situazioni difficili o di pericolo, se patologica, invece, risulta disfunzionale ed interferisce con la prestazione. L’ansia patologica insorge spesso senza una reale motivazione, senza una reale minaccia e molto spesso è caratterizzata da attacchi d’ansia intensi.
Cause
Diversi sono i fattori che contribuiscono all’origine dell’ansia:
– fattori genetici: maggiore probabilità di soffrire di un disturbo d’ansia se almeno un familiare ne soffre;
– fattori biologici: alterazioni di alcuni neurotrasmettitori, squilibri di noradrenalina e serotonina;
– fattori psicologici: conflitti interpersonali, pensiero disfunzionale, traumi, esperienze di vita…
Sintomi
È fondamentale riconoscere i sintomi dell’ansia, possono essere sia psicologici che fisici:
– eccessiva apprensione
– preoccupazione persistente
– pensieri negativi
– stato di agitazione
– angoscia
– timore
– insicurezza
– confusione
– difficoltà di concentrazione e/o memoria
– nervosismo
– affaticamento
– palpitazioni e tachicardia
– fame d’aria e iperventilazione
– respiro corto e affannoso
– offuscamento visivo e capogiri
– eccessiva sudorazione
– dolore toracico
– tensione muscolare
– vertigini
– tremori
– formicolii
– cefalea tensiva
– pallore
– disturbi gastroenterici
– stimolo frequente alla minzione
– disturbi del sonno
L’ansia si può curare?
Quando l’ansia è generalizzata, è una situazione di tensione, preoccupazione costante ed eccessiva che permane nel tempo senza una concreta situazione di pericolo, quando i sintomi dell’ansia diventano invalidanti tanto da interferire con le attività quotidiane, con il lavoro, la vita privata e le relazioni, quando innesca il meccanismo di evitamento della situazione temuta perché si ha paura della paura, l’ansia diventa un disturbo, e in quanto tale è opportuno rivolgersi ad uno Psicologo-Psicoterapeuta. La Psicoterapia è fondamentale per curare l’ansia e i disturbi d’ansia. Lo Psicoterapeuta guida il paziente all’interno della sua storia personale, in un percorso finalizzato a migliorare la gestione delle risorse personali necessarie ad affrontare situazioni difficili e problemi, a fornire un aiuto concreto, efficace e duraturo.
La psicoterapia agisce a breve e a lungo termine: a breve termine fornendo strumenti e tecniche per gestire meglio le emozioni e il controllo di sé, a lungo termine eliminando le cause dell’ansia, accrescendo la conoscenza e il funzionamento globale della persona, generando un cambiamento.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
L’ ERRORE, È UNA EMOZIONE NEGATA
L’ ERRORE, È UNA EMOZIONE NEGATA
O urli l’emozione, o l’errore urlerà per te
L’ errore rappresenta il portavoce delle emozioni negate, inespresse, mute, mutate, tenute a bada, allontanate con la propria coscienza, vissute come fastidiose e ritenute imbarazzanti, rappresentative di un mondo vero ma inaccettabile. L’ errore è la rappresentazione e la negazione del giudizio sociale. Non esiste tregua per l’emozione, se predomina l’ etica, il moralismo, il giudizio sociale educativo.
Ciò che tradisce la socialità ed il moralismo, è l’ errore, che rappresenta la perdita del controllo, l’ emozione che non può essere tenuta, ne controllata dal controllo, essa è evacuativa, è fugace, è folle, è vera, autentica, parte da sola, è il magma della persona, è il suo sobbalzo, è l’ azione dentro che determina l’ unicità della scena del suo protagonista.
L’errore rappresenta l’ urlo liberatorio per una emozione imprigionata, è la liberazione dalle catene dei condizionamenti dei giudizi sociali, il diritto alla libertà di esistere in quanto diversi da chiunque. È l’ emozione che fa la differenza è ci diversifica ed è per questo temuta perché in un confronto con gli altri ci rende diversi ed incerti, bisognosi di consenso. Accettare di manifestarsi così come si è, senza il consenso altrui, ci fa sentire errati, ma potenti qualora ne recuperassimo la sua unicità emozionale, tale da non chiedere alcun consenso. Una forte personalità non chiede il consenso per far esistere le proprie emozioni, ma lascia vivere se. Noi erriamo, per esistere.
L’errore è l’ urlo e la rivendicazione dell’ emozione trattenuta, frenata ed implosa, che detona verso l’ errore. L’ errore è l’ esplosione dell’ emozione negata.
Esso è la detonazione del non detto e del non vissuto. Il sintomo è un dolore da malfunzionamento, un errore che esprime una verità negata. Sia l’errore che il sintomo rappresentano l’ invito di cambiare direzione, di accedere alla strada sterrata mai percorsa della novità emozionale. Ogni emozione richiede un fuori strada, una elasticità tale da poter rispondere alle novità della vita, in modo assolutamente nuovo e congruo.
L’ emozione è irrefrenabile, scalpita , nitrisce, strattona, ringhia, avanza come una slavina, muove quantità enormi di energia, è rapace, delicata, dolcissima, disgustosa, odiosa, sofferta, gioiosa. È incontenibile come il pianto di un bambino, come l’ urlo per un lutto e la felicità incontenibile per la propria laurea, per la propria sposa. L’ emozione si fionda ed oltrepassa il confine dall’ anima, si fionda verso la condivisione, verso il mondo e la relazione, ha sempre un carattere Relazionale, nasce dalle relazioni e torna verso di essa. La sua frenata determina l’ errore. Trattenere il trotto è commettere un incidente.
L’ errore, è il tradimento del non espresso, è il numero uno, che per svincolarsi, diventa matto, compie follie, è la ribellione verso il proibito, è la logica che resta tradita e crepata dall’ impulso.
L’errore nasce dalla mancanza di ascolto di se, dalla trascuratezza verso se, è uno yes man, che ascolta e si prodiga per chiunque, si consuma perché gli tornino i consensi, lo yes man risiede alla fine della lista delle sue priorità, non esiste fintanto che gli altri non lo fanno esistere con i loro consensi, fintanto da continuare ad errare, da accumulare, sbagli su sbagli, tali da derealizzarsi e depersobalizzarsi da non percepire più se stesso da.
L’emozione è la verità del nostro vissuto, è la quadratura del cerchio, è quell’ indicibile assurdo di essere espresso, è l’impossibile che può diventare possibile, è la malattia curabile, la scomparsa di un sintomo prepotente, è il buio che diventa sole è l’ imprevisto che diviene prevedibile, non esiste l’ emozione con la falsità.
L’ emozione è l’ urlo potente di una vita muta, è la rottura dell’ omertà, è la vita che chiacchiera continuamente dentro e non esce mai, che litiga con il lecito, il senso comune e l’ idiozia, con il senso di colpa, il perfezionismo e la ragione. Questa è la guerra dentro, è la guerra dell’ uomo scisso, incapace di mettersi d’accordo con se stesso, artefice di ogni guerra fuori.
L’ errore è il numero uno, perché spiana e raddrizza la via, scardina e toglie i massi delle emozioni sedimentate, incistite rimosse e rancorose. Esso è il preludio del miglioramento, è la tappa necessaria per avviare l’ evoluzione, dopo una sequenza interminabile. Non può esistere alcun miglioramento se non attraverso fallimenti ed errori ripetitivi. Il sintomo, il dolore, è un numero uno che disperato piange perché, il direttorio centrale delle sue alte sfere illuministiche della ragion pura, non ascolta, sua altezza emotiva dai colori sgargianti ed esuberanti, ingestibili negli impulsi, perché la vita è lì, ed è più potente da non poter essere facilmente imbrigliata.
L’emozione è ciò che fa la differenza, è follia, è contorta; è perdita del controllo; la ragione è noia e consuetudine, è nota, vita retta, La ragione è il numero due, è controllo, inquadramento, linearità. La ragione frena, inibisce è la causa di tutte le disfunzioni personali, può solo essere progettuale, ingegneristica, mai personologica.
L’ errore, il sintomo, il dolore, l’emozione, sono imprevedibili, spregiudicati, maleducati, trasgressivi, ingarbugliati, tornanti, irrispettosi, perversi, ribelli, sono dossi, montagne russe, essi se ne fottono, perché esistono e basta senza alcun permesso, spiazzano, rappresentano il direttorio della più elevata ed autentica vitalità, sono il nostro numero uno, rivelatrici di verità.
L’ errore non è mai un errore, perché è la rivendicazione della frattura mentecorpo, l’ errore si ribella alla scissione, al dualismo, alla separazione tra i due emisferi, rappresenta il corpo calloso che li tiene insieme; l’ errore pretende il dialogo tra destra e sinistra, sopra e sotto, dentro e fuori, contenuto e contenitore, esso è la moderazione e la mediazione tra due continenti complementari.
L’ errore ama la pace e la libertà, quando lo incontri è in atto un processo di crisi che brama la soluzione e l’ armistizio.
L’ errore indica il bisogno di fare pace con se stessi . Indica il bisogno di mettersi in discussione e di mettersi d’accordo .
Se nascondi l’emozione, nascondi la verità e sbagli, l’ errore ti toglie la maschera, ti sbatte in faccia la realtà tale che non puoi più nasconderla. È la crepa in una roccia che manda a valle tutto ciò che è vacuo ed effimero, retto da impalcature di sabbia dipinte di cemento.
giorgio burdi
Continuapiccoli putin
- piccoli putin
Dedicato a chi rende la vita impossibile
Siamo costernati da piccoli putin, si presentano inizialmente come uomini discreti, carini, gentili, comprensivi, compassionevoli, vittime sacrificali, ma la verità è tutt’altra, le vere vittime sono i carnefici da loro descritti;
i piccoli Putin, appaiono deboli, fragili, deperiti, empatici , buoni, sottomessi, lamentosi, ipocondriaci, vestono bene, poco dismessi, , sanno anche dire, ti voglio bene, ma sono delle maschere, perché di forza ne hanno da vendere, anzi sono in salute, possiedono aculei, spine prepotenti, laureati in saccenza e in persecuzione, lucidi negli obiettivi, apparentemente in ansia, meditano ore al giorno come zen, per placare le fiamme dei loro inferi.
Non vedono il bene, l’ amore, la buona fede o la compassione, dimenticano in fretta il conforto, la dedizione e i sostegni ricevuti, sono glaciali, cere da museo, sagome inespresse di cartone, vanno d’accordo, come degli zombi, coi loro simili, posseggono lo sguardo fisso, perduto nel vuoto, putridi delle loro piaghe, piagnucolano, si lamentano come commedianti. ma in realtà sono sconcertanti mister hide, uomini di carta vetrata, fastidiosi, raschiosi, sopra la loro pelle liscia trovi la raspa della corrente elettrica della loro irrequietezza, uomini alla ricerca, del loro scoop, del loro talk e reality show, di passare alla storia con la propria meschinità.
Appaiono delicati, curati come delle statue di travertino, con facce di bronzo e di pietra tosta, non hanno cedimenti nel volto, nessun filo d’emozione, freddi e pretenziosi, tiranni, despoti severi, dittatori che lamentano ingiustizia, indossano il baratro dei loro peccati che non vedono, non hanno sensi di colpa, si auto commiserano e si auto assolvono, appaiono pudìci, eunuchi, bigotti, bizzoche moraliste, angeli asessuati, ma in realtà sono angeli del male, insolenti spregiudicati, delinquenti, dietro la loro maschera c’è l’ inganno dell’ ignoranza e la freddezza della fucilazione, hanno il sogno mitomane di diventare qualcuno, di celebrare un nuovo giorno della memoria, senza mai sfogliare una pagina, perché loro, “hanno letto”, si emancipano attraverso Dr. Google, le serie di Netflix per una cultura del giallo, del crimine e delle armi. L’ ignoranza può anche diventare saggezza attraverso l’ umiltà, ma se si pone come saccenza, si fa deficienza.
I piccoli putin sono eternamente in guerra, perché hanno la guerra dentro, vivono nella paura di essere invasi, vedono il demone dappertutto, lo specchio della possessione che è dentro di loro.
Sono pericolosi, diabolici, votati al martirio del male, non cambiano, sono da evitare come il dirupo che è dentro di loro;
Autentici criminals minds, cinici, passano la vita nelle loro macerie a progettare terremoti; hanno l’ anima del fanatico omicida, pronti ad agire indisturbati quando meno te lo aspetti.
I piccoli Putin sono figli dei loro traumi, figli indesiderati, orfani di genitori viventi, addestrati in poligoni di morte.
Sono mercenari, ti usano, ti sfruttano, ti comprano con affetto, ti regalo cuori di pietra e Caffarel avvelenati e ti scaricano nello squallore di uno sciacquone se diventano vittime di proiezioni personali.
Servirebbe un esercito di psicoterapeuti e di assistenti sociali per sradicare loro i figli e la loro potestà genitoriale, per evitare il proliferare di criminali di nuova generazione.
I piccoli putin sono insicuri esoterici, superstiziosi ignoranti, cartomanti, streghe, maghi e fattucchieri, servono tso e rituali di esorcismo, per strattonare il loro male verso il bene, perché non c’è modo di dialogo, di civile comprensione o di accordo umano intelligente, perché non ci inganniamo di poter sperare di trovare l’ umano, lì dove risiede la bestia, c’è chi nasce per le barbarie; servono cecchini e sicari che puntino sul vuoto del loro esistere, sull’ anti umanesimo, sul nulla che li rappresentano.
Speculatori, ladri e padroni del tuo tempo, fastidiosi invadenti, non si fanno alcun rimorso nel disturbarti, usurpano risorse, come delle carogne, sulla base della benevolenza di ingenui sprovveduti in buona fede, che a differenza loro, vedono il bene dappertutto.
I piccoli putin, bruciano i libri, leggono paperone de Paperoni, guardano l’ horror, che possiedono, aspirano a diventare personaggio pubblico, dimenticano che hanno il tempo contato, ingordi, invidiosi, di chi ha consumato la rètina sui libri, di chi lavori, di chi si spacca; è un’ onta, è una vergogna l’arroganza dell ignoranza; essere strozzini rende, invasori e sciacalli usurpatori, avari e austeri nei sentimenti, ciechi verso l’ umanità, l’ amicizia e l’ affetto, facili a sbattarti in black list, lo paghi caro l’ alibi della loro diffidenza.
I piccoli putin, sono delle scimmie che imitano i ladri, le pecore, clementi con i demoni, ma angusti con gli umani ed i civili, ma la rabbia per la loro violenta ingratitudine, fa la resistenza, li rende partigiani, soldati spietati, perché la difesa della propria dignità, supera il sacrificio della propria esistenza.
I piccoli putin, tramano contro la serenità, contro la vita, sono disturbatori cronici, un cinico omuncolo sadico o una donnina pudica e mercenaria che si vende la dignità per soldi, ti aspetta al varco nella sua trappola, è l’ ombra della sua follia che merita il crematorio.
Chi minaccia la vita, dovrebbe soccombere con i propri figli della morte, inevitabilmente educati all’ inganno, all’ ignoranza del furto, del facile denaro, mascherati da onesti, ma ladri, mentecatti ed accattoni.
Alla loro apparizione e al loro passaggi bisognerebbe sprigionare una rabbia deflagratoria, un odio verso chi nasce per il male e per la morte. Non ci sono riformatori, ne processi rieducativi per chi è votato al male, e fa di esso il suo programma, andrebbero internati nei gironi danteschi infernali, ma terreni, noi non aspettiamo il giudizio universale, lasciandoli latitanti, ma la desideriamo loro morte subito, la vita va migliorata adesso, dobbiamo smetterla di sperarla, la pretendiamo.
Con i piccoli putin, la diplomazia è criminale, è una esplicita forma di timore, è aver paura e mostrare il fianco, è voler dialogare con un criminale che non vuol mettersi a tavolino. La diplomazia è il riconoscimento della violenza, perché essa è pur sempre delicata, comprende, magari condivide, alle volte lo tratta come un diversamente abile, come un pazzo o come un bambino irrequieto, stai calmo e fa il bravo, mettiamoci d’accordo su come dividere i giocattoli. La diplomazia è cieca, non vede il problema, produce morti, mentre vuole persuadere ad essere buoni, umani e umili come noi. La diplomazia è melensa, la sua esistenza da quasi valore al criminale, non riporta i morti in vita è un perditempo, l’ aristocrazia del perbenismo, un lava faccia, una strafottenza della vita, un aiuto umanitario estetico, è il lifting della solidarietà, è un politico che ti dice sempre di si, mentre non puoi più mangiare, la diplomazia può essere pericolosa, una presa per il culo. Non può esserci alcun dialogo con chi ha un programma di morte e la morte deve cercare e coincidere con se stessa, va uccisa. Per i piccoli putìn servono interventi tempestivi, squadre d’assalto, cecchini, fatti fuori a vista, perché non c’è alcun crimine sparando sulla morte e nell’ esercitare la legittima difesa. Altro che dialogo, esso fomenta ed agevola il processo di morte.
Sono traditori ben pensanti, tradiscono ripetutamente, cambiano i numeri e si auto assolvono. Devono fare attenzione ai propri passi per evitare il loro inferno, camminano su mine vaganti. La consapevolezza d’aver fatto loro solo ed inequivocabilmente del bene, oscuro alle tenebre che sono, non lascia passare un giorno, un solo istante, in cui gli si auguri a mitraglia, la più elevata esecrazione, malattie, anatemi, fatture, riti tribali e satanici e di passare quanto prima e per sempre a vita migliore; in attesa della battaglia, per vendere cara e degna la propria pelle, perché i demoni non meritano l’ esistenza, fintanto che la loro consapevolezza non li illumini da formulare le dovute scuse e i perdoni, la maledizione rimarrà eterna.
giorgio burdi
ContinuaLA SOSTANZA AFFETTIVA
LA SOSTANZA AFFETTIVA
Breve compendio sulle dipendenze
Tra le sostanze psicotrope più diffuse che creano maggior dipendenza organica ed emotiva, tra le più complesse da trattare in termini di tempi di psicoterapia, secondo una scala di difficoltà di trattamento, abbiamo al primo posto l’ eroina, a seguire, il crack, l’ alcool, la cocaina e in fondo alla scala la cannabis.
Esse richiedono un periodo di trattamento di psicoterapia mediamente lungo e statisticamente pari a tre anni per la prima, due per il crack e l’ alcool, un anno per la cocaina e per la cannabis; per tutte queste dipendenze il lavoro di psicoterapia deve essere condotto con continuità e senza interruzioni.
La dipendenza affettiva, risulta essere la più radicata e la più complessa da trattare, si pone al primo posto per il suo livello di difficoltà di trattamento e esattamente si pone prima dell’ eroina; per questo la definiremo, sostanza affettiva; essa infatti affonda le sue radici causali più profonde all’ interno della relazione parentale e si comporta come una vera e propria sostanza che viene assunta per gratificare quei sistemi di ricompensa mancati nella relazione affettiva originaria.
La dipendenza affettiva ha tutt’ altro che una dimensione razionale, essa va di gran lunga oltre quei processi del pensiero ed è complessa nel riconoscimento delle sue cause;
la sostanza affettiva risiede in meccanismi inconsci ed ombrosi, all’ interno di sfumature antiche, attentive ed affettive compromesse della famiglia.
La gamma dei sintomi determinati dalla sostanza affettiva sono numerosi e comprendono: fobie generalizzate, frustrazione per l’ assenza della figura affettiva, percezione del vuoto emotivo e sensazione di smarrimento, paura per la solitudine e per gli abbandoni, timore intermittente di perdere l’ oggetto amato, timore di essere rifiutato e il bisogno di rassicurazioni continue.
La dipendenza affettiva si confonde con l’ amore, ed è cosa molto diversa dall’ amore; la prima è caratterizzata dalla presenza evidente di un litigio continuativo, è conflittuale ed insostenibile;
i partners sono orientati prevalentemente nell’ imporre i propri bisogni in modalità ossessivo e manipolativa, dove il dipendente, il più delle volte, è sottomesso.
La dipendenza nasce dall’ accanimento di voler soddisfare i bisogni frustrati di un tempo. Voler soddisfare un bisogno determina il gap di non considerare mai, e non aver in mente, la persona interlocutrice, riscoperta in seguito come incongruente ed ingannatrice, solo dopo avere soddisfatto il bisogno.
L’ amore non è mai dipendenza affettiva, al contrario è un’ opera d’ arte che va contemplata per la sua poesia e la sua delicatezza, è gratuità di sentimenti, è autonomia dell’ uno verso l’ altro, è attesa, non coercizione o cospirazione, è paziente, comprensiva, guarda alla persona, non al progetto, esso viene tanto dopo, è orientato non al bisogno da soddisfare,ha stima, fascino per l’ altro, non fa contratti, compromessi, ne ricatti, non ha obblighi, è rispettoso e discreto, desidera, è passionale e compassionevole, dialoga ininterrottamente, si incanta, non litiga sempre, non comanda, non è mai direttorio, è umile, impara, ma, non insegna o conosce saccenza, non si erge, o si piega, copre, promuove, è protettivo, non usa imperativi, è stupito, è riparativo e devoto, sa chiedere scusa, è in preghiera per la meraviglia e se discute ne apprezza le differenze per evolversi.
La sostanza affettiva è una sabbia mobile che non ti permette mai lo slancio, le emozioni del bello, decreta la fine già dall’ inizio; procrastina, per la chiarezza torbida dell’ obiettività, è quel bisogno che rende cieca l’ oggettività; la sostanza affettiva proclama la fine di se e delle proprie risorse, tira fuori il peggio di se, da credere di non essere mai stati migliori; condanna alla prigionia dell’ altro, a sentirsi ripetutamente sbagliati ed errati; fa arrampicare sugli specchi dell’ impossibile e della malattia.
Ma come si struttura e da cosa nasce la dipendenza affettiva come una sostanza ? Le dipendenze da sostanze psicotrope hanno delle origini più ravvicinate di quelle affettive. Diciamo subito che le dipendenze in generale, si innescano all’ interno di quei circuiti dopaminergici, relativi ai meccanismi della ricompensa.
I bassi o I mancati stimoli delle ricompense affettive ambientali, inducono una ricerca esterna di stimoli compensativi surrogati, coadiuvanti e suppletivi, che creano ad essi la dipendenza. La sostanza affettiva rappresenta una sostanza di rimborso delle carenze attentive non soddisfatte.
Il nostro cervello necessita di produrre la dopamina, che è l’ ormone della gratificazione, attraverso stimoli specifici ambientali consoni. In assenza di tali stimoli ambientali affettivi specifici, il sistema adrenergico, si rifà sui sostituti “surrogati” dell’ ambiente, sostituendo lucciole a lanterne come mezzo di auto sopravvivenza.
Cosa manca ad un soggetto che soffre di dipendenza ? “LA PRESENZA”. Riempirà il malessere delle assenze, con la presenza e le premure di uno qualunque approssimativo surrogato, attraverso il contatto rassicurante di una comparsa o attraverso l’ euforia della cocaina, o tramite la parola di un ammalato di vuoti come lui, o attraverso l’ alcol, o attraverso la fame del come stai o attraverso la ludopatia per i giochi dell’ infanzia mai condivisi.
L’ assenza, genera il timore e la paura per la solitudine, per tutte le crisi abbandoniche subite. Una delle origini della dipendenza affettiva è la storia e il susseguirsi degli abbandoni subiti. Una relazione più è frustrante, più alto è l’ indice di insinuazione di una dipendenza, più si presentano stati paranoici e persecutori.
Attraverso i processi abbandonici, il dipendente sarà alla ricerca estenuante di un suo accuditore dedito e devoto, di un “badante”, di un infermiere che lo curi e lo ami, come quella cannabis che lo fa cedere accasciato tra le proprie braccia. La Dipendenza affettiva si equivale a tutte quelle crisi abbandoniche subite.
Un genitore, con le sue assenze e i suoi abbandoni, respinge il proprio figlio, si percepisce indesiderato, ma allo stesso tempo lo lega, lo vincola tra le mura domestiche, lo rende socio fobico, bloccato al suo utero, all’ interno di una relazione asfissiante e trasparente, lo lega nell’ attesa che arrivi prima o poi quell’ attenzione, uno slancio o un abbraccio, uno scorcio di sorriso, di una rassicurazione, o di un come stai.
La motrice primaria per liberarsi dalla dipendenza affettiva risiede innanzitutto:
1 nella consapevolezza di essere un dipendente affettivo,
2 nella comprensione dei meccanismi che lo legittimano ad un tale meccanismo patologico,
3 e nell’ investire energicamente su di se , su quegl’ interessi che stravolgono la propria esistenza che si definiscono attitudini.
giorgio burdi
ContinuaABBRACCIARE GLI SPETTRI
Da “ Se incontri il Buddha per strada, uccidilo “ di Sheldon Kopp.
Se incontri uno spettro per la strada, abbraccialo
Ogni uomo è tormentato dallo spettro di un gemello che rappresenta tutto ciò di sé stesso a cui direbbe “no” (Sheldon Kopp).
È un’ombra svelta e meschina che viene a disturbarci lungo il cammino. Un brigante. In pochi secondi, vediamo tutto il lavoro impiegato per trovare la pace dei sensi e la felicità svanire.
Crisi.
Evidentemente ci è sfuggito qualcosa, non abbiamo capito fino in fondo la nostra vita. La strada che con tanta fatica ci siamo costruiti è sbagliata. È una strada che porta verso il caos, l’incertezza…non va bene.
Che confusione! Eppure, una chiave ci deve essere, deve esistere un modo per cambiare come siamo. È diventato insopportabile vivere così. Non è possibile camminare su una strada così fallibile, incerta e solitaria.
È in questo momento che iniziamo a trovare mille possibilisoluzioni al nostro problema. Un problema che ci fa sentire in difetto, guasti. È da quel momento che potremmo vedere negli altri, “più risolti ed equilibrati”, la soluzione. Può essere un familiare, un amico, lo psicoterapeuta.
Automaticamente, la persona che noi riteniamo abbia ricevuto il dono dell’illuminazione diventa centrale per la nostra vita. Finalmente, nel nostro cammino, abbiamo incrociato il Buddha: ci siamo quasi.
Quello che accade, in realtà, è che stiamo idealizzando. Quando idealizziamo qualcuno (o qualcosa) stiamo proiettando il nostro bisogno di trovare una soluzione. Un chiave che apre (e quindi chiude) tutte le porte della nostra mente.
La proiezione è efficace soprattutto perché siamo noi, in primis, a credere di poter raggiungere la “perfezione”. Siamo convinti di far parte di una specie animale di norma pura e onnipotente. È un’idea bellissima che ci fa continuare a credere di poter un giorno essere invulnerabili ai problemi della vita. La seconda convinzione è quella di poter raggiungere lo stato di “persona giusta” attingendo da forze esterne a noi.
Il fatto è questo: non c’è soluzione, perché non esiste il problema. Non siamo una specie interamente buona o interamente cattiva. Noi, essere umani, siamo animali. Abbiamo istinti e parti irrazionali. Non siamo delle divinità, siamo carne e ossa. Abbiamo il dono dell’amore, ma anche il suo gemello complementare: l’odio. Non possiamo fare miracoli, non possiamo eliminare le emozioni negative e, soprattutto, nessun essere umano è capace di controllare e salvare nessuno. Non abbiamo questo potere, non possiamo controllare gli altri e gli eventi. In effetti, la strada che percorriamo è fragile, caotica e solitaria… è così per tutti!
Lungo la strada, come tutti gli altri, devo sopportare i miei fardelli. Ma non intendo sopportarli graziosamente, né in silenzio. Prenderò la mia tristezza e per quanto posso la canterò. In questo modo, quando gli altri sentiranno la mia canzone, forse le faranno eco e risponderanno dal profondo dei loro stessi sentimenti(Sheldon B. Kopp).
I nostri spettri vanno amati perché ci ricordano di essere umani. E in quanto animali, siamo nel posto giusto. I nostri piedi sono adatti per poggiarsi per terra e camminare. Non siamo né interamente buoni, né interamente cattivi; siamo naturali.
Se ci ricordiamo di essere fallibili, impariamo a perdonarci. Se ci ricordiamo di essere incerti, impariamo a lasciar perdere il futuro, non possiamo controllarlo, e a vivere nel presente. Se ci ricordiamo di essere soli, capiamo di essere noi i veri padroni di noi stessi.
E quante lacrime e quanta tristezza ci furono ancora quando giunse a capire che la parte che voleva, in realtà, era sua, se la chiedeva, e lo era sempre stata!
(Sheldon B. Kopp, Se incontri il Buddha per la strada, uccidilo)
Susanna García Rubí
ContinuaOGNUNO SI SCHIANTA SUI BUI ALTRUI
Ognuno si schianta nei bui altrui
Quando parliamo di “schianto”, inevitabilmente, ci viene in mente uno scontro automobilistico in cui l’impatto improvviso è dato dall’assenza di misure di sicurezza.
Nelle relazioni non esiste un dispositivo o una spia che ci avverte quando siamo di fronte ad un pericolo, ma siamo in grado di percepire ciò che ci fa stare bene o male, attraverso la nostra percezione, i segnali inviati dal corpo, o ancora la nostra vocina interiore. Ma cosa porta ad uno schianto?
La proiezione è il meccanismo più frequente. I desideri, la voglia di un rapporto, gli stessi schemi mentali, le nostre fragilità irrisolte, vengono proiettate sulla realtà che viviamo. Un po’ come fossimo al cinema, vediamo un film creato da noi stessi che non ci permette di capire con obiettività ciò davanti cui ci troviamo.
Tutto diventa edulcorato, mediante un’interpretazione senza filtri. Esci, due chiacchiere, uno scherzo e si sta bene.. e in alcuni momenti, male.
Cosicchè d’improvviso ci troviamo in un luogo sperduto e senza via d’uscita. Il buio dell’altro.
L’altro, colui che non vediamo, problematico quanto basta, accartocciato su se stesso, intriso nei suoi dolori, crocevia di pensieri intrusivi e sensi di colpa, ruba le nostre energie,portandoci a soddisfare una richiesta continua di amore di cui noi non siamo i diretti responsabili.
Persistiamo, perché ce la possiamo fare. Ignoriamo il nostro sentore e deturpiamo l’unica opera originale, la nostra, per rincorrere incessantemente quel sentimento che crediamo essere unico e dal quale non ci accorgiamo essere intrappolati o giàdipendenti.
La nostra vitalità svanisce, la pulsione di vita va in detumescenza. Il vuoto dell’altro diventa l’oggetto d’amore condiviso a caro prezzo. Abbiamo perso la bussola della nostra vita.
Meglio ancora quando mettiamo in atto un comportamentoossessiva in cui riteniamo che l’altro possa cambiare.. e ci chiediamo senza sosta cosa poter fare. Nulla. L’unica soluzione valida: il nulla, meglio, lasciarlo nel suo vuoto.
L’altro non cambia se non è lui a volerlo. La peggiore delle consapevolezze. Il momento in cui effettivamente percepiamo si esserci schiantati.
Non rimane che una profonda tristezza, alienazione, cadiamo in una valle di lacrime, parole delle nostre più accese speranze e illusi rimaniamo attoniti in uno stato di confusionale, nel tentativo di dare una spiegazione a ciò che è stato.
Quel film che stavamo vedendo si spegne davanti ai nostri occhi e la sala diventa buia. Non rimane più nulla, sedie vuote. Anzi, qualcosa ancora sosta ed è dentro di noi.. Quella vocina che non abbiamo mai ascoltato, balza alla nostra mente e quei sintomi di malessere hanno modo di trovare una spiegazione.
Nel finale, un pensiero, “ tutto dipende da noi, relativamente”.
silvia V.
Continua