
Settimanale Psicologo Roma : IL QUI ED ORA
Abbracciare il presente, per vivere Bene
QUI ED ORA
Abbracciare il presente, per vivere Bene.
Facciamo in modo di realizzare e di lasciare traccia e memoria del presente, sempre, non c’è nient’altro di così gestibile, modificabile, determinante e reale come il nostro presente.
Il passato è già determinato, immodificabile, subìto, determinante il presente prossimo. Un qui ed ora vissuto da presenti, determina un pensiero sereno sul passato. Il qui ed ora è l’ antidoto al rancore, al chi me lo ha fatto fare, al perché l’ho detto o perché non l’ho fatto. Allora eravamo assenti, o il nostro numero due predominante. Un qui ed ora non vissuto, determina pentimento, rimorso o nostalgia.
Tutto ciò che non è presente, è solo pensiero, interpretazione, proiezione, rimuginazione, ricordo, irrealtà, iperspazio, fade, fotografia fugace, tutto ciò che è andato, fumè.
Un istante prima che diviene già ricordo, a volte viviamo per archiviare non per vivere, facciamo molte più fotografie più di quanto vivere ed assaporare la diretta, viviamo in differita, sempre tutto dopo anche quando il dopo è adesso, viviamo spesso nella scia di un qualcosa che sta sfumando ma che è ancora presente, quasi per volerlo già dimenticare ed archiviarlo nel ricordo.
Se è stato denso quell’ intenso presente, lascia traccia solo se si è immersi nel suo senso.Abbiamo una speranza per stare bene, vivere con maggior consapevolezza il presente, perché tutto verrà allocato nel passato. Ma un buon ricordo necessita che ci sia l’obbligo di vivere uno straordinario ordinario ed eccellente presente.
Una rincorsa materialistica, per l’accumulo futuro, fa godere il presente ? il potere di adesso consiste nel fermarsi, fermarsi,f e r m a r s i per far caso e godere delle emozioni presenti, di una amicizia, degli affetti, che hanno il valore inestimabile perché non si possono comprare da nessuna parte, hanno lo stesso valore del nostro tempo, che non lo puoi acquistare da nessuna parte dell’universo .
Gli altri che incontriamo in ogni istante sono il presente, perché gli altri ci riportano alla realtà, per contro, esistono i pensieri, ovvero, i nostri ricordi, essi rappresentano la negazione di noi alla vita e la negazione degli altri.
Ció che ora abbiamo, è il senso di tutto, è l’ indispensabile, l’ unica cosa più importante ed assoluta, perché è tangibile , materia e anima stanno insieme, viverlo con densità ed intensità di forma lascia la traccia e la mappa dei piacere dei ricordi gradevoli.
Tutto diventa inesorabilmente passato, è rapido il passaggio, il tempo scorre rapidamente dal presente al passato come se spalassimo neve, abbiamo una sensazione di nevosi ed irrequietezza frenetica, ma ciò accade, solo perché il tempo lo contiamo, abbiamo una nevrosi del tempo che passa, ma in realtà esiste una sola dimensione e non c’è ne sono altre, non ci sono compromessi , è la sola entità tridimensionale, quella del qui ed ora, e non ce ne sono altre.
Siamo proiettati continuamente a fare click, foto per ripercorrere la mania del ricordo, più di quanto siamo immersi nel presente, perché in quel presente il più delle volte non ci siamo. Abbiamo bisogno di incantarci di più su di una foto, che sulla diretta emozione dell’ evento, tanto da dirci a volte, ma io c’ ero ? e dove ero ? ero a fotografare, raccoglievo ricordi senza ricordare se c’ero.
Questo è un meccanismo tale da formare personalità rmuginative, che sviluppano sensazioni di derealizzazione e paranoidee.
Le personalità a basso contenuto di nevrosi, sono quelle che interagiscono con la diretta, quelle ad alto rischio di nevrosi, interagiscono prevalentemente col passato e col futuro.
Vincolati al passato, realizziamo la palestra dei ricordi, la palestra dei doveri e dei rancori, sviluppiamo la competenza alla chiusura, all’ isolamento, perché il presente non si interferisca con chi si isola. Abbiamo la tendenza a fare questo, per via degli allenamenti continui in questa palestra .
Per questo amiamo la solitudine, riaggpmitolati nei vissuti, frenati nelle catene neuronali, in spazi inter sinaptici dove si è bloccata e scatenata la biologia del dolore o del piacere.
Vivere il passato è gettare nel cesso la propria vita.
Abbracciare il presente, per vivere Bene.
giorgio burdi
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NOI SIAMO IL TALENTO
Il mio, non un lavoro, è la mia stessa passione
NOI SIAMO IL TALENTO
Il mio, è molto di più di un lavoro, è la mia stessa passione.
La bellezza di un opera d’ arte viene apprezzata per l’ incanto del piacere che suscita, è assolutamente soggettiva come la contemplazione dinanzi ad una persona come una meraviglia per le sensazioni che suscita.
Ognuno, è una griffe, è un prezioso, un’ opera assoluta, un numero uno, un esemplare, è un’architettura d’ arte irreperibile, è stile, eleganza, originalità, ognuno fa la differenza, è una lirica, un concerto, è una immersione in un abisso, un cosmo di stelle inesplorato ispiratore del piacere di esplorarlo.
Oltre alla categoria, non ci sono uguaglianze, ognuno è un colore differente, tinte di luci emotive variegate, sapori diversi, voci e suoni celestiali, possiamo percepire che tutte le diversità sono armonia e ci amano o possono rappresentare un fastidio.
Ogni diverso che entra in noi, in empatia, si fa simpatico, un numero uno col nostro numero uno, l’empatia ci conduce al piacere di immergerci, in una comunicazione eterna senza fine, non fatta solo di parole ma di sensazioni afferrabili.
Cosi come non c’è tinta che tenga, bianco, giallo o di colore, non c’è viso o sorriso uguale, esistono personalità totalmente differenti, siamo tutti irreperibili, totalmente altri, meritevole ognuno di un capitello, di una cornice dorata, di un piedistallo o di un fregio, ognuno è uno stemma di un casale.
La totale diversità mi affascina, la normalità non esiste, è un concetto livellatore, bonifica, rastrella, appiattisce, ci rende tranquilli per la paura del nuovo, ma anche molto chiusi, isolati e soli.
Quando osiamo varcare la soglia oltre la nostra solitudine e ribaltiamo il pensiero al fuori di noi, intraprendiamo un viaggio vacanza, una avventura dolorosa o piacevole che sia, ma pur sempre in una prospettiva espansiva, più ampia e moto più ricca di noi.
Varcare la soglia oltre il se, rappresenta l’estensione di noi, oltre e aldilà delle nostre ombre, attraverso l’illuminazione degli altri.
Gli altri non ci creano problemi, li allontaniamo perché ci ricordano quelli che abbiamo, dimenticando che il più delle volte li abbiamo cercati. Riconciliati con il mondo.
L’uomo è la mia passione, pertanto è molto di più di un talento. Ogni persona che incontro è una novità, faccio reset delle precedenti parole ed espressioni, pronto ad entrare in un nuovo mondo fatto di bui e colori differenti, è un viaggio meraviglioso oltre se, è un viaggio all’ infinito, oltre la propria solitudine, un viaggio ineguagliabile nelle storie ed avventure del nostro centro dell’ universo, nell’ abbattere ostacoli e lottare per liberare il talento che è ognuno.
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : MINDFULNESS, ESSERE QUI ED ORA
La consapevolezza di “adesso” è il risveglio alla vita
MINDFULNESS, ESSERE QUI ED ORA
La consapevolezza di “adesso” è il risveglio alla vita
Dalla notte dei tempi i piu’ grandi saggi ci dicono che il segreto della gioia risiede nella capacità a coltivare uno stato d’animo incline ad “apprezzare” a “gustare” il qui ed ora e a sostituire i dubbi e le domande sul futuro con il potere di questo istante.
Abbandonare l’idea di dover avere ed essere di piu’, di essere da un’altra parte in futuro e sviluppare la capacità di vedersi completi ora, presenti ad un’abbondanza illimitata e ad una luce che è sempre presente “in questo istante”.
Affidarsi alla sorgente della vita che provvede ai nostri reali bisogni, significa purificare lo sguardo e imparare a cogliere le reali opportunità che la fatica dei nostri continui combattimenti ci impedisce di vedere.
I percorsi Mindfulness ci possono aiutare ad acquisire una maggiore consapevolezza dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, delle nostre reazioni automatiche di fronte alle situazioni della vita, aprendoci ad una vita piu’ ricca-proprio adesso- e ad un maggior grado di benessere.
laura cecchetto
Per info e contatti sui
CORSI MINDFULNESS – Studio BURDI – contattare
laura.mbsr@gmail.com – tel. 3331664233 –
Dott.ssa Laura CECCHETTO (PhD)
“Practicum” e”Teacher Development Intensive”Professional Education and Training – Oasis Institute, University of Massachusetts Medical School –
https://www.umassmed.edu/cfm/oasis/

CHI SPERA FRENA, CHI CREDE VOLA
CHI SPERA FRENA, CHI CREDE VOLA
Sostanziali differenze per progettare
Il bisogno di sperare che accada un evento auspicato, è insito nel vettore uomo. Gli auguri rappresentano quel buon auspicio, quasi un presagio per esorcizzare le forze avverse per il raggiungimento di un obiettivo, tale che tutto vada nella giusta direzione.
In bocca al lupo, in culo alla balena, o varie locuzioni di questo tipo, sono tracce di pensieri magici ancestrali, sono insiti ed interconessi nelle galassie dei nostri sistemi neuronali, anche chi giura di non essere superstizioso, si trova comunque a lasciar fluttuare nel proprio oceano di pensieri, un suo totem.
Chi più o chi meno, dipendiamo un po’ tutti da mantra filosofici, educativi, meditativi, soggettivi, politico religiosi. Comunque sia, la nostra esistenza è appesa a rituali automatici, più di quanto noi potremmo immaginare.
Il rituale coatto rappresenta l’asta del funambolo, senza di essa, si cadrebbe, si scivolerebbe sulle proprie incertezze. Ma il vero problema sono esattamente le proprie incertezze. Diciamolo francamente, chi non ha mai fatto un pensiero scaramantico ? Non costa nulla è gratuito e può essere un gioco simpatico, anche se quel gioco potrebbe reggere una illusione.
Sperare, potrebbe essere un atteggiamento scaramantico, essa lascia aperti alle illusioni, procrastina l’ immobilismo, lo status quo, rappresenta l’ attesa, un sogno forse realizzabile.
Il vero problema è esattamente quel forse, ci stende al tappeto, in una attesa spesso interminabile, ci lascia piano piano moribondi nella stasi, il forse è pericoloso, rappresenta semplicemente la perdita del tempo. Forse nasce da qui il detto ” chi di speranza vive, disperato muore ” .
La speranza è sorella dell’ immobilismo, entrambi, sono figli dell’ attesa, i precursori acerrimi della noia.
Chi attende, si annoia sempre, aggancia la sua malinconia, entrambi educati dal “non osare mai”, sono ad intraprendenza zero.
I genitori della speranza credono che sia la vita a determinare gli eventi, che noi potremmo determinare poco. La vita ci rende sfortunati o fortunati, deve andare così, non si puó far nulla, per essi c’è chi nasce senza camicia e c’è chi ha culo.
Per i genitori della speranza, non c’è nulla da fare, è una questione il carattere, di destino, capacità d’azione e determinismo zero. L’ accezione cristiana persino ammette, che sperare non basta affatto, ma “aiutati, che Dio ti aiuta”.
Chi spera, è morto, chi invece crede, vive. Accettare certe verità è molto più attivo che attendere che i cambiamenti capitino. Sperare va bene, ma dopo una serie di azioni.
Chi spera, lascia passivamente che accada, ma ciò che di solito accade, è riconoscere il protagonismo altrui, subendolo.
Chi crede è un osservatore attento, vede, non guarda solo, tira le somme, riesce a distinguere l’ impossibile dal possibile, il soggettivo dall’ oggettivo, magari si impegna anche per l’ impossibile, ma sulla base dei dati di fatto, ha radici, i piedi piantati per terra, egli è intanto un diagnosta, decripta l’ ambiguo, è un ricercatore delle cause, un attivo decodificatore delle illusioni.
Chi crede non si azzarda a voler cambiare gli altri, ad attendere le loro metamorfosi o sanare le altrui amputazioni, è realista, accetta che la realtà sia quella, non è sopito nel suo sogno, si lava la faccia, si sveglia dal sonno. Chi crede, non si ama perché lo amano gli altri, è un uomo, si ama a prescindere.
L’illusione di chi spera, è nella convinzione e nell’ attesa che gli altri cambino, però spesso gli altri non lo sanno su cosa vorrebbero o dovrebbero cambiare o non lo ritengono nemmeno opportuno.
Il desiderio di cambiamento prevede l’ affidarsi al proprio talento del saper dubitare, delle proprie ed altrui convinzioni ed atteggiamenti. Chi non sa dubitare mai, ignora, è insufficiente e insicuro, anzi è un sufficiente, saccente, nega gli altri, deficia, frena e arena il suo tragitto. Non cresce.
Chi crede è nelle proprie mani, chi spera è sempre nelle mani altrui.
giorgio burdi
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LA SINDROME DI MUNCHAUSEN
La sindrome del “The Medical Shopping”
SINDROME DI MUNCHAUSEN
The Medical Shopping
Faccio il medico con internet, con un click sono già laureato, veloce, pratico, schiaccio, so e il mio titolo è già sulla parete.
La mia clinica si chiama google, è il mio personal primary , riservato, confidente, pertinente, perspicace e competente, comprende, risponde, è vero, schietto, veloce, preciso e compendioso.
Google è il medico addosso, come l’ angelo custode o il medico della morte. Sono un fanatico del dubbio, non mi basta mai, saprei con lui come istruire i medici. È il mio personal diagnostic, più fedele ed affidabile della mammà, con la tastiera, mi tasto subito il polso, mi tolgo il pensiero, o me lo metto.
Google le trova davvero tutte, è amorevole, vicino, a letto, in auto o sulla tazza, mi stimola la frenesia ma anche di più, l’ ansia del dubbio. Google proclama l’ epopea della civiltà del dubbio, afferma tutto e il contrario di tutto.
C’è padre Google, egli è l’ esempio della vera comunicazione e relazione perfetta. L’ indice comanda, google obbedisce. Ops, google comanda e l’uomo obbedisce. È il nuovo genitore affidatario, il delegato per eccellenza dei tutori.
È il miglior partner immediato, nessuno mai così vicino. È la relazione col maggior tempo dedicato, ad ogni sintomo una malattia, una terapia, sempre un riscontro.
Poi c’è mamma Siri, la dottoressa OS, discreta ma decisamente competitiva è l’ operatrice Voice, lei ti sussurra sensualmente che hai un linfoma di king kong, che per L’ epatite B c’è bisogno di kaspersky o per la disfunzione erettile devi comprare un hard disk mentre devi acquistare una RAM, per i disturbi della memoria.
Google e Siri, sono i migliori fomentatori ipocondriaci. Occhi gonfi e lucidi, riflessi del monitor, ricoveri virtuali domiciliari, trans ipnotiche cibernetiche ipocondriache, incantesimi sul l’angoscia del disco ipnotico dei sintomi, non più case abitative, ma case circondariali, una civiltà imprigionata nella Rete a diagnosticare.
L’ Ipocondria è una malattia, che auto induce a malattie temute, una fissazione che induce sintomi, un impegno mentale su ciò che viene ostinatamente evitato, diviene ossessivamente cercato, un temuto, attuato. Siamo in grado di autoprodurci dolori attraverso la fissazione.
La causa: inconsce richieste affettive ed attenzioni all’ accudimento.
A tale scopo si fingono traumi o malattie, senza alcuna forma di consapevolezza, allo scopo di attrarre a se attenzioni, comprensione, compatimenti affetti e pietà, detta sindrome di Münchhausen .
Accade come esattamente per l’ipocondria, è detta anche sindrome da dipendenza da ospedale divenuto casa. Un tour ospedaliero, in un effimerato medical shopping, che garantisce un picnic, il viaggio e la miglior vacanza per ottenere serenità sospirata, tenerezze, considerazione ed affetto, dilapidando denari e patrimonio, nella finzione di una vita efficiente, ma in realtà carica decisamente di frustrazioni tutte da risolvere.
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : MINDFULNESS PER SALVAGUARDARE LA NOSTRA ENERGIA VITALE
Corso di Mindfulness, per iscriverti, chiama o invia la mail.
“MINDFULNESS” PER SALVAGUARDARE LA NOSTRA ENERGIA VITALE
Corso di Mindfulness, chiama o invia la mail per iscriverti.
Riproponiamo una serie di articoli inerenti una giovanissima, ma consolidata tecnica, per l’ apprendimento relativo alla riduzione dello stress, nell’ intento di informare ed invitare ad iscriversi al percorso formativo. Lo
Molto spesso quando siamo stressati pensiamo di poter ritrovare il nostro stato di equilibrio, rimuovendo la situazione esterna, fonte di stress, finché non se ne ripresenta un’altra ed un’altra ancora.
Per smettere di sprecare tante energie preziose, è importante capire che molto del nostro stato, dipende dal modo in cui noi interagiamo con la realtà e che di modi di pensare e di interagire ve ne sono tanti.
Imparare a scegliere “quale”, significa imparare a ridurre il nostro stress e aumentare il nostro grado di benessere, riducendo lo spreco di risorse.
L’approccio MBSR (Mindfullness Based Stress Reduction) è un percorso guidato verso una maggiore consapevolezza dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, delle nostre reazioni automatiche, di fronte alle situazioni della vita.
Reazioni che diamo per scontato, che scambiamo per spontaneità, ma che sono spesso il frutto di condizionamenti profondi.
Imparando a riconoscere i nostri automatismi, ci apriamo ad una vita piu’ ricca di scelte, ci liberiamo dall’ansia e ci concediamo un maggior grado di benessere.
laura cecchetto
Sono aperte le iscrizioni per la Puglia e per il Lazio. Per informazioni e contatti sui Corsi Mindfulness Studio BURDI, contattare:
Laura CECCHETTO (PhD)
laura.mbsr@gmail.com – tel. 3331664233
Insegnante Mindfulness e Mindfulness based stress reduction. Practicum e Teacher Development Intensive Prossional Education and Training , Oasis Institute, University of Massachusetts Medical School
https://www.umassmed.edu/cfm/oasis/
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : LA MAMMA ESTRANEA
Se mia madre è una adolescente
LA MAMMA ESTRANEA
Se mia madre è una adolescente ?
La relazione genitoriale, quando esiste, si prende cura dei figli generati, in determinate circostanze si mette in scena una genitoritorialità adolescenziale tale che saranno i figli a prendersi cura dei propri genitori, sacrificando la propria infanzia e la propria vita a vantaggio genitoriale. Lettera di Sara alla mamma.
Cara mamma, ho combattuto molto prima di iniziare a scriverti questa lettera, ma è giusto che io lo faccia, soprattutto per me stessa.
Ti scrivo e tu sei qui vicino a me, continui le tue solite faccende domestiche, è quasi una follia, scriverti indirettamente e non sputare di getto queste parole guardandoti negli occhi.
Ma come posso farlo? Inizieremmo a litigare, come nostro solito ! Voglio iniziare facendoti ricordare quel disegno che alle elementari la maestra ci chiese di fare: Disegna la tua mamma! Ti disegnai,ma forse non eri proprio tu !
Ti disegnai, con un gonnellone, lungo, quasi fino ai piedi, ma tu non hai mai usato i gonnelloni! Questo mi dicesti .. Ma io la volevo così una mamma. Una mamma coperta con un gonnellone .
Invece i “gonnelloni” ho iniziato ad usarli io, in casa, quando ho dovuto e devo fare da guida a tutti, a te, a papà , a mia sorella, quando ti ripeto giorno dopo giorno come devi comportarti, quando ti vedo nel letto al buio, depressa, per la fine delle tue solite storie d’amore, che poi d’amore non c’è niente.
E tu me l’hai sempre detto, l’amore non esiste ! Gli uomini sono tutti stronzi, e io ti ho creduto e forse lo credo ancora . <> Queste sono state le tue parole.
Ed è forse questa la spiegazione di come non mi sono mai vissuta niente, di come non ho mai avuto altre esperienze, non ho fatto l’amore o sesso, (come lo vogliamo chiamare ?) con altre persone se non con il mio ragazzo, perché in cuor mio le esperienze le ho avute, ma attraverso le tue storie!
Non mi sono mai vissuta niente perché mi ripetevo sempre, io non sono come te, ma forse un po come te lo sono. Sono fredda, perché tu mi hai insegnato questo, non mi fido di nessuno perché tu non ti fidi di nessuno, neanche di noi, delle tue figlie.
Non mi hai mai chiesto scusa, mai, di nulla, quasi non ci siamo mai abbracciate, sempre con quel muro che ci divideva. Non mi hai mai dimostrato il tuo affetto, anche se io so che tu lo provi, e so quanti sensi di colpa ti tormentano, ma non hai mai provato a cambiare, a cambiarci !
Questo mi fa stare molto male, perché penso che diventerò come te, per questo non voglio essere mamma, per questo non voglio sposarmi, perché, attraverso di te in realtà, lo sono già stata e non mi è piaciuto .
Sono appena uscita dall adolescenza, ma non L’ ho mai vissuta, sono tanto grande, quanto stanca , perché vorrei fottermi di tutto, di tutto ciò che abbiamo passato, di te della ragazzina incompresa che sei, delle tue parole come pietre , che ad ogni litigata, lanciavi verso di me, come se non te ne importasse, come se volessi farmi soffrire e di papà, della sua malattia, di “un giorno si la vita è bella” e “dell’altro giorno la vita fa schifo forse mi ammazzo”.
Vorrei fottermi di tutto e pensare un po a me stessa , fare cazzate, non essere troppo razionale e vivermi la vita , cosa che prima non facevo.Il cammino è duro,ci sono salite e discese ,ma io un po sto iniziando a fidarmi , di tante persone questa volta ,che è il mio gruppo analitico,?il mio gruppo del mercoledì, il cerchio del nuovo parto, che piano piano a passettini leggeri sta entrando dentro me .
Ora vado , vado a vivermi la mia vita. Ti voglio comunque sempre un gran bene, anche se sei una mamma estranea. Tua figlia.
giorgio burdi
Studio BURDI
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GRATITUDINE E RICONOSCENZA
GRATITUDINE E RICONOSCENZA espressione di maturità affettiva e di intelligenza.
Oltre i confini del narcisismo.
La gratitudine è la massima espressione ell’ intelligenza umana relativa alla consapevolezza di cosa gli altri possano aver fatto per semplificarci e cambiare in meglio la nostra vita.Non c’è prezzo ne quotazione, essa è la massima espressione della coscienza della svolta, del bene ricevuto e della virata data alla propria esistenza.
Chi è in grado di provare riconoscenza, è adulto, essa rappresenta l’abbattimento di ogni forma di narcisismo e di egocentrismo.
Colui che non è capace di gratitudine, tutto gli è dovuto, è il mammone non cresciuto, in eterna lotta per la sua autostima. Resta imprigionato nel suo bisogno continuo di accudimento da parte di una madre che non gli ha mai restituito la gratitudine di essere nato. Non gli ha mai reso un sorriso o un abbraccio, vissuto in campana, ha sviluppato un microfallo sulla illusione della sua potenza.
L’ ingrato è per sua natura super e supervisor, diffidente, dissidente e giudice, saccente, è un wikipedia, l’ultima parola è sempre la sua.L’ irriconoscente è sarcastico, cinico, sadico e invidioso, pirata, assalitore, è un pianta grane, presume, è calcolatore, commerciante, vive ossessionato dal baratto.
Un adulto è sereno, ha dubbi, è un imperfetto ed un nevrotico convinto, è umile, ha sempre da imparare, molto meno da insegnare, perché incerto di quanto sia spesso farina del suo sacco, invece è più certo di quanto dovrebbe essere grato agli altri, per essere in piedi nel mondo.
Nei bambini, tra la prima e la seconda infanzia, è presente un atteggiamento connaturato chiamato: egocentrismo.
In esso il bambino si percepisce come fosse il centro dell’universo, ha la percezione di aver creato gli altri, il mondo e il cosmo.
Tutto gli è dovuto, ad ogni suo sorriso, lallazione, pianto, urla, tutta l’attenzione viene calamitata su di se, è il direttore cosmogonico del creato, il padre eterno, dirige i giochi, le poppate, i suoi sogni nei capricci allo zucchero filato, scoppia e gonfia palloncini, è l’artefice delle favole colorate, delle pernacchie, delle faccine e dei maramao, tutto a reverenza dei suoi sorrisi.
Insomma il bimbo ha lo scettro del potere, conferitogli, è l’inventore delle sue immagini, plastiche in 4D. Insomma, egli è appena all’ origine dell ‘ esordio del suo narcisismo e del suo delirio di onnipotenza.
Il primo segno di riconoscenza che il bambino imparerà, è quello che gli giunge dalla mamma. Ella, per la prima volta lo discosterà dal suo egocentrismo, distraendo la sua attenzione dalla sua mente immaginale, verso la sua genitrice.Il sorriso della mamma rappresenta per il bambino la prima risposta esterna rispetto a se.
In questa fase, il più grande paradosso che si genera, è quello rappresentato dalla mamma che è riconoscente al figlio per aver poppato e sorriso. Perché è un paradosso ? Perché la mamma è fiera non solo di se, ma del piacere del suo bambino.
La mamma gli rimanda, la gratitudine per lui.
La mamma riconosce al figlio quale è il bene per se stesso, ma il figlio sarà ancora molto lontano dalla ccapacita di riconoscimento del bene della madre per se stesso.
La mamma è riconoscente al bimbo per aver mangiato o sorriso, ella gli rinvia il suo rispecchiamento, gli rimanda l’immagine del piacere provato per lui.
Il bambino non può in alcun modo possedere idea di cosa possa essere la riconoscenza e la gratitudine di essere nato ed accudito, senza il rimando e la percezione della mamma che gli fa da specchio.
L’atteggiamento della gratitudine e della riconoscenza del bambino si affaccia quando egli realizza che intorno a lui ci sono altri in azione. In questo preciso istante inizia a prendere corpo in lui, la sensazione, di non essere il creatore, ma creato.
Siamo alla genesi della fine del delirio di onnipotenza, si introduce l’esordio della primissima esperienza dell’ impotenza.
Nel bambino, Il decadimento del senso di onnipotenza coincide con il momento in cui percepisce che non è l’artefice del proprio concepimento .
È l’inizio della percezione, del limite, della realtà, della presenza dell’io, del tu e del noi.
Un politico eletto dal popolo, che assume un potere, non riposto allo stesso servizio del popolo, resta quel bambino egocentrico, aggrappato al suo giocattolo strattonato per giocarci.
Un politico riconosciuto come tale, è quel politico riconoscente al popolo.Lo è stato per prima dalla madre e lo si riconosce poi nel suo servizio, come una madre verso il popolo.
Un politico è tale se lavora ed è in grado di poter ricevere gratitudine e consensi dal popolo. Un politico è tale, se ha una mamma grata. È un test, questo, valido per tutte le professioni al servizio.
La matrice per percepire quanto si è adulti e nel senso umano delle relazioni, consta nello sviluppo e nella crescita verso il senso della gratitudine.
La matrice delle relazioni e di un mondo migliore, consta nello sviluppo del senso della gratitudine. Mamme, voi che allattate, attente.
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : VIVO LE EMOZIONI O LE CONTROLLO
Il viaggio delle emozioni, dai poemi omerici ad oggi.
VIVO LE EMOZIONI O LE CONTROLLO ? Il viaggio delle emozioni, dai poemi omerici ad oggi.
“Dell’Ira parlami, o dea, del pelide Achille”. Così recita il primo verso dell’Iliade. La parola greca “Ménin” è la prima della letteratura occidentale, ed il suo significato è “Ira.” e parla di emozioni .
Un’emozione, messa prima di ogni altra cosa. È risaputo come, nei poemi omerici, l’intero significato dell’opera sia racchiuso nel suo primo verso. Risulta chiaro che la scelta della primissima parola sia più che fondamentale: deve essere una parola forte, colma di significato.
Per l’Ilade, il poema più antico, questa parola è “L’ira”, quella di Achille. Per l’Odissea è “L’uomo”, ovviamente Ulisse.
Perché la letteratura occidentale incomincia con un’emozione? Perché nel mondo greco l’emozione era tutto.
Le conoscenze anatomiche non erano paragonabili a quelle odierne, ed era diffusissima l’idea che nel petto fossero custoditi gli organi centro della vita emotiva dell’individuo.
Il principale era chiamato “tumós” ed era il punto da cui partivano tutti gli impulsi, gli istinti, le emozioni incontrollabili. Questo “organo” è ciò che per tutta l’Iliade spinge gli eroi all’azione e alla decisione, come un’incontenibile divinità interiore, che comandava qualcosa a cui l’individuo non poteva sottrarsi.
Così era vissuta l’emozione: un comando proveniente dalle membra che non poteva essere contenuto, non poteva essere dissimulato o ignorato. Quando l’ira di Achille esplode, scatena una pestilenza che miete moltissime vite.
L’emozione è potente, inarrestabile, e così lo è l’uomo che da essa si lascia trascinare. Ma la vita di ciascuno era anche influenzata da forze esterne: le divinità.
Ogni azione nell’Iliade è il risultato tra lo scontro tra tumós, il “cuore” emotivo dell’individuo, e il volere divino. La vita dell’uomo è frutto dell’emozione e del fato: nulla di più.
Pensarla così oggi risulta molto difficile. Da secoli ormai siamo abituati a pensare che ciò che facciamo dipenda da noi, dalla nostra scelta razionale e ponderata, e che chi prenda le decisioni non sia un “tumós” incontrollabile, ma l’io.
L'”io” nasce nella letteratura occidentale soltanto alla fine dell’Odissea. È la prima volta in assoluto che questa parola viene scritta: quando Ulisse, travestito da vagabondo, arriva nel proprio palazzo regale dopo un viaggio durato vent’anni, e assiste alla scena dei pretendenti di sua moglie che fanno scempio della sua dimora. Allora Il tumós comanda a Ulisse, colmo d’ira e di disprezzo, di togliersi il travestimento e ucciderli tutti, ed è in quel momento che una nuova forza si fa strada nella mente dell’eroe e in tutta la letteratura dell’occidente: l’io, che invece suggerisce di sopportare, accantonare la rabbia e aspettare il momento giusto per vendicarsi.
È così che nasce l’io. Come una forza in grado di porre un freno al tumós e alle emozioni. Come un’entità depositaria del controllo, un controllo che non è più dell’impulsività interna o degli interventi divini esterni, ma tutto dell’individuo e della sua mente.
Ecco perché l’Odissea comincia con la parola “Uomo” e non più con un’emozione: è l’io ciò che fa di noi uomini ciò che siamo, e non esiste concetto più moderno di questo.
Ma quali cambiamenti ha portato, nella nostra cultura, la scoperta dell’istanza dell’io? Basta osservare quanto siano cambiati i nostri atteggiamenti nei riguardi delle emozioni.
Se da un lato la scoperta dell’io ha condotto a idee rivoluzionarie come quella di razionalità, di individualità, di libero arbitrio, dall’altro le emozioni ne hanno risentito.
Nel corso dei secoli si sono affacciate sempre più correnti culturali e religiose con ideologie tese al ridimensionamento del valore delle emozioni, e alla demonizzazione di alcune di esse, come per quella dell’ odio.
Ad oggi, un poema come l’Iliade può risultarci troppo violento e tollerante nei confronti di un’emozione “negativa” come l’Ira: basti pensare a come essa sia bandita dalla nostra società, e che tutte le manifestazioni di rabbia estrema possano portare a conseguenze penali.
Ma non è quella l’unica emozione ad esser stata bandita: un esempio valido ci è fornito dal dolore, e in particolare dal pianto. Ci viene insegnato che piangere in pubblico è imbarazzante, e che quando si soffre è buona educazione non darlo a vedere, e rispondere “bene” quando qualcuno chiede “Come stai?”.
Questa regola sociale implicita tocca in particolare l’universo maschile: “i veri uomini non piangono”, “ha pianto come una femminuccia”, sono frasi che chiunque ha sentito dire almeno una volta.
Omero non la pensava così.In entrambi i poemi, il pianto di dolore era un’emozione importantissima e rituale.
Quando Ulisse racconta le pene che ha passato lungo i suoi anni in viaggio, tutti i guerrieri che lo ascoltano piangono intensamente, e chi non lo fa non è certamente ben visto: non ha empatizzato col dolore di Ulisse, dunque è un uomo meno profondo degli altri.
Quando un eroe muore in guerra, o quando viene annunciata una brutta notizia, tutti i presenti sono tenuti a piangere, lo detta il buon costume.
Le emozioni, per i Greci, erano qualcosa che non poteva assolutamente riguardare un solo individuo: erano contagiose. Erano onde, che fluttuavano, si alimentavano e crescevano nel loro percorso, e si abbattevano violentemente contro ogni cosa incontrassero sul loro cammino.
E non esisteva barriera tra un umano e l’altro, non esisteva più confine: l’emozione travolgeva chiunque senza lasciare scelta, rendendo tutti uguali, per esempio, davanti al dolore.
Nel mondo moderno, uno dei più grandi drammi è che ciascuno si sente solo di fronte al proprio dolore.
Esistono famiglie anaffettive, che educano inconsapevolmente i propri figli alla freddezza, e a non mostrare ciò che hanno dentro per apparire forti agli altri.
Queste persone crescono perdendo completamente il contatto con la propria essenza istintiva, col proprio “tumós”, e riducono le proprie emozioni a stati fisici o razionalizzazioni, cosa di cui la salute psichica risente.
Ci viene insegnato che piangere è umiliante, che la rabbia va sempre contenuta, che dobbiamo avere rispetto di chi ci impone una vita diversa da quella che vorremmo, se lo fa “per il nostro bene.”
Ogni giorno ascoltiamo centinaia di voci di persone care, capi politici e religiosi, media, che indirettamente ci dicono chi essere, cosa essere, come comportarci al meglio.
L’io è l’unica istanza accreditata, la razionalità è legge, e l’istinto è rimasto una cosa che associamo agli animali, o al massimo ai “pagani”, o a gruppi umani “meno civilizzati.” Forse, per essere davvero felici e liberi, dovremmo ritornare a quelle che sono state le nostre radici; dovremmo concederci, senza dimenticare di avere un io al controllo di ogni cosa, di mettere da parte questo controllo e lasciare più spazio alle nostre emozioni.
Le emozioni hanno sempre ragione, narrano dei nostri poemi interiori, ma anche l’ io ha altrettanta importanza che ci narra della nostra civiltà, e del rispetto, bisogna lasciarli dialogare, litigare e riconciliare in noi stessi. Tale dialogo rappresenta l’opportunità di salvare le differenze individuali e la socialità. È solo all’interno di un dialogo che l’emozione potrebbe farla franca, senza mietere vittime sociali.
Forse così facendo smetteremmo di sentirci soli quando soffriamo, o incompresi e repressi quando proviamo rabbia, e non ci vergogneremmo a correre per strada gridando di gioia e danzando quando siamo entusiasti di qualcosa.
Dovremmo recuperare un po’ di quella essenza istintiva e dirompente raccontata nei poemi omerici, e lasciare che essa ci unisca agli altri, in un rispecchiamento empatico intenso e arcaico, insito nella nostra natura.
gaia caputi
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Settimanale Psicologo Roma : IL SINTOMO E LA PAROLA
Il sintomo è il rivelatore della nostra più elevata intimità
IL SINTOMO E LA PAROLA
Il sintomo è il rivelatore della nostra più elevata intimità.
La filologia, è lo studio dell’origine della formazione dei testi e della parola, va verso la “storia” , un filologo viaggia dalla parola alla Storia.
Lo psicanalista, uno psicoterapeuta viaggia dall’ osservazione dei sintomi, segue la loro formazione, tenta di beccare le coordinate longitudinali e latitudinali degli eventi del soggetto, all’interno di un meta spazio in cui il tempo confuso coniuga il verbo passato, e attraverso il sintomo, il passato resta invasivamente e invalidamente presente.
Il sintomo rappresenta l’annullamento del presente, l’egemonia del passato.
Esso è l’ombra dell’ irrisolto, è la catapulta che colpisce alle spalle, il boomerang ritorsore che sistematicamente si rivolta contro, ci sbatte in faccia tutto ciò che avremmo dovuto guardare o pensavamo risolto.
Amo questo viaggio esplorativo, dal sintomo alla sensazione e dalla sensazione al sintomo, attraverso la parola nel tratturo sterrato degli eventi, come uno speleologo scendere, scivolare, precipitando e risalendo tra le foibe dell’anima.
La parola non è solo descrittiva del nostro vissuto, fa palpitare, vibrare e spremere ogni nostro organo interno, fino alla pelle che sfiora le esterne intemperie.
Il sintomo e la parola ci fanno vibrare, tremare, soffrire, rilassare e gioire.
A volte basta una parola per rievocare, e ci vuole un sintomo per fissarci alle origini di noi. Il Caronte di questi viaggi è la sensazione, il ricordo e il logos , la parola.
Un sintomo è il rivelatore della nostra più elevata intimità, esso ci narra dell’ indicibile, dalle nostre rabbie alle fobie è molto più di quanto riusciremmo a dirci.
Il sintomo scalpita, scalfisse e reclama, col dolore della sua piaga, il diritto alla serenità, al benessere, alla progettualità, invita a determinarla attivamente non a sperare, ma a muoversi a vantaggio del rimedio, alla soluzione.
Il sintomo reclama la soluzione, chiede di snodarsi, di venire fuori, chiede di padroneggiare sulle cause dei malesseri.
Il sintomo ci parla, urla prepotentemente che qualcosa deve essere ripercorso e rivisto, invita a cercare il bandolo per ordinare e riavvolgere il gomitolo dei vissuti aggrovigliati o ad accettare situazioni e che non si possono cambiare.
L’obiettivo della cura è la guarigione, si compone come su di un pentagramma, all’interno di un tragitto analitico, dalla traduzione del sintomo, agli eventi subiti, attraverso la parola rivelatrice.
L’ascolto e l’osservazione è l’esploratore, la parola è la traduzione del sintomo, la meta, l’individuazione dell’evento scatenante il disturbo.
Ascolto, traduzione ed individuazione sono le tre tappe della mia psicoterapia orientate alla guarigione.
giorgio burdi
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