Settimanale Psicologo Roma : LA FELICITÀ È NEL NULLA
La Felicità è non voler diventare qualcuno perché Qualcuno già lo siamo
LA FELICITÀ È NEL “NULLA”
Dichiarare una cosa del genere significa sentirsi dire sistematicamente: “Perché? Che è successo di così straordinario?” Con un enorme sorriso io risponderei “Niente”, e non mentirei.
Non è accaduto niente di diverso dall’ordinario, niente che qualcuno possa considerare speciale, o diverso, o un evento immensamente felice.
E’ il giorno più bello della mia vita, perché per la prima volta mi sono davvero soffermata a guardare ciascuna delle semplici, apparentemente scontate, cose che ho fatto, per poi accorgermi che sono proprio quelle piccole cose a fare di me la persona più felice del pianeta.
Stamattina l’ho passata con un amico che mi porto accanto dal passato, dalla mia vecchia vita, e poi con un’amica che ho conosciuto quando ho deciso di stravolgere il mio avvenire andando via da Bari.
Ho oscillato con assoluta naturalezza tra un mondo vecchio e prezioso e un mondo nuovo, perché, anche se non ci penso mai, sono stata capace di seminare amore e fedeltà in entrambi.
Ho l’immenso privilegio di avere persone a cui importa sapere che io sia felice.
Dopo la mattinata sono andata a lavoro, al mio tirocinio. “Lavoro” per modo di dire, potrebbe dire qualcuno, vado lì a “sbattermi senza essere pagata”, a “caricarmi il dolore degli altri sulle spalle a gratis”.
Vado a tirocinio come ho fatto quasi ogni giorno per gli ultimi mesi, ma solo adesso mi accorgo che non ci vado affatto perché “mi serve” o “per l’università”, lo faccio perché ogni singola ora che ci passo mi avvicina alla carriera che desidero, e mi spinge più a fondo nell’abbraccio della mia vocazione più grande: trasformare il dolore degli altri in rinascita, e per capirlo ho dovuto morire e rinascere in primis io stessa. Non vado “a tirocinio”, vado a perseguire i miei sogni ogni settimana, e questo fa di me una persona tenace, determinata, come quelle che stimo così tanto.
Il tirocinio oggi si è chiuso parlando di suicidi, tragedie e inganni della gente. Eppure, mentre tornavo a casa, quando sono passata vicino a un uomo che mi guardava troppo intensamente, non ho pensato che potesse importunarmi o rubarmi la borsa. E non lo ha fatto.
Eppure, quando ho visto una mamma portare in braccio il suo bambino e gli ho sorriso come faccio a tutti i bambini (e a tutti i cani) che incontro, non ho affatto pensato che questo è un pianeta di merda abitato da un’umanità degenere, in cui è meglio non mettere al mondo più niente.
Ho pensato che per quel bambino c’è ancora tanta speranza di crescere meravigliosamente ed essere felice.
Ero quasi a casa quando ho notato che davanti a me camminava una ragazza con un culo cento volte più bello del mio, e una pancia piatta che io me la sogno. Di riflesso, avrei potuto tirare indento la pancia e ostentare una camminata fiancheggiante, “dopotutto se mi vede qualcuno, vicino a quella la, quanto cessa gli posso sembrare?”
E invece non l’ho fatto. Ho proceduto con la mia camminata goffa e con la mia pancia gonfiata da un pranzo di corsa a base di hamburger e patatine. L’ho fatto con fierezza, pensando a quando a Padova me ne vado a ballare danza del ventre, e a come mi faccia sentire una donna sexy seppure io sia piatta rispetto a tante donne e con le spallacce da uomo.
Ho ripensato a quando alle scuole medie mi hanno dato del transessuale, avevo il corpo, la faccia da uomo ai loro occhi, e su una cosa si sbagliavano di grosso: chissà quante centinaia di transessuali ci sono che sono molto più belli e femminili di me. Eppure, mi domando cosa avrebbero pensato al vedere che anche una donna senza forme e senza grazia, come me, può diventare sensuale a partire da dentro, a partire da uno spirito che è esso stesso femminilità pura, che io esprimo nella danza.
E stasera, che farò di speciale? Proprio niente, stasera la voglio passare tra le braccia dell’uomo che amo, a raccontargli la bellezza della mia giornata e ad ascoltare i suoi racconti, a cucinare insieme a lui una cena semplice, ad addormentarmi al suo fianco e, se sarò fortunata, al sentirlo che mi cerca e mi dice “buongiorno amore mio” anche se sono le tre di notte e fuori è buio pesto ma lui è un po’ sonnambulo e che ne sa. Un uomo che è dolce e romantico con me pure quando non è sveglio, pure quando non può controllarsi e pensare.
Un uomo che non mi ha mai fatto promesse sul futuro per non seminare illusioni, per farmi godere l’unico tempo che è vero: il presente. Un uomo che non mi ha mancato di rispetto una sola volta impedendomi di esprimere chi sono, che mi ha incontrata che ero in pezzi e non mi ha mai voluta salvare, perché sapeva che sarei stata libera solo quando mi sarei rialzata con le mie sole forze.
Un uomo che non mi compra gioielli, ma che mi ha insegnato a sfoggiare il mio sorriso del quale, difettoso com’è, mi vergognavo come una ladra. Mi ha insegnato che le irregolarità non sono difetti, ma pezzi unici in rarità.Un uomo che non mi offre cene chissà dove, ma che mi cucina la mia torta preferita con quei due ingredienti semplici ogni volta che mi vede triste o cagionevole; che non mi sfoggia e non mi sminuisce, non mi ha mai voluta bella e perfetta: mi ha restituito la mia capacità di sentirmi tale, anche spettinata, senza trucco e con addosso un suo pigiama che mi sta quattro volte.
Tutto ciò che desideravo mi desse qualcuno, mi ha dato la capacità di trovarlo in me stessa, e mi ha riempita di ricchezze inestimabili: di condivisioni, di segreti, di difetti da amare, di sorrisi e risate, di gesti di amore sincero, di abbracci che durano minuti interi, di nottate a parlare di sciocchezze che sono importanti e di cose che credevo importanti e che ho scoperto esser sciocchezze, di salse e bachate da ballare insieme tra le luci accecanti della nostra discoteca latina, di baci che sanno di eterno e di un paio di ali tanto grandi che oramai il cielo mi sembra piccolo, con le quali vado dove voglio, con o senza di lui, perché lui mi ha dato soprattutto questo: la libertà di star bene anche con me stessa.
Oggi è il giorno più bello della mia vita. E prego chiunque di non odiarmi se sono così tracotante: è che sono talmente ricca da aver bisogno di regalare un po’ di questa luce a qualcuno, stasera.
Perché a degli occhi disattenti, potrebbe sembrare una vita mediocre; per chi conosce la mia storia può parere anche fin troppo dolorosa: io stessa l’ho creduto in passato, tanto a lungo da aver pensato di rinunciarvi per abbracciare l’oblio.
Ma oggi ho capito che dietro alle semplici cose che faccio e che vivo nella mia giornata, ci sono grandissimi significati, e messaggi, che raccontano di chi sono davvero. E chi sono davvero è tutto ciò che voglio essere. Anche se non sono una persona di successo, anche se non sono speciale, e non sono né bella, né particolarmente dotata di speciali abilità, anche se non ho scelto un futuro ambiziosissimo e mi nutro della mia umiltà circondandomi di persone altrettanto umili, anche se dovessi fallire mille altre volte e sentirmi l’ultima dei perdenti, io so dentro di me che non ho alcun bisogno di “diventare qualcuno” nella mia vita, perché io sono già qualcuno.
Sono quello che sono, nel bene e nel male, nel bello e nel brutto, nel mio passato burrascoso e nel mio terso presente.
E aver trovato me stessa, fa di me la persona felice e libera che sono adesso.
E oltre alla forza che traggo da dentro, ho un universo intero a mia disposizione intorno a me, e una vita di cui posso fare tutto ciò che voglio: non c’è niente che mi manchi per poter essere la persona più felice del mondo, oggi e ogni giorno.
In questa foto ho un sorriso che nessuno mi aveva mai visto addosso prima di quella sera. E’ la serata da cui tutto è cominciato, quella in cui ho incontrato l’amore della mia vita, e ho dato il via a un’infinita serie di gesti d’amore, anche verso quella persona che avevo odiato nel profondo e trascurato per così tanto tempo: me stessa.
gaia caputi
tirocinio psicologia padova
Settimanale Psicologo Roma : VIVERE LIGHT Settembre : BACI, ABBRACCI, PAROLE E CAREZZE
I preliminari più importanti del sesso
Dedicarsi allo scambio di tenerezze e baci nella fase iniziale del rapporto sessuale, rappresenta la massima espressione d’intimità, complicità e qualità relazionale all’interno di un rapporto di coppia.
Nel bacio, si ama l’anima del partner. Esso stimola la produzione di ossitocina, ormone che favorisce soprattutto nella fase dell’innamoramento il processo di attaccamento, fattore determinante per l’avvio e il proseguo di una relazione d’amore.
È uno scambio non solo fisiologico ma anche emotivo, che mette in relazione le persone senza filtri e barriere, perché è uno specchio sincero e trasparente che non ammette finzioni.
Il bacio, non mente mai: ciò che accade durante questo atto può rivelare la qualità di un incontro e delle sensazioni provate, può raccontare tutte le potenzialità, le affinità e l’essenza della coppia in procinto di scegliersi.
Il bacio è il selezionatore della relazione, è l’atto più intimo, rispetto al rapporto sessuale e alla penetrazione, rappresenta il gesto più elevato dell’attrazione e del richiamo verso l’attaccamento e il legame. È tanto più intimo baciare che avere un rapporto sessuale.Da esso si deciderà il destino è la durata della relazione.
Il significato primordiale del bacio risale a una delle fasi più importanti della nostra vita: l’ oralità e l’allattamento al seno materno, attraverso il quale non si ha solo il nutrimento, ma si sperimenta il primo contatto e attaccamento rassicurante verso la madre, fatto di coccole e calore.
Nell oralità del bacio c’è la fonte del nutrimento e dell’alimentazione dell’altro, ci si assapora l’un l’altro come cibo che nutre il proprio benessere. Il bacio diviene fonte di rassicurazione e rilassamento vitale .
Da un punto di vista erotico il bacio è un atto fusionale. È un entrare l’uno dentro l’altro, così come accade nell’amplesso, ma il bacio significa molto di più perché è innamoramento, amore e affettività.
La vicinanza indotta dal bacio aumenta l’affinità, esso è un detonatore del desiderio dell’altro La sensazione di benessere e di positività nell’ umore , vengono dettati e stimolati dalla produzione di dopamina, migliorano il coinvolgimento e acuiscono le sensazioni, anche grazie alle terminazioni nervose presenti sulle labbra.
Il bacio come le carezze sono un vasodilatatore, “un viagra” che dilata i corpi cavernosi, le grandi labbra predispone all’ eccitamento e al rapporto sessuale, accende la passionalità, favorisce il lasciarsi andare, la fiducia, e maggior senso di appartenenza e di godimento nell’amplesso.
E’ un invito al gioco, alla fantasia, all’esplorazione e al contatto di diverse zone erogene, alla conquista di nuovi “territori”, tutti ingredienti che fanno la differenza nei rapporti.
Perché baciarsi è anche lasciarsi andare all’altro, perdersi nel coinvolgimento e, soprattutto, ritrovarsi. Il bacio contiene l’abbraccio, che trasmette accoglimento, protezione affetto e vicinanza.
Una relazione senza abbracci e ne baci è una relazione assente, distante, lontana dall intimità. Non si può parlare di relazione, senza baci, rappresenterebbe una sterile convivenza tra conoscenti.
Cercare il contatto significa rinnovare la scelta, è riscegliersi dopo ogni distanza, un ritornare dopo ogni andata e rimanere dopo ogni scomparsa, rappresenta la riconciliazione, baciando il luogo della parola è il ridarsi la stessa parola come una conferma del legame .
Quando il rapporto si stabilizza, il bacio cede nel dimenticatoio. Il tempo dei lunghi baci, diventa una pratica appena accennata.
In genere, è frequente che siano gli uomini i primi a dimenticare l’importanza di questo gesto, probabilmente perché l’atto sessuale all’interno della coppia viene comunque garantito.
In tal senso perde la sua funzione di “coinvolgimento” e di conquista e, quindi, di attrattiva. Baciare per l’universo maschile, se diviene occasionale, è focalizzato ad un solo obiettivo.
Ma attenzione, se non baciate, perdete un fondamentale potenziatore del sistema immunitario e del benessere, grazie alla complessa stimolazione neurochimica, oggetto della gratificazione e della seduzione all’interno della coppia.
Tutti dovrebbero sapere che proprio nel bacio possiamo trovare le risorse per salvare il rapporto di coppia. I baci e gli abbracci rappresentano i primi preliminari di una terapia di coppia .
I baci possono essere inesigenti, ovvero, che non necessariamente devono portare ad un seguito sessuale.
Bisogna enfatizzare la sensualità anziché la sessualità e far diventare tutto un po’ più romantico e meno fisico, rimandando ad un piacere pre-sessuale, che è più eterno, rispetto allo stesso orgasmo limitante. Il Massimino del piacere sessuale consiste nel rinviare a lungo lo stesso .
Bypassare tale atto significa rinunciare al fuoco e accontentarsi di un contatto tiepido e deludente.
Chi non bacia, non vuole un legame, forse non ama o non vuole entrare, chi vuole entrare si abbandona, chiude gli occhi e contempla quel momento sublime .
guardare negli occhi e baciare il partner mentre si fa l’amore è la massima espressione di fusionalità affettiva
Come baciare ad occhi aperti, è voler godere della visione della passionalità del partner per se.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : LA TELA E IL RAGNO
C’ è chi si nutre di te
La tela del ragno è un marchingegno perfetto, una costruzione di precisione millimetrica. Assolutamente micidiale per le sue prede, poiché queste non la vedono da principio.
Si accorgono di essere state catturate solo quando ci sono già dentro, invischiate fino al collo.
Predatore subdolo, non attacca la sua vittima con l’aggressività dello squalo, con l’irruenza del leone, da cui una gazzella può sempre tentare la fuga. Il ragno è vigliacco.
Aspetta in penombra, senza mostrarsi. Se ne sta immobile, sembra che non faccia nulla di male. Lascia apparecchiato il suo inganno per poi godere della vittima raggirata.
Quante trappole ci sono state tese, con astuzia e grande minuziosità, perché così sottili che tanto non le avremmo viste?
Una madre che con la scusa dell’amore usa il figlio a suo servizio tutta una vita.
Un padre che ti porta a letto per la buonanotte e abusa di te.
Un uomo che col matrimonio ti rende sua proprietà e schiava dentro quattro mura.
Una donna che con una gravidanza inattesa ti lega a sé per sempre.
Un genitore che col senso del dovere ti fa prigioniero in una vita che non vuoi.
Meno letali di una tarantola velenosa? Proprio no. Ma neanche altrettanto infallibili, le loro trappole si possono sgamare.
E, cosa ancor più bella, ci si può liberare sempre. Anche quando ci sei rimasto dentro mani e piedi, anche quando sei così impigliato nella rete da non riuscire più a muovere un muscolo.
Perché a quel punto la trappola la vedi. Vedi il predatore per quello che è. E allora è un attimo, basta un soffio. Puoi soffiare sulle tue ali variopinte per spolverarle di quella tela appiccicosa che non ti faceva respirare, e finalmente spiegarle verso ogni orizzonte possibile.
E mentre te ne voli verso il sole puoi anche lanciare l’ultimo sguardo a quel miserabile subdolo ragno, che pensava di averti in pugno, e invece rimane a bocca asciutta.
Cosa mangerà, o se morirà di fame non importa, l’importante è che non si nutra più di te.
Aidi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : Il potere della leggerezza
Se vuoi salpare, togli le ancore
Il potere della leggerezza
Dal momento della nascita ogni essere umano interagisce con il mondo esterno esprimendo in tutti i modi i propri bisogni, manifestando la propria essenza incurante delle reazioni delle persone intorno.
Man mano che passano gli anni, iniziando a concepire l’esistenza di altre individualità, di ruoli e convenienze sociali, il bambino orienta i suoi comportamenti in vista di un ritorno, premio o punizione che sia.
Questo progressivo processo di adattamento alla società non si interrompe con l’adolescenza, periodo in cui spesso le regole vengono apertamente sfidate per spirito di contraddizione e, di conseguenza, indirettamente rafforzate.
La famiglia e le istituzioni religiose partoriscono ingiunzioni, ammonizioni e –peggio ancora – silenzi carichi di aspettative al fine di orientare la vita del singolo verso ciò che sarebbe giusto e rispettabile, al fine della loro stessa autoconservazione.
Anche ipoteri politico-economici, attraverso slogan e pubblicità, creano un mondo fittizio a cui adeguarsi, pena l’isolamento e la svalutazione sociale.
Il risultato è che la maggior parte degli individui vive in un latente stato di insoddisfazione, pesantezza, incapacità di esprimere la propria energia vitale. Troppo difficile rinunciare all’approvazione degli altri, alla posizione sociale, alla promessa di una ricompensa futura.
Succede a volte – però – che questi condizionamenti opprimono a tal punto da richiedere una presa di coscienza per un cambiamento e la conseguente scelta di comprendere chi siamo realmente, nella nostra unicità e irripetibilità.
Solo attraverso una piena consapevolezza possiamo mirare all’autorealizzazione e assecondare i nostri impulsi e passioni più profonde.
Abbandonare un lavoro sicuro che ci opprime, svilisce, offende, rinunciare ad un’etichetta che ci è stata imposta, agire secondo la nostra volontà incuranti del giudizio degli altri, sono alcuni modi per sperimentare la vera coscienza di sé e una inebriante leggerezza.
Abbattere gli argini, assaporare la vita nella sua imperfezione e perenne incertezza, essere pronti a mettersi in gioco senza rinunciare mai ai propri veri bisogni…perché non provare a farlo?
Il giudizio degli altri è sempre in agguato, il rischio di essere chiamati pazzi, immaturi, egoisti…anche. Ci verrà chiesto sempre un risultato, una prova “economica” della validità della nostra scelta.
Ma non è forse attraverso il sano egoismo e la creatività inespressa che possiamo realizzare la nostra “missione” e fare quello per cui siamo venuti al mondo?
Ci insegnano a compiacere gli altri, ma non possiamo andare d’accordo con tutti…il mondo è bello perché è vario. Le “brutte” parole esistono e vanno usate quando opportuno…un bel vaffanculo (nei luoghi e nei momenti giusti si intende) non ha mai ucciso nessuno.
Esprimere il nostro “numero uno” (l’essere reale dietro le maschere che spesso si indossano) ci consente di stare bene con noi stessi e in fondo, in questo modo, è più facile far stare bene anche gli altri intorno a noi.
The Director
ContinuaLa Stanza degli Specchi
La psicoterapia gruppo analitica
E il Cerchio dei Cambiamenti
Chiunque entri in un gruppo terapeutico, lo fa con un piccolo bagaglio di certezze a livello inconscio. Queste certezze sono tre: la propria identità, la propria visione del mondo la propria caverna, le sue ombre e il proprio “mostro arcaico”.
L’identità è ciò che crediamo di essere, quell’insieme di caratteristiche positive e negative che rivediamo come nostre e alle quali siamo affezionati.
La visione del mondo è quella che abbiamo sviluppato durante il nostro percorso di vita, condizionata soprattutto dal nostro background antropologico, sociale, familiare.
È un modo stabile di interpretare situazioni e attribuire significati all’esistenza, che ci impedisce di vedere significati differenti e pensare al di fuori del nostro schema abituale.
Infine, possiamo definire il “mostro arcaico” come l’insieme di tutti i nostri vissuti difficili, delle paure profonde, dei traumi. É una delle basi del nostro essere, una delle fondamenta più solide e radicate, che allo stesso tempo complica la vita ma permette di riconoscerla come propria.
È una parte oscura, inconscia, nucleo di ogni problematica interna, come una ferita originaria che segna l’individuo e lo cambia nel suo modo di vivere, pensare e sentire.
Tutti e tre questi aspetti sono molto difficili da mettere in discussione, e il gruppo terapeutico tende a fare esattamente questo.
Immaginate di trovarvi in un Luna Park, davanti all’ingresso di una di quelle che chiamano “case degli specchi.”
Ci entrate, è una stanca oscura, con luci particolari e tanti, tantissimi specchi tutti diversi, in grado di deformare la vostra sagoma nei modi più svariati.
Un primo specchio potrà farvi apparire più alti, uno più bassi, uno potrà schiacciare la vostra figura dando l’effetto di una pancia enorme, altri vi daranno grandi piedi e una testa minuscola, o il contrario.
Ecco: è così che si sente un individuo che si addentra in un nuovo gruppo, specialmente se si tratta di un gruppo terapeutico già formato prima del suo arrivo.
Una volta entrato, si accorgerà subito che gli altri membri sono come degli specchi capaci di deformare la realtà.
Quando ci si racconta in un gruppo, il vissuto presentato agli altri viene da essi interiorizzato, e “restituito” investito di caratteristiche proprie.
In poche parole, il racconto di un membro viene ascoltato dagli altri, che per certi aspetti lo sentiranno come proprio, per altri si differenzieranno da esso, e quando si esprimeranno circa ciò che hanno ascoltato, il contenuto non sarà mai identico a quello iniziale. Sarà diverso, arricchito delle caratteristiche e del pensiero degli altri, della loro esperienza in merito.
È come un puzzle di cui ciascuno possiede un pezzo, e che non può essere assemblato da una persona soltanto, seppure sia stata quella persona ad esprimere la necessità di volerlo completare.
Chi arriva in un gruppo con un problema, spesso possiede solo un piccolo cumulo di pezzi e ha una visione molto parziale della situazione, che non consente di cogliere la figura nel suo insieme.
Sarà nel confronto con l’altro che il problema potrà essere analizzato da molteplici punti di vista, e con il contributo di ogni membro del gruppo la figura apparirà finalmente completa.
Questa caratteristica dei gruppi si chiama rispecchiamento ed è un grandissimo fattore terapeutico.
Ma così come il problema raccontato può essere modificato, arricchito e, in un certo senso, manipolato dagli altri membri, allo stesso modo possono esserlo l’immagine di sé, la propria visione del mondo e il “mostro arcaico.”
Ognuno si racconta per ciò che è convinto di essere, ma anche in quel caso gli altri membri del gruppo rimanderanno immagini che sono diverse da quella originaria, e questo può essere vissuto come molto destabilizzante, e in un certo senso inquietante.
Immaginate di vedervi deformati davanti a uno specchio, e di non sapere se è effettivamente uno specchio deformante o se, invece, è una riproduzione fedele.
È così che si sente chi entra in un gruppo, quando sopraggiunge la funzione del rispecchiamento: infastidito, destabilizzato, turbato. Noi cerchiamo sicurezza e conferma alle nostre teorie: spesso non vogliamo vedere prospettive diverse perché avere davanti una sola strada, anche se sbagliata, fa sentire più sicuri rispetto ad averne molte tra cui dover scegliere.
Abbiamo il bisogno di credere di conoscerci meglio di chiunque altro, e questa è, in realtà, una spinta che si oppone al cambiamento.
Quando la propria visione del mondo e di se stessi collide con quella degli altri, è facile sentirsi incompresi, non capiti e dunque distanti dal resto del gruppo.
In particolare, il parlare del proprio “mostro arcaico” può essere difficile per molti, proprio perché si teme che esso possa essere frainteso o sminuito dal gruppo: non si accetta facilmente che qualcuno giudichi o distorca l’immagine della propria sofferenza. Ognuno si sente infinitamente solo di fronte al proprio dolore, e in un certo senso tende a sua insaputa a preservare quella solitudine.
Il gruppo, tramite il rispecchiamento, ha il compito di far crollare tutte queste certezze, e di ricostruirle rinnovate e ampliate di molteplici punti di vista e prospettive.
Il suo grande potere non è quello di far apparire il mostro originario come più piccolo, o meno doloroso, ma di permettere a chi lo temeva di guardarlo nella sua interezza, senza più la stessa paura.
Ed è proprio per questo che, alla fine, chiunque resti in un gruppo abbastanza a lungo da permettere al rispecchiamento di agire indisturbato, ne esce con una mente completamente nuova, trasformata.
Comprendere meglio se stessi, pensare al di fuori dei propri schemi abituali e accettare che venga tolto potere al proprio mostro arcaico è la chiave per abbattere ogni disagio, e niente di tutto questo sarebbe possibile senza aprirsi al confronto con gli altri, gli specchi rivelatori della nostra stessa anima.
gaia caputi
tirocinante psicologia padova
Presso lo Studio Burdi
MANGIARE ABBRACCI
Gli abbracci servono a crescere
MANGIARE ABBRACCI
Se c’è l’ abbraccio si cresce.
Ci insegnano che l’addizione e la moltiplicazione siano operazioni matematiche differenti, distinte, come strade parallele vicinissime, ma destinate a non incontrarsi, a non sfiorarsi, a non toccarsi e a non cedersi mai il calore del proprio percorso vicendevolmente, perché condannate alla separazione per sempre .
Ma dove qualcuno vede disgiunzione, qualcun altro vedrà unione: capovolgendo quel + che diverrà un x , e trovando quel caso unico ove le due strade si uniscono, si baciano e in un letto d’amore riversano un risultato simile “2+/x2=4”.
Ebbene, sappi trovare nel tuo meraviglioso mondo quel caso unico al mondo dove la tua moltiplicazione, diviene un’addizione, e dove l’addizione si riversa nella sua moltiplicazione.
Nell’Abbracciare qualcuno questo fenomeno ha vita. Tutte le regole matematiche si confondono, tutti i principi fisici si annullano, e ciò che rimane è un vuoto colmo d’amore. Può un vuoto riempire a tal punto?
Nella vita ci sono attimi rari impressi nella mente, dove la dolcezza di un ricordo diviene un sapore, ed una canzone che tanto amiamo si trasforma in un’armonia di colori che luminosi irradiano intorno.
Ci sono momenti in cui il mondo si annulla e ci si ricorda d’ esistere, di guardarsi anche senza aver innanzi uno specchio, e s’impara a prendersi cura di sé.
Vi è un tempo per la nascita ed uno per la morte, ed entrambi recano con sé quelle note profonde che s’accordano e in sintonia danzano, lasciando l’ebrezza di un vento gelido d’estate o del calore d’un focolare in una casa sazia d’amore.
Adesso immaginate di sommare tutte le melodie più belle, i tempi più dolci della vostra vita ed anche quelli più oscuri, i ricordi più antichi ed i sogni futuri, i sapori più buoni, e quello che di afrodisiaco la vita vi ha donato, unitelo, ed insieme otterrete= l’Abbraccio.
Un fenomeno che molti scienziati s’ accingono a studiare, a spiegare, ed altri a raccontare con le parole. Parole però sempre troppo vuote e prive del senso, per realizzare o commentare qualcosa che solo vivendo può descriversi.
È come voler parlare di Dio, senza averlo conosciuto. Si potran raccontare gli aneddoti più belli, storie uniche al mondo.
Ma la fede non può essere raccontata. L’attrazione tra due poli è inevitabile, come il succedersi dell’inverno all’estate o il calar del sole col sorgere della luna. L’attrazione tra due corpi, tra esseri umani, consapevoli dei loro corpi, delle proprie emozioni, e liberi da pregiudizi e convinzioni, è inevitabile.
È un processo chimico, che in medicina spiegano attraverso gli ormoni ed in fisica attraverso le forze; ma nessuna spiegazione sarà mai soddisfacente abbastanza quanto lo sperimentarlo. Il tocco umano cura, il tocco riscalda, il tocco guarisce. E l’abbraccio è un tocco Assoluto di due corpi che si stringono, ed all’unisono finiscono col far battere i propri cuori nel petto.
E così l’esplosione comincia, il Big Bang si ripete, ed un nuovo inizio ha origine. Il tempo è abbattuto, così come le distanze, lo spazio non esiste e la vita torna ad essere ciò che è al limite della propria essenza. I corpi restano immobili, ma il sangue torna a scorrer regolare, i muscoli si rilassano, ed il pensiero si acquieta. Un mare d’amore avvolge e terapeutico lenisce i graffi, e le ferite iniziano a cicatrizzarsi.
Nasciamo uniti, nel ventre materno, e al momento della nascita, ci ancoriamo al cordone che ci nutre. Nasciamo per essere tutt’uno con la terra, con il mondo, con la gente, ma prima di tutto con noi stessi. Ma crescendo ci insegnano i confini: quelli delle nazioni, quelli del corpo e quelli che ci separano dal Tutto.
Ora è tempo di riunirsi, è tempo di Abbracciare la Vita, di riAabbracciare Noi Stessi, per ciò che siamo stati, per ciò che siamo oggi e per quello che ci accingiamo ad essere nel futuro splendido che stiamo costruendo con i mattoni del nostro presente.
Abbracciamo quelle situazioni che ci fanno del male, e facciamo che come ghiaccio si sciolgano in acqua ed evaporino nel cielo immenso, che amorevole tutto accoglie incondizionatamente.
Abbracciamo chi ci fa star bene e ciò che amiamo, perché possiamo sentirci ricaricati d’animo e di energia che vibrante ci scorre tra le dita. E la sera a letto, prima di coricarci, prendiamoci del tempo per noi stessi; cingiamoci le mani attorno al corpo, e abbracciamo il nostro corpo per ringraziarlo del lavoro svolto durante la giornata, per tutti i chilometri percorsi dalle nostre gambe, per tutte le parole dette dalla gola e per il fiato che i nostri polmoni non ci han fatto mancare, per il cibo digerito dall’intestino e per quella gabbia toracica che non solo metaforicamente ci protegge il cuore, ed accoglie i colpi che dall’esterno ci atterriscono.
E ringraziamo il nostro cuore per aver sorretto altri cuori smarriti, compreso parole o azioni prive di senso, e per averci protetto dall’insensibilità che empia si rivale sui deboli, ma soprattutto ringraziamolo per l’amorevole pazienza che ha nel battere costante per noi, solo per Noi.
Abbracciamoci dunque e lasciamoci andare in un riso, o in lacrime dolci o amare, in grida liberatorie o semplicemente in un silenzio assordante.
Abbracciatevi, abbracciamoci di più, affinché non si aspetti di rinascere per vivere, ma possa ogni istante rappresentare un’opportunità nuova di Rinascita.
Francesca
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : L’ IPOCONDRIA, LA MASCHERA SU UN LEGAME
L’ ipocondria, calamita di continue attenzioni
Tutti conosciamo l’ipocondria: è una condizione caratterizzata da preoccupazione ricorrente di sviluppare patologie e malattie.
I pensieri di un ipocondriaco sono fortemente rivolti alle proprie sensazioni corporee e l’attenzione è spesso focalizzata sui sintomi.
Essi tendono ad essere equivocati e amplificati dalla paura di essere affetti da una patologia grave e che richiede l’attenzione di medici e specialisti.
L’ipocondria può anche essere rivolta ai propri cari: in quel caso l’individuo manifesta un’eccessiva reazione ansiosa di fronte a sintomatologie solitamente innocue presentate dai parenti o dagli amici.
Ma come si spiega questa preoccupazione? Cosa spinge una persona a percepire come così precaria la propria e l’altrui salute?Per un ipocondriaco, la vita è sempre appesa a un filo. Vive in un continuo senso di precarietà, fatta di insicurezze patologiche che rimandano a delle figure assenti non rassicuranti.
Ogni minuscola scossa sembra poter scatenare un terremoto e far precipitare il funambolo, e a volte il terrore di cadere prescinde le scosse stesse.
Il timore di ammalarsi “senza motivo” nasce dal timore di perdita di qualcosa di linfatico di se, nasce solitamente da bisogni inappagati antichi, giustificati da entità traumatiche, dei quali nel tempo si riesce ad archiviare l’immagine, il ricordo, ma non il vissuto emotivo.
Ogni evento traumatico si manifesta come denso di percezioni, sensazioni ed emozioni che si mescolano e aggrovigliano, rendendo il vissuto intenso e, in un certo senso, indelebile.
In questo intreccio entro il quale si esplicita il trauma, non si possono escludere i legami che la persona ha con i propri cari.
Sappiamo come l’emozione di un altro possa diventare la nostra, con grande facilità: tutti ci siamo commossi davanti a una scena triste di un film, non abbiamo saputo resistere a una risata contagiosa, o abbiamo provato rabbia verso chi ha offeso un nostro amico.
Allo stesso modo, soffriamo della sofferenza di chi amiamo, e, talvolta, ci ammaliamo in risposta alla sua malattia, o almeno, iniziamo a preoccuparci costantemente che accada.
Sono molti i casi di ipocondriaci che hanno iniziato a temere di ammalarsi qualche tempo dopo aver assistito al decorso della malattia di una persona cara, ma è nel contagio della sofferenza che sta il filo conduttore, è nel legame che unisce le due persone che spesso risiede la radice da cui cresce l’ipocondria.
Sono la gioia e il dolore ciò che non riusciamo a dimenticare di aver condiviso con qualcuno. Il dolore è a suo modo una forza attrattiva, unificante; se condiviso diventa un legame potente, che si propaga nello spazio dell’anima come l’eco in una grotta, e ritorna sempre uguale a se stesso anche col passare del tempo, continuando a tenerci legati a chi abbiamo amato anche se crediamo di aver archiviato il tutto.
Così quel dolore, l’angoscia provata al momento di un trauma o quella vista riflessa negli occhi dell’altro, rimangono impressi per molti anni, ma confinati nell’inconscio come dietro a una diga.
Se il trauma non viene affrontato, col tempo si accumulano come acqua dietro alla diga, ma lo fanno silenziosamente, in modo graduale, fino al momento in cui l’acqua diventa talmente tanta da essere incontenibile.
La sua energia ha bisogno di essere sfogata, incanalata, lasciata scorrere.
Per fare questo occorrerebbe affrontare il trauma di petto, ma questo suscita terrore in quanto significherebbe riviverlo in tutta la sua violenza.
Per questo, inconsapevolmente, la psiche sceglie di evitare questo confronto diretto, e riversa tutto su qualcosa di più semplice e che possa essere rassicurato: il corpo.
Una visita medica dà all’ipocondriaco una temporanea sensazione di serenità e controllo, un immediato sollievo, cosa che evidenzia come sia l’ansia, e non davvero il corpo, il cuore del problema.
La temporaneità e non la duratura del benessere prodotto della visita medica, viene data dal fatto del bisogno di voler soddisfare specifici bisogni unicamente di rassicurazione affettiva.
Le sue continue lamentele sintomatiche, calamitano attenzioni esterne continue.
La paura di ammalarsi diventerà una maschera dietro alla quale tutta l’angoscia connessa al trauma si nasconderà, così da potersi liberare senza mettere la psiche davanti al perenne ricordo dell’evento traumatico per il quale non esiste rassicurazione o conforto, almeno agli occhi dell’ipocondriaco.
Sarà solo quando verrà messo di fronte alla consapevolezza che l’impatto del trauma è ancora forte su di lui, che si libererà dalla maschera della malattia.
La scomparsa dell’ipocondria subentra con la piena accettazione dell’accaduto, della perdita, della sofferenza vissuta, o della presenza forte di legami capaci di trasmettere ancora gioia e dolore.
L’ipocondriaco guarisce quando smette di sentirsi funambolo, quando è pronto ad accettare a pieno l’essenza precaria e imprevedibile della vita, e davanti ad essa non si sente più terrorizzato dai possibili imprevisti, ma pieno di voglia di godersi con grinta e spensieratezza ogni momento, gestendo con più naturalezza i conflitti.
gaia caputi
tirocinio psicologia padova
Settimanale Psicologo Roma : VOGLIA DI CORAGGIO
Sapessi quanto mi hanno aiutato nella vita i diversamente uomini
Prima di andare in ferie, ero molto arrabbiata, ho detto ai miei colleghi dello Staff, formatore e superiori, di non trattarci più da disabili pensando che comunque alcune lavorazioni non possiamo farle, ma di offrirci la possibilità di farci vedere le procedure, di metterci alla prova, la disabilità non è importante non ci sta solo lei.
Ogni persona racchiude diversi mondi che devono coesistere , ognuno di questi mondi deve completarsi.
La bravura del “normodotato” non sta solo nel provare compassione, pena o empatia, tutto può essere accettabile, giusto o sbagliato che sia, ma non può essere solo questo, e non sta nemmeno nel chiamare il disabile DIVERSAMENTE ABILE, perchè si può essere anche diversamente NORMODOTATI e guai se non fosse così, la chiave sta PROPRIO IN QUESTO:
il rispetto e la salvaguardia di ogni singola individualità.Che c’è di male nella parola Handicappato?
Hand in cup era la mano sul cappello che i cavallerizzi inglesi portavano a turno per partire in una situazione di svantaggio rispetto agli altri, era un gioco, un gioco che si faceva per vedere chi, malgrado lo svantaggio iniziale riusciva ad essere il più bravo.
E’ l’accezione che spesso le persone, noi stessi diamo alle parole che è sbagliata, sono i mostri che produciamo nella testa !
Questo handicappato, cioè questo incapace! Sto gay, cioè questo poco maschio, frocio!Sapessi quanto mi hanno protetto i diversamente uomini nella vita , a partire da quando ero alle elementari !
Poi non saranno tutti sensibili e bravi: come in tutti gli ambiti della vita si trovano persone differenti, più o meno capaci, più o meno oneste, più o meno impaurite.
Questo però prescinde dall’identità sessuale, dall’orientamento religioso, dall’ handicap.
In passato ho avuto tanta paura del nuovo che vorrei vincere, e per contro ho sempre bisogno di mettermi alla prova ma di avere rassicurazioni dal mondo, da chi mi circonda , che spero sempre di non deludere e che mi voglia bene.
Ho tanta paura di non essere all’altezza delle situazioni, di non riuscire ad aiutare o assistere un domani non troppo lontano i miei genitori in difficoltà.
Questo però prescinde da ogni genere di disabilità ed è indotto da modelli familiari e da risposte sociali diverse da quelle che sin da quando ero bimba mi sarei aspettata dalla società.
Un mondo ideale, forse utopico, dei sogni.Ieri, appena siamo usciti dalla seduta ho chiesto a Flavio se aveva un compagno, mi ha detto che si chiama Enrico e stanno insieme da dieci anni e altro, mi ha chiesto come ho fatto a capire che era gay, se avevo il gaydar ?
Vorrei imparare ad essere orgogliosa di questo, della capacità di affidarmi, uscire dalla necessità di dimostrare ciò che non sono, ma nello stesso tempo vorrei proteggere i miei ed imparare a condividere ciò che sono.
Vorrei che le mie sorelle potessero fidarsi di me, vorrei non sentirmi sbagliata, troppo tutto insieme ?
Elenuzza
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : CHANGE, L’ ANALISI CHE TI CAMBIA LA VITA
La psicoterapia e la metamorfosi di Se.
Questa vuol essere una piccola testimonianza da parte mia per ringraziare il gruppo di lavoro e la nostra guida – persone splendide con cui ogni sorta di sovrastruttura viene meno.
Vi racconterò come ha avuto inizio la mia metamorfosi cosciente che lo stesso strumento possa essere di aiuto a tutti coloro che in qualche modo si rispecchieranno (è certo che Giorgio, la nostra guida, perdonerà gli “errori” nel rappresentare l’accaduto e la mia tendenza a ridurre spesso il tutto a “funziona, va bene così, non mi interessa sapere come hai fatto”).
Spesso mi ritrovavo con la testa confusa, affollata da una miriade di pensieri, idee, ricordi che si trasformavano in ansia, paura, rabbia inespresse. Il grande numero di queste immagini generava una compressione tale che di fatto non potevo fare molto altro se non restare fermo e aspettare che in un modo o nell’altro questo stato perdesse di gravità.
Un aspetto mortificante di tutto ciò era proprio quello di non essere in grado di fare nulla, di manifestare una reazione, opporre una resistenza. Questo generava un effetto moltiplicatore di ansia, paura e rabbia creando una spirale rovesciata per cui ad ogni giro tutto sembrava più grande e complicato del giro precedente.
Anche le cose più piccole, più semplici diventavano fonte di sconforto. Anzi, forse le più piccole e semplici erano in proporzione le più acute: perché mai ero incapace di cambiare anche cose così semplici ?
Un giorno, durante una delle nostre chiaccherate – di quelle in cui non capisci bene cosa debba succedere salvo poi renderti conto che succede – Giorgio ci invita a prendere un foglio e una penna: “scrivete tutte le cose che volete cambiare, che vi danno pensieri, che vi fanno soffrire. Scrivetele tutte, da quelle piccole e quotidiane a quelle importanti e che hanno segnato lunghi periodi della vostra vita. Potete aggiungerle via via. Impegnatevi a cambiarle una alla volta, iniziando dalle più piccole e quotidiane”.
Devo fare la lista della spesa, pensai. Tuttavia poiché ho fiducia nel gruppo e nella nostra guida ho fatto la mia lista. L’ho completata nell’arco di diversi giorni. Presa in mano la penna i primi ad essere segnati furono i problemi particolarmente gravosi e complicati. Poi ho inserito anche le “cose minori”: se avessi trascurato queste avrei fatto un pasticcio perché era propria da esse che mi era stato suggerito di iniziare.
Ognuno di noi ha o può fare la sua lista.
Certamente tutte conterranno cose piccole e quotidiane e cose gravose, a volte molto gravose. Le cose segnate non hanno in sé alcuna rilevanza.
Personalmente ho segnato di tutto: sistemazione della libreria, numeri nella rubrica del cellulare da cancellare, taglio di capelli, dieta, modo di rispondere a determinate sollecitazioni, spostare i mobili di casa, gestire in modo differente i clienti di studio, smettere di controllare una cosa dieci volte…Via via che scrivevo mi venivano in mente altre cose, quelle per capirci che ogni volta che guardavo, sentivo o che si incrociavano con le mie giornate mi facevano provare un senso di fastidio, disordine, rabbia, ansia. Ho anche inserito le mie cose più o meno gravose.
I primi giorni non è successo assolutamente nulla. La mia lista solitamente si trova nel tavolo della cucina. A volte in studio o in soggiorno.
Una sera, seduto sul divano, torna quella spirale rovesciata di pensieri. Sono particolarmente turbato e arrabbiato: di nuovo sono immobile innanzi a mille pensieri che come api che mi ronzano in testa. Vado in cucina, cerco qualcosa da bere, lo sguardo casca sulla lista. L’effetto è stato più o meno questo: molti di quei pensieri erano nero su bianco, in ordine di gravita. Lo sciame ronzante di api è sparito. Ora erano tante formiche che disegnavano una lunga fila.
Era sparita la confusione, la compressione. Le cose che non andavano erano lì, in fila ordinata. Ho anche notato che le prime cose della lista avrei potuto cambiarle con facilità, con un piccolo sforzo per vincere l’indolenza.
Così ho fatto. Da lì è stato un crescendo, un risalire la lista. Ogni volta che cambio un punto della lista, anche il più piccolo, apparentemente irrilevante, mi rigenero e gratifico. Quelle stesse cose che prima mi davano turbamento ora mi fanno sorridere.
Vedere ad es. la libreria e ripetersi che confusione, così non funziona, devo cambiare sistemazione, ma non mi sento, non ora, non sono in grado, era decisamente un’immagine da spirale rovesciata. Vedere la libreria sistemata così come la voglio è tutta un’altra cosa. Questa formica non fa più parte della fila. Questo vale per tutto, iniziando dalle cose piccole e quotidiane.
Tutto ciò che nella nostra vita ci crea micro turbamenti, ansie o rabbie: cosa mangiare, come mi piace vedermi vestito, chi sentire al cellulare, come sistemare le cose in frigorifero, fare quel cd di musica che vorrei sentire in macchina.
Fatte le prime cose vi renderete conto di avere molta più energia e voglia di affrontare le cose successive, quelle gravose, dolorose e complesse. Pian piano ci si rende conto che così gravose, dolorose e complesse non sono. Meglio, non lo è affrontarle e risolverle.
Immagino che carta e penna l’abbiamo tutti: non ci sono grandi scusanti per non iniziare a buttar giù la lista e riprendere le redini del nostro tempo e delle nostre emozioni.
Nel gruppo ho trovato una serenità di dialogo che mi ha consentito la piena apertura anche rispetto a quelle cose mai dette e che non pensavo avrei mai detto (per vergogna o altro).
Ho intrapreso questa strada e, per la prima volta, mi sento di essere nella giusta direzione. Quando avrò superato tutte le mancanze e paure sarò totalmente un uomo libero.
Max
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : GHOSTING
Liberarsi di me. Alleati del ghosting
GHOSSTING
Scomparire e non farsene accorgere. Astenersi, per annullare il dolore.
Si sente sempre più spesso dire di un partner che sparisce senza rispondere più al telefono e ai messaggi, che ha fatto “ghosting”, cioè che si è dileguato “come un fantasma”.
Il termine ghost , fantasma, viene ormai declinato come un verbo per indicare il gesto di chi sceglie di porre fine a un rapporto sentimentale tagliando ogni contatto e ignorando i tentativi dell’ex partner di farsi vivo.
Mentre il ghosting attuato come fuga senza spiegazioni è l’evidenza della paura del confronto, di insicurezza e immaturità, nel caso di una separazione dichiarata può invece rivelarsi un’ottima strategia.
Una volta, quando ci si lasciava, bastava sbattere la porta o staccare la cornetta, mentre ora, il processo di rottura è diventato molto più complicato, proprio per il coesistere della vita reale con quella della rete e quindi delle opportunità che si hanno di vedere il proprio ex interagire con altri mentre ci ignora, rendendo tutto più doloroso.
Interrompere qualsiasi interazione, anche passiva, bloccando le varie connessioni sui social network, evita di alimentare aspettative o rabbia e può aiutare nel superamento del doloroso processo di separazione. Il detto ‘lontano dagli occhi, lontano dal cuore’ in questi casi diventa una benedizione.
Certo un taglio così netto può spaventare e il più delle volte lo si evita, ma va tutto a discapito dell’emancipazione dal rapporto dei due ex amanti, che presto o tardi per mancanza, vuoto e bisogno, finiranno per ricontattarsi, in alcuni casi per protrarre le discussioni, in altri per tentare una riconciliazione. La maggior parte delle volte questo riavvicinamento diventa solo un trascinare un rapporto ormai concluso, creando strascichi spesso dolorosi e dannosi.
La decisione di ‘fantasmarsi’ però presuppone una certa aderenza al proprio bisogno di benessere e una coerenza con questa intenzione, cosa che è tutt’altro che semplice. Infatti il vuoto che ne consegue, l’interruzione di una routine di coppia, la paura della solitudine, sono i più grossi ostacoli da superare. Un allontanamento radicale può fa soffrire di più in intensità, ma di meno in termini di tempo.
C’è anche un altro aspetto da non trascurare: il partner che si oblia, proprio per la sua decisione risoluta e inoppugnabile, incurante del dolore che questo gli comporta, dimostra una forza e una integrità quasi eroica che può fa sorgere un sentimento di ammirazione nell’altro che, ormai rimasto solo, potrà prendere atto del suo bisogno e della sua debolezza e sarà costretto ad andare per la sua strada senza più appoggiarsi più all’ex partner.
Gil
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