Vivere Light Luglio : VAGINISMO
IL VAGINISMO
quando il desiderio è un timore
Amarlo e tenerlo fuori dalla mia vita. Non mi faccio “toccare”, desidero, ma temo, resto contratta, mi faccio male.Se una donna arriva a parlare di vaginismo vuol dire che può intraprendere la strada verso la guarigione. Perché il primo problema di questa patologia è riuscire a darle un nome.
Spesso infatti le donne che soffrono di vaginismo rimandano istintivamente il più possibile l’incontro con la sessualità e, solo quando si scoprono “incapaci” e a volte addirittura, dopo il matrimonio, iniziano una lotta silenziosa con se stesse senza avere la minima idea di cosa stia accadendo.Questa lotta può durare anni se non viene razionalizzata e definita, con il risultato che l’animo femminile subisce una sorta di amputazione della felicità e le relazioni con i partner possono uscirne anch’esse distrutte.
Le cause del problema sono, abusi o tentativi, violazioni del limite ma innanzitutto un’educazione troppo rigida moralistico religiosistica, troppo normativa e fatta di retaggi culturali sulla figura femminile, eventi che fanno provare vergogna durante la fase infantile, scarsa sicurezza e poca conoscenza di sé.
Ma il filo rosso che lega tutti questi fattori è il dovere all’infelicità. La donna che soffre di vaginismo apprende sin da piccola che, per qualche motivo generalmente innato all’interno della famiglia, non ha il diritto di godere e di provare piacere.
Si tratta di un vero e proprio tarparsi le ali, di una rinuncia ad abbracciare la vita in tutti i suoi aspetti compresa la sessualità.
Le manifestazioni fisiche sono il dolore durante i rapporti e la paura della penetrazione.Ma l’aspetto più devastante è il senso di incapacità e di inadeguatezza per i quali si dà la colpa solo a se stesse.
Le donne che hanno questo problema sono spesso molto sole nell’affrontarlo, si vergognano di parlarne persino con le amiche, si sentono perse in un mare di dubbi per i quali difficilmente trovano risposte.
Non effettuano visite ginecologiche arrivando ad accettare dei rischi per la propria salute pur di non sottoporsi a quello che per loro è una tortura.
La nostra società è ancora poco preparata a riconoscere questo tipo di problematica. Si parla di più di impotenza maschile, ma non di vaginismo.
Perché la donna “che non funziona” sembra ancora inaccettabile, il suo disagio apparentemente non ha nessuna manifestazione, non è così apparente come nell’ uomo.
Così come il corpo femminile cela i suoi organi genitali, il vaginismo richiude tutto al suo interno e si annida nell’animo di chi ne soffre, non aiutando la donna ad esternare quello che sente.
Il vaginismo è un calvario che con gli anni diventa sempre più faticoso e toglie energie alla vita.
La bella notizia è che si può guarire. Il primo passo è riconoscere di avere un problema e chiedere aiuto ad uno specialista.I sessuologi e gli psicoterapeuti sanno indicare il percorso più adatto ad ogni donna, in alcuni casi è richiesta anche la collaborazione del partner che può aiutare moltissimo.
Una volta escluse patologie di natura fisica si può intraprendere il sentiero verso la guarigione.È un sentiero tortuoso e non sempre facile ma vale la pena affrontarlo.
Si impara ad ascoltare, a conoscere e soprattutto ad amare il proprio corpo in tutti i suoi aspetti.
Si spezzano le catene che hanno bloccato la mente e l’anima, si impara che ognuno di noi ha il diritto di essere felice e di provare piacere, e che la sessualità è il completamento naturale degli aspetti più belli della vita.
Il percorso terapeutico può prevedere una parte pratica di esercizi da provare a casa sul controllo dei muscoli genitali ma soprattutto la psicoterapia aiuta a guarire le proprie ferite più intime.
La profondità del problema varia da donna a donna e richiede tempi diversi, ma la consapevolezza che si tratta di una patologia (il più delle volte psicosomatica) è già un gran sollievo: sapere di non essere “incapace per nascita” aiuta la paziente a indirizzarsi verso la guarigione.
Quando si raggiunge l’obiettivo di una vita sessuale sana e felice tutti gli aspetti della vita ne beneficiano e si innesca un circolo virtuoso di benessere.
Le donne devono lottare per guarire dal vaginismo, rivendicando il proprio diritto ad essere se stesse, devono prendere consapevolezza che il loro diritto alla felicità è importante quanto il diritto alla salute.
E scopriranno che non sono così sole e che non c’è niente di cui vergognarsi. Anche in età adulta si può imparare a godere della vita, non è mai troppo tardi, basta volerlo.
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Storia di Laura, lettera alla mamma.
Cara mamma, grazie al percorso psicoterapeutico che porto avanti da più di un anno ormai sono giunta alla comprensione profinda del mio problema.
Un problema maledetto che mi costringe a 35 anni e mezzo a non avere un rapporto sessuale completo. Ti sembra giusto mamma? Le mie amiche si divertono, hanno una vita sessuale soddisfacente, ne parlano con scioltezza e felicità.
Molte volte incontro per strada ex compagne di scuola mentre spingono i passeggini con il frutto della loro femminilità. Bene, io non posso concepire, lo sai? A me non è concesso. Il dolore e il fastidio me lo rendono impossibile. Mamma, sai come mi fa sentire questo? Avvilita, mortificata, umiliata, disabile, incapace di tenere stretto a me un uomo anche se mi piace tanto.
Cara mamma, sei riuscita a ottenere quello che volevi. Le tue paure non si sono verificate. Avevi il terrore che qualcuno abusasse di me come è successo a te, per questo non appena ho cominciato il mio percorso di scolarizzazione non facevi altro che ripetermi che non dovevo farmi toccare da nessuno, nessuno fatta eccezione di te per inevitabili esigenze igieniche.
Ebbene, nessuno mi ha toccato mamma e nessuno può farlo, nessuno può penetrarmi, sono impenetrabile.
Ti ringrazio per avermi protetta, l’hai fatto solo per il mio bene, non volevi che subissi le violenze che hai subito tu ma, cara mamma, avresti dovuto fare un grande regalo a te stessa.
Avresti dovuto affrontare ed elaborare i tuoi traumi in un contesto adatto, aiutata da un esperto, in questo modo avresti fatto a me il regalo più bello che una madre possa fare a una figlia: sbocciare, diventare una donna, procreare a sua volta.
Non mi hai fatta crescere, mi hai fatto rimanere la tua bambina, una bambina che ha disperato bisogno di affetto ma non può avere rapporti sessuali, ai bambini questo non è assolutamente concesso.
Come se non bastasse mamma, fin da piccola tu e papà mi avete inculcato che i rapporti sessuali sono peccaminosi se non consumati nell’ambito matrimoniale. Il sesso tra fidanzati, il sesso che non prevede il rapporto genitale standard è un grave peccato.
Sono cresciuta sentendoti dire spesso: “che schifo” quando qualcuno raccontava un esperienza intima fuori dai tuoi standard, ai tuoi continui cambi di canale durante banalissime scene d’amore in tv.
Cara mamma, mi chiedi se non si può risolvere questo disagio. Disturbo mentale mamma, non problema, chiamalo col suo nome.
Pensa che il mio problema, il vaginismo, merita una sezione nella classe delle disfunzioni sessuali all’interno del manuale dei disturbi mentali DSM.
Sai quali sono i fattori scatenanti? L ‘aver subito abusi sessuali è il fattore primario seguito da fattori culturali e religiosi ad esempio per sole inibizioni correlate a divieti riguardanti l’attività sessuale e il piacere, in un imprinting avvenuta in tenera età , povera innocente.
Siete stati dei bravi genitori tu e papà, mi avete amata, protetta, non mi avete fatto mancare niente fatta eccezione di una cosa: la semplicità e un contesto laico, neutro nel quale si fa educazione e non terrorismo sessuale, si insegna ai figli che i rapporti sessuali sono naturali come è naturale avere un corpo, fondamentali nella vita di ogni essere umano, fidandosi della loro responsabilità.
Le vostre continue penetrezioni metaforiche violente e intrusive sotto forma di divieti e rigidi insegnamenti mi hanno fatto chiudere sempre di più la mia mente e di conseguenza il mio corpo, rendendolo impenetrabile.
Mamma ognuno ha diritto ad avere una vita sessuale soddisfacente, a fare sesso con chi lo desidera, come vuole, basta prendere le giuste precauzioni per evitare incidenti o problemi spiacevoli.
È così semplice mamma. Ho imparato dai tuoi errori. Ho capito che merito, anch’io merito di scoprire la mia femminilità, di diventare una vera donna. Questo devo impegnarmi a farlo adesso, quanto tempo ti ho ipotecato e sprecato.
Devo affrontare la mia paura più grande, devo combattere contro la paura, il dolore, il fastidio, l’ansia, la sensazione di svenimento.
Voglio sbocciare e sarà doloroso farlo. Ma tu, le tue proiezioni, i tuoi dogmi insensati e non mi influenzerete più.
Ti amo con tutto il mio cuore mamma, ma ora è arrivato il momento di crescere. Non sono più la tua bambina
Conclusioni
La coscienza morale fa da barriera come un muro impenetrabile, è il contrattivo muscolare che agevola il rifiuto e la repulsione, si avverte la sensazione che oltrepassare tale barriera si forerebbe la matrice della purezza con forti sensazioni di reato, di peccato, di impurità immonda, ‘perdita’ della santità , l impenetrabilità è un non entrare nella vita, diventerebbe ‘ invasione nella legge , nella parola sacra. Risiede qui l’importanza simbolica attribuita alla penetrazione, invalidare la “legge morale e rifiutare l’ invasore.
A volte risulta impossibile dissacrare convinzioni pseudoreligiose che obbligano alla negazione della sessualità.
Il problema non è la vagina o la psicologia, ma la morale e l intrusione.
Questo è l’ultimo step che devo affrontare poi diventerò una farfalla a tutti gli effetti e potrò volare
Il vaginismo è il blocco di un bruco che resta tale . Ha le ali , da tenerle piegate e fanno male nel dispiegale, ma il volo resta possibile solo attraverso una psicoterapia.
guorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : CAMBIARE O ESSERE SE STESSI
Senza rabbia non si cambia e non si va avanti
La mia vita è un posto poco accogliente. Cerco di abbellirla qua e là, forse senza tanto sforzo e poca convinzione, e poi al dunque mi accontento di ciò che ho. Mi dico: “In fondo non è grave. Sono ancora viva, ho una casa, ho quel che mi serve” e vado a letto cercando di cullarmi con questo pensiero.
Ma in quel limbo dove va la mente prima di addormentarsi, in quella terra di nessuno dove i pensieri sono più liberi e vagano senza freni, ecco che mi assale una frenesia, a volte forse è rabbia, un bisogno di usare le mie energie e la consapevolezza di non averlo fatto.
Ho sentito dire che il giorno in cui non si ride è un giorno inutile. Aggiungo che anche il giorno in cui non si è stati liberi di fare ciò che si voleva, di aver represso le proprie energie e la vitalità che si sprigionerebbe dal nostro corpo se solo lo desiderassimo davvero o avessimo la possibilità di farlo, lo è altrettanto.
Che cosa ho combinato? Ho aggiunto alla mia collezione un’altra giornata insignificante, come se per me le ore, i giorni, i mesi e gli anni non passassero e avessi la possibilità dei tempi supplementari.
Sono davvero un disastro! Così, come su un’altalena, oscillo tra la voglia di morire e il desiderio di rinascere.
Ma allora come si fa? Io non ho la soluzione ma ho capito che bisognerebbe far emergere il nostro numero uno. E allora forse, in un ipotetico contratto con se stessi, non si dovrebbe scrivere: “Mi impegno a cambiare” ma: “Mi impegno a essere me stesso, fino in fondo. Costi quel che costi”.
Anna
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : APPROPRIAZIONE INDEBITA DEL TEMPO
Non lasciarti portar via ciò che è così prezioso
APPROPRIAZIONE INDEBITA DEL TEMPO
Non lasciarti portar via ciò che è così prezioso
Che costo avrebbe un’ora della tua vita , che prezzo gli dai, avrebbe mai il valore di una banconota da cinque o da cinquecento euro, di un diamante, di una manciata di pepite o vale poco meno di uno zircone ?
Il tuo respiro può valere meno di un pensiero, due parole, un foglio di carta, una preoccupazione
Il valore che diamo, dipende esclusivamente da quanto ci consideriamo, dalla stima e fiducia in noi e dalla consapevolezza corporea, intellettiva ed emotiva di chi siamo e che il nostro tempo è fugace, determinato e va speso a caro prezzo.
Il più grande reato che possa esistere, e che la giurisprudenza non considera, sarebbe quello di vincolare una persona accanto a se, ipotecando il suo tempo nel l’assenza di se e nell’attesa di un vivere impossibile che non c’è. il tempo è il bene incomparabilmente più prezioso, poiché limitato.
La persona furtiva, non sa di esserlo, lo è per inerzia, lui stesso è il suo stile di vita, è monolitico, è un coatto, ti contatta, ti impegna, chiede posto nei tuoi luoghi, nei tuoi tempi, usufruisce, prende, fagocita, non saluta e va via.
È una persona assente a se se stessa, una figura fastidiosa, ingombrante, indecisa, narcisista, snob, non parla mai di se, fa tante domande, carpisce, è indiscreto,a volte è in buona fede, delle volte subdolo, gestisce, è manipolatore.
La persona perditempo è un ladro del tempo altrui, non sa cosa sia organizzare, si organizza sul tempo non suo.È un cleptomane del tempo, dalla mano lesta, che prende manciate di istanti, giornate, anni altrui, non porta via denaro, uranio o oro, fa di più, PORTA VIA IL TUO TEMPO, PORTA VIA LA TUA VITA, irreplicabile, inestimabile, irrigenerabile .
Dovremmo poter ringraziare per il tempo che qualcuno ci regala, non c’è più grande riconoscimento se non per quello spazio dedicato a noi, in più, per quei gesti o quelle parole curate, in essi c’è l’essenza, l’ olimpo di se, il massimo prezioso, la divinità umana, un travaso di linfa.
Molto spesso il tempo viene squalificato, quando equivale a dire, passo il tempo, inganno il tempo, quando in effetti inganniamo solo noi stessi, passo il tempo a dormire, a dipendere da, dipendo da lei, vivo per lui, mi manca, sono solo espressioni di trasposizione di significati che gli altri hanno per noi, vivere per l’ altro in effetti è non saper vivere di proprio, riconoscendo di non aver di meglio se non appoggiarsi su ciò che in effetti non si ha.
L’ antidoto, è autoqualificarsi, autoemanciparsi. La vita sarebbe felicità, un puro piacere, solo se proiettati verso l’ autorealizzazione.Essa è saper ricercare instancabilmente la propria direzione, ovviando dalla squalificazione propria ed altrui.
La formazione dei sintomi come l’ ansia e la depressione e le diverse disfunzioni psicosomatiche sono tutte da mancata autorealizzazione ed autonomizzazione.
Alle volte diventa quasi regolare lasciare che certi ci schiavizzino atomi e perle di energia di vita, attraverso quel potere che noi stessi attribuiamo loro, offrendogli una prelazione, un diritto ipotecario sulla propria esistenza.
Quanta svalutazione in un atto mancato, in un lapsus, in uno, scusa mi son dimenticato o, ho perduto il post it, o nell’ aver dato copiosamente l’opportunità di usufruito gratuitamente di una direzione professionale, per sentirsi poi dire che non ce n’ era effettivamente bisogno: tutti furti di irripetibili risorse di energia di tempo.
Il nostro Tempo è Energia è Vita è capacità di dare e conquistare spazio è consapevolezza di presenza ed assenza di esserci è assentarsi, il nostro tempo è poter fare o non è visibilità e tangibilità è poter dire È o non è.
Il denaro avrebbe quel valore simbolico e la metafora del rispetto del tempo altrui, servirebbe da consapevolezza che la vita ha un certo valore, sarebbe la metafora di un qual si voglia scambio di risorse, rappresenterebbe il ripristino di quel discreto buon senso per frenare certe pretese furtive.
Anche una parola scritta o parlata, un gesto o un atteggiamento condiviso, ha un suo grande significato, a volte dovremmo pagare per dare più senso alle cose.
Gli esseri umani sono a favore della gratuità della condivisione, ma all’interno dell’economia della logica dell’ apprezzamento. I gesti apprezzati deducono il loro giusto valore, se poi attivano per giunta dei cambiamenti.
Risolvere un problema, ripristinare un equilibrio, un benessere, sciogliere una angoscia, un sintomo, ha un valore inequivocabile, servirebbe la coscienza per apprezzare il suo potere atomico, la consapevolezza viene data dal prezzo che si paga non solo in termini economici, ma di sofferenza personale.
Molti consumano sofferenze e denari, ma senza alcuna risoluzione e soddisfazione personale perché non direzionati al cambiamento.
Ne va di mezzo l’ efficacia della propria qualità esistenziale. La risoluzione è la realizzazione e il recupero del proprio tempo.
Quando invece si è coinvolti in una storia, non si dà solo il proprio tempo – vita, ma si dà tanto e molto di più , l’ anima, che è il nettare del proprio tempo, attiva la trasformazione perché si fa formazione, che induce la crescita, la stabilità, la realizzazione, il senso, la via.
Noi Cambiamo l’ esistenza altrui, quando condividiamo pezzi della nostra anima.
In energia nulla si perde, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.Facciamo in modo che venga rispettato il proprio e l’altrui tempo, perché non è solo di esso che si parla, ma della energia della vita stessa che ci cambia.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : VIVERE LIGHT DI GIUGNO. LA DISFUNZIONE ERETTILE
Disfunzione erettile, Proviamo a sdrammatizzare
VIVERE LIGHT DI GIUGNO
Disfunzione erettile ? Proviamo a sdrammatizzare.
Uomini, è arrivato l’ erettometro ! No, non fatevi ingannare dal nome, non parliamo di un prodotto elettronico. Quanti di voi pensavano di avere una fidanzata o una moglie e alla fine si sono ritrovati fra le lenzuola una donna-erettometro ?
É la tipica persona portata ad analizzare con acribia scientifica ogni vostra reazione psico-motoria durante il rapporto sessuale con conseguenze disastrose.
Ci sono donne che, attraverso sofisticati sistemi comparativi e assonometrici, vagliano la consistenza deil’erezione penica, secondo una scala numerica che va da 1 a 5.
5 e’ il valore massimo: piena erezione, virile, appagante per i due partner, elemento im- prescindibile per un coito perfetto.
4: livello standard, la maggior parte dei rapporti si svolgono a questo livello.
3: qualcosa non va, il rapporto viene portato a termine, ma il problema viene segnalato al partner, dal vivo o tramite sms, con una critica comparata alla ricerca delle cause di questo inatteso indebolimento della consistenza penica.
2:panico generalizzato, |’erezione si perde in itinere. L’erettometro percepisce e non gra- disce, il che implica una serie di reazioni più o meno scomposte.
Riportiamo di seguito le statistiche degli argomenti più adoperati in questo tipo discussioni: 67% non ti piaccio più, ti sei già stancato di me; 59% non sono abbastanza brava; 30% hai unaltra; 12% ti piacciono davvero le donne o sei gay?
1:livello Caporetto (il gioco allusivo è sadicamente voluto); non solo l’erezione non si veri?ca, ma stando alla testimonianza di alcune donne, il pene parrebbe addirittura rimpicciolirsi! È l’ assenza e il rifiuto del rapporto.L’erettometro va in tilt.
Scherzi a parte… Alla fine del nostro discorso, è bene però fermarsi e porsi delle domande. Dove è’ finito l’amore, in tutto questo? Quello che scherzosamente abbiamo chiamato “erettometro” analizza ciò che qualunque donna nota, dando a quelli che magari sono solo dei dettagli, il peso di macigni.
Soffermarsi su questi dettagli avvia un meccanismo dal quale non è facile slegarsi, trasformando ogni occasione intima in una frustrante e inappagante sessione d’esame, dove da un lato c’è un alunno in ansia e daI|’a|tro un’insegnante pronta a giudicare ogni passo falso.
Nella vita, gli esami non ?niscono mai, ma forse sarebbe bene tenerli fuori dalle coperte.
Il sesso è af?atamento, e’ appagamento. Non un esame da superare.Ecco dunque un’analisi semiseria di quello che accade quando una donna diventa giudice in?essibile della prestazione del partner…
CONSIGLI PRATICI PER LEI
Da non dire: non mi fai sentire donna; non ti piaccio abbastanza; fatti curare; è colpa tua; mi viene l’ansia , ti piacciono altre donne; non ti preoccupare (la condiscendenza e la “compassione” possono scatenare l’effetto opposto di quello che si vorrebbe ottenere!)
Cose Da fare: non colpevolizzare; evitare l’aggressività; non svalutare; manifestare reale serenità; manifestare partecipazione alla persona e non all’atto sessuale in sé; non concentrarsi sulle prestazioni e sull’atto , ma sulle coccole e i preliminari, rilassandosi realmente;
AMORE SENZA ANSIA: LA PRIMA SOLUZIONE La disfunzione erettile è un fenomeno di natura ansiogena ed è ben noto che chi non si sente preparato prima di un esame rischia di fallire proprio a causa dell’ansia .
Il nostro corpo è una macchina quasi perfetta, ma noi non siamo delle macchine, siamo esseri umani: quello che ci circonda ci condiziona, sempre. Ricordiamocelo, ogni tanto.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : IL MORALIZZATORE
Se le regole diventano più importanti dell’amore
IL MORALIZZATORE
Se le regole diventano più importanti dell’amore.
Il Moralizzatore è quello che punta il dito. Quello che dice “questo si fa e quello non si fa”,”questo va bene e quello no”. La voce del provinciale, del micro encefalo.
I genitori del Moralizzatore sono di madre religiosissima, di Bigottismo Popolano, da bravo figlio gli presterà obbedienza incondizionata per tutta la vita, perché è così e basta.
Zero ribellione, zero personalità, zero io, zero rispetto, sottomesso all’ imperante deus incontestabile.
Realizza sin da piccolo, se non sottomesso, non sarà degno di carezze, che non sarà accettato come vorrebbe, non sarà amato, tormentato dai loro litigi.
Cresce secondo regole e impara che tutto quello che è al di fuori di se è sbagliato ed è male. Le regole dettano il passo all’ amore.
I suoi crede che siano dei rottermeier, quelli della santa inquisizione, i senza scampo, della caccia alle streghe, sente come predestinazione il rogo per bruciare per ciò che è , coi suoi perché, a vantaggio della pubblica umiliazione.
Lo sbeffeggiamento del peccatore. Il giudizio impietoso di chi non risponde ai suoi santi canoni.
Per le donne è molto dura, esse sono tutte peccatrici, delle puttane se sono se stesse.
Diventare la donna del Moralizzatore è un attimo: dopo la prima volta a letto, se ti esprimi, non sei più sua.
Diventi di proprietà, se non ti esprimi. Da questo momento non devi più:
1.avere amici maschi. Gli uomini sono tutti porci che vogliono solo portarti a letto, specialmente i tuoi amici, e quindi se stai in loro compagnia vuol dire che sei provocante. Se sei donna, sei un problema.
2 parlare con i maschi in genere, se nemmeno sono tuoi amici, perché, scambiare due parole con loro ? Allora sei tu che ci provi ?
3.uscire senza che lui sia presente ? Impensabile. Saresti una rimorchiatrice. Le amiche non sposate sono delle adescatrici che ti vogliono trascinare nel tunnel della perversione.
4.Indossare un abbigliamento femminile in sua assenza? Non siamo fatte per il nostro fascino femminile . Vuoi mica mettere una gonna, fare un make up, indossare una parure o una lingerie, apprezzano gli estranei, per lui invece tutti accessori da zoccole .
E così se resti nei suoi sacri parametri te ne puoi stare col tuo bel Moralizzatore a vivere la felice vita da ameba
Dio non voglia che un giorno esci dal torpore, capisci che non ne puoi più e vuoi chiudere. Tu, meschina ingannatrice, maestra del raggiro e del tradimento.
Tu sei sua,come puoi voler andare altrove?! Come osi volerti sottrarre alle sue grinfie amorevoli? E’ chiaro che c’è un altro. Se non vuoi più stare con lui è ovvio che l’unico motivo è che sei una cagnaccia della peggior specie che lo abbandona per andare a darla ai quattro venti.
Meriti di bruciare all’inferno e lui sceglierà un’altra pecorella santa da accudire. Santa davvero, non come te donnaccia infame, una che cioè risponda alla vita di obblighi, privazioni e doveri che lui vuole per sé e chi gli sta accanto.
Ma chissà poi quanti Moralizzatori non venderebbero l’anima per avere tra le mani le peccatrici che pubblicamente accusano.
Heidi
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Dido Brava Heidi!!! ….è così VERO e da “brivido” questo articolo… Perché ce ne sono TROPPI così… 🙁 …è un incubo che diventa realtà e se non scappi in tempo, l’egoismo di questo “moralizzatore” MALATO, potrebbe costarti la vita o rovinartela per sempre…. È una lotta impari, è vero. Ma se le donne lavorassero di più su se stesse, sul proprio amor proprio e sulla propria autostima, lo riconoscono in tempo e ne escono forti e da LEONESSE!!! Perché l’AMORE VERO è una CAREZZA ad occhi chiusi. Non una GABBIA!!
ContinuaSOCIOFOBIA E LA PAURA DEL GIUDIZIO UNIVERSALE
Sociofobia, Un viaggio tra una solitudine sospettosa, la vergogna di se e il giudizio universale. L’ esperienza di Romolo
SOCIOFOBIA E LA PAURA DEL GIUDIZIO UNIVERSALE
Un viaggio tra una solitudine sospettosa, la vergogna di se e il giudizio. L’ esperienza di Romolo
Il timore del giudizio, è un giudizio subito che diviene paura di se . L’ esperienza di Romolo.
Qual’è il mio problema? Il mio problema, che si ripete in ogni momento della mia vita, è la certezza dell’esclusione sociale.
Ho 35 anni e ad oggi mi riesce ancora incomprensibile capire come si possa stare a proprio agio e piacevolmente in mezzo alla gente e riuscire ad andare oltre un semplice rapporto formale.
Riuscire a fare questo sarebbe per me una cosa fantastica e preziosa. Infatti le rare volte che mi sono sentito amato ho provato una sensazione di euforia, anche un po esagerata.
Fatto sta che la mia normalità è una solitudine sospettosa e, a volte, rancorosa. In ogni contesto mi sento un ospite, un intruso inadeguato alla circostanza e irrimediabilmente destinato all’esclusione e all’emarginazione.
Vedo nascere intorno a me amicizie, simpatie, reciproci gesti di affetto, di stima e considerazione di cui sono un rassegnato spettatore.
E questo succede praticamente da sempre. Mi sono convinto e ne ho la sensazione che la gente, al di fuori dei rapporti di lavoro ed economici, pensi di me che sia un disadattato e un mezzo deficente.
Il guaio è che, con il tempo, sono diventato d’accordo con questa opinione che, anzi è diventata anche un comodo alibi per chiudermi ancor di più in me stesso.
Mi vergogno di me e cerco di sembrare “normale” ma ho una gran paura di crollare davanti a tutti come mi è successo in terapia. Ho annullato ogni mio desiderio perché penso “fa niente tanto non lo merito” e diniego ogni possibilità di incontro per paura di provare di nuovo quella sensazione di esclusione.
Penso sempre di non essere interessante e di non avere niente da offrire agli altri e, al contrario, sono affascinato dalla capacità di relazionarsi, nel reciproco rispetto, che vedo nelle persone.
Non dico mai di no per paura di essere abbandonato per punizione anche a costo di calpestare io stesso la mia dignità. E il rancore dentro di me aumenta. Ho vissuto e vivo solo per adempiere un dovere.
Dovere che è per me una missione che appaga il mio desiderio di dare e di fare qualcosa per gli altri in genere e per ottenere quella briciola di affetto e considerazione che mi è indispensabile per andare avanti e dare un senso alla mia vita.
Questo è il mio modo automatico di ragionare e la visione che ho della realtà. Spero si possa fare qualcosaComunque Sono proprio contento per la prima seduta di gruppo di oggi. Grazie. Un abbraccio . Romolo
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La paura che hai del l’esclusione sociale è quella di sentirti un disadattato ed un deficiente, ti dimostrerò che sono solo tue interpretazioni delle relazioni e sono dettate dall abitudine all’ evitamento degli altri, tanto da aver inibito le tue innate competenze relazionali.
Abbiamo due opportunità di uscire, sulla base di una autentica spontaneità, dal nostro isolamento, quando siano presenti nostri interlocutori, uno è esprimere ciò che pensiamo, l’altro è esporre ciò che sentiamo del momento.
Ti porterò lontano da questa tua falsa credulità, attraverso la psicoterapia del Cerchio .
Se mi segui ce la facciamo, ne sono più che convinto. Mi devi soltanto dedicare quelle 2 ore alla settimana e vedrai, un gradino per volta, chi la dura la vince e il giudizio universale lo lasceremo solo al cielo.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : PER VINCERE, NON LA COMPETIZIONE, MA IL PIACERE
Se il tuo numero due è severo, perdi
PER EMERGERE, NON LA COMPETIZIONE, MA IL PIACERE.
Se il tuo numero due è severo, perdi.
Nelle concitate giornate della mia vita cerebrale con molta e ripetuta frequenza, innumerevoli pensieri popolano le mie attività. In due momenti in particolare, però, questi pensieri diventano particolarmente persistenti: durante la notte e durante una sfida.
I pensieri della notte, le ansietà, le paure sono come un guanto di velluto che stringe, mai troppo e mai troppo poco, il mio collo, smorzandomi il respiro, quel tanto che basta da creare un disagio, ti svegli, ti agiti un po ma per la notte esistono tanti metodi per sopperire alla carenza d’aria, la notte basta cercare di dormire, la chimica fa il suo dovere ed un buon libro aiuta.
Il vero problema, per me, è durante una sfida.
Per passione, per piacere ed a volte per dovere pratico l’arrampicata sportiva ( il bouldering per esattezza ) ad un livello medio alto, uno sport che richiede forza , tenacia, sacrificio equilibrio e serenità, ho imparato negli anni che tu sei come scali ! Se scali bene stai bene, la tua vita va bene, se scali male stai male, la tua vita va male!
Molto spesso mi ritrovo in competizioni siano esse pro o semplicemente amatoriali in cui affiora il senza volto colui che molti chiamano IO , ma che io chiamo solo “stronzo” ovvero il numero due.
E’ un amico atroce, il numero due, può stare zitto a lungo e parlare al momento giusto per ottenere il risultato desiderato, ottenere la mia caduta, la mia non riuscita .
Molte volte è capitato di trovarmi a dover sostenere una finale di gara ed in quel contesto già mangiato dall’ansia da prestazione, seppur immerso in questa fragilità, eseguo comunque i miei movimenti decisi, per raggiungere il TOP, il culmine della mia scalata, ed è li, nel momento in cui, la tenacia si distrae che il numero due striscia ed affiora, è li che il numero due sussurra:
” ma che fai vai al top, ma dai non ce la fai, stai per cadere, non lo puoi fare, stai per cadere, sei stanco è normale, tranquillo tanto nessuno ti dirà niente, hai 37 anni, questi sono più giovani di te che ci vuoi fare? hai già fatto abbastanza , molla ..lascia perdere..”
e che cosa volete che succeda, che lui vince e mi convince , io cado.
Per terra, seduto sul materasso, tutte le sue giustificazioni, quelle che lui ha sussurrato, sono solo un palliativo e non alleviano la mia frustrazione anzi la incrementano; mi portano ad ammirare la freddezza degli altri ed a denigrare la mia scarsa lucidità durante il momento della sfida, lasciando la mia testa al buio, intrisa di pensieri colpevoli di giustificazioni inutili.
In questi momenti la mia passione per questo sport diventa un dovere, la gabbia in cui questo “stronzo” mi rinchiude, facendomi sentire prigioniero delle mie paure .
Il numero due diviene il carceriere, detentore della mia agilità, della mia grazia e della mia determinazione, mi fornisce illusorie motivazioni agganciate al successo o all’insuccesso di ciò, o di chi mi sta intorno, dandomi come cibo il confronto con me stesso e con gli altri, cibo salatissimo e da bere tutte le infinite scuse di cui egli è portatore, una bevanda amara ,un pranzo veramente di merda!
E questa gabbia ha un nome, si chiama paura dell’insuccesso, paura di non essere amato dagli altri o meglio paura di essere amato per quello che faccio…e come posso essere amato se quello che faccio è solo cadere…
perchè faccio quello sono o sono quello che faccio e quello che faccio è solo cadere …solo cadere…
Non ha valore il sudore dell’allenamento, la preparazione, la sensazione emotiva , la magnesite tra le mani , la comprensione del movimento, la fatica del momento, l’impegno nella gestualità, no, niente di tutto questo ha valore, l’unica immagine è la proiezione dell’insuccesso, di un momento che ancora non c’è stato ma che a breve avverrà, la realizzazione della profezia che si avvera ancora ed ancora ed ancora…
In questa metodica litania il valore di me, la parte bella quella che vive di e nelle cose belle, che sorride alla sua unicità in quanto uomo in quanto uguale ma diverso ed inconfrontabile, il numero uno, la materia spirituale di ciò che sono, si spegne, anzi la spengo, è innegabile la parte buia di ognuno di noi è sempre molto forte.
Non ho trovato, “ancora”, un modo per sbarazzarmi del numero due e dar voce al numero uno ma ho deciso di allenare la mia mente mentre alleno il corpo, rispondendo al numero due con le sue stesse armi e combattere. Non so quanto tempo ci vorrà, so che sarà difficile debellare il lato oscuro della forza , se per farlo George Lucas ha fatto 7 film non mi aspetto di metterci di meno ma voglio partecipare con tutto ciò che sono, con tutto ciò che di bello ho da offrire a me stesso ed al resto.
cercherò di accettare questa sfida gestendo la sfida dentro se stessa, chiamando lo stronzo per quel che è, non IO ma solamente stronzo! …. [continua…]
Cisco
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : LA SPONTANEITÀ
Vivere sani è vivere spontanei
Vivere sani è vivere spontanei
Spontaneità, elogio della pazzia
Magari ci fossero veri matti
La spontaneità è la tendenza abituale a comportarsi con naturale franchezza e immediatezza, senza finzioni e senza falsi ritegni. Sinonimi: naturalezza, semplicità, sincerità, schiettezza, franchezza, genuinità.
Io aggiungerei pazzia. Sì, perché spesso nella vita di tutti i giorni fare quello che ci suggerisce l’istinto più sincero e naturale, risulta essere agli occhi degli altri chiaro sintomo di squilibrio rispetto a regole, valori e consuetudini che qualcuno prima di noi ha deciso di farci ereditare, come una sorta di debito pubblico emotivo.
Genitori, amici, compagni di vita, modelli educativi, lavoro, religione, istituzioni sociali ci condizionano dall’esterno, fino a penetrare nel terreno carsico che è il nostro Io, col rischio di inquinare le falde acquifere. Più siamo “carsici” e più ci allontaniamo dalla nostro sentire.
Samuel Beckett sosteneva che “Nasciamo tutti matti, qualcuno lo rimane”. Il problema vero del vivere è che i matti sono sempre più merce rara rispetto ai sedicenti sani. Il sano è il rettificato, il messo in riga, il livellato, la tabula rasa, il rallentato, lo scontato il piatto.
Il sano non è ironico, creativo, ha poco da raccontare, parla solo dei pazzi, dei loro protagonismo, vive di loro e tanto poco di suo.
Rimanere un po’ matti, ci aiuta ad essere sereni. Diamoci alla pazza gioia! La saggezza popolare definisce questo modo di essere “avere la guerra in testa”.
La differenza tra la spontaneità e il cappio delle aspettative nostre e altrui ci impediscono di essere noi stessi, di spiccare il volo come uccelli, invece di fare solo lunghi balzi, goffi e irregolari, come tacchini rinchiusi in un’aia.
In ogni situazione dovremmo cercare di dare sempre più spazio al “numero uno”, lasciando il geometra “numero due” a casa o in ufficio.
Impresa non facile, ma intanto si può iniziare col sentire la voce interiore, provando ad esternare sentimenti negativi e positivi, desideri e risposte, anche estemporanee e sopra le righe.
La forma più sublime di spontaneità è l’ ansia e l’ironia. Con l’ansia dici sempre quello che senti, con una battuta puoi seppellire una montagna, e ogni volta che si ride di qualcosa con uno sberleffo arguto, avviene il piccolo grande miracolo della creatività che ti fa dire “ma in fondo chi se ne frega, ogni problema è una soluzione”.
La spontaneità ha come sinonimo in rima anche la creatività. Tutti siamo dotati di sensibilità e intelletto, che ci rende artisti in qualche modo. Vivere è un arte, c’è un dandy in ognuno di noi.
Ma spontanea è anche la rinuncia alla diplomazia che rasenta la “democristianità”, retaggio di una cultura popolare che fa del quieto vivere e del “una parola in meno e ti ritiri a casa” , un mood che rende finta tutta la nostra esistenza.
Piuttosto che implodere, è molto più igienico esprimersi anche con un bel “vaffanculo” o un “mi sono rotto il cazzo”. La spontaneità non bada molto alla forma, è irriverente, tiene solo conto solo del vissuto.
Certo, se il numero uno o numero due arrivassero a coincidere, non so quali conseguenze si potrebbe avere sul vivere sociale.
Un aumento delle querele per diffamazione? O meglio ancora degli omicidi? In quest’ultimo caso si potrebbe anche cinicamente parlare di ammortizzatore sociale, perché in un periodo di crisi economica e disoccupazione, ridurre la popolazione sarebbe un rimedio contro la scarsità delle risorse, come teorizzava il reverendo ed economista Thomas Robert Malthus.
Ma lui predicava anche l’astinenza sessuale, come rimedio anti crisi, ma questo non va bene per che siamo fatti per essere spontanei nei sentimenti e nella sfera sessuale. Quindi lasciamo stare Malthus e i suoi deliri.
Anche nella sessualità bisogna recuperare la dimensione della propria spontaneità, vivendo tutto in sintonia con i propri desideri e le proprie emozioni, ed uscendo dal concetto della prestazione sportiva agonistica che usa l’erettometro al posto del desiderio, come strumento di misura delle performances.
Una lezione di spontaneità ci viene dai bambini e, appunto, dai matti. Ritrovare la parte ludica e fantasiosa ci avvicina a queste due dimensioni, forse le più sincere della natura umana. Quindi quando ci sentiamo dire “stai cambiando”, “ma sei pazzo ?!”, “sei come un bambino”, probabilmente siamo più a fuoco sul “numero uno”.
Anche quando ho dovuto accingermi a scrivere queste righe, l’ansia anticipatoria, mi ha fatto venire una sorta di blocco dello scrittore. Poi ho deciso di lasciar perdere, fare una doccia, e così ho dato la stura al “mio schifo”, ai pensieri.
Spontaneità avrebbe voluto che non avessi riletto e corretto il testo, lasciando tutto al flusso di coscienza e tralasciando i refusi. Non ce l’ho fatta, lo ammetto. Il perfezionismo del geometra “numero due” ha fatto capolino.
Ma sono i refusi che rendono interessante la vita. Sii un refuso, sempre, mi dico, uno sbaglio della grammatica, una indecenza linguistica, un balbettante delle cose indicibili, lascia parlare lo sbaglio delle emozioni palpitanti che varcano gli orizzonti oltre la nostra conoscenza finita.
giorgio burdi
ContinuaUN MURO DI GOMMA
VIVERE SENZA EMONIONI
Il muro di gomma
E i sentimenti che rimbalzano come palline da tennis
Quante volte nella nostra vita abbiamo invidiato quelle persone che hanno la capacità di farsi scivolare addosso le discussioni che si affrontano quotidianamente in famiglia, con gli amici o sul lavoro?
Forse abbiamo anche pensato quanto ci piacerebbe non dare peso, semplicemente lasciare che gli altri si sfoghino per poi continuare con la solita routine.
Non neghiamolo, molti di noi almeno ogni tanto vorrebbero essere un muro di gomma, con quella sensazione di calma e serenità che accompagna questo modo di essere.
Ma se proviamo a scavare più in fondo ci accorgiamo che spesso quel muro non è poi così sereno.
Il muro di gomma, sul quale gli eventi esterni rimbalzano come palline,, a lungo andare può nascondere dei lividi.
Rifiutare il confronto infatti comporta un grosso rischio: gli sfoghi degli altri iniziano ad espandere i loro confini. Parenti, amici e colleghi possono iniziare istintivamente a trattarci come quelli sui quali si può vomitare addosso qualunque rabbia o frustrazioneperché, non reagendo, diamo l’impressione di non accusare il colpo.
Ecco che noi diventiamo martiri di noi stessi.
E dato che purtroppo moltissime persone intorno a noi sono frustrate, il boccone per chi ci sta intorno diventa ghiotto e noi iniziamo a ingoiare il malessere degli altri, fino a quando anche la nostra misura non è colma e magari esplodiamo facendo ancora più danni.
Non è sano per il nostro benessere mentale accumulare rabbia senza reagire. Per spezzare questo meccanismo dobbiamo convincerci che abbiamo il diritto di far conoscere a chi ci sta intorno i confini del rispetto reciproco. Gli altri non possono sapere fin dove spingersi fino a quando non siamo noi a dire basta.
Non è necessario urlare o buttare tutto all’aria. Sicuramente a volte litigheremo, l’importante è cercare il dialogo e comunicare quello che pensiamo.
Imparare a reagire con intelligenza e a manifestare il nostro disagio ogni qualvolta che sentiamo di essere stati trattati ingiustamente ci aiuta a non accumulare rabbia e a vivere le relazioni in maniera più equilibrata.
Fare il muro di gomma inoltre vuol dire che non riteniamo gli altri degni del confronto. A volte può essere utile ma dobbiamo considerare che:
– Nel caso delle persone care non si dimostra più affetto o stima incassando e tacendo, se riteniamo il nostro interlocutore intelligente e degno di stima, abbiamo il diritto-dovere di fargli conoscere i nostri pensieri e di instaurare un rapporto più vero;
– Nel caso di relazioni in cui siamo un po’ costretti ad una frequentazione che non ci interessa molto (ad esempio in alcuni rapporti di parentela) abbiamo l’opportunità divivere la relazione in maniera più sana ed equilibrata
Come si inizia?
Il problema è che prima di tutto dobbiamo concederlo a noi stessi. Se non sentiamo di meritare rispetto, gli altri si comporteranno di conseguenza.
Quando invece noi per primi ci rispettiamo, verrà più naturale farlo capire anche agli altri.
Concedere a noi stessi la libertà di parlare e di esprimere il nostro disagio è la chiave per non accumulare rabbia e frustrazione. La sensazione che stiamo lasciando agli altri il potere di farci quello che vogliono è distruttiva e generatrice di somatizzazioni.
Non dimentichiamo inoltre un aspetto molto importante: se ci alleniamo costantemente a diventare un muro di gomma per difenderci dalla rabbia, corriamo il rischio di diventare muro di gomma anche verso i sentimenti positivi e le emozioni. Se adottiamo un atteggiamento di chiusura potremmo non essere in grado di usarlo solo quando serve come un interruttore, potrebbe investire anche gli aspetti belli della nostra vita privandoci della capacità di godere delle cose che amiamo.
Dobbiamo invece allenarci all’equilibrio, alla gestione del flusso continuo di emozioni esternandole, belle o brutte che siano, come in un processo osmotico tra noi e gli altri, con la consapevolezza cha abbiamo il diritto di dichiarare i nostri confini e di meritare il rispetto che diamo.
gabriella o
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : LA CONSULENZA PER LE PATOLOGIE PSICOLOGICHE
Avvocato Pepe e l’ esercizio abusivo della professione di psicologo
LA CONSULENZA PER LE PATOLOGIE PSICOLOGICHE È RISERVATA AI PROFESSIONISTI ABILITATI: ALTRIMENTI SI INCORRE NEL REATO DI ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE
La Cassazione, con una recente sentenza , affronta il tema delicato dell’esercizio abusivo della professione nell’ambito delle patologie di natura psicologica.
Secondo la Corte infatti anche una semplice consulenza deve essere fatta soltanto da uno psicologo iscritto all’albo.
L’utilizzo di altre definizioni, simili a quelle di psicologo, non solo non ha valore legale bensì fa scattare il reato di esercizio abusivo della professione.
Nel caso in esame della Corte, il soggetto era stato condannato perché si era qualificato con la definizione di “psicosomatista di impresa” sul proprio sito internet.
Tutte le patologie di natura psicologica sono riservate agli psicologi in quanto sono molto rigidi i paletti posti dalla legge relativa all’esercizio della professione: è sempre necessario essere laureati e specializzati in psicoterapia nonché regolarmente iscritti al relativo albo.
Quindi la Cassazione ha confermato la condanna, per il reato di cui all’art. 348 cod. pen., per aver esercitato abusivamente una professione intimamente connessa con quella di psicologo, nonostante la ricorrente abbia sostenuto di aver esercitato, l’esercizio della distinta attività di counseling psicologico, sottratta all’inquadramento in un Ordine.
STUDIO LEGALE
Avv. Giuseppe PEPE
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