Settimanale Psicologo Roma : CONDIZIONATI DAGLI AVI
La vera libertà, sarebbe quella dall’ albero genealogico.
Condizionati dagli Avi
La vera libertà, sarebbe quella dall’ albero genealogico.
Nell’immaginario collettivo un individuo libero è colui che agisce secondo istinto, senza remore, che vive a ruota libera, viaggia, non ha legami, è deresponsabilizzato da tutto.
L’archetipo, ovvero l’immagine mentale collettiva, che rappresenta la libertà è quella del “cercatore”, colui che spinto dalla curiosità, dal desiderio di autonomia, dal coraggio, dall’insofferenza verso l’ordinario ed il solito, dal rischio, è sempre alla ricerca di nuovi significati e il suo spirito della ricerca emerge quando si sente alienato e prigioniero.
Ad oltrepassare le definizioni comuni del concetto di libertà e a cercare di esplorare il vero significato è stata l’analista Schutzenberger, psicoterapeuta di gruppo e psicodrammatista di fama internazionale.
Il concetto di libertà è da lei collegato al concetto di intergenerazionale, che si riferisce alle dinamiche e legami invisibili tra antenati.
Infatti, la Schutzenberger nel libro “Il piacere di vivere” evidenzia come la vera libertà, che ognuno di noi possiede, faccia riferimento al ripetere
inconsciamente o consciamente o ancora al sapersi distanziare da cio’ che è stato fatto o non fatto dai propri antenati ( genitori, nonni, bisnonni etc.), ma in tutto questo è importante capire la propria storia e in che contesto questa si inserisce.
E’ in quest’ ottica che la creatrice della psicogenealogia, approccio che studia l’influenza dell’albero genealogico sulla vita di una persona , sottolinea come per essere liberi nel senso piu’ profondo del termine è necessario pulire il proprio albero genealogico.
ContinuaCHI SOFFRE E’ PROFONDO E CHI HA DESIDERIO E’ VIVO
la pacca sulla spalla è il peggior biasimo che si possa ricevere
Chi soffre è profondo e chi ha voglia è vivo.
la pacca sulla spalla è il peggior biasimo che si possa ricevere.
Chi ristagna nella propria sofferenza ricava poco profitto, diventa il suo stesso peggior nemico, da inimicarsi il mondo è vittima di se e delle sue situazioni. E’ un lamentoso che fa della sua nenia il suo maggior vantaggio, perchè la lamentela gli rende pietosi benefici.
Il dolorante, è come un’ acqua stagnante che dopo poco puzza, ti infetta perché infestato dal suo collezionismo di fallimenti e cattivi ricordi e pensieri pessimistici contaminanti.Il vittimismo è la prova della resa, è il compiacimento per gli altri,è il biasimo di se. Di vittimismo si soffre di più, che della sofferenza subita.
Il vittimista compie un salto di qualità oltre al suo dolore, si fa per dire, sa anche umiliarsi e farsi compatire.Il dolore umiliato cerca la compassione, cerca il suo balsamo affettivo ed una consolazione effimera, che trova giusto il tempo che trova, è la così detta pacca sulla spalla.
Ecco, la pacca sulla spalla rappresenta il peggior biasimo ricevuto, attenzione, in quel momento, a nessuno interessa del tuo dolore, specialmente se dice, peccato.In tale direzione lo scopo del dolore diviene quello di ricercare un consenso e un riconoscimento subdolo.Siamo depressi per cercare affetto, è poco vero il contrario, cioè chi non ha affetto è depresso.
Si può trasformare il dolore ? In autocommiserazione, che è la forma masochistica più edonistica per eccellenza, oppure modellandolo come un pongo di plastilina per farne una cosa bella e sublime.
La sofferenza è una sfida, quella di proporci di stare li o di non starci, è una sfida per cambiare.E’ una spinta verso il cambiamento, una doglia per nascere, l’ inverosimile e il contrario dell’ autocommiserazione.
La sofferenza stimola la voglia.Se il dolore venisse accolto, come una energia propellente, a vantaggio del cambiamento, diventerebbe profondità e creatività.Chi soffre è profondo se lì non ci vuole restare, se oltre il buio, fa di tutto per scorgere la luce, se dal suo Thanatos solletica e sollecita, con energia e caparbietà, il suo Eros, la sua pulsione di vita, la sua Voglia.
Il dolore, se isola, lascia l’ illusione di sentirsi migliori degli altri, col risultato di sentirsi peggio, perché gli altri prima o poi ti mollano.La sofferenza ha senso nell’ ottica del suo superamento, nello sforzo di uscirne, di percorrere tutto il tunnel, perché è certo, che oltre esso c’è l’ aria, colori e ossigeno. Non ci potrà mai essere il superamento della sofferenza senza che la si attraversi tutta o senza che ce ne si prenda cura.
L’ abbraccio del dolore, la lotta contro l’inerzia del movimento controvento, la mancanza di respiro, l’ affanno col senso di fatica, sono i tutti segni di chi ha voglia, il vettore progettuale di realizzazioni intelligenti e profonde.
Dedicato a tutti coloro che soffrono, e che della sofferenza non riescono a farne mai a meno, pur volendone, compreso me, perché in essa si trovi l’occasione per cambiare e migliorarsi sempre.
giorgio burdi
LE MANIPOLAZIONI AFFETTIVE
Manipolare un affetto è violarlo renderlo svuotato .
Le manipolazioni, come manovre psicologiche agite su un soggetto o su un pubblico piu’ o meno vasto, possono essere di vario tipo, da quelle socioeconomiche a quelle affettive, queste ultime sono agite attraverso canali verbali paralinguistici e corporei.
Un esempio di grande manipolatrice affettiva, nota a molti, è Filumena Marturano, protagonista di una delle commedie di E. De Filippo.
La differenza tra il primo tipo di manipolazione su indicata ed il secondo tipo di manipolazione è riscontrabile nella presenza di un pubblico nel primo caso, che invece è assente nel secondo .
Cio’ significa che il manipolatore affettivo si serve solo della vittima ed evita di coinvolgere un terzo o un pubblico in modo da non smascherare la sua manipolazione che viene agita in privato e che punta sull’emozione della vergogna.
Tendenzialmente la manipolazione ha effetto sulle personalità dipendenti affettive che pertanto colludono nella dinamica.
Se i manipolatori sono narcisisti aggressivi/passivi e talvolta perversi, le vittime possono essere narcisisti per difetto, cio’ significa che hanno bassa autostima, elemento su cui il manipolatore punta, attraverso un isolamento, il creare il vuoto intorno, attraverso lo screditare la vittima, e l’assenza di testimoni cosi’ che la vittima inizia a star male fisicamente e psicologicamente fino al crollo totale.
Il manipolatore affettivo considera le sue vittime come delle sagome senza cervello e in quest’ottica inizia ,con diverse manovre, a minarne l’autostima soprattutto a partire da momenti delicati come il matrimonio, la convivenza o la nascita dei figli.
Nel caso di manipolatori uomini, l’origine di questo atteggiamento puo’ essere ritrovato nel rapporto con la figura materna, manipolatrice per eccellenza, che avendo distrutto il figlio creerà in lui il desiderio di cercare un indennizzo con la figura femminile tenendo a ricreare la dinamica.
Al termine di questa manovra portata avanti per lungo tempo, chi avverte l’esigenza di andare in terapia è proprio la persona che rischia di essere distrutta: la vittima.
Da non confondere con la manipolazione affettiva, i reali innamoramenti occasionali solo determinati dal tempo e che lascerebbero erroneamente intendere con la fine dei sentimenti, una manipolazione affettiva inesistente.
Uscire dalla manipolazione si puo’ con la messa in discussione in gruppo della situazione vissuta.
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : CHI NON SA RIDERE, NON E’ UNA PERSONA SERIA
Se ridi, ti esplode l’intelligenza a crepa pelle.
Chi non sa ridere, non è una persona seria.
Se ridi, ti esplode l’intelligenza a crepa pelle.
Solitamente chi ride verrebbe annoverato tra le persone prive di problematiche, tra chi “avrebbe la testa fresca” o è semplicemente sarebbe più spensierato . Non è esattamente così. È risaputo invece che i più grandi comici, che hanno grandi intuizioni sceniche, celano una loro profonda tristezza di fondo.
La risata rappresenta l’ anti zavorra, la riserva del carburante, la gobba del cammello con la sua riserva d’acqua per affrontare il deserto, l’ accumulatore della batteria, la dispensa in cucina per preparare almeno uno spaghetto, numero otto, veloce, è una grigliata scotta dito con un calice di negramaro.
La risata rappresenta la riserva antidepressiva, è endorfina e catecolamina, il modo migliore per curare i proprio umore e coccolarsi.
La risata non è solo una questione di barzellette o buon umore per chi è beato a possederla, va ricercata con decisione, se diventa stile, atteggiamento, ci tutela dal pessimismo, ci immette più soluzioni e slanci pirotecnici rispetto al guardare semplicemente al problema isolatamente.
La risata rappresenta l’ estensione del se dai propri limiti, l’ aereo con le ali, lo spaghetto aglio olio e peperoncino, il turbo del motore, la fibra ottica che spara luce e fa esplodere e illumina l’ umore.
La risata è l’ estensione del sapore della vita.Chi non ride è spento, è freddo e distaccato, è un gelato senza cialda, è una mortadella senza pistacchio o senza un panino caldo e croccante, è una parmigiana senza frittura, una pizza senza massa, una margherita senza regina, una caprese senza bufala, una limonata senza lingua…. per assaporarla.
Chi non ride, non è serio, perché la vita la prende conto vento, non dispiega mai le vele, non chiude i boccaporti, non salpa mai l’ancora. Chi non ride è gestito dal problema, non organizza i propri progetti, si affoga in impegni inutili, non ha consapevolezza del proprio spazio e del proprio tempo che perde.
Chi ride gestisce i problemi, li prende a se per risolverli, perché la risata è quell’ intelligenza che permette la danza, di prendere la giusta distanza dalle cose per avvivinarsi di più alle risposte che cerca.Ridi se vuoi che l’intelligenza esploda in te.
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : MBSR E LA RIDUZIONE DELLO STRESS
Lo stress e la trappola dei giudizi automatici.
Settimanale Psicologo Roma :
MBSR E LA RIDUZIONE DELLO STRESS
Lo stress e la trappola dei giudizi automatici.
I fenomeni di ansia e stress prendono spesso origine dalla valutazione di una situazione e delle nostre risorse per gestirla, per cui le nostre risorse ci sembrano inadeguate.
Benché non ce ne rendiamo conto, queste valutazioni sono solo parzialmente legate alla realtà oggettiva, ma dipendono anche molto da associazioni mentali e condizionamenti radicati che hanno a che fare con il nostro vissuto particolare.
Puo’ essere molto utile, in un percorso mirato alla riduzione dello stress, imparare a monitorare i criteri di valutazione che utilizziamo, attraverso un allenamento quotidiano, un lavoro di introspezione mirato a smascherare tutti quei giudizi automatici, ai quali ci identifichiamo e che spesso scambiamo per la realtà. Questi giudizi automatici infatti, limitano il nostro campo visivo e non ci permettono di vedere l’ampio spettro di soluzioni e di risorse che potremmo avere di fronte ad una data situazione.
Imparare ad osservare, quando, quanto e come giudichiamo puo’ essere un punto di partenza verso una visione della realtà e di noi stessi piu’ ricca, piu’ articolata e in cui il nostro margine di libertà, di fronte ad una situazione oggettivamente o potenzialmente stressante, è piu’ ampio.
Dott.ssa Laura C.
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Settimanale Psicologo Roma : L’ ipocondriaco? Un capolavoro di diffidenza
La paura per la salute che supera Il desiderio di vivere.
L‘ ipocondriaco ? Chi è ? Sembrerebbe il nome di un animale. Nella fattispecie simbolicamente forse l’ animale più rappresentativo dell’ ipocondriaco è l’ “orso”, chiuso in cattività e nel suo letargo, ama una vita lontana dal sociale, gli altri gli danno fastidio, anzi da essi, il più delle volte, deve difendersi.
L’ ipocondriaco possiede un senso di grande attaccamento alla vita, ma più che di attaccamento alla vita in se, molto di più alla propria salute, al punto tale che per proteggerla preferirebbe non viverla o vivere rigidamente incapsulato in condizioni protette. Penseremmo che il suo attaccamento alla salute rappresenti comunque un attaccamento alla vita ! Su questo avrei i miei dubbi.
Equivale a dire che, se per una vita ho fatto sacrifici per acquistare un’ auto BMW, invece che metterla su strada, la custodisco compulsivamente, ossessionalmente in garage, lustrata e lucidata, per la paura che possano sporcarsi i battistrada o possa raschiarsi o fare un incidente.
Il senso di custodia di se a volte supera il senso di funzionalità. Il possedere diventa attaccamento incondizionato all’ oggetto tanto desiderato, ove l’ unico scopo non è il fine di usare l’ oggetto, ma semplicemente quello di possederlo solo per custodirlo: collezionismo.
L’ ipocondriaco pensa, che chi usa l’ oggetto, sia meno responsabile di chi desidera possederlo. C’è qualcosa che non va.
Da cosa dipende allora questa esasperata paura di vivere, tale da mettere ripetutamente in discussione la propria salute?
L’ ipocondriaco ha una concezione eterna della propria vita, ha una sorta di delirio di onnipotenza, ma allo stesso tempo la sente fragile, tanto cagionevole e indifesa.
Ecco, ciò che può fomentare nell’ ipocondriaco, il delirio di onnipotenza, è esattamente la presenza del suo contrario, della presenza di una famiglia fragile , del bambino che è stato adultizzato e che ha dovuto accudire paradossalmente la sua famiglia. La storia dell’ ipocondriaco è la storia di un bambino mai nato o cresciuto da bambino.
È la storia di un bambino che non ha mai vissuto da bambino, voluto e condannato a nascere già adulto, a non vivere mai per se e per il piacere di farlo, ma vivere per il dovere di accudire altri. Oggi quel poco che gli resta da vivere da adulto, lo custodisce gelosamente nel suo “garage” per il resto dei suoi anni, in conseguenza del tempo e della salute sprecata per altri.
Avendo perso tempo e salute in passato, da adulto diventano i propri simulacri sacri.
Per l’ ipocondriaco non è concepibile e tanto meno concesso di ammalarsi, ne ammessa alcuna forma di malattia, mentre sono ammesse quelle degli altri dei quali dovrà continuare a prendersene cura.
L’ ipocondriaco è talmente capace di resistere nel farsi visitare, che quando lo fa, lo fa in modo coatto, o per eccessiva preoccupazione apprensiva, cioè per niente, o invece per estrema necessità in una condizione spesso irreversibilmente patologica, per tutti i rinvii di visita, nel tentativo di nascondere quel disturbo all’ interno del suo delirio di incorruttibilità e di onnipotenza, in una forma di quasi compiatimento dela sua natura umana.
Allora Come ci si deve regolare un ipocondriaco. Per prima cosa farsi dire da uno specialista se le è realmente e poi andrebbe curata l’ ossessione ad essa legata, in secondo luogo non attendere troppo prima di una visita di controllo, gestendo l’ umano timore.
Allora la tiri fuori dal garage la tua BMW ?
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : Essere uomini è essere deboli ed in crisi, averne la certezza ci rende forti.
Lottare per il nostro senso di umanità non mercificabile.
Non amare troppo
Non fidarti troppo
Non sperare troppo
Potresti farti male,
Piuttosto, quel troppo ch fai, fallo per te, Perché tu non sei mai abbastanza se è poco il rispetto, l’ amore, la fiducia e la speranza che nutri per te, e se quel poco che hai lo disperdi a chi fa furto del tuo tempo, delle tue forze, lo usurpa a fini effimeri, invidiosi o commerciabili, reso forte dalla tua sensibilità, fa che non ti espropri delle tue signori gentilezze e tenerezze, e che le tue debolezze non diventino le loro forze e il loro cibo fagogitante, ma rispetta e rivendica quel senso di degna umanità che sei, che ci rende puri uomini sinceri e non ricattabili, barattabili e commerciabili.
E allora abbracciati e custodisciti ed abbi rispetto di ciò che sei e del tuo tempo se vuoi che l’ umanità sopravviva ed abbia e continui ad avere un senso come Te.
Non permettere a nessuno che sopravvarichi sulla tua umanità se desideri che l’ umanità non soccomba, non lasciarti usare e non renderti riscattabile e barattabile. I compromessi a volte sono necessari, ma se puoi rispetta il guerriero che sei.
Essere uomini è essere deboli ed avere la certezza di questo, ci rende forti se proteggi e difendi questo fantastico Tuo essere vulnerabile.
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : Ascolti Te, se ascolti l’inconscio . Se ragioni troppo ascolti gli altri
Il suono dell’inconscio come una musica profonda.
L’inconscio può manifestarsi sotto diverse forme, sogni, atti mancati, lapsus, proiezioni, libere associazioni, sensazioni, interpretazioni….
ma ci sono momenti particolari dell’esistenza, coincidenti con svolte esistenziali, che in maniera del tutto inaspettata sono segnati da voci interiori, chiamando per nome in maniera inconfondibile e con tono a volte pacato e sussurato
a volte imperioso, colui che sta sognando. In alcuni casi queste voci sono accompagnate da immagini oniriche evidenti.
Sia la voce che l’immagine non sono spesso ben compresi dal soggetto che sogna, il quale non riesce al momento a darne un significato.
Questa dimensione onirica, che affiora dalla profondità della psiche sembra, secondo la corrente Junghiana, portavoce di un’anticipazione del futuro che conduce verso il proprio destino. Non si tratta in realtà di premonizione, ma di un accompagnamento all’evoluzione dell’esistenza.
L’elemento che puo’ far considerare queste visioni oniriche come predditive è relativo al fatto che i passaggi evolutivi cosi’ annunciati sono “visti” dall’inconscio, ma non ancora dalla parte consapevole della persona.
Le voci provenienti dall’inconscio possono anche essere considerate come segnali che evidenziano entusiasmi, delusioni, sforzi e cadute dell’uomo duante il suo percorso di individuazione.
In fin dei conti, se il destino dell’uomo, inteso come percorso di individuazione, viene alimentato inconsapevolmente dalla profondità della psiche, nello stesso dialogo tra conscio e inconscio, si tratta di fasi riflessivi per sapere meglio come la personalità nel suo insieme affronta i quesiti della vita e quale impostazione e direzione stia imprimendo all’esistenza.
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Settimanale Psicologo Roma : MBSR Mindfullness Based Stress Reduction
La tecnica per scoprire ciò che stressa e come uscirne
Molto spesso quando siamo stressati pensiamo di poter ritrovare il nostro stato di equilibrio, una volta rimossa la situazione esterna, fonte di stress.
Tuttavia è importante capire che molto del nostro stato, dipende anche dal modo in cui noi interagiamo con la realtà stessa.
Per la parte che ci compete, possiamo dunque imparare a ridurre il nostro stress.
L’approccio MBSR (Mindfullness Based Stress Reduction) è un percorso guidato verso una maggiore consapevolezza dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, delle nostre reazioni automatiche di fronte alle situazioni.
Reazioni che diamo per scontato, che scambiamo per spontaneità, ma che sono spesso il frutto di condizionamenti profondi.
Imparando a riconoscere i nostri automatismi, ci apriamo ad uno spettro più ampio di scelta sulle possibili opzioni che abbiamo di fronte alle situazioni della vita e ad un maggior grado di libertà nell’interpretazione della realtà.
Dr.ssa Laura C.
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Settimanale Psicologo Roma : Narcisismo, Identità e risorse gruppali
L’ inesorabile lotta tra introversione e socialità
I canoni ci perseguitano per tutta la vita. Per un misto di povertà d’animo e pigrizia lasciamo che sia il mondo intorno a insegnarci cosa è bello e cosa è brutto.
Come separare il buono dal cattivo. Che obiettivi perseguire per sentirsi utili e realizzati. Come amare, come sperare, in cosa credere. Come essere felici.
Perché la nostra più grande paura è di essere soli: abbiamo noi stessi e tutto ciò che vogliamo è l’altro, che ci capisca, ci ami. E se vuole, che ci disprezzi, ci odi pure.
Purché non ci ignori. E se per questo è necessario essere come lui, tanto meglio. La normalità è una prospettiva attraente. Permette di poterci interfacciare con gli altri, di comunicare ciò che si ha da dire in una sorta di compatibilità universale.
Di nasconderci tra una folla di uguali quando manchiamo. Di dividerci il peso di esistenze sospese. Di accogliere l’inevitabile benedizione della routine.
E il prezzo di questa comunicabilità grandiosa è la propria opinione. Il costo di questo riparo poderoso è la propria sensibilità. Il tributo per la totale deresponsabilizzazione è la propria libertà. E a forza di essere normali non ci resta più niente da dire, da pensare, da fare.
Se la scelta indirimibile è tra sé e l’altro non ci rimane che trovare rifugio nella mediocrità del transitorio, nella fretta dell’utile, nell’oblio dell’abitudine.
Ma se così non è, se una via esiste all’intima verità della condivisione, allora nessun fine più alto può essere posto a giustificazione di ogni esistenza realmente umana.
Ed allora prima ancora che il diritto, abbiamo il dovere di provare ad esistere insieme. Insieme per cercare quella via.
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