Perfezionismo
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE IL PERFEZIONISMO
PERFEZIONISMO
Il perfezionismo, per quanto possa apparire tale, al contrario, rappresenta una delle tante facce dell’ insicurezza. Esso è un abito indossato di una genitorialità severa e direttiva, forgiata sui tanti limiti subiti, tali da sviluppare manie di onnipotenza.
È un lifting, una liposuzione, un rigonfiamento botulinico, con lo svantaggio inconsapevole di procurare una deformazione sulla personalità, scolpita e levigata sulla base di un protocollo.
Il perfezionismo è una ossessione per il miglioramento, per la disciplina e per un certo rigore d’ ordine, del tutto soggettivo; tutto deve essere orientato verso la condizione ottimale e giusta, perché la mente è ubicata di fatto nel caos. Chi non sopporta i rumori è perché ha l’ ingombro in testa, non ha spazio per i suoni. Così l’intolleranza e la lotta verso l’ errore, rappresenta un’ altra peculiarità del perfezionista.
Egli è colui che fa della propria perfezione, una inconsapevole imperfezione, col bisogno di individuare i difetti in tutti gli altri, da ergersi come il meno imperfetto, il migliore. Il perfezionismo è generazionale, passa di famiglia in famiglia, di secolo in secolo, appare come un bisogno onorifico di emancipazione, invece rappresenta una paranoia, una cristallizzazione ed un astigmatismo della realtà. Rappresenta l’ annientamento, la lotta contro le diversità, tutto viene livellato secondo un proprio cliché, che si spiani verso un modello omogeneo standard, socialmente accettato e condiviso.
Il perfezionismo è una dispercezione, un meccanismo di alterazione della percezione di se e della realtà, si riconduce ai disturbi specifici dell’ apprendimento DSA; una parte dell’ apprendimento verrebbe distorto e modificato sulla base di processi interpretativi soggettivi. Le informazioni acquisiscono significati differenti da quelli che la realtà propone.
Presupposto che ognuno è diverso dall’ altro, possiamo affermare che ognuno è perfetto per quello che è, per via delle proprie unicità e diversità, esattamente come per la Bella natura, il perfezionismo rappresenta il di più, la pacchianata evidente, la maschera, il copertone, la saccenza , la storpiatura, la nevrotizzazione del soggetto, rappresenta l’ esordio di una lotta contro l’ umanità, basti considerare la folle selezione della razza ariana.
La mania al perfezionismo possiede una elevata forma di predisposizione verso l’ ossessione, la compulsione, la paranoia, la socio fobia, la socio patia e la psicopatologia.
Il perfezionismo riporta in ballo sempre un modello di riferimento al quale ispirarsi, uno stereotipo ben delineato, sulla base di congetture educative, religiose, etnico politiche.
Il perfezionismo rappresenta tutt’ altro che un miglioramento, non lo legittima affatto, ma rappresenta la perdita per eccellenza di significati ed uno svuotamento delle potenzialità umane.
Il perfezionista pertanto ha sempre un modello di riferimento, persegue come un automa e in modalità ostinata ed automatica, un determinato schema, tale da poter affermare il suo modello di riferimento, ma di fatto attua la sua più elevata forma di deviazione da se. Diviene l’ ombra di se stesso.
Gli acerrimi nemici del perfezionismo sono, la creatività, la naturalezza, la spontaneità, l’ affettività, i sentimenti e le emozioni. Per esso tutto ciò rappresentano errori e limiti, da evitare, sono il freno e la spaccatura nel raggiungimento del modello, perché conducono fuori dal loro perimetro di riferimento.
Un perfezionista deve rigorosamente essere anafettivo, sempre preparato e pronto nelle sue risposte, manager di se stesso e degli altri, h 24, ma non potendo garantire costantemente le aspettative per l’enorme sforzo richiesto, il più delle volte si defila e riappare nel massimo della performance; l’ imprevisto e l’ improvvisazione lo fa impazzire, lo fa dissociare, lo svela, lo rende per quello che è, timido ed impacciato.
La mania del perfezionista è il controllo su di se ed innanzitutto sugli altri, per poter mantenere in auge la sua immagine. Senza di esso c’è la crisi, la fuga dalla realtà. Il perfezionismo è un limite che genera un limitato, un formalismo, produce un soggetto che non vive, con un disagio di accomodamento e di rigidità, fino a quando non raggiungerà il modello da esibire, fiero da ostentare il suo narcisismo patologico.
giorgio burdi
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IL PERFEZIONISTA
Il perfezionista non si sente mai pronto, mai sicuro, mai abbastanza. Ogni occasione lo trascina nel vortice dell’incertezza, dell’insicurezza profonda di cui è artefice nella sua confusionaria mente.
Controllare ogni cosa, ogni movimento, ogni parola, ogni situazione, tutto deve essere sotto attento e vigile controllo. Tutto. E se qualcosa dovesse sfuggire, il perfezionista-insicuro, impazzisce: inventa, fantastica, favoleggia, sogna ad occhi aperti. È la sua verità e guai a smentirla.
È reale, così reale da poterla toccare con mano. Si brucia ma non gli importa, perché è soddisfatto della SUA verità. Nel suo caos vede l’ordine, nella sua chiusura mentale vede orizzonti.
Alla continua ricerca di una perfezione irraggiungibile, vive la sua frustrante e superficiale esistenza non rendendosi conto del male che crea a sé stesso e a coloro che ne vengono a contatto.
Il perfezionista si guarda allo specchio e non si piace. Non si piace mai. Tutti sono migliori di lui anche se non lo ammette. Tutti sono più belli, più preparati, più comunicativi, più intelligenti, più socievoli, più carismatici, più.
Il perfezionista è una persona irrisolta, una persona che giustifica le sue sconfitte con la scusa dell’essere un “perfezionista”. In questo modo la sua coscienza è pulita, si giustifica sempre : “Io sono un perfezionista, che cosa ci posso fare?”, “Io sono un perfezionista, o lo faccio bene o non lo faccio per niente”.
Il perfezionista è terrorizzato dal confronto. Vive nella perenne paura di essere rimpiazzato, di essere giudicato e messo a paragone con gli altri. E questa sua paura lo rende fobico e solo. La sua mente è un turbinio di raffronti, di ansie e preoccupazioni. Si sente unico e allo stesso tempo, immobile e rimpiazzabilissimo. Il perfezionista è un controsenso vivente.
rossella ramundo orlando
ContinuaSuperare il lutto da separazione
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE IL LUTTO DA SEPARAZIONE
Cos’è il lutto da separazione
Quando si parla di relazione di coppia si evoca il concetto del “noi” sinonimo di unione, coesione, condivisione, integrazione fra le parti, complicità. Il “noi” racchiude un progetto condiviso di bisogni, esigenze, vissuti, desideri, e alimentato dall’impegno e dalla motivazione di entrambi i partner.
Il senso del “noi” prende forma costantemente se coltivato e nutrito quotidianamente di buoni propositi, cresce attraverso la comunicazione dei pensieri e degli stati d’animo di ognuno dei partner. La comunicazione è uno degli aspetti principali per la crescita della coppia, permette di conoscere e accettare l’altro con i suoi pregi e difetti, nonostante le diversità.
A volte però, per svariati motivi, il “noi” non è più condiviso nel tempo, non avvolge e nutre più la coppia, decade così come quel “per sempre” recitato e promesso il giorno del matrimonio.
La fine di una relazione di coppia, di un matrimonio, la separazione dal proprio partner, è un’esperienza difficile da affrontare e superare. Paragonabile a un lutto, è un distacco definitivo e doloroso da una persona importante che ha fatto parte della nostra vita.
La separazione è una perdita fisica e psicologica, con essa vengono a mancare tutte le certezze e le abitudini, a volte disfunzionali e spesso causa della rottura, ma inconsciamente rassicuranti. Questo provoca paura, solitudine, tristezza, fa vivere un senso di abbandono.
Chiudere una relazione genera un senso di sconfitta personale, fa sentire dei falliti, degli incapaci. Si perde il senso di unità familiare e tutti i progetti di vita futuri. Chiudere una relazione è quasi sempre una scelta sofferta da entrambi i partner. Se da un lato nella coppia generalmente chi lascia vive un senso di colpa e responsabilità, dall’altro chi subisce la scelta vive una sofferenza perché si sente rifiutato e crede impossibile la sopravvivenza senza il partner. Sicuramente il lutto da separazione viene affrontato ed elaborato da entrambi i partner seppur in modo differente.
Alcuni studi psicologici hanno riscontrato che l’elaborazione del lutto per la fine di una relazione avviene attraverso un modello ciclico che prevede tre emozioni: amore, rabbia, tristezza.
Inizialmente si sente nostalgia per la perdita, si spera che tutto possa sistemarsi, successivamente subentra la rabbia per il torto subito ed infine la tristezza legata allo sconforto e alla solitudine.
Alla fine di questo ciclo di emozioni si ha una visione più realista della separazione e si coglie l’opportunità di crescita personale che questa esperienza di vita, seppur dolorosa, ci offre. Non sempre però tutti riescono a superare queste fasi di elaborazione, a volte si resta intrappolati e si diventa vittime della rabbia e del rancore. In questi casi la separazione si trasforma in litigi e accuse di colpa, in una guerra alla ricerca di responsabilità.
Cause
I motivi che portano una relazione alla deriva possono essere molteplici. Sicuramente quando una coppia affronta una crisi è perché almeno uno dei partner non si sente più coppia, non riesce più a riconoscere quel senso del “noi”, quel senso di condivisione reciproca.
La fine di una relazione è dettata da innumerevoli motivi di diversa entità:
- La fine del sentimento d’amore che legava i partner
- Mancanza di comunicazione
- Mancanza di intimità
- Perdita di stima e di apprezzamento
- Mancanza di rispetto per l’individualità dell’altro
- Disinteresse del partner verso la famiglia, l’educazione dei figli…
- Infedeltà
- Invadenza delle famiglie di origine
- Incompatibilità di carattere
Quando una relazione finisce, a prescindere dalle motivazioni, è sicuramente responsabilità di entrambi i partner, non ci sono responsabilità unilaterali né ci devono essere deresponsabilizzazioni, si è parimenti responsabili.
Una relazione finisce quando non funziona già da diverso tempo, le motivazioni sono secondarie, non sono altro che un palesarsi della fine.
Sintomi
La separazione è un trauma importante per chi la vive, è fonte di grande stress. Diverse le emozioni e gli stati d’animo che si possono provare, così come i sintomi fisici e psicologici:
- Senso di smarrimento
- Perdita del senso dell’esistenza
- Senso di affaticamento mentale
- Confusione
- Apatia
- Senso di vuoto
- Sensi di colpa
- Sensazione di fallimento
- Rabbia
- Frustrazione
- Rancore
- Depressione
- Ansia
- Tristezza persistente
- Percezione di inutilità
- Insonnia
- Mal di testa ricorrenti
- Perdita dell’appetito
- Nausea
- Situazioni di abuso
- Tendenza a isolarsi
Cura
L’elaborazione del lutto da separazione avviene attraverso diverse fasi che conducono all’accettazione.
La letteratura insegna che si passa dalla negazione, il rifiuto per la separazione come meccanismo di difesa per non affrontare la sofferenza e il dolore, alla rabbia per il torto e l’ingiustizia subiti.
Chi vive l’abbandono da separazione spesso cade in uno stato depressivo, perde interesse per la vita, non ha più stimoli e vive un senso di fallimento e frustrazione. Altre volte, invece, vive una rabbia incalzante, vendicativa e furiosa.
Molto spesso la separazione rievoca traumi latenti come quello dell’abbandono, questo amplifica la sofferenza e il disagio.
In questa fase molto delicata è utile un supporto psicologico, un percorso di psicoterapia mirato ad una corretta gestione delle emozioni, della rabbia e alla presa di consapevolezza dell’accaduto.
La psicoterapia aiuta a dare un senso a quanto accaduto, a riconoscere gli schemi mentali e comportamentali disfunzionali nella relazione e le responsabilità di ognuno.
Aiuta a far emergere le proprie risorse e capacità in prospettiva di nuovi progetti futuri e a ridefinire l’individuo al di fuori della relazione
Elaborare il lutto da separazione con l’aiuto della psicoterapia, vuol dire trasformarlo andando oltre il dolore. Vuol dire trasformare la separazione in un momento di crescita, in un cambiamento.
Grazie alla psicoterapia la separazione può essere vissuta come un’opportunità.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
Vibrazioni
VIBRAZIONI
Esercizio per vivere il qui ed ora
La vibrazione di uno scalpello pneumatico che demolisce per ricostruire, quella di un diesel che parte, della turbina di un volo Ryan. La vibrazione ematica nelle arterie pulsanti, le note ritmiche dell’ amore, piano, forte, le convulsioni di un orgasmo, di una foglia al vento, il profumo di un risotto alla crema di scampi, dell’ oscillazione delle corde di una cetra, del canto di un soprano che fa riga un cristallo, l’ urlo di un uomo che invoca Geremia, la voglia irrefrenabile di un passate che vuole parlare, le moto che rombano, le ruote di un trolley sui san pietrini, il respiro di una donna su una panchina, io che mi appoggio alla transenna per digitare ritmicamente queste parole, la scala mobile che trema, il treno che è arrivato in uno stridio e che mi aspetta per Trastevere;
la vita, se la osservi vibra ovunque e dappertutto fuori e dentro di noi, osserva, osservala, osserva il tuo camminare, ciò che scorre intorno a te, ti parla sempre, non tace mai; come questa inglese che mi chiede where is Uber, sarà per la mia camicia di lino bianca, come fossi un addetto ad un ufficio di informazioni o semplicemente si avvicinano perché si fida delle vibrazioni della mia immagine che fuma il sigaro e scrive qui; subito dopo un altra che chiede where is the train ? È bella la vita perché dà segni ritmici di esistenza e ti fa credere che non esista la morte la vita vibra fuori solo perché vibra dentro.
Sei esattamente così come stai vibrando. Le vibrazioni vengono emesse da ogni forma di vita, su una gamma di frequenze che oscilla da un massimo di benessere, al massimo malore. Potremmo essere monitorati da oscilloscopi, da apparecchiature quali by feedback per renderci conto che siamo continuamente soggetti ad oscillazioni elettromagnetiche ed elettromiografiche. La frequenza cardiaca, l’ elettro encefalogramma, la conducibilità elettrica bio chimica tra i neuroni. La nostra vira è appesa al ritmo dei battiti cardiaci. Le nostre cellule sono in un continuo interscambio nutrizionale e di espellazione di tossine, pompe di energie che alimentano i nostri sistemi, difendono la vita e trattengono le malattie e la morte.
Le vibrazioni emesse dalla vita intera rappresentano la risposta all’ inesistenza, all’ inanimato, al vuoto, al nulla, all’ insensibile, a tutto ciò che è statico, stantio, immobile, morto.
La vita è sinonimi di vibrazioni. Stessa e Identica cosa accade per la vita più profonda, la vita dell’ anima. Tutta la gamma delle sfumature e sfaccettature emotive, rappresentano vibrazioni che ci offrono la consapevolezza della nostra presenza.
Potremmo chiederci, quali vibrazioni ho, se sto vibrando e per chi, per cosa o se sono fermo, se mi proteggo troppo o mi annoio, per chi vivo, se vivo da scontato, prigioniero delle abitudini se lascio fluire o freno e trattengo le novità. La nostra anima ha delle corde come un piano forte una chitarra pizzicata; con i pensieri e le circostanze, arpeggiano melodie continue che danno il tono al nostro umore.
Abbiamo tonalità musicali continue dentro di noi, suoni che oscillano come la marea o il maestrale o la bonaccia. Ciò che è fondamentale sapere è quale oscillazione è nostra e abbiamo, sappiamo anche che esse sono cangianti? istante dopo istante, come le sfumature dei colori e delle ombre. Sapere come sto è voler sapere quale vibrazione ho e quale emozione vorrei avere. Il cambiamento in noi è determinato dalla possibilità di poter lavorare per le emozioni che vorremmo avere.
Le vibrazioni chiamano vibrazioni, se ci sei, ci sono gli altri, le persone presenti che vibrano sono dei diapason, le senti, si cercano, si attraggono, non smettono di parlarsi, si percepiscono, si amano, lasciano il segno con la loro presenza e il vuoto della loro assenza.
Le vibrazioni non hanno misura, si estendo oltre confine, oltre il tramonto, sono inter continentali, interplanetarie, inter galattiche, aldilà dell’ nell’ iperspazio, oltre l’ altra dimensione, oltre l’ altra vita, sono telepatiche, quando siamo presenti diciamo, ti stavo pensando e mi hai chiamato.
Le vibrazioni sono tutte sincrone, ritmiche, innestano la marcia che ti fa avanzare, ti pongono nel flusso, come ora, prendi sempre il treno, sei sempre nel momento giusto e nel luogo giusto e se non lo sei, sei soltanto assente, preso da altro. Se non osservi, ti astieni se ti assenti, non puoi cambiare se resti prigioniero dei tuoi pensieri, nel caos asincrono, senti solo rumori, non movimento, sei lontano dal flusso della vita che è in te, fuori dal flusso. Solo quando decidi di esserci, ti ascolti, vedi, agisci, vivi.
giorgio burdi
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VIBRAZIONI
“Dove il terreno è piatto, l’acqua non defluisce, non ha dove andare, ristagna. Per produrre energia ci vuole una polarità, un sopra e un sotto, un dislivello, e più grande è il dislivello, più è forte la corrente”. C.G. JUNG
Sei esattamente così come stai vibrando. Sinfonia di frequenze su un ampio spettro. Polarità. E cosi’ sei anima e forma. E cosi, magnetica, nutri la vita in questo processo di fotosintesi amorosa, in cui la conoscenza di se’ ti permette di “scambiare” il vuoto, il nulla, l’amorfo, lo statico, la morte, con la vibrazione, la vita.
Le nostre cellule hanno bisogno della giuste sostanze nutritive per effettuare tutti i processi biochimici che consentono loro di crescere e riprodursi in modo funzionale alla vita, oltre che di liberarsi dalle tossine. Esattamente come per le piante e la loro fotosintesi clorofilliana, in un certo senso ognuno di noi è in grado di produrre autonomamente alcune sostanze nutritive utili a se’ e agli altri, mettendo in atto, di fatto, un proprio processo di fotosintesi. Queste sostanze nutritive sono proprio le vibrazioni che sono contemporaneamente reagente e nutrimento, causa ed effetto.
La fotosintesi è il processo che considera come primo reagente un momento buio, un evento negativo, una delusione, una idea di se’ bloccante (il mortale), ma anche la bellezza di una strada, lo struggimento di un tramonto, l’entusiasmo di un’alba, lo stupore di uno sguardo, di un gesto anelato in un momento inaspettato. Lo sguardo raccoglie, e la conoscenza del se’ agisce come il pigmento di clorofilla, che tanto più’ è presente, tanto più’ induce una quantità di nutrienti di qualità (le vibrazioni), che ci offrono la consapevolezza dell’esserci. E produciamo altresì’ sostanze nutritive per gli altri. Esattamente come la pianta trasforma l’anidride carbonica in ossigeno che rilascia nell’ambiente esterno: promotore di altra vita.
La vibrazione è vita. La vita, se la osservi, vibra ovunque e dappertutto fuori e tanto più dentro di te. Osserva, osservala, osserva il tuo andare, ciò che scorre intorno a te, ti parla sempre: la vibrazione di un diesel, della turbina potente di un volo Ryan; La vibrazione di un incontro che casuale non è. La voglia irrefrenabile di un passate che vuole parlare. Come questa donna inglese che chiede proprio a me tra tanti “where is Uber?”. Sarà per la mia camicia di lino bianca, come fosse di un addetto ad un ufficio informazioni. O semplicemente si è avvicinata perché si è fidata delle vibrazioni della mia immagine che fuma il sigaro e scrive qui, concentrato sulle sue vibrazioni. E subito dopo qualcun’altra mi chiede “What’s train?”. La vibrazione di una foglia al vento. Quel vento che sbatte sul mio viso e trascina profumi. Mi emoziono all’idea di tanta precisione. Mi batte il cuore: e di nuovo vibro. La vibrazione ritmica del battito cardiaco, quello di un orgasmo. E si. È sempre viva la vita, non esiste la morte per chi vive, la vita vibra fuori solo perché vibra dentro. E vibra fuori, di nuovo. Io che mi appoggio alla transenna per digitare ritmicamente queste parole. la scala mobile che trema, il treno che è arrivato in uno stridulo e che mi aspettava per Trastevere; le ruote di un trolley sui san pietrini, il respiro di una donna su una panchina.
Vibrazioni chiamano vibrazioni, se ci sei, ci sono, e le persone che vibrano si cercano e si attraggono, si parlano, si amano, lasciano il segno con la loro presenza e il vuoto della loro assenza.
Le vibrazioni si estendono oltre misura, dei confini e degli orizzonti, sono Inter continentali, interplanetarie, inter galattiche, aldilà nell’ iperspazio, oltre l’ altra dimensione, l’ altra vita. Sono telepatiche, quando siamo presenti.
Le vibrazioni se le vedi e le ascolti, sono tutte sincrone, ritmiche, entri in una sincronicità perfetta con il mondo, si innesta l’ ingranaggio, la marcia che ti fa avanzare. Ti poni nel flusso, come ora. Prendi sempre il treno, sei sempre nel momento giusto e nel luogo giusto e se non lo sei, sii determinato, cambialo verso la tua attitudine.
Potremmo chiederci, quali vibrazioni ho. Se sto vibrando e per chi. Per cosa. O se sono fermo. Se mi proteggo troppo o mi annoio. Per chi vivo. Se vivo scontato; se lascio fluire o freno e trattengo le novità, tutto. La nostra anima ha delle corde come un piano forte o una chitarra. Pizzicate con i pensieri e le circostanze, arpeggiano melodie continue che danno il tono al nostro umore. Abbiamo tonalità musicali continue dentro di noi, suoni che oscillano come le maree. Anche altissime. Anche bassissime. Cangianti nella frazione di un tempo piccolo.
Ciò che è fondamentale è sapere quale oscillazione è la nostra, quale emozione abbiamo, sappiamo anche che esse cambiano istante dopo istante. Sapere come sto e voler sapere quale emozione ho e quale emozione vorrei avere. Il cambiamento in meglio di noi è determinato dalla possibilità di poter cambiare le nostre emozioni, lavorando per le più adeguate. Instillando “clorofilla”.
La vibrazione di uno scalpello pneumatico che demolisce per costruire.
valeria carofiglio
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…. la verità di un’istante sia il risultato di un lungo lavoro in cui si gettano e si coltivano semi in quel senso e si genera piano piano qualcos’altro, qualcosa che ci blocca, che ci rallenta che ci fa addirittura ignorare di essere esseri che vibrano.
Mollare una certa immagine di se, quasi asettica, nell’illusione di celare in questo modo il nostro essere vulnerabili, feriti, feribili, dietro un’apparente intangibilità.
Mollare, significa lasciar andare e crescere, fiduciosi ciò che ci appesantisce e che forse tornerà semplicemente al momento giusto, e andare avanti vibrando di vita con la vita
laura cecchetto
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Due anime si incontrano, si fondono, danzano e vibrano alla stessa frequenza. Non sono nel passato, non sono nel futuro. Sono qui, ORA. Trascendono il sesso, trascendono l’amore. Sono pura e piena energia.
Si abbandonano, si lasciano accadere. Nessun condizionamento, nessun pensiero. Semplicemente fluiscono.
Dobbiamo nutrire le nostre vibrazioni, sfamarle, ascoltarle, elevarle, così da attirare vibrazioni simili, potenti, d’impatto.
Quelle vibrazioni che senti tue, che ti appartengono da sempre e che non riuscivi a percepire perché troppo preso dalla frenesia di una vita materiale, una vita caotica dove è più facile che le vibrazioni buone vadano disperse, sprecate, risucchiate da chi avidamente vuole farle sue. E così le tue vibrazioni si affievoliscono, si disperdono.
Annaspando cerchi di tornare su, di riprendere a vibrare con tutto te stesso, di riprenderti ciò che è tuo di diritto: la tua vibrazione, la tua forza vitale.
Sei lì, come un grande Sole che scalda l’anima, vibrante di energia, sprizzi energia da ogni raggio, da ogni poro del tuo corpo. Tutto intorno a te ha un senso, tutto è luce, consapevolezza. Ed è allora, solo allora, che godrai nel qui ed ora.
rossella ramundo orlando
ContinuaSuperare la fobia sociale
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA FOBIA SOCIALE
Cos’è la fobia sociale
La fobia sociale o disturbo d’ansia sociale è una condizione di disagio in situazioni sociali.
Chi ne soffre teme di essere giudicato negativamente dagli altri, ha paura di agire in pubblico, di mostrarsi imbarazzato, di apparire ridicolo e incapace. Non teme tanto la presenza di altre persone, quanto che tutta l’attenzione possa essere concentrata su di sé e che ci possano essere dei giudizi alla sua persona.
Molto spesso chi soffre di ansia sociale evita le situazioni temute di interazione, di tipo prestazionale o che comportano l’essere osservati.
Evita tutte quelle attività, anche della vita quotidiana, soggette a forme di giudizio da parte degli altri come mangiare o bere in pubblico, prendere mezzi pubblici, parlare di fronte a un gruppo di persone, scrivere o firmare in pubblico, telefonare in presenza di altri, esporre una relazione, intervenire durante una riunione di lavoro, essere osservati nello svolgimento di un’attività, essere presentati a un estraneo…
Alcune volte, anche semplicemente parlare con uno sconosciuto, chiedere informazioni o entrare in una stanza dove ci sono persone già sedute può generare ansia.
Tipica dell’ansia sociale è l’ansia anticipatoria ovvero l’eccessiva preoccupazione per una situazione temuta prima di affrontarla. Alcune volte l’ansia aumenta in modo esponenziale tanto da generare un attacco di panico.
Chi soffre di ansia sociale si mostra eccessivamente riservato in pubblico, ha una postura rigida e difensiva. Generalmente parla a voce bassa, mantiene a fatica il contatto visivo, diventa rosso in volto, a volte trema e balbetta.
In alcuni casi si ha la tendenza a bere alcolici o assumere sostanze con lo scopo di essere più disinibiti e affrontare così le situazioni.
L’ansia sociale influisce negativamente nella vita, nelle relazioni e nella carriera lavorativa.
Gli individui con ansia sociale sono portati a scegliere posizioni lavorative meno esposte al contatto sociale, senza performance pubbliche, ciò inevitabilmente limita le potenzialità e riduce le aspirazioni professionali.
Cause
Tra le cause dell’ansia sociale c’è la timidezza. Alcuni fobici sociali, infatti, sono stati bambini molto timidi. Ciò, tuttavia, non implica che tutti i bambini timidi diventino da adulti dei fobici sociali.
Sicuramente una timidezza patologica ha maggiori probabilità di trasformarsi in un disturbo d’ansia sociale.
Anche un’esperienza stressante o umiliante può essere causa dell’insorgenza di questo disturbo, così come aver subito una critica o un’aggressione.
La fobia sociale, inoltre, può essere secondaria e manifestarsi in presenza di altri disturbi quali la sindrome di Asperger, il disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo evitante di personalità.
Sintomi
L’ansia sociale è un disturbo molto frequente con esordio durante l’adolescenza o nella prima età adulta.
I sintomi percepiti sono fisiologici:
- Ansia
- Paura relativa a una o più situazioni sociali
- Palpitazioni
- Tachicardia
- Tremori
- Sudorazione
- Rossore del volto
- Tensione muscolare
- Vampate di calore
- Mal di testa
- Confusione
- Stordimento
- Secchezza delle fauci
- Malessere gastrointestinale
- Dissenteria
- Nausea
- Bisogno impellente di urinare
comportamentali:
- Evitamento di situazioni sociali
- Scarsa partecipazione
- Tono di voce sottomesso
- Evitamento del contatto visivo
- Capo chino
- Torcere le mani
- Parlare in modo formale
cognitivi:
- Senso di inferiorità
- Ipersensibilità al giudizio
- Disagio nel trovarsi al centro dell’attenzione
- Paura di essere considerato ridicolo, goffo
- Scarsa assertività
Cura
È molto importante trattare e curare l’ansia sociale per evitare l’insorgenza di altri disturbi come la depressione.
Le persone che soffrono di questo disturbo, lontane dalle situazioni temute, riconoscono molto spesso che le loro paure sono eccessive ed irragionevoli, ciò nonostante, non riescono a superarle, le amplificano e potenziano con le condotte di evitamento.
La cura del disturbo d’ansia sociale può prevedere una combinazione di trattamento farmacologico e psicoterapico.
La Psicoterapia offre un valido supporto al superamento del disturbo d’ansia sociale, aiuta a modificare i pensieri disfunzionali che generano ansia e offre strumenti per fronteggiare e affrontare meglio le situazioni temute.
Con l’aiuto del terapeuta chi soffre di ansia sociale lavora sui propri schemi cognitivi rigidi, supera convinzioni radicate e poco adattive come quella di essere continuamente osservati o sotto giudizio altrui.
Inizialmente la terapia individuale risulta essere un valido supporto, successivamente valutare la psicoterapia di gruppo offre importanti vantaggi considerata quest’ultima una situazione sociale.
L’esposizione dunque allo stimolo temuto, la presenza di un gruppo, di persone non conosciute, il dover parlare in pubblico, il confronto, produrrebbero una graduale desensibilizzazione, una riduzione dei sintomi quindi anche dell’ansia.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
Superare l’agorafobia
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE L’AGORAFOBIA
Cos’è l’Agorafobia
Il termine agorafobia di origine greca, agorà (piazza) e phóbos (paura, fobia), significa letteralmente “paura della piazza”, ovvero degli spazi aperti e molto affollati. Tuttavia, è una situazione molto più vasta e complessa caratterizzata non solo dalla paura degli spazi aperti.
Gli agorafobici vivono situazioni di disagio, paura intensa e angoscia quando si trovano in spazi aperti così come tra la folla. Prendere un treno o un aereo, andare al supermercato, aspettare in coda, andare a teatro, al cinema, ad un concerto ecc… diventano situazione che generano ansia.
Molto spesso, chi soffre di agorafobia ha difficoltà ad uscire di casa da solo, necessita essere accompagnato.
Gli agorafobici hanno paura di non avere vie di fuga o di non poter essere facilmente soccorsi in caso di malore, questo li turba profondamente. Spesso temono anche il giudizio altrui se dovessero stare male in pubblico, vivono una sensazione di vergogna e frustrazione.
È frequente che chi soffre di agorafobia oltre a vivere situazioni ansiogene, venga colto da attacchi di panico, dunque evita gli spazi aperti e la folla perché teme di avere un attacco di panico.
In casi molto gravi, la fobia si scatena anche solo pensando a situazioni temute, di cui si ha paura.
La persona agorafobica cerca di evitare tutte le situazioni temute o cerca la continua presenza di qualcuno, ciò compromette inevitabilmente la quotidianità, la vita sociale e lavorativa. L’agorafobia può diventare un disturbo invalidante.
È possibile che l’agorafobia sia associata a depressione, comportamenti ossessivi e altre fobie come la fobia sociale.
Cause
L’agorafobia è spesso un disturbo secondario all’ansia, agli attacchi di panico e allo stress post-traumatico. Si sviluppa dunque come complicazione a questi disturbi.
Può essere conseguenza di un’esperienza traumatica vissuta durante l’infanzia e l’adolescenza, causa di un blocco della percezione di sé e delle proprie possibilità. In età adulta, anche la bassa autostima ha un ruolo di rilievo e contribuisce allo sviluppo del disturbo.
Eventi stressanti e traumatici possono essere causa dell’insorgenza del disturbo, si pensi a un lutto, alla perdita del lavoro, una separazione, un divorzio…
A volte la presenza di altri disturbi come l’anoressia, la bulimia, l’abuso di alcol o di droghe contribuisce e aumenta il rischio di sviluppare l’agorafobia.
In altri casi, invece, il malessere è associato a una paura generale per situazioni varie come le malattie, gli incidenti, la criminalità…
Sintomi
L’agorafobia comporta diversi sintomi fisici, psicologici e comportamentali:
- Ansia
- Angoscia
- Paura irragionevole, eccessiva e persistente
- Ansia anticipatoria
- Evitamento delle situazioni temute
- Paura e ansia sproporzionate rispetto al reale pericolo
- Attacchi di panico
- Tachicardia
- Respirazione affannosa
- Disfagia (difficoltà a deglutire)
- Senso di soffocamento
- Sudorazione
- Brividi o vampate di calore
- Mal di testa
- Nausea
- Vomito
- Vertigini
- Formicolio e prurito
- Intorpidimento
- Senso di svenimento
- Stato confusionale
- Senso di oppressione
- Disturbi visivi
- Disturbi uditivi, ronzio
- Pianto
- Timore di morire
Cura
La cura dell’agorafobia dipende dalla gravità del quadro clinico. A volte richiede la combinazione di un trattamento farmacologico e psicoterapeutico.
Risulta efficace una psicoterapia mirata e finalizzata al superamento della fobia.
La Psicoterapia aiuta il paziente a contestualizzare e razionalizzare la sua paura, offre gli strumenti per reagire ai pensieri ansiogeni e negativi associati al disturbo, induce e sviluppa nuovi modi di pensare e comportarsi.
Fondamentale è una graduale desensibilizzazione della fobia attraverso tecniche cognitive, comportamentali e tecniche di autocontrollo emotivo che permettono di ridimensionare l’ansia.
La psicoterapia può essere accompagnata a tecniche di rilassamento come training autogeno e yoga. In alcuni casi è stata riconosciuta valida e utile l’ipnosi.
Superare l’agorafobia è possibile.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
Superare la fobia degli insetti
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA FOBIA DEGLI INSETTI
Cos’è la fobia degli insetti
Il termine fobia dal greco phóbos (panico, paura) indica una paura irrazionale, intensa, persistente e duratura per uno specifico oggetto, animale, luogo o situazione.
Si tratta di un timore esasperato, immotivato, esagerato e sproporzionato per qualcosa che non rappresenta una reale minaccia, non è un pericolo.
Seppur non ci sia una minaccia reale, chi vive una fobia si trova di fronte ad una situazione incontrollabile: ha grande difficoltà a controllare e gestire la paura, questo genera molta ansia.
Avverte un’ansia anticipatoria che lo induce ad evitare lo stimolo fobico, la causa della paura. Se, invece, non vi è possibilità di evitarlo, è molto probabile che l’ansia aumenti così tanto da generare una crisi d’ansia, un attacco di panico.
Tra le diverse fobie, la fobia degli animali è una delle più diffuse, in genere è circoscritta a una singola specie animale.
L’entomofobia, comunemente paura degli insetti, è una fobia specifica molto frequente.
Maggiormente diffuse sono l’aracnofobia, ovvero la paura dei ragni, e l’apifobia, la paura delle api.
Chi ne soffre prova paura, avversione e repulsione verso gli insetti. Teme di essere punto o morso, di contrarre infezioni o malattie. La paura può manifestarsi sia in presenza di un insetto, sia alla vista di un’immagine che lo ritrae che solo all’idea di trovarsi in un luogo o in una situazione dove ci sono degli insetti.
La fobia molto spesso può diventare invalidante.
A livello comportamentale chi soffre di una fobia specifica evita tutte le situazioni associate alla paura, ma alla lunga questo atteggiamento diventa una trappola, un circolo vizioso, oltre che rinforza inconsciamente la pericolosità di quanto evitato preparando così l’evitamento successivo.
Ed è così che l’evitamento amplifica la paura.
Chi soffre di entomofobia controlla l’ambiente circostante per assicurarsi che non ci siano insetti, è sempre in iper-allarme e iper-vigilanza. Questo molto spesso compromette le normali attività quotidiane, così come la sfera relazionale e lavorativa, vincola le scelte dei luoghi e nei casi più gravi porta all’isolamento.
Cause
Diversi studi hanno riscontrato come all’origine dell’entomofobia ci possa essere da un lato la paura dell’ignoto, di ciò che non si conosce e dunque non si può controllare, dall’altro l’associazione a ciò che è sporco e potrebbe trasmettere eventuali malattie o infezioni.
Generalmente la fobia specifica come l’entomofobiaha esordio nell’infanzia o adolescenza. Probabilmente a causa di un evento traumatico come la puntura di un insetto o a causa di un condizionamento. Durante l’infanzia, infatti, il bambino esplora l’ambiente con curiosità, non consapevole dei pericoli. Tuttavia, non sempre l’esplorazione e la scoperta gli vengono concesse. Si pensi ai genitori molto ansiosi ed allarmisti che impediscono il contatto del bambino con l’ambiente circostante e ciò che ne fa parte, come gli insetti.
I genitori condizionano il bambino e gli trasmettono la paura che si protrae anche in età adulta. Questa paura, se non controllata, può trasformarsi in fobia.
Sintomi
Chi soffre di una fobia specifica come l’entomofobia, avverte gran parte dei sintomi associati all’ansia e agli attacchi di panico, reazioni fisiche ed emotive e forme di ansia invalidanti.
Tra i sintomi:
- Paura e ansia verso l’elemento fobico
- Timore paralizzante
- Evitamento dell’elemento fobico
- Paura e ansia spropositate rispetto al reale pericolo rappresentato dallo stimolo fobico
- Paura, ansia ed evitamento persistenti
- Tachicardia
- Vertigini
- Attacchi di panico
- Senso di soffocamento
- Dolore al petto
- Agitazione
- Respirazione difficoltosa
- Sudorazione eccessiva
- Rossore
- Prurito immaginario
- Tremori
- Spossatezza
- Appannamento della vista
- Calo dell’udito
- Mancamenti/svenimenti
- Sensazione di perdere il controllo
- Disturbi gastrici
- Nausea
- Crisi di pianto
Cura
Nella maggior parte dei casi, in particolare negli adulti, chi soffre di entomofobia, ha consapevolezza che la sua paura sia immotivata e irragionevole, poiché non c’è un reale pericolo, ma al contempo non riesce a controllarla.
L’evitamento dello stimolo fobico è solo una momentanea via di fuga, ma non risolve il problema, bensì lo amplifica inconsciamente.
La fobia degli insetti può essere superata con percorsi terapeutici adeguati. Sicuramente la psicoterapia lavorando con la gestione delle emozioni, come la paura, ha un ruolo fondamentale. Grazie alla psicoterapia il paziente impara a riconoscere e a controllare gli stati emotivi e le manifestazioni d’ansia.
Importanti sono le strategie comportamentali che si mettono in atto attraverso la psicoterapia al fine approfondire la conoscenza della paura, contenerla e controllarla.
Con l’aiuto del terapeuta, inoltre, il paziente individua i pensieri disfunzionali e li sostituisce con pensieri reali corrispondenti alla reale pericolosità dello stimolo fobico, assumendo così un contatto diretto e realistico con il mondo circostante.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
SUPERARE LA BULIMIA
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA BULIMIA
Cos’è la bulimia
Il termine bulimia deriva dal greco boùs (bue) e limòs (fame), letteralmente “fame da bue”.
La bulimia è un Disturbo della nutrizione e dell’alimentazione caratterizzata da grandi abbuffate, note come crisi bulimiche, e successive condotte compensatorie.
Chi soffre di bulimia nervosa mangia in breve tempo grandi, spropositate quantità di cibo che poi elimina attraverso il vomito autoindotto.
Questo disturbo può insorgere a qualsiasi età e colpire sia donne che uomini. Diversi studi hanno dimostrato una maggiore incidenza nelle donne tra i 16 e i 40 anni. A volte può interessare anche i bambini, seppur in casi molto rari.
I soggetti bulimici hanno un disturbo del comportamento alimentare dovuto all’ossessione di ingrassare, di prendere peso e trasformare le forme del proprio corpo.
Le crisi di fame molto spesso non sono di natura fisiologica, ma hanno un’origine psicogena. Si tratta di una fame nervosa nel tentativo di controllare ed arginare emozioni negative e dolorose.
Il bulimico ha un bisogno incontenibile di ingerire cibo.Spesso per evitare l’aumento di peso dopo aver ingurgitato quantità di cibo significativamente eccessive, oltre al vomito autoindotto, adotta comportamenti inappropriati quali l’uso di lassativi e diuretici, digiuno, intensa attività fisica.
Questi comportamenti disfunzionali sono dettati dal senso di colpa e da un senso di fallimento che i bulimici avvertono dopo crisi di abbuffate compulsive.
Importanti sono le ripercussioni a livello fisico: problemi intestinali; problemi cardiaci, aritmie e insufficienza cardiaca; squilibri elettrolitici; disidratazione; irregolarità nel ciclo mestruale; amenorrea; alito cattivo, erosione dentale, infiammazioni alla gola quali conseguenze del vomito autoindotto.
Cause
Così come per gli altri disturbi del comportamento, anche all’origine della bulimia nervosa ci sono fattori biologici, psicologici e ambientali.
Coloro i quali hanno familiari che soffrono di bulimia o sono stati affetti da questo disturbo, hanno una predisposizione genetica a sviluppare la stessa patologia. Anche l’obesità infantile è spesso causa di un successivo sviluppo di comportamenti alimentari disordinati.
Indubbiamente alla base del disturbo bulimico c’è una percezione distorta della propria immagine corporea e del proprio peso.
Particolari tratti della personalità e del comportamento incentivano l’insorgenza della bulimia. Si è riscontrato come gran parte dei soggetti bulimici abbia grandi difficoltà a gestire lo stress, bassa autostima, difficoltà a riconoscere e gestire le proprie emozioni, perfezionismo, e soffra di ansia e depressione.
Inoltre, disturbi di personalità, dell’umore, disturbo ossessivo-compulsivo, abuso di sostanze, disturbo post-traumatico da stress in seguito alla morte di una persona cara, alla fine di una relazione sentimentale, alla perdita del lavoro, abusi sessuali subiti, problemi familiari e problemi interpersonali, predispongono l’insorgenza e lo sviluppo della bulimia.
Sintomi
La bulimia è un disturbo difficile da individuare e riconoscere perché molto spesso chi ne soffre ha un peso corporeo nella norma.
I sintomi della bulimia possono essere di natura psicologica, fisica e comportamentale.
- Grandi e ricorrenti abbuffate di cibo
- Perdita di controllo durante le abbuffate
- Mangiare con voracità
- Atteggiamento ossessivo verso il cibo
- Provare senso di colpa e disagio dopo aver mangiato troppo
- Vomito autoindotto
- Uso di diuretici e lassativi
- Digiuno
- Diete restrittive
- Attività fisica esagerata
- Visione non realistica del proprio corpo e del proprio peso
- Ansia
- Depressione
- Ossessività
- Irritabilità
- Sensazione di inadeguatezza
- Scarse relazioni personali
- Tendenza a isolarsi
Cura
Guarire dalla bulimia è possibile attraverso un intervento multidisciplinare: nutrizionista, psichiatra, psicoterapeuta.
Dopo un’attenta valutazione medica dello stato generale di salute del paziente attraverso specifici esami di laboratorio, si valuta la gravità della situazione e si definisce il percorso terapeutico da seguire.
Obiettivo primario è ristabilire un sano atteggiamento verso il cibo. In tal senso è importante da un lato il ruolo del nutrizionista che definisce equilibrati e adeguati piani alimentari molto spesso coinvolgendo l’intera famiglia, dall’altro il ruolo dello psicoterapeuta che lavora sull’aspetto emotivo e psicologico del paziente, aumenta la sua motivazione al cambiamento e diminuisce l’eccessiva preoccupazione per il peso corporeo e l’aspetto fisico.
Fondamentale è la consapevolezza.Il paziente che deve riconoscere di essere malato e che necessita di cure.
La Psicoterapia aiuta il paziente a controllare i comportamenti disadattivi e disfunzionali, ad individuare i disagi psicologici sottostanti il disturbo, a riconoscere e meglio gestire le proprie emozioni. Aiuta altresì a gestire le relazioni interpersonali in quanto la bulimia nasce come rapporto problematico sia con il cibo sia con le persone, e amigliorare la comunicazione.
Guarire dalla bulimia è possibile se si cambiano le proprie abitudini alimentari, si assume un atteggiamento sano verso il cibo, si segue un percorso di psicoterapia.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
SUPERARE L’ ANORESSIA
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE L’ANORESSIA
Cos’è l’anoressia
Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento dei disturbi del comportamento alimentare definiti a livello clinico “disturbi della nutrizione e della alimentazione”.
Ad essere maggiormente colpiti sono i giovani, prevalentemente le donne, tuttavia una percentuale, seppur inferiore, interessa anche gli uomini.
L’esordio del disturbo è tra la preadolescenza e l’adolescenza, periodo in cui l’individuo vive diverse trasformazioni fisiche e psichiche, definisce una propria identità sessuale, inizia un percorso di individualizzazione differenziandosi dalla famiglia di origine, cerca e sviluppa una propria autonomia. Nonostante ciò, ci sono casi di anoressia anche in età adulta.
Tra i disturbi del comportamento alimentare il più conosciuto è l’anoressia nervosa, termine che racchiude una situazione psicologica e fisica di profondo malessere e disagio. Chi soffre di anoressia nervosa ha una eccessiva e maniacale preoccupazione per il proprio peso e per le forme del proprio corpo, ha un disordine psicologico. Soffre di dismorfofobia, ha una visione distorta e turbata, una percezione non obiettiva ed oggettiva della propria immagine corporea.
Il soggetto anoressico è magro, molto magro, mangia pochissimo o digiuna, ma si vede sempre più grasso. Ed è così che l’atto del cibarsi viene vissuto come momento di profonda angoscia e preoccupazione.
Il pensiero ossessivo legato al cibo e al peso corporeo influisce ed interferisce negativamente con le attività quotidiane, lavorative e relazionali.
Esistono due forme di anoressia: l’anoressia restrittiva e l’anoressia con bulimia. La prima caratterizzata da una dieta rigida e drastica spesso accompagnata da periodi di digiuno e associata ad un’eccessiva attività fisica e sportiva. L’altra, invece, caratterizzata oltre che da forti restrizioni alimentari, anche da abbuffate accompagnate da comportamenti di eliminazione del cibo, vomito autoindotto e uso di lassativi e/o diuretici.
Il paziente anoressico adotta diversi comportamenti disfunzionali per controllare il cibo e non ingrassare: sceglie alimenti poco calorici, distribuisce il cibo su tutto il piatto sminuzzandolo in piccoli pezzi, mastica molto lentamente, non mangia in compagnia per evitare controlli, prepara per altri cibo e piatti complessi che non mangia ecc…
L’anoressia è un disturbo molto pericoloso per la vita a causa del grave deperimento fisico e delle disfunzioni fisiologiche che ne derivano, può causare danni irreversibili agli organi vitali: cuore, fegato, reni, ossa, apparato digerente…
Cause
Alla base di un disturbo alimentare come l’anoressia, c’è un rapporto patologico con il cibo e il proprio corpo.
Diversi possono essere gli eventi scatenanti: una dieta ipocalorica di cui se ne perde il controllo, un trauma, un accadimento doloroso, un lutto, una separazione, un allontanamento, un rifiuto, un abbandono, aver subito una violenza sessuale, un conflitto intrapsichico caratterizzato da un bisogno costante di controllo dei propri spazi interni ritenuti troppo fragili ecc..
L’anoressia è il frutto di una convergenza di fattori biologici, psicologici, sociali e relazionali. Sicuramente i problemi psicologici specifici dell’individuo, l’età, la famiglia di appartenenza con i suoi valori e le dinamiche relazionali, influenzano notevolmente la comparsa di questo disturbo.
Anche la cultura sociale gioca un ruolo importante, intesa come cultura della società dei consumi e del benessere. Non è un caso se nei paesi poveri, nel cosiddetto “terzo mondo”, questo disturbo sia sconosciuto.
La moda della magrezza, inoltre, influenza gli ideali estetici femminili. I corpi asciutti predominano nell’immaginario collettivo. Si enfatizza la magrezza del corpo. La bellezza esteriore conta più di quella interiore, dell’unicità e dell’identità della persona.
Ci sono anche fattori genetici che determinano l’insorgenza dell’anoressia come avere un familiare che soffre o ha sofferto di questo disturbo.
Anche la personalità ricopre un ruolo importante: l’eccessivo perfezionismo, obiettivi sempre più difficili da raggiungere, la scarsa autostima, sentimenti ossessivi e maniacali, difficile gestione dello stress, asocialità, eccessive preoccupazioni per il futuro, spesso accomunano i pazienti anoressici.
La presenza di altri problemi come depressione, ansia, abuso di alcol, disturbo bipolare, comportamenti autolesionistici, può incentivare lo sviluppo dell’anoressia.
Una famiglia prevalentemente conflittuale, chiusa al dialogo, al confronto, alla comunicazione, dove regna un eccessivo rigore ed è difficile esprimere le proprie emozioni e sentirsi capiti e amati, è sicuramente una condizione negativa che predispone lo sviluppo di un disturbo alimentare quale l’anoressia.
Sintomi
Nei pazienti anoressici è sovente riscontrare:
- Peso corporeo significativamente sotto la norma per età ed altezza
- Intensa paura di aumentare il peso e le forme del proprio corpo
- Alterazione dell’immagine corporea
- Gravi restrizioni alimentari
- Digiuno
- Perdita di peso
- Nausea
- Inappetenza
- Eccessiva attività fisica
- Vomito autoindotto
- Uso di lassativi e/o diuretici
- Uso di farmaci che riducono il senso di fame
- Amenorrea
- Abbassamento della temperatura corporea e della pressione
- Ipotermia
- Vertigini e/o capogiri
- Affaticamento
- Bradicardia
- Anemia
- Anomalie elettrolitiche
- Carenze di vitamine e minerali
- Alterazioni endocrine
- Osteoporosi
- Fragilità di unghia e capelli
- Pelle secca
- Irritabilità
- Difficoltà di attenzione e concentrazione
- Depressione
- Isolamento sociale
- Tendenze suicide nei casi più gravi
Cura
I pazienti anoressici difficilmente chiedono aiuto, generalmente tendono a tenere nascosto il problema o, come forma di difesa, non lo riconoscono tale.
Un intervento tempestivo permette di guarire dall’anoressia senza dover ricorrere al ricovero ospedaliero che molte volte risulta necessario.
Sicuramente il primo passo per curare l’anoressia è un intervento multidisciplinare di psico-educazione alimentare.
Il paziente deve raggiungere la consapevolezza, riconoscere il problema e comprendere che molti dei sintomi rientrano con la normalizzazione del peso corporeo, e partire proprio da lì. Fondamentale in questo è il ruolo del nutrizionista che elabora una terapia alimentare completa e bilanciata coinvolgendo anche la famiglia.
Il suo intervento deve essere supportato da quello di uno psicoterapeuta, importante per sviluppare e aumentare costantemente la motivazione del paziente alla cura ed evitare le ricadute.
Se da un lato è importante la matrice organica del disturbo, dall’altro sono di notevole rilievo gli aspetti intrapsichici alla base del disturbo. Il cibo, spesso, diventa manifestazione di bisogni e conflitti interiori.
In questo, la Psicoterapia ha un ruolo cardine, aiuta a correggere convinzioni e comportamenti errati, aiuta il paziente a cercare le cause che hanno scatenato il disturbo e ad individuare le dinamiche relazionali disfunzionali.
È stato riscontrato il successo della cura con percorsi di terapia individuale, familiare e di gruppo. Condividere i propri stati d’animo, le proprie paure, i propri vissuti, aiuta i pazienti anoressici a superare l’atteggiamento di chiusura che li caratterizza e ad aprirsi al mondo.
Con la Psicoterapia, dall’anoressia si può guarire senza riammalarsi mai più.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
Superare la dipendenza da gioco
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA DIPENDENZA DA GIOCO
Cos’è la dipendenza da gioco
Il gioco d’azzardo patologico comporta il fallimento della capacità di controllo. Seppur non ci sia un’intossicazione da sostanza, la dipendenza da gioco d’azzardo si può sviluppare presentando fenomeni analoghi alla dipendenza da sostanze: tolleranza, craving, assuefazione.
Il gioco d’azzardo patologico, in clinica definito “disordered gambling” ossia gioco problematico, è un disturbo del controllo degli impulsi con comportamenti di gioco persistente, ricorrente e maladattivo; ciò compromette le attività personali, familiari, sociali e lavorative. L’esordio del disturbo da gioco d’azzardo risale generalmente alla prima età adulta, tuttavia può manifestarsi anche a mezza età o addirittura in tarda età.
Chi soffre di dipendenza da gioco è incapace di resistere alla tentazione di giocare somme di denaro, molto spesso cifre elevate, a carte, lotterie, scommesse sportive, slot machine ecc… Il giocatore d’azzardo gioca non considerando il grosso rischio che corre, anzi prova eccitazione giocando grosse somme di denaro. Infatti, sono particolarmente inclini a sviluppare questa dipendenza i soggetti molto competitivi, che tendono ad avere manie, i soggetti inquieti.
I giocatori d’azzardo patologici non sono affascinati tanto dal vincere molti soldi, quanto dall’eccitazione provocata da grandi puntate. Il loro umore oscilla tra l’euforia nel momento del gioco e la disperazione se il gioco finisce male. Se c’è una vincita questa rinforza il comportamento e la voglia di giocare, se c’è una perdita il giocatore patologico vuole rifarsi e rimontare entrando in un circolo vizioso senza fine. Paradossalmente, nel giocatore patologico, l’aspettativa di vincita aumenta se cresce il numero delle sconfitte.
Chi ha sviluppato una dipendenza da gioco è disposto a fare qualsiasi cosa per procurarsi il denaro utile a soddisfare il suo bisogno; il suo umore è irritabile e scontroso se non ha i soldi per giocare.
Il gioco patologico, pertanto, ha un’influenza negativa sulle relazioni personali e familiari perché molto spesso è causa di perdite finanziare, debiti, problemi legali.
Cause
Come in gran parte delle dipendenze, anche in quella da gioco d’azzardo, le cause all’origine possono essere di natura biologica, psicologica, socio-ambientale.
Spesso la dipendenza da gioco d’azzardo si sviluppa come risposta disfunzionale a eventi traumatici della vita, a periodi in cui ci si sente particolarmente sopraffatti da emozioni intense, forti e difficili da gestire. La depressione e lo stress aumentano il bisogno di rischiare al gioco come forma di evasione dai problemi della vita.
Il gioco d’azzardo è un forte stimolante, provoca eccitazione intensa, fa sentire forti e onnipotenti, crea l’illusione di poter cambiare la propria vita.
Ci sono diversi fattori di rischio che aumentano le probabilità di potersi ammalare di dipendenza da gioco. Sicuramente la familiarità è il principale fattore di rischio, avere familiari dipendenti dal gioco d’azzardo incentiva lo sviluppo di questa dipendenza. Anche la presenza di altri disturbi del comportamento e dell’umore è un fattore di rischio, così come la presenza di disturbi di personalità caratterizzati da impulsività, disturbo borderline e disturbo narcisistico.
Un’altra causa, non meno importante, che facilita lo sviluppo di una dipendenza da gioco è la facile disponibilità, si pensi alla rete e all’uso indiscriminato di giocare on-line, alle sale da gioco dove scommettere è una pratica legalizzata.
Sintomi
Il disturbo da gioco d’azzardo comporta disagio e sintomi clinicamente significativi per un periodo di almeno 12 mesi:
- Giocare somme di denaro sempre maggiori
- Giocare con frequenza crescente
- Giocare per recuperare le perdite
- Pensieri persistenti sul gioco
- Occupare la maggior parte del tempo con il gioco
- Perdita di interessi verso altre attività o relazioni sociali e affettive
- Necessità di mentire per continuare a giocare
- Chiedere prestiti o rubare soldi per poter giocare
- Irrequietezza a seguito di astinenza dal gioco
- Tentativi ripetuti e falliti per ridurre o smettere di giocare
Cura
Quando si soffre di dipendenza da gioco d’azzardo è sempre utile chiedere il consiglio di un medico Psichiatra e/o Psicoterapeuta per valutare l’entità del problema e il miglior percorso di recupero.
La dipendenza da gioco d’azzardo è un disturbo clinicamente significativo e in quanto tale necessita l’intervento di specialisti. Inizialmente potrebbe risultare necessaria una terapia farmacologica soprattutto per gestire gli aspetti clinici del disturbo come l’impulsività e l’anedonia, la perdita di interesse per attività comunemente ritenute piacevoli.
La cura della dipendenza da gioco d’azzardo non si limita a condurre il paziente a smettere di giocare bensì anche ad evitare che possano esserci ricadute. Il primo passo è portare il paziente alla piena consapevolezza di avere un problema. Il paziente deve riconoscere di essere un giocatore patologico, non di avere un vizio, e deve individuare ed analizzare tutte le conseguenze che ciò ha portato nella sua vita e di quante altre ancora ne porterebbe se non interrompesse il gioco come comportamento patologico.
La Psicoterapia aiuta il paziente a cambiare il suo stile di vita e ad evitare ricadute, soprattutto lo guida a trovare costantemente una motivazione alla cura e al cambiamento. La Psicoterapia, inoltre, permette di lavorare sulle distorsioni del pensiero, ovvero su tutte quelle distorsioni cognitive associate al gioco: potere e controllo sugli esiti delle giocate, sovrastima delle probabilità di vincita, superstizione ecc…Essa permette anche di analizzare le situazioni antecedenti al gioco consentendo così di comprendere le situazioni a rischio, soprattutto imparare a gestirle.
Diversi studi in merito hanno riconosciuto e dimostrato che la Psicoterapia di Gruppo è tra i trattamenti più efficaci per curare una dipendenza da gioco d’azzardo. Guarire da questa dipendenza è possibile.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI