Settimanale Psicologo Roma : LO SNIFFING
Un viaggio in caduta libera, vado più in alto, poi mi schianto e mi rifaccio per ritrovare il volo
LO SNIFFING
Viaggio più in alto, poi mi schianto e mi rifaccio per ritrovare la normalità
Il consumo di cocaina e la conseguente dipendenza è un fenomeno non altamente diffuso ma a dir poco devastante.Il suo consumo si è abbassato alla soglia degli 11 , 12 anni. Abitudinali non sono solo i giovani quanto anche gli adulti, alcuni dei quali devono sostenere ore di lavoro estenuanti soprattutto per riuscire a fare gli straordinari lavorativi e guadagnare qualche soldo in piu.
Sniffare cocaina è ormai un rituale collettivo consumato in ambienti considerati isole del piacere. Dove ci sono gli altri, c’è cocaina.
Le code nei bagni delle scuole, delle discoteche e i cosiddetti coca party, testimoniano la compulsione, insieme alla ricerca e al consumo in gruppo di questa sostanza psicoattiva per raggiungere lo sballo.
Il tramite è sempre l’ altro col quale essere complice e trainato. Si inizia al solito col bere, mi stono, mi sballo.
Se non ci fosse l’ altro, si spezzerebbe il meccanismo. Insieme è lecito, da solo connetto.
Parimenti se non ci fosse alcool sarebbe molto più complicato la spinta al seguito.
Si inizia con un fremito di piacere alla sola vista degli oggetti associativi al consumo, per poi provare euforia, sensazione di sollievo e del centro dell’ universo .
Dopo le prime volte, il consumatore di cocaina inizia ad avvertire la necessità di incrementare per ottenere l’ effetto precedente e nel momento in cui l’accesso al consumo non è possibile, impatta con la depressione e il malessere fisico.
La cocaina, così come per le altre droghe, compromette nel tempo, determinismo psichico, neuroni, finanze e rapporti sociali. Una vera e propria tagliola.
Perchè non si è in grado di controllare l’ impulso al consumo ?
Tutte le sostanze d’abuso attivano il rilascio di dopamina, il neuro-trasmettitore del piacere, cosí la scarica dopaminergica induce euforia e media l’ appagamento iniziale ed il successivo rinforzo.
Nel tempo, con il continuo consumo, avvengono delle alterazioni graduali nei circuiti neuronali cerebrali della gratificazione: ha origine l’ addiction.
Paradossalmente l’ uso frequente della droga sopprime alcune parti del circuito cerebrale della gratificazione e del piacere.
Sebbene la dipendenza da cocaina sia difficile da trattare, perchè il consumo di droga altera a livello neurochimico, i circuiti del reward, per tentare di uscirne, sarebbe opportuno:
1 non associarsi nella complicità
2 non bere prima dell’ opportunità del consumo
3 lottare contro la menzogna
4 fare una seria psicoterapia, ciò che il cocainomane farebbe a singhiozzo.
Indirizzarsi verso una psicoterapia del profondo che possa indagare i fattori psicologici, emotivi ed ambientali che colludono con il comportamento delle gratificazioni e delle dipendenze, riportando nel tempo più di prima il soggetto a ridiventare skipper della propria mente .
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : IL DISAGIO CI DA EQUILIBRIO
Tutto cio’ che non sale a livello di coscienza diventa il nostro destino
Il disagio ci da equilibrio.
Tutto ciò che non sale a livello di coscienza diventa il nostro destino
Attraverso i nostri disagi, che si manifestano nei diversi sintomi, noi permettiamo di integrarci ed interagire in modo da equilibrista con il mondo.
La malattia ci consente di attenuare quei fenomeni devastanti, evitandoci di cadere nel baratro più assoluto.
All’ interno delle nostre abitudini comportamentali di vita attiviamo dei veri e propri rituali esorcizzanti dei nostri malesseri.
Se non li attuassimo ci sentiremmo scompensati.
La loro messa in atto è liberatoria ed equilibrante, il solo trattenimento farebbe esplodere in noi il disagio.
In tal senso sarebbe molto difficile cambiare rotta e abitudini, come un granchio.
Manifestiamo passioni molto grandi per i nostri malesseri, a volte ne andiamo fieri, ne siamo affezionati perchè rappresentano la nostra dimora abituale.
Chi abita il disagio, difficilmente cambia casa. Insana affezione, ripetitore di sofferenze.
Attuiamo rituali comportamentali per lenire le tensioni e le angosce sottese che scompaiono e si riaffacciano come ad un appuntamento programmato.
A volte siamo talmente orgogliosi dei nostri stili di vita da intenderli anche come funzioni sociali.
Quanto più siamo identificati con certi rituali di comportamento, tanto più siamo confusi col nostro malessere, da mettere in moto nuovamente il rituale per lenirlo e ricominciare punto e da capo.
Il disagio è l’ asta dell’ equilibrista, il compensatore e l’ equilibratore tra il se e l’ altro e che prima o poi esplode.
Serve entrarci nel tunnel per uscirne, piuttosto che chiudersi sfuggire o girare i tacchi.
La grotta va visitata per scongiurare le sue paure e le sue angosce.
La passione per il disagio, può essere scongiurata dalla passione esplorativa di essa, affrontando con coraggio il senso di angoscia attanagliante e frenante, alla pari, va scongiurata con passioni simili o più grandi di esso, per poter attuare la metamorfosi.
Metticela tutta, non tirarTi mai indietro.
giorgio burdi
ContinuaRINASCERE
Dover rinunciare alle fragili abitudini Per l’ infinito che resta
Rinascere
Il tuo percorso
in una scia di erba,
Poi un tratturo,
una strada sterrata,
hai messo la ghiaia, con fatica battuta,
verso la tua autostrada
Vuoi andare lontano,
Non c’è orizzonte per Te,
è sempre così troppo irraggiungibile
Fai tutto da solo,
ti rimbocchi le maniche
dai tuoi geni alla tua strada
Che piano piano diventa afalto
dal sudore, al piccone
Scolpisci le pietre.
Monta muri a secco
La tua idea si fa progetto
testata d’ angolo
Dai forma alla malta
Impasta pensieri, ghiaia, estro,
sudore ed argilla
Si erge la torre
Incastra laterizi archi e capitelli
Sei Una labile idea
Che struttura un castello imperiale
quanta fatica
Dover rinunciare alle fragili abitudini
per l’ infinito che resta
Che diviene e trapassa l’ effimero
Ciò che è fatica, resta,
Vivere alla giornata angustia,
come La buccia secca perisce
La fatica rimane per una gioia infinita
Una scia di gioia finisce
er un botto di fuoco di paglia
A tutti coloro che edificano dentro,
Sarà roccia l’ edificio che è fuori,
perché si evolve chi cambia
non disdegna fa fatica
Riconosce i tuoi limiti.
non solo quelli degli altri.
commisera la povertà del proprio passato
e fa del proprio presente
la sua nuova vita,
la leggerezza della propria rinascita
AUGURI
giorgio burdi
Settimanale Psicologo Roma : TUTTI GENUFLESSI SU SUA MAESTA’ TELEFONINO
Il cellulare è lo specchio di noi, di ciò che abbiamo dentro
Tutti genuflessi su Sua Maestà Telefonino.
Il cellulare è lo specchio di noi, di ciò che abbiamo dentro.
Lungo i secoli non si è mai creato legame così tanto stretto con un oggetto, come il nostro col telefonino. Si pensi solo che gli dedichiamo un buon 40% del nostro tempo.
Gli riserviamo un posto così tanto privilegiato che è sempre con noi da non poterne più fare a meno. È la vera anima gemella, lo specchio di noi. CIó che abbiamo dentro, è tutto sul telefono.
Siamo tutti con la testa china, genuflessi sullo screen, in orazione ed adorazione della nuova religione telefonica.La telefonia è la nuova religione.
Non ci guardiamo più, per tre quarti della giornata, siamo in sua contemplazione, genuflessi al quinto potere delle lobby, sua maestà telefonia, non si sa se siamo stati comprati o venduti loro, non lo sapremo mai. Ci diranno che siamo solo noi dei liberi acquirenti. In realtà invece siamo prigionieri del 4 Reich, sottoposti, ad personam, a radiazioni di micro onde sostitute del gas nervino.
Incurante della privacy, squlla di continuo in tutti i luoghi, è l’ onnipresente, siamo intossicati dal suono e dalle microonde altrui. Come per il fumo sarebbe giusto avere zona telefonia e zona no, Il 50% della pubblicità è sulla telefonia e come se non bastasse il cell squilla ripetutamente per nuovi piani tariffari, mentre la sua qualità peggiora di giorno in giorno.
In realtà esso mira alla conquista del nuovo target . Per una telefonia dell’ infanzia, stanno ideando cellulari profumati al lecca lecca alla fragola e vanilia, con palloncini colorati a forma di Peppa Pig o Winnie Puh, parlanti che avrà per genitore Siri, che potrà rispondere a domande più impertinenti per agevolare genitori incapaci e nel loro intento poter formare un esercito di reclute programmate per i nuovi consumi. Un progetto fantastico, vero ?
L’ imperare di una nuova più subdola borghesia dittatoriale che alita le proprie trasmissioni elettromagnetiche e giunge attraverso l’ aria ai nuovi sudditi alienati e reverenti, tutti a testa china, file di ostinati predestinati ed obbedienti al direttorio del deus Operatore.
Siamo tutti imprigionati nel palmo di una mano.
Almeno abbiano raffinato l’ indice in movimenti rapidi, fini e dinamici.
Siamo lo speed del touch, ma anche lo slow delle interazioni sociali.
Il mondo sotto un polpastrello con le stelline dall’ apriti sesamo del genio della lampada. Finalmente abbiamo acquisito il potere di entrare nel mondo… ma quello tutto loro.
Col nostro indice sembreremmo padroni del mondo, almeno, vorrebbero farcelo credere, ma ci ritroviamo in sterminate schermate pubblicitarie imposte.
Altro che dittatura, un vero e proprio ministero capillare di Istruzione personalizzata, un Quarto potere occulto subliminale “for a close mind” .
I nostri recettori neuronali leggono immagini led, retina o oled, e tra un po 3D, allenati sulle palestre delle Appl , ci stiamo preparando nel disimparare il linguaggio della realtà e delle relazioni empiriche.Quando ci incontriamo siamo distratti, un gruppo di amici che non si guardano in faccia, ma ognuno automa, chino sul proprio terminale.
Non ci guardiamo più negli occhi, sempre in fuga, il nostro sguardo rivolto dentro di noi per cercare le parole da riportare sul qwerty, attraverso un irrefrenabile “aspetta che devo rispondere”.
Alimentazione di delusioni, dispiaceri discreti, ma subiti in modo quasi impotente, verso chi è fuso col suo telefono.
Mettiamo la realtà in standby tanto che lo standby diventerà realtà.
Una realtà ferma su un fotogramma ed un virtuale dinamico sempre più veloce al ritmo del suo ultimo chip set.
La cultura dello standby è la cultura della dipendenza e del coercitivo alla non consapevolezza, a non pensare, al non parlare, ma a dipendere compulsivamente da chi ha lo scopo di proporci prodotti mai richiesti
La telefonia fa da regista e da protagonista, noi semplici spettatori trainati e trattenuti volutamente in meccaniche mentali non desiderate.
Il protagonismo è godersi di persona la realtà scelta, e gli altri, di persona sono la realtà.
Godiamo la relazione in diretta, impariamo a guardarci negli occhi, li c’è l’ autenticità della nostra umanità,
impariamo a spegnere e a privarci un po’ del telefono per non privarci di noi, perché è bello guardare negli occhi una persona, accoglierla, ascoltarla e parlarle.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : LA CAPACITÀ DI APPARTENERSI
Come non rendersi dipendenti nelle relazioni amorose
La capacità di Appartenersi.
Come non rendersi dipendenti nelle relazioni amorose.
Nella relazione tra i due partner, ognuno è assorto e ascolta i propri pensieri, immersi nei prati della mente, ove ogni filo d’erba è una idea, una sensazione, un mondo di sogni Incantati o disincantati, non è necessariamente narcisistico.
L’ uno Assorto nella musica dei propri pensieri, scopre che da quando esiste l’ altro, immagina e ascolta solo lui, in un dialogo continuo interminabile con la propria mente e la sua Vita.
Il partner coinvolto, Vorrebbe provare a guardare il mondo con i pensieri e i sensi dell’altro: scopre l’ altro emisfero di se, affascinante e allo stesso tempo irrimediabilmente devastante.
In quel fascino che la rende regale, la spaventa la stabilità, i silenzi e la novità per la frenesia di essere sempre al Top delle proprie potenzialità, fa molta fatica doversi rilassare e spegnere lo switch, quasi obbligata sempre alla massima efficienza, il tranello di un loop, che smarrisce il fluire della spontaneità.
Ma per fare il pieno, si passa necessariamente da un vuoto, è un circolo continuo ripetibile all’ infinito di silenzi e parole, presenza assenza, solitudini ed incontri.
Ma il vuoto rende insofferenti, e mentre si fa il pieno, si rigenera il rilassamento che si fa nuovamente pieno.
Quando si sta bene è perché si riesce a fare il vuoto di pensieri, di persone, di passato, di futuro, a vantaggio del pieno del presente.
Ognuno, però, possiede pensieri devastanti, ha i suoi ritmi e i suoi luoghi intimi, il più delle volte non condivisibili, con le proprie aree indicibili e perverse, paralleli, con le proprie forme di tolleranza ed auto assoluzione, e che possono risultare per altri sconcertanti.
Il senso di appartenenza è non trascurare nulla di tutto questo, sapere che siamo fatti un po’ tutti così, e poter arrivare a condividere l’ indicibile, per poi scoprire che è di casa anche nel partner e che l’ unico scandalo sarebbe stato non ammettere la presenza di tutto ciò .
Domandiamoci se spesso non siamo struzzi e il livello della comunicazione e dell’ intimità e della partecipazione ad una storia siamo soltanto noi che lo poniamo.
Il senso di appartenenza è percepire l ‘altro come l’ estensione di se, un infinito fuori di noi, dal quale diviene complesso distogliere il proprio sguardo e il proprio pensiero . Per faro tutto ciò serve il coraggio di svelarsi, il non temere l’ altro, perché un tale timore quale intimità rivelerebbe ? E se poi non dovesse reggere, realizzeremmo che forse era una propria invenzione, non era alla propria portata, anticiperemmo la fine, senza troppe angosce protratte.
Certe storie reggono sul nascondimento, l’ atto di svelamento è un atto dovuto, piuttosto che lasciarsi solo permeare dai bisogni seduttivi e dalla magia sessuale perché la massima magia sessuale si realizza nel “mettersi a nudo” per davvero.
Ma noi sappiamo davvero con chi stiamo o scopriremo più avanti che sarà solo frutto delle nostre proiezioni ? E gli altri sanno davvero con chi stanno ? E se ci nascondiamo e nascondiamo verità intime assai importanti, ma di quale intimità stiamo parlando col partner ? Forse ci stiamo tutelando l’ amore per noi o l’ altro per se . Non può questo essere amore , ma fare narcisisticamente il proprio interesse , invece, quando ci si svela significa fare l’ interesse del noi e dell’ altro, anche nel pericolo di perderlo. Il più grande atto d’amore per se e per l’altro è metterlo e metterci in condizioni libere di poterci e poterlo perdere, ma nella verità.
La verità è il più grande atto di appartenenza e di amore.
Il senso di appartenenza è lasciarsi andare, è sentirsi a casa, è il fiore giallo nella natura, è voler adagiare se nell’ altro come in un nido, percepito come contenente comprensivo ed oceanico di se protettivo.
Il contrario dell’ appartenza è riservarsi.
Il limite al nostro infinito è la nostra arroganza e diffidenza, il nostro orgoglio e la nostra paura di metterci a nudo, è la nostra timorosa timidezza.
La riserva è limitante di questa fusione di infiniti a due.
Negli atti di pura evasione, l’ altro viene scaraventato oltre l’ uscio dell’ appartenenza ed il ripeterlo rappresenta l’ inizio di una fine pre impostata.
La non appartenenza è la non condivisione.
L’ appartenenza esiste quando ci si affida e ci si abbandona, non ci si trattiene, ci si fonde ma non confonde, mentre le riserve non trattengono le distanze, ma le supera nel desiderio.
Trattenersi all’ interno delle distanze è trattenersi sull’ uscio, un invito a pensare vai via.
Il senso di appartenersi è avere il coraggio di condividere, elisir dell’ autonomia, l’ antidoto contro la dipendenza
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : Depressione ? Lo sport terapia
L’ attività fisica produce antidepressivi naturali, le endorfine
Contrariamente a quanto si possa pensare una malattia molto diffusa ma subdola è proprio la depressione.
Ne soffrono in Europa 60 milioni di persone e in Italia oltre 8 milioni. L’OMS considera che nel 2020 sarà la seconda malattia più debilitante, immediatamente alle spalle della cardiopatia ischemica.
Dalla miriade di studi effettuati sull’argomento risulta che dietro la depressione non ci sia una sola e univoca causa scatenante, bensì un cocktail di influssi genetici, biologici e psicologici, combinati tra loro da eventi stressanti.
Una cosa è certa non è provocata né dalla scarsa buona volontà, né tantomeno da una debolezza caratteriale, come in molti pensano. Spesso la sfida più grande nel mio lavoro è proprio quella di far capire al paziente e ai loro familiari quali sono i confini tra loro personalità e la malattia.
In virtù di queste casistiche molto preoccupanti, nel corso degli ultimi anni sono stati fatti molti passi in avanti nel trattamento e nella cura della depressione, sia in ambito farmacologico che psicoterapeutico, ma un aiuto in più può arrivare anche dall’esercizio che viene inglobato come strumento ausiliario nel trattamento psicoterapeutico.
Anche se all’inizio può sembrare complesso coinvolgere un depresso in un programma di attività fisica, proprio a causa della tendenza alla passività, il movimento ha la grande capacità di risvegliare il corpo e di combattere proprio questa inerzia, il non aver voglia di fare nulla.
Diversi studi hanno dimostrato come l’associazione di attività fisica a un percorso psicoterapeutico, possa produrre un benessere maggiore rispetto a trattamenti che non prevedono l’esercizio fisico.
Sembra inoltre che l’apporto di un allenamento soprattutto di tipo aerobico, se mantenuto con costanza nel tempo, riduca il numero delle ricadute. Per la persona depressa il movimento quindi è un toccasana perché lo aiuta a riattivarsi, a recuperare l’energie e l’interesse per qualcosa.
Un aspetto da non trascurare è il grande ruolo che la psicoterapia e l’esercizio fisico svolta in gruppo svolge nella socialità: partecipare a percorsi di gruppo permette al depresso di creare nuove relazioni, rompendo così quel muro d’isolamento.
Ed è proprio per questo che viene fortemente consigliato ai nostri pazienti di fare sport per superare però forme lievi o moderate di depressione. Per depressioni più importanti bisognerebbe trattare un capitolo a parte. Il Dr. Madhukar Trivedi, autore principale dello studio dimostra ‘scientificamente’ come l’esercizio fisico possa essere un potente antidepressivo. Ma come è possibile che avvenga ció?
Fare attività fisica promuove innanzitutto il rilascio di due importanti tipi di neuromediatori: l’acetilcolina e le endorfine, molecole che producono sensazioni di analgesia e benessere.
Questi due ormoni, definiti per l’appunto della felicità, hanno la funzione di:- contrastare l’effetto negativo che alcune sostanze hanno sul sistema immunitario producendo sintomi depressivi; – di contrastare gli effetti fisiologici dannosi prodotti dallo stress che, se accumulato e protratto nel tempo, stimola la produzione di cortisolo; – di prolungare la vita dei neuroni.
Ma le conseguenze benefiche sono anche emotive e psicologiche. Spesso quando si è depressi si ha la sensazione di non potersi prendere cura né di se stessi, né degli altri.
Ebbene, lo sport aiuta a riacquistare autostima nel momento in cui riesce a raggiungere un obiettivo anche se minimo. Aiuta a distrarsi e a incanalare la tensione in modo da sollevare la mente da preoccupazioni e pensieri negativi.
La depressione tende a isolare, mentre la psicoterapia e lo sport ci apre al confronto con il mondo, e ci aiuta a esprimere la aggressività che nelle depressione è rivolta verso se stessi. Questo ovviamente non significa che la depressione va curata con la sola attività fisica, ma che se affiancata e guidata da un percorso psicoterapeutico può rivelarsi uno strumento di supporto valido.
Se ci pensiamo le ultime ricerche scientifiche non fanno altro che confermare qualcosa di noto già da molto tempo a Giovenale: “Mens sana in corpore sano “.
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Dott.ssa Alessandra GRASSO
Settimanale Psicologo Roma : Perché ascoltiamo la musica?
il valore psicoterapico della musica
Perché ascoltiamo la musica?
Il valore psicoterapico della musica
Vi siete mai chiesti come mai quando ci sentiamo particolarmente tristi, ascoltare musica può fungere da antidepressivo o al contrario, amplificare negativamente le sensazioni negative tanto da non riuscire ad ascoltarla?
È sempre esistito un legame profondo tra musica e psiche umana, basta pensare ai tanti artisti come Battiato, Jhon Lennon. Quest’ultimo per esempio dopo essersi sottoposto a un ciclo di terapia psicanalitica, basata sulla rimozione delle difese psichiche del paziente e alla ricerca dei traumi più profondi, associati ad esperienze del passato riferite alla perdita e all’abbandono da parte dei suoi genitori, scrisse la bellissima canzone “Mother: madre tu mi hai avuto, ma io non ho avuto mai”.
La musica è qualcosa che arriva molto direttamente all’inconscio, tocca la sensibilità umana in maniera forte ed immediata, più di qualsiasi altra forma artistica. Basta pensare a come soprattutto tra i giovani l’uso della musica si presti a esprimere i loro sentimenti: rabbia, tristezza ma soprattutto amore. Nulla di più veritiere le parole di Angelo Villa:“dagli anni sessanta in poi la canzone diventa, per i giovani, il principale strumento di comunicazione, informazione e conoscenza intorno ai possibili stili di comportamento, in particolare in rapporto alla logica amorosa, agli affetti e ai sentimenti.”
Ma il significato che la musica come linguaggio può esprimere è un significato simbolico la cui funzione è quella di rappresentare i nostri sentimenti e quindi la nostra vita emotiva, la musica è una forma che riflette la forma dei nostri sentimenti con un significato che può essere colto solo intuitivamente. Non è dunque un linguaggio come il parlato ma può essere considerato un linguaggio metaforico che ha un potere anche superiore a quello parlato, in quanto può articolarsi in forme che sono negate al linguaggio verbale.
Queste considerazioni sulla musica come attività umana che si esprime attraverso forme simboliche pone alla psicoanalisi questioni di estremo interesse: perchè è bene far ascoltare la musica mentre la donna attende un bambino? Perché compriamo i carion da appendere alle culle?
Perché far ascoltare la musica classica favorirebbe nei neonati lo sviluppo neuronale? Perché esistono corsi di stimolazione sensoriale per i bimbi?
Per capire il ruolo che la musica ha in questi complessi processi che sono studiati dalla psicoanalisi è necessario andare indietro nel tempo ontogenetico. Il bambino, nelle sue prime relazioni con la madre e con il padre, dovrà costruirsi una classe di oggetti (parziali prima e più completi e integrati poi) cui dovrà dare una collocazione spazio-temporale all’interno di sé, in quello spazio metaforico che chiamiamo mondo interno.
Un ruolo centrale avrà in questo processo l’esperienza che il bambino ha fatto nella sua crescita endouterina. Queste esperienze sono tutte affidate alla sensoriaIità (in primo luogo uditiva ma anche somoestesica, vestibolare, gustativa), che permetterà al feto di percepire i ritmi materni (cardiaci, respiratori, intestinali), i suoi propri ritmi e gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno.
Ne deriverà una interazione sensomotoria matemo-fetale la cui caratteristica essenziale è la costanza e la ritmicità.
Questi stimoli funzioneranno da “oggetti modello” per la formazione di un primo abbozzo di rappresentazioni e costituiranno per il feto un contenitore ideale per una crescita che è fisica e mentale ad un tempo. In particolare, I’esperienza ritmica uditiva sarà essenziale per lo sviluppo delle funzioni psichiche che parteciperanno alla formazione della categoria mentale deputata alla definizione del bello.
Vale forse la pena di accennare qui al fatto che la ritmicità è uno degli elementi essenziali del concetto del bello in ogni forma d’arte e non solo in musica ma anche nel campo dell’analisi, dove l’uscita da stati psicotici può passare, nei bambini, attraverso esperienze ritmiche con l’altro (Baruzzi, 1985). Alla nascita, la voce della madre apparirà al bambino come il primo meraviglioso strumento esterno a sé capace di produrre suono e dare continuità all’esperienza musicale ritmica precedente.
E’ la voce materna che parteciperà a formare un involucro di sensazioni tra cui quelle sonore.L’ascolto musicale insegna quindi ad ascoltare ciò che non sappiamo dire.
Non si tratta dunque di applicare la psicoanalisi alla musica ma di tentare un’operazione inversa: applicare la musica alla psicoanalisi, per addestrare i nostri mezzi mentali a contattare quello che non può essere detto.
Ascoltate la musica per scandire una ritmicità interiore!
Dott. ssa Alessandra GRASSO
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : L’ EMPATIA SEI TU
Una Emozione in Due
L’ EMPATIA SEI TU
Una Emozione in Due
Nell’ empatia io entro in te tu in me,
un’ armonia in stereofonia
la musica dei due.
E’ una sinfonia trascritta
da uno stesso autore a due estri,
le cui note sono dell’ uno e dell’ altro, fluiscono,
si sollevano dal foglio e danzano sul pentagramma
da adagiarsi perfettamente
sulle sue vibranti righe
con brividi a fior di foglio.
L’ empatia è un concerto a quattro mani e due anime,
sincronizzata in una sola percezione
tra differenze armonizzate sulla chiave di Sol.
Ottave swing e diesis sincopati, in flussi di danze
che divengono note e
accolgono sfumature sensibili, intime impercettibili.
Pastelli di primavera musicati,
suonate di profumi di mare e odori di tulle gialle,
siamo i musicanti delle nostre percezioni.
L’ empatia è un jazz fusion, dolce, melodico,
sensuale che pian piano si fa tango e si fa rock .
L’ empatia Ti socchiude gli occhi
lascia danzare le tue dita
In un arpeggio di cetra,
che diventa arpa, poi sax o tastiera roland
e di la a poco una fender elettrica
che accende il suo valvolare
in un potente e vitale battito di suoni.
L’ empatia è un risotto
che apre le danze alle papille,
tra il gusto acro del limone,
e quello del mare
staccato da un valdobiadene
con le sue mille ghiacciate bollicine
che schioccano sul palato.
L’ empatia è l’ inebriante sensazione di sapori adriatici
con i suoi gusti agrodolci,
che appagano i piaceri.
L’ empatia è la spuma suprema della salsedine
di mare fresco
che si infrange sugli scogli caldi
che godono le sue carezze di refrigerio.
L’ empatia, sono i raggi del sole
che dalla galassia lontana sfiorano la tua pelle.
È il battito del cuore che pulsa e infonde calore
dalla testa ai piedi ed oltre,
verso chi si si ama, da renderlo il proprio cuore.
L’ empatia sei Tu, raffinata,
in grado di cogliere, condividere ed espandersi oltre il noi.
Più bella di Te non c’é
Tu che sei Luce dal profondo dei tuoi occhi bui,
mi ci perdo nelle tue tristezze profonde
ove Ti vedo sola
ci sono io lì con Te.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : QUALE TIPO DI ATTACCAMENTO SEI ?
L’ attaccamento e la formazione del Se
La formazione del Sé e gli stili di attaccamento
Il tipo di legame che si instaura tra il bambino ed il caregiver (chi si prende cura), è fondamentale per la formazione del sé e caratterizza gli stili di attaccamento futuri nelle relazioni affettive.
L’attaccamento è un costrutto che si riferisce alla relazione che si instaura tra il neonato e chi si prende cura di lui, generalmente la madre; è un legame di lunga durata ed emotivamente significativo per entrambi i soggetti coinvolti.
La spinta alla base di questo legame è la ricerca e lo sforzo per mantenere la vicinanza all’oggetto di attaccamento che dovrebbe fornire benessere e sicurezza e che se interrotto produce nel neonato e/ nel bambino ( a seconda della fase evolutiva), angoscia da separazione e quindi angoscia di non sentirsi protetto, rassicurato quando la madre non è presente.
Questa angoscia si placa nel tempo quando il bambino diventa in grado di mentalizzare la figura materna, quindi di trattenerla nella mente, anche in sua assenza.
Cosa ricerca il bambino nella figura accudente?
Il bambino, per garantirsi la sopravvivenza, ricerca non solo cure, protezione e sicurezza dal punto di vista biologico, ma anche dal punto di vista emotivo. Ciò significa che il bambino ha necessità di considerare il caregiver come un porto sicuro,ovvero come base da cui iniziare l’esplorazione dell’ambiente circostante e al quale tornare nei momenti di pericolo e insicurezza.
Nelle diverse specie animali questa ricerca di prossimità è stata definita dall’etologo Lorenz come “imprinting”. Un’immagine comune che rappresenta l’imprinting è quella degli anatroccoli che seguono la madre.
Anche altri studiosi hanno approfondito il legame di attaccamento. J.Bowlby ha osservato le modalità attraverso cui i bambini richiedono la vicinanza della madre, ovvero il pianto, l’aggrapparsi ed il seguire il genitore, comportamenti che vengono sospesi quando viene ripristinato lo stato di sicurezza;
invece, M. Ainsworth ha osservato e classificato quattro stili di attaccamento, attraverso l’esperimento della Strange Situation, in cui ha studiato le reazioni dei bambini e delle madri derivanti dall’allontanamento momentaneo di queste ultime.
Gli stili sono stati definiti dalla studiosa come:
1) ansioso-evitante: a seguito dell’allontanamento della madre il bambino non protesta, ma al suo ritorno riceve dalla stessa segnali di ostilità e rifiuto alla richiesta di conforto.
2)sicuro: il bambino tollera maggiormente i momenti in cui la madre si allontana, si mostra sereno al suo ritorno e riceve disponibilità ed accoglienza.
3)ansioso-resistente: il bambino si mostra inconsolabile, mentre la madre poco coerente e poco prevedibile, iperprotettiva e controllante, limitando così l’esplorazione indipendente dell’ambiente da parte del figlio.
4)disorganizzato: la madre, ansiosa e depressa per gravi problematiche emotive non risolte, si mostra spaventata nella gestione della relazione del figlio e poco orientata alle esigenze di quest’ultimo.
Lo stile di attaccamento disorganizzato è considerato uno stile disturbato, ovvero poco funzionale allo sviluppo emotivo sano del bambino.
Inoltre, se il bambino, nel suo legame di attaccamento, ha sperimentato l’impossibilità di essere rassicurato e protetto, potra’ costruirsi una modalità d’amore nelle relazioni future basata sulla dipendenza.
Se, invece, il bambino ha sperimentato contenimento fisico e psicologico e percepito la figura di attaccamento come disponibile e tranquilla, avrà un’autostima piu’ solida e sarà maggiormente fiducioso nell’ esplorazione dell’ambiente circostante. In tali casi l’orientamento all’ esplorazione creativa da parte del bambino garantirà un graduale e sano distacco dal caregiver.
alessia potere
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : TOGLIAMO IL CELLULARE E FACEBOOK AI BAMBINI
I genitori sono i maggiori responsabili della pedofilia.
Togliamo il cellulare e Facebook ai bambini.I genitori sono i maggiori responsabili della pedofilia.
Marika ha 11 anni, nel bel pieno della sua pubertà con gli ormoni a palla, impazziti, che si preparano alla danza della vita, in piena crisi di trasformazioni fisiche e mentali. Si trova all’ improvviso un corpo di donna in una bambina.
La bambina proprietaria è impaurita, sconcertata e divertita di se. Per lei è una follia ed una festa. Nel suo corpo si sente come Alice nel paese delle meraviglie.
È un elefante in una cristalleria, si muove per scoprire le sue superdotate potenzialità sconcertanti, e cade si taglia, si fa male e si diverte. Un piccolo comandante alle prese della sua concordia.
La natura corporea impone il passo, la mente rincorre con molta fatica.Sviluppo mentale e corpo in questa fase sono asincroni. Non si comprende ancora ilPerché debba essere così .
Nella vita e nella natura tutto avrebbe una certa sincronia, tranne che in questa fase dello sviluppo. La fase pre e puberale è una fase dello sviluppo molto delicata e complessa: un rebus, un labirinto folle.
Già quella successiva relativa all’ adolescenza, che di per se è tutto dire per la sua stabilità, comunque sia, rappresenta la fase adulta della pubertà.Marika avverte solletichi dal suo corpo di donna che la sollecita ad esplorare.Si sente come un tempo quando da bambina rubava la marmellata.Allora con il piacere erogeno della sua fase orale, oggi con quello fallico genitale.
Marika allora esplora, tocca e col suo videotelefonono scatta foto.Lo dice all’ amica, condivide con lei le foto, ma d’altronde quando si fa una scoperta importante, come si potrebbe resistere dal non condividerla?
Chiede all’ amica di fare altrettanto, di fare le sue foto e di condividerle con lei. Ma l’ amica teme la mamma e desiste e ad una altra sollecitazione, arrabbiata, invia tramite WhatsApp, anche per gioco, le foto di Markca a tutta la classe, che giungono agli adulti prof e al preside. Nell’ arco di qualche istante le foto passano su Facebook e in rete. Una vera e propria epidemia radioattiva da cyber sex, un supermarket per pedofilia, anzi che dire, un cyber market dell’ ingenuità e del gioco.
Il piccolo comandante alle prese della sua concordia, in un attimo di piacevole follia ormonale, schiantato sullo scoglio del cyber sex.
Bambini alla deriva, defraudati della piacevolezza di se. Bambini resi damblè adulti, per genitori mai cresciuti.Per molti genitori è preferibile dare in mano un videotelefonino, che lasciarsi fare mille domande disattese dai figli e dedicare loro del tempo utile.
Genitore stanco, eterno figlio, distratto, nell’ intento di cercare ancora una madre sua a sua volta distratta, alienato dal lavoro.Ai bambini non regalate strumenti che li allontanerebbero da voi.Dialogo zero, ma apprensione al max . Li si scarica su whathapp con conseguenze devastanti.A tutto c’è un limite, ai bambini non va data la sfera di cristallo sul mondo all’ interno del quale potrebbe regolarmente precipitare.
Togliamo i telefonini ai bambini e ricordiamo che non si può essere genitore a caso o per incidente, ma richiamiamoci alla responsabilità di adulti e impariamo a dialogare col bambino dentro e fuori di noi, perché il bambino vive e cresce serenamente nel dialogo, invece facciamo di loro degli avatar, precipitandoli nella sfera del cyber, attrezzandoli di piattaforme di controllo e gestione globale di informazioni impazzite.
giorgio burdi
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