NOI SIAMO IL TALENTO
Il mio, non un lavoro, è la mia stessa passione
NOI SIAMO IL TALENTO
Il mio, è molto di più di un lavoro, è la mia stessa passione.
La bellezza di un opera d’ arte viene apprezzata per l’ incanto del piacere che suscita, è assolutamente soggettiva come la contemplazione dinanzi ad una persona come una meraviglia per le sensazioni che suscita.
Ognuno, è una griffe, è un prezioso, un’ opera assoluta, un numero uno, un esemplare, è un’architettura d’ arte irreperibile, è stile, eleganza, originalità, ognuno fa la differenza, è una lirica, un concerto, è una immersione in un abisso, un cosmo di stelle inesplorato ispiratore del piacere di esplorarlo.
Oltre alla categoria, non ci sono uguaglianze, ognuno è un colore differente, tinte di luci emotive variegate, sapori diversi, voci e suoni celestiali, possiamo percepire che tutte le diversità sono armonia e ci amano o possono rappresentare un fastidio.
Ogni diverso che entra in noi, in empatia, si fa simpatico, un numero uno col nostro numero uno, l’empatia ci conduce al piacere di immergerci, in una comunicazione eterna senza fine, non fatta solo di parole ma di sensazioni afferrabili.
Cosi come non c’è tinta che tenga, bianco, giallo o di colore, non c’è viso o sorriso uguale, esistono personalità totalmente differenti, siamo tutti irreperibili, totalmente altri, meritevole ognuno di un capitello, di una cornice dorata, di un piedistallo o di un fregio, ognuno è uno stemma di un casale.
La totale diversità mi affascina, la normalità non esiste, è un concetto livellatore, bonifica, rastrella, appiattisce, ci rende tranquilli per la paura del nuovo, ma anche molto chiusi, isolati e soli.
Quando osiamo varcare la soglia oltre la nostra solitudine e ribaltiamo il pensiero al fuori di noi, intraprendiamo un viaggio vacanza, una avventura dolorosa o piacevole che sia, ma pur sempre in una prospettiva espansiva, più ampia e moto più ricca di noi.
Varcare la soglia oltre il se, rappresenta l’estensione di noi, oltre e aldilà delle nostre ombre, attraverso l’illuminazione degli altri.
Gli altri non ci creano problemi, li allontaniamo perché ci ricordano quelli che abbiamo, dimenticando che il più delle volte li abbiamo cercati. Riconciliati con il mondo.
L’uomo è la mia passione, pertanto è molto di più di un talento. Ogni persona che incontro è una novità, faccio reset delle precedenti parole ed espressioni, pronto ad entrare in un nuovo mondo fatto di bui e colori differenti, è un viaggio meraviglioso oltre se, è un viaggio all’ infinito, oltre la propria solitudine, un viaggio ineguagliabile nelle storie ed avventure del nostro centro dell’ universo, nell’ abbattere ostacoli e lottare per liberare il talento che è ognuno.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : MINDFULNESS, ESSERE QUI ED ORA
La consapevolezza di “adesso” è il risveglio alla vita
MINDFULNESS, ESSERE QUI ED ORA
La consapevolezza di “adesso” è il risveglio alla vita
Dalla notte dei tempi i piu’ grandi saggi ci dicono che il segreto della gioia risiede nella capacità a coltivare uno stato d’animo incline ad “apprezzare” a “gustare” il qui ed ora e a sostituire i dubbi e le domande sul futuro con il potere di questo istante.
Abbandonare l’idea di dover avere ed essere di piu’, di essere da un’altra parte in futuro e sviluppare la capacità di vedersi completi ora, presenti ad un’abbondanza illimitata e ad una luce che è sempre presente “in questo istante”.
Affidarsi alla sorgente della vita che provvede ai nostri reali bisogni, significa purificare lo sguardo e imparare a cogliere le reali opportunità che la fatica dei nostri continui combattimenti ci impedisce di vedere.
I percorsi Mindfulness ci possono aiutare ad acquisire una maggiore consapevolezza dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, delle nostre reazioni automatiche di fronte alle situazioni della vita, aprendoci ad una vita piu’ ricca-proprio adesso- e ad un maggior grado di benessere.
laura cecchetto
Per info e contatti sui
CORSI MINDFULNESS – Studio BURDI – contattare
laura.mbsr@gmail.com – tel. 3331664233 –
Dott.ssa Laura CECCHETTO (PhD)
“Practicum” e”Teacher Development Intensive”Professional Education and Training – Oasis Institute, University of Massachusetts Medical School –
https://www.umassmed.edu/cfm/oasis/
CHI SPERA FRENA, CHI CREDE VOLA
CHI SPERA FRENA, CHI CREDE VOLA
Sostanziali differenze per progettare
Il bisogno di sperare che accada un evento auspicato, è insito nel vettore uomo. Gli auguri rappresentano quel buon auspicio, quasi un presagio per esorcizzare le forze avverse per il raggiungimento di un obiettivo, tale che tutto vada nella giusta direzione.
In bocca al lupo, in culo alla balena, o varie locuzioni di questo tipo, sono tracce di pensieri magici ancestrali, sono insiti ed interconessi nelle galassie dei nostri sistemi neuronali, anche chi giura di non essere superstizioso, si trova comunque a lasciar fluttuare nel proprio oceano di pensieri, un suo totem.
Chi più o chi meno, dipendiamo un po’ tutti da mantra filosofici, educativi, meditativi, soggettivi, politico religiosi. Comunque sia, la nostra esistenza è appesa a rituali automatici, più di quanto noi potremmo immaginare.
Il rituale coatto rappresenta l’asta del funambolo, senza di essa, si cadrebbe, si scivolerebbe sulle proprie incertezze. Ma il vero problema sono esattamente le proprie incertezze. Diciamolo francamente, chi non ha mai fatto un pensiero scaramantico ? Non costa nulla è gratuito e può essere un gioco simpatico, anche se quel gioco potrebbe reggere una illusione.
Sperare, potrebbe essere un atteggiamento scaramantico, essa lascia aperti alle illusioni, procrastina l’ immobilismo, lo status quo, rappresenta l’ attesa, un sogno forse realizzabile.
Il vero problema è esattamente quel forse, ci stende al tappeto, in una attesa spesso interminabile, ci lascia piano piano moribondi nella stasi, il forse è pericoloso, rappresenta semplicemente la perdita del tempo. Forse nasce da qui il detto ” chi di speranza vive, disperato muore ” .
La speranza è sorella dell’ immobilismo, entrambi, sono figli dell’ attesa, i precursori acerrimi della noia.
Chi attende, si annoia sempre, aggancia la sua malinconia, entrambi educati dal “non osare mai”, sono ad intraprendenza zero.
I genitori della speranza credono che sia la vita a determinare gli eventi, che noi potremmo determinare poco. La vita ci rende sfortunati o fortunati, deve andare così, non si puó far nulla, per essi c’è chi nasce senza camicia e c’è chi ha culo.
Per i genitori della speranza, non c’è nulla da fare, è una questione il carattere, di destino, capacità d’azione e determinismo zero. L’ accezione cristiana persino ammette, che sperare non basta affatto, ma “aiutati, che Dio ti aiuta”.
Chi spera, è morto, chi invece crede, vive. Accettare certe verità è molto più attivo che attendere che i cambiamenti capitino. Sperare va bene, ma dopo una serie di azioni.
Chi spera, lascia passivamente che accada, ma ciò che di solito accade, è riconoscere il protagonismo altrui, subendolo.
Chi crede è un osservatore attento, vede, non guarda solo, tira le somme, riesce a distinguere l’ impossibile dal possibile, il soggettivo dall’ oggettivo, magari si impegna anche per l’ impossibile, ma sulla base dei dati di fatto, ha radici, i piedi piantati per terra, egli è intanto un diagnosta, decripta l’ ambiguo, è un ricercatore delle cause, un attivo decodificatore delle illusioni.
Chi crede non si azzarda a voler cambiare gli altri, ad attendere le loro metamorfosi o sanare le altrui amputazioni, è realista, accetta che la realtà sia quella, non è sopito nel suo sogno, si lava la faccia, si sveglia dal sonno. Chi crede, non si ama perché lo amano gli altri, è un uomo, si ama a prescindere.
L’illusione di chi spera, è nella convinzione e nell’ attesa che gli altri cambino, però spesso gli altri non lo sanno su cosa vorrebbero o dovrebbero cambiare o non lo ritengono nemmeno opportuno.
Il desiderio di cambiamento prevede l’ affidarsi al proprio talento del saper dubitare, delle proprie ed altrui convinzioni ed atteggiamenti. Chi non sa dubitare mai, ignora, è insufficiente e insicuro, anzi è un sufficiente, saccente, nega gli altri, deficia, frena e arena il suo tragitto. Non cresce.
Chi crede è nelle proprie mani, chi spera è sempre nelle mani altrui.
giorgio burdi
ContinuaLA SINDROME DI MUNCHAUSEN
La sindrome del “The Medical Shopping”
SINDROME DI MUNCHAUSEN
The Medical Shopping
Faccio il medico con internet, con un click sono già laureato, veloce, pratico, schiaccio, so e il mio titolo è già sulla parete.
La mia clinica si chiama google, è il mio personal primary , riservato, confidente, pertinente, perspicace e competente, comprende, risponde, è vero, schietto, veloce, preciso e compendioso.
Google è il medico addosso, come l’ angelo custode o il medico della morte. Sono un fanatico del dubbio, non mi basta mai, saprei con lui come istruire i medici. È il mio personal diagnostic, più fedele ed affidabile della mammà, con la tastiera, mi tasto subito il polso, mi tolgo il pensiero, o me lo metto.
Google le trova davvero tutte, è amorevole, vicino, a letto, in auto o sulla tazza, mi stimola la frenesia ma anche di più, l’ ansia del dubbio. Google proclama l’ epopea della civiltà del dubbio, afferma tutto e il contrario di tutto.
C’è padre Google, egli è l’ esempio della vera comunicazione e relazione perfetta. L’ indice comanda, google obbedisce. Ops, google comanda e l’uomo obbedisce. È il nuovo genitore affidatario, il delegato per eccellenza dei tutori.
È il miglior partner immediato, nessuno mai così vicino. È la relazione col maggior tempo dedicato, ad ogni sintomo una malattia, una terapia, sempre un riscontro.
Poi c’è mamma Siri, la dottoressa OS, discreta ma decisamente competitiva è l’ operatrice Voice, lei ti sussurra sensualmente che hai un linfoma di king kong, che per L’ epatite B c’è bisogno di kaspersky o per la disfunzione erettile devi comprare un hard disk mentre devi acquistare una RAM, per i disturbi della memoria.
Google e Siri, sono i migliori fomentatori ipocondriaci. Occhi gonfi e lucidi, riflessi del monitor, ricoveri virtuali domiciliari, trans ipnotiche cibernetiche ipocondriache, incantesimi sul l’angoscia del disco ipnotico dei sintomi, non più case abitative, ma case circondariali, una civiltà imprigionata nella Rete a diagnosticare.
L’ Ipocondria è una malattia, che auto induce a malattie temute, una fissazione che induce sintomi, un impegno mentale su ciò che viene ostinatamente evitato, diviene ossessivamente cercato, un temuto, attuato. Siamo in grado di autoprodurci dolori attraverso la fissazione.
La causa: inconsce richieste affettive ed attenzioni all’ accudimento.
A tale scopo si fingono traumi o malattie, senza alcuna forma di consapevolezza, allo scopo di attrarre a se attenzioni, comprensione, compatimenti affetti e pietà, detta sindrome di Münchhausen .
Accade come esattamente per l’ipocondria, è detta anche sindrome da dipendenza da ospedale divenuto casa. Un tour ospedaliero, in un effimerato medical shopping, che garantisce un picnic, il viaggio e la miglior vacanza per ottenere serenità sospirata, tenerezze, considerazione ed affetto, dilapidando denari e patrimonio, nella finzione di una vita efficiente, ma in realtà carica decisamente di frustrazioni tutte da risolvere.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : MINDFULNESS PER SALVAGUARDARE LA NOSTRA ENERGIA VITALE
Corso di Mindfulness, per iscriverti, chiama o invia la mail.
“MINDFULNESS” PER SALVAGUARDARE LA NOSTRA ENERGIA VITALE
Corso di Mindfulness, chiama o invia la mail per iscriverti.
Riproponiamo una serie di articoli inerenti una giovanissima, ma consolidata tecnica, per l’ apprendimento relativo alla riduzione dello stress, nell’ intento di informare ed invitare ad iscriversi al percorso formativo. Lo
Molto spesso quando siamo stressati pensiamo di poter ritrovare il nostro stato di equilibrio, rimuovendo la situazione esterna, fonte di stress, finché non se ne ripresenta un’altra ed un’altra ancora.
Per smettere di sprecare tante energie preziose, è importante capire che molto del nostro stato, dipende dal modo in cui noi interagiamo con la realtà e che di modi di pensare e di interagire ve ne sono tanti.
Imparare a scegliere “quale”, significa imparare a ridurre il nostro stress e aumentare il nostro grado di benessere, riducendo lo spreco di risorse.
L’approccio MBSR (Mindfullness Based Stress Reduction) è un percorso guidato verso una maggiore consapevolezza dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, delle nostre reazioni automatiche, di fronte alle situazioni della vita.
Reazioni che diamo per scontato, che scambiamo per spontaneità, ma che sono spesso il frutto di condizionamenti profondi.
Imparando a riconoscere i nostri automatismi, ci apriamo ad una vita piu’ ricca di scelte, ci liberiamo dall’ansia e ci concediamo un maggior grado di benessere.
laura cecchetto
Sono aperte le iscrizioni per la Puglia e per il Lazio. Per informazioni e contatti sui Corsi Mindfulness Studio BURDI, contattare:
Laura CECCHETTO (PhD)
laura.mbsr@gmail.com – tel. 3331664233
Insegnante Mindfulness e Mindfulness based stress reduction. Practicum e Teacher Development Intensive Prossional Education and Training , Oasis Institute, University of Massachusetts Medical School
https://www.umassmed.edu/cfm/oasis/
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : LA MAMMA ESTRANEA
Se mia madre è una adolescente
LA MAMMA ESTRANEA
Se mia madre è una adolescente ?
La relazione genitoriale, quando esiste, si prende cura dei figli generati, in determinate circostanze si mette in scena una genitoritorialità adolescenziale tale che saranno i figli a prendersi cura dei propri genitori, sacrificando la propria infanzia e la propria vita a vantaggio genitoriale. Lettera di Sara alla mamma.
Cara mamma, ho combattuto molto prima di iniziare a scriverti questa lettera, ma è giusto che io lo faccia, soprattutto per me stessa.
Ti scrivo e tu sei qui vicino a me, continui le tue solite faccende domestiche, è quasi una follia, scriverti indirettamente e non sputare di getto queste parole guardandoti negli occhi.
Ma come posso farlo? Inizieremmo a litigare, come nostro solito ! Voglio iniziare facendoti ricordare quel disegno che alle elementari la maestra ci chiese di fare: Disegna la tua mamma! Ti disegnai,ma forse non eri proprio tu !
Ti disegnai, con un gonnellone, lungo, quasi fino ai piedi, ma tu non hai mai usato i gonnelloni! Questo mi dicesti .. Ma io la volevo così una mamma. Una mamma coperta con un gonnellone .
Invece i “gonnelloni” ho iniziato ad usarli io, in casa, quando ho dovuto e devo fare da guida a tutti, a te, a papà , a mia sorella, quando ti ripeto giorno dopo giorno come devi comportarti, quando ti vedo nel letto al buio, depressa, per la fine delle tue solite storie d’amore, che poi d’amore non c’è niente.
E tu me l’hai sempre detto, l’amore non esiste ! Gli uomini sono tutti stronzi, e io ti ho creduto e forse lo credo ancora . <> Queste sono state le tue parole.
Ed è forse questa la spiegazione di come non mi sono mai vissuta niente, di come non ho mai avuto altre esperienze, non ho fatto l’amore o sesso, (come lo vogliamo chiamare ?) con altre persone se non con il mio ragazzo, perché in cuor mio le esperienze le ho avute, ma attraverso le tue storie!
Non mi sono mai vissuta niente perché mi ripetevo sempre, io non sono come te, ma forse un po come te lo sono. Sono fredda, perché tu mi hai insegnato questo, non mi fido di nessuno perché tu non ti fidi di nessuno, neanche di noi, delle tue figlie.
Non mi hai mai chiesto scusa, mai, di nulla, quasi non ci siamo mai abbracciate, sempre con quel muro che ci divideva. Non mi hai mai dimostrato il tuo affetto, anche se io so che tu lo provi, e so quanti sensi di colpa ti tormentano, ma non hai mai provato a cambiare, a cambiarci !
Questo mi fa stare molto male, perché penso che diventerò come te, per questo non voglio essere mamma, per questo non voglio sposarmi, perché, attraverso di te in realtà, lo sono già stata e non mi è piaciuto .
Sono appena uscita dall adolescenza, ma non L’ ho mai vissuta, sono tanto grande, quanto stanca , perché vorrei fottermi di tutto, di tutto ciò che abbiamo passato, di te della ragazzina incompresa che sei, delle tue parole come pietre , che ad ogni litigata, lanciavi verso di me, come se non te ne importasse, come se volessi farmi soffrire e di papà, della sua malattia, di “un giorno si la vita è bella” e “dell’altro giorno la vita fa schifo forse mi ammazzo”.
Vorrei fottermi di tutto e pensare un po a me stessa , fare cazzate, non essere troppo razionale e vivermi la vita , cosa che prima non facevo.Il cammino è duro,ci sono salite e discese ,ma io un po sto iniziando a fidarmi , di tante persone questa volta ,che è il mio gruppo analitico,?il mio gruppo del mercoledì, il cerchio del nuovo parto, che piano piano a passettini leggeri sta entrando dentro me .
Ora vado , vado a vivermi la mia vita. Ti voglio comunque sempre un gran bene, anche se sei una mamma estranea. Tua figlia.
giorgio burdi
Studio BURDI
ContinuaGRATITUDINE E RICONOSCENZA
GRATITUDINE E RICONOSCENZA espressione di maturità affettiva e di intelligenza.
Oltre i confini del narcisismo.
La gratitudine è la massima espressione ell’ intelligenza umana relativa alla consapevolezza di cosa gli altri possano aver fatto per semplificarci e cambiare in meglio la nostra vita.Non c’è prezzo ne quotazione, essa è la massima espressione della coscienza della svolta, del bene ricevuto e della virata data alla propria esistenza.
Chi è in grado di provare riconoscenza, è adulto, essa rappresenta l’abbattimento di ogni forma di narcisismo e di egocentrismo.
Colui che non è capace di gratitudine, tutto gli è dovuto, è il mammone non cresciuto, in eterna lotta per la sua autostima. Resta imprigionato nel suo bisogno continuo di accudimento da parte di una madre che non gli ha mai restituito la gratitudine di essere nato. Non gli ha mai reso un sorriso o un abbraccio, vissuto in campana, ha sviluppato un microfallo sulla illusione della sua potenza.
L’ ingrato è per sua natura super e supervisor, diffidente, dissidente e giudice, saccente, è un wikipedia, l’ultima parola è sempre la sua.L’ irriconoscente è sarcastico, cinico, sadico e invidioso, pirata, assalitore, è un pianta grane, presume, è calcolatore, commerciante, vive ossessionato dal baratto.
Un adulto è sereno, ha dubbi, è un imperfetto ed un nevrotico convinto, è umile, ha sempre da imparare, molto meno da insegnare, perché incerto di quanto sia spesso farina del suo sacco, invece è più certo di quanto dovrebbe essere grato agli altri, per essere in piedi nel mondo.
Nei bambini, tra la prima e la seconda infanzia, è presente un atteggiamento connaturato chiamato: egocentrismo.
In esso il bambino si percepisce come fosse il centro dell’universo, ha la percezione di aver creato gli altri, il mondo e il cosmo.
Tutto gli è dovuto, ad ogni suo sorriso, lallazione, pianto, urla, tutta l’attenzione viene calamitata su di se, è il direttore cosmogonico del creato, il padre eterno, dirige i giochi, le poppate, i suoi sogni nei capricci allo zucchero filato, scoppia e gonfia palloncini, è l’artefice delle favole colorate, delle pernacchie, delle faccine e dei maramao, tutto a reverenza dei suoi sorrisi.
Insomma il bimbo ha lo scettro del potere, conferitogli, è l’inventore delle sue immagini, plastiche in 4D. Insomma, egli è appena all’ origine dell ‘ esordio del suo narcisismo e del suo delirio di onnipotenza.
Il primo segno di riconoscenza che il bambino imparerà, è quello che gli giunge dalla mamma. Ella, per la prima volta lo discosterà dal suo egocentrismo, distraendo la sua attenzione dalla sua mente immaginale, verso la sua genitrice.Il sorriso della mamma rappresenta per il bambino la prima risposta esterna rispetto a se.
In questa fase, il più grande paradosso che si genera, è quello rappresentato dalla mamma che è riconoscente al figlio per aver poppato e sorriso. Perché è un paradosso ? Perché la mamma è fiera non solo di se, ma del piacere del suo bambino.
La mamma gli rimanda, la gratitudine per lui.
La mamma riconosce al figlio quale è il bene per se stesso, ma il figlio sarà ancora molto lontano dalla ccapacita di riconoscimento del bene della madre per se stesso.
La mamma è riconoscente al bimbo per aver mangiato o sorriso, ella gli rinvia il suo rispecchiamento, gli rimanda l’immagine del piacere provato per lui.
Il bambino non può in alcun modo possedere idea di cosa possa essere la riconoscenza e la gratitudine di essere nato ed accudito, senza il rimando e la percezione della mamma che gli fa da specchio.
L’atteggiamento della gratitudine e della riconoscenza del bambino si affaccia quando egli realizza che intorno a lui ci sono altri in azione. In questo preciso istante inizia a prendere corpo in lui, la sensazione, di non essere il creatore, ma creato.
Siamo alla genesi della fine del delirio di onnipotenza, si introduce l’esordio della primissima esperienza dell’ impotenza.
Nel bambino, Il decadimento del senso di onnipotenza coincide con il momento in cui percepisce che non è l’artefice del proprio concepimento .
È l’inizio della percezione, del limite, della realtà, della presenza dell’io, del tu e del noi.
Un politico eletto dal popolo, che assume un potere, non riposto allo stesso servizio del popolo, resta quel bambino egocentrico, aggrappato al suo giocattolo strattonato per giocarci.
Un politico riconosciuto come tale, è quel politico riconoscente al popolo.Lo è stato per prima dalla madre e lo si riconosce poi nel suo servizio, come una madre verso il popolo.
Un politico è tale se lavora ed è in grado di poter ricevere gratitudine e consensi dal popolo. Un politico è tale, se ha una mamma grata. È un test, questo, valido per tutte le professioni al servizio.
La matrice per percepire quanto si è adulti e nel senso umano delle relazioni, consta nello sviluppo e nella crescita verso il senso della gratitudine.
La matrice delle relazioni e di un mondo migliore, consta nello sviluppo del senso della gratitudine. Mamme, voi che allattate, attente.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : VIVO LE EMOZIONI O LE CONTROLLO
Il viaggio delle emozioni, dai poemi omerici ad oggi.
VIVO LE EMOZIONI O LE CONTROLLO ? Il viaggio delle emozioni, dai poemi omerici ad oggi.
“Dell’Ira parlami, o dea, del pelide Achille”. Così recita il primo verso dell’Iliade. La parola greca “Ménin” è la prima della letteratura occidentale, ed il suo significato è “Ira.” e parla di emozioni .
Un’emozione, messa prima di ogni altra cosa. È risaputo come, nei poemi omerici, l’intero significato dell’opera sia racchiuso nel suo primo verso. Risulta chiaro che la scelta della primissima parola sia più che fondamentale: deve essere una parola forte, colma di significato.
Per l’Ilade, il poema più antico, questa parola è “L’ira”, quella di Achille. Per l’Odissea è “L’uomo”, ovviamente Ulisse.
Perché la letteratura occidentale incomincia con un’emozione? Perché nel mondo greco l’emozione era tutto.
Le conoscenze anatomiche non erano paragonabili a quelle odierne, ed era diffusissima l’idea che nel petto fossero custoditi gli organi centro della vita emotiva dell’individuo.
Il principale era chiamato “tumós” ed era il punto da cui partivano tutti gli impulsi, gli istinti, le emozioni incontrollabili. Questo “organo” è ciò che per tutta l’Iliade spinge gli eroi all’azione e alla decisione, come un’incontenibile divinità interiore, che comandava qualcosa a cui l’individuo non poteva sottrarsi.
Così era vissuta l’emozione: un comando proveniente dalle membra che non poteva essere contenuto, non poteva essere dissimulato o ignorato. Quando l’ira di Achille esplode, scatena una pestilenza che miete moltissime vite.
L’emozione è potente, inarrestabile, e così lo è l’uomo che da essa si lascia trascinare. Ma la vita di ciascuno era anche influenzata da forze esterne: le divinità.
Ogni azione nell’Iliade è il risultato tra lo scontro tra tumós, il “cuore” emotivo dell’individuo, e il volere divino. La vita dell’uomo è frutto dell’emozione e del fato: nulla di più.
Pensarla così oggi risulta molto difficile. Da secoli ormai siamo abituati a pensare che ciò che facciamo dipenda da noi, dalla nostra scelta razionale e ponderata, e che chi prenda le decisioni non sia un “tumós” incontrollabile, ma l’io.
L'”io” nasce nella letteratura occidentale soltanto alla fine dell’Odissea. È la prima volta in assoluto che questa parola viene scritta: quando Ulisse, travestito da vagabondo, arriva nel proprio palazzo regale dopo un viaggio durato vent’anni, e assiste alla scena dei pretendenti di sua moglie che fanno scempio della sua dimora. Allora Il tumós comanda a Ulisse, colmo d’ira e di disprezzo, di togliersi il travestimento e ucciderli tutti, ed è in quel momento che una nuova forza si fa strada nella mente dell’eroe e in tutta la letteratura dell’occidente: l’io, che invece suggerisce di sopportare, accantonare la rabbia e aspettare il momento giusto per vendicarsi.
È così che nasce l’io. Come una forza in grado di porre un freno al tumós e alle emozioni. Come un’entità depositaria del controllo, un controllo che non è più dell’impulsività interna o degli interventi divini esterni, ma tutto dell’individuo e della sua mente.
Ecco perché l’Odissea comincia con la parola “Uomo” e non più con un’emozione: è l’io ciò che fa di noi uomini ciò che siamo, e non esiste concetto più moderno di questo.
Ma quali cambiamenti ha portato, nella nostra cultura, la scoperta dell’istanza dell’io? Basta osservare quanto siano cambiati i nostri atteggiamenti nei riguardi delle emozioni.
Se da un lato la scoperta dell’io ha condotto a idee rivoluzionarie come quella di razionalità, di individualità, di libero arbitrio, dall’altro le emozioni ne hanno risentito.
Nel corso dei secoli si sono affacciate sempre più correnti culturali e religiose con ideologie tese al ridimensionamento del valore delle emozioni, e alla demonizzazione di alcune di esse, come per quella dell’ odio.
Ad oggi, un poema come l’Iliade può risultarci troppo violento e tollerante nei confronti di un’emozione “negativa” come l’Ira: basti pensare a come essa sia bandita dalla nostra società, e che tutte le manifestazioni di rabbia estrema possano portare a conseguenze penali.
Ma non è quella l’unica emozione ad esser stata bandita: un esempio valido ci è fornito dal dolore, e in particolare dal pianto. Ci viene insegnato che piangere in pubblico è imbarazzante, e che quando si soffre è buona educazione non darlo a vedere, e rispondere “bene” quando qualcuno chiede “Come stai?”.
Questa regola sociale implicita tocca in particolare l’universo maschile: “i veri uomini non piangono”, “ha pianto come una femminuccia”, sono frasi che chiunque ha sentito dire almeno una volta.
Omero non la pensava così.In entrambi i poemi, il pianto di dolore era un’emozione importantissima e rituale.
Quando Ulisse racconta le pene che ha passato lungo i suoi anni in viaggio, tutti i guerrieri che lo ascoltano piangono intensamente, e chi non lo fa non è certamente ben visto: non ha empatizzato col dolore di Ulisse, dunque è un uomo meno profondo degli altri.
Quando un eroe muore in guerra, o quando viene annunciata una brutta notizia, tutti i presenti sono tenuti a piangere, lo detta il buon costume.
Le emozioni, per i Greci, erano qualcosa che non poteva assolutamente riguardare un solo individuo: erano contagiose. Erano onde, che fluttuavano, si alimentavano e crescevano nel loro percorso, e si abbattevano violentemente contro ogni cosa incontrassero sul loro cammino.
E non esisteva barriera tra un umano e l’altro, non esisteva più confine: l’emozione travolgeva chiunque senza lasciare scelta, rendendo tutti uguali, per esempio, davanti al dolore.
Nel mondo moderno, uno dei più grandi drammi è che ciascuno si sente solo di fronte al proprio dolore.
Esistono famiglie anaffettive, che educano inconsapevolmente i propri figli alla freddezza, e a non mostrare ciò che hanno dentro per apparire forti agli altri.
Queste persone crescono perdendo completamente il contatto con la propria essenza istintiva, col proprio “tumós”, e riducono le proprie emozioni a stati fisici o razionalizzazioni, cosa di cui la salute psichica risente.
Ci viene insegnato che piangere è umiliante, che la rabbia va sempre contenuta, che dobbiamo avere rispetto di chi ci impone una vita diversa da quella che vorremmo, se lo fa “per il nostro bene.”
Ogni giorno ascoltiamo centinaia di voci di persone care, capi politici e religiosi, media, che indirettamente ci dicono chi essere, cosa essere, come comportarci al meglio.
L’io è l’unica istanza accreditata, la razionalità è legge, e l’istinto è rimasto una cosa che associamo agli animali, o al massimo ai “pagani”, o a gruppi umani “meno civilizzati.” Forse, per essere davvero felici e liberi, dovremmo ritornare a quelle che sono state le nostre radici; dovremmo concederci, senza dimenticare di avere un io al controllo di ogni cosa, di mettere da parte questo controllo e lasciare più spazio alle nostre emozioni.
Le emozioni hanno sempre ragione, narrano dei nostri poemi interiori, ma anche l’ io ha altrettanta importanza che ci narra della nostra civiltà, e del rispetto, bisogna lasciarli dialogare, litigare e riconciliare in noi stessi. Tale dialogo rappresenta l’opportunità di salvare le differenze individuali e la socialità. È solo all’interno di un dialogo che l’emozione potrebbe farla franca, senza mietere vittime sociali.
Forse così facendo smetteremmo di sentirci soli quando soffriamo, o incompresi e repressi quando proviamo rabbia, e non ci vergogneremmo a correre per strada gridando di gioia e danzando quando siamo entusiasti di qualcosa.
Dovremmo recuperare un po’ di quella essenza istintiva e dirompente raccontata nei poemi omerici, e lasciare che essa ci unisca agli altri, in un rispecchiamento empatico intenso e arcaico, insito nella nostra natura.
gaia caputi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : IL SINTOMO E LA PAROLA
Il sintomo è il rivelatore della nostra più elevata intimità
IL SINTOMO E LA PAROLA
Il sintomo è il rivelatore della nostra più elevata intimità.
La filologia, è lo studio dell’origine della formazione dei testi e della parola, va verso la “storia” , un filologo viaggia dalla parola alla Storia.
Lo psicanalista, uno psicoterapeuta viaggia dall’ osservazione dei sintomi, segue la loro formazione, tenta di beccare le coordinate longitudinali e latitudinali degli eventi del soggetto, all’interno di un meta spazio in cui il tempo confuso coniuga il verbo passato, e attraverso il sintomo, il passato resta invasivamente e invalidamente presente.
Il sintomo rappresenta l’annullamento del presente, l’egemonia del passato.
Esso è l’ombra dell’ irrisolto, è la catapulta che colpisce alle spalle, il boomerang ritorsore che sistematicamente si rivolta contro, ci sbatte in faccia tutto ciò che avremmo dovuto guardare o pensavamo risolto.
Amo questo viaggio esplorativo, dal sintomo alla sensazione e dalla sensazione al sintomo, attraverso la parola nel tratturo sterrato degli eventi, come uno speleologo scendere, scivolare, precipitando e risalendo tra le foibe dell’anima.
La parola non è solo descrittiva del nostro vissuto, fa palpitare, vibrare e spremere ogni nostro organo interno, fino alla pelle che sfiora le esterne intemperie.
Il sintomo e la parola ci fanno vibrare, tremare, soffrire, rilassare e gioire.
A volte basta una parola per rievocare, e ci vuole un sintomo per fissarci alle origini di noi. Il Caronte di questi viaggi è la sensazione, il ricordo e il logos , la parola.
Un sintomo è il rivelatore della nostra più elevata intimità, esso ci narra dell’ indicibile, dalle nostre rabbie alle fobie è molto più di quanto riusciremmo a dirci.
Il sintomo scalpita, scalfisse e reclama, col dolore della sua piaga, il diritto alla serenità, al benessere, alla progettualità, invita a determinarla attivamente non a sperare, ma a muoversi a vantaggio del rimedio, alla soluzione.
Il sintomo reclama la soluzione, chiede di snodarsi, di venire fuori, chiede di padroneggiare sulle cause dei malesseri.
Il sintomo ci parla, urla prepotentemente che qualcosa deve essere ripercorso e rivisto, invita a cercare il bandolo per ordinare e riavvolgere il gomitolo dei vissuti aggrovigliati o ad accettare situazioni e che non si possono cambiare.
L’obiettivo della cura è la guarigione, si compone come su di un pentagramma, all’interno di un tragitto analitico, dalla traduzione del sintomo, agli eventi subiti, attraverso la parola rivelatrice.
L’ascolto e l’osservazione è l’esploratore, la parola è la traduzione del sintomo, la meta, l’individuazione dell’evento scatenante il disturbo.
Ascolto, traduzione ed individuazione sono le tre tappe della mia psicoterapia orientate alla guarigione.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : IL FILO DI ARIANNA. Il problema, risolve
Perchè scrivi solo cose tristi . Perchè quando sono felice esco.
IL FILO DI ARIANNA
Il peggio, serve per migliorare.
Perchè scrivi solo cose tristi ? Perchè quando sono felice esco.
Da quando ho 14 anni tengo un “diario”. Ora ne ho 33. Ha quasi 20 anni. Sono quadernoni normali, della “monocromo”, di colori diversi l’uno dall’altro: erano altri tempi, iniziati prima del digitale, dei cellulari, della mail, delle chat, di facebook e di ogni social; c’ero io, i miei pomeriggi alla scriyvania tra i compiti del liceo,la musica che da sempre mi accompagna, seppur sempre diversa ma comunque musica, una volta erano le cassette, poi i cd, il walkman…e io che scrivevo, scrivevo, scrivevo pagine e pagine di sensazioni, racconti, paure, angosce, oppure felicità..ma erano più le angosce, perchè secondo me è vera la risposta di Luigi Tenco alla domanda rivoltagli : ” Perchè scrivi solo cose tristi?” “Perchè quando sono felice esco ” .
Negli anni le cose sono cambiate, e ho cominciato ad andare in terapia di gruppo per capire perchè pur non mancandomi niente, mi sentissi così male, avvilita, non vivere appieno la vita mi frustrava, ed ero più triste ancora, proprio perchè ero triste…un bel casino; poi pian piano sono stata meglio, ho preso in mano la mia vita senza paura, senza fare chissà che, ma facendo tutto da sola: ora ho una professione, ho gli amici, non voglio nemmeno dirlo, ho l’amore, è ancora un amore giovane – nel senso nato da poco e questo amore l’ho prima studiato tantissimo in teoria, sulla teoria sono preparatissima !
vedremo poi nella pratica… ed è quel tipo di amore che quando Giorgio ci raccontava in seduta “quel mio paziente si stupisce di come abbia fatto a trovare una persona così bella, dice che non se la merita” tra me e me pensavo “seeee…figurati se esiste una persona così, non la incontrerò mai, qualcuno di cui essere addirittura stupito, pensare che non me la merito, vedrai che mi dovrei accontentare, piuttosto meglio NIENTE, si sta così bene da soli, finalmente ci so stare da sola e ne sono felice, non mi accontenterò mai, quindi andrà bene stare sola ed essere indipendente”.
Ho una famiglia in cui per fortuna ci sono ancora tutti, ho una mamma un papà e due sorelle, ho due bellissime nipoti. Ci vogliamo tutti bene, ma è molto difficile la nostra convivenza, la nostra inter-relazione, c’è molta sofferenza, dietro, molti sensi di colpa, sacrifici per quanto riguarda la felicità del singolo e la sua indipendenza in nome non si sa bene di cosa…forse solo paura e diffidenza, sfiducia.
Qualcuno deve uscire dal circolo, credo che ho cominciato io, adesso essere considerata quella strana, prendere atto che se mio padre non è riuscito a cambiare la sua idea di me è soltanto un problema suo, non più mio, io posso solo fare ciò che è meglio per me e mi rende felice. qui ed ora.
Se mia mamma ha deciso di identificarsi con la sua malattia e usarla come moneta di scambio nel suo mondo io non posso farci niente, se non cercare di liberarmi dai miei fantasmi e godere del bello che ancora posso averne indietro e cercare di darne. In fondo sono fortunata ad avere ancora tutti con me, a non avere mai avuto tragedie ” tangibili “.
Si tratta di fare delle scelte, che sono indispensabili, e se si sbaglia pazienza, si riprova, lo sbaglio serve per aggiustare il tiro e migliorare. Se non scegli tu lo fanno gli altri, Tutte le scelte che ho fatto mi hanno portato qui, ora.
Ho sofferto, sono caduta, mi sono arenata, ho perso le speranze, mi sono disperata, piano mi sono rialzata, ho trovato la forza e la volontà di chiedere aiuto, per egoismo, per stare meglio, sono viva e merito di stare bene. Ho deciso di stare meglio con gli altri, per egoismo, e dovremmo farlo tutti, un mondo fatto di gente felice non sarebbe un mondo migliore dove far stare il nostro ego? se provassimo a rendere felici gli altri forse non “romperebbero le palle” a noi, no? Arrivo al punto: Dovremmo fare pace con il nostro passato. Sia quando riusciamo ad essere padroni della nostra mente, e in parte anche quando non lo siamo, dovremmo essere fiduciosi che ogni situazione o persona che ci si presenta davanti e che affrontiamo,è lì per noi, anche solo per poco, o per un tempo più lungo, perchè noi possiamo trarne il giusto insegnamento. semmai, la parte più difficile sarà avere la consapevolezza e il coraggio e la lucidità di lasciare andare al momento opportuno quella persona o la situazione e passare oltre: il dolore passerà, per fare spazio alla lezione.
Ma ora basta teoria astratta, Vi riporto solo un paio di esempi “terra terra”, esempi sui quali ho elaborato le elementari riflessioni di cui sopra.
1) se nel settebre 2011 non avessi cominciato una storia tossica con un narcisista “d.o.c.” che mi ha ridotta -no, sbagliato!- riformulo AL QUALE HO PERMESSO di ridurmi a stare malissimo e farmi delle domande sul perchè stessi così, e a dubitare che forse ci fosse altro sotto a questa goccia che mi aveva fatto traboccare non avrei intrapreso la psicoterapia, non avrei cercato su google uno specialista che potesse aiutarmi ad essere felice.
2) non sapere bene l’inglese e avere paura di buttarmi e parlarlo era sempre stato un mio cruccio: proprio un anno fa a settembre ho frequentato un ragazzo per un paio di mesi e lui è innamorato delle lingue e dei viaggi e stava per partire per lavorare in Australia: grande sofferenza il fatto che dovesse andar via, mi chiese anche di partire con lui e per un secondissimo una parte di me ci ha pensato, ma di fatto lui è partito, ed io ho conosciuto un’insegnante di inglese meravigliosa con la quale ho preparato l’esame per il diploma Cambridge, conseguito a giugno.
Anche io amo viaggiare, e dopo un periodo di down per vari problemi, economici, lavorativi e di solitudine, lui se ne era andato da poco ed io, single incallita, avevo in parte scoperto la vita a due, ho cominciato a mettere i soldini da parte per fare un bel viaggio lontano lontano con la primavera, destinazione Filippine: con l’inglese appena rispolverato, sarei stata più sicura di me tanto da andare da sola insieme ad “Avventure Nel Mondo”: eravamo un gruppo di 17 persone, maschi e femmine, tutta bella gente; “Voglio proprio godermi la natura e la solitudine che questo viaggio mi permetterà di moderare insieme alla conoscenza di persone capitate random nella mia vita” mi sono detta. C’era anche un uomo tra i tanti del gruppo, che giorno dopo giorno ha provato a farsi notare ai miei occhi che volevano solo essere foderati di prosciutto…ed è lui adesso l’amore che mi sono riportata qui.
Un ultimo consiglio, da chi ha l’umile speranza di poter aiutare non con la presunzione di sapere ma con la propria esperienza: MUOVIAMOCI. non avete idea di quante, quante cose mi sono capitate in questi mesi che mi hanno permesso di dare una svolta alla mia vita solo per il fatto che mi sia “mossa”: non mi dilungo nei particolari, ma solo su cosa poi sia effettivamente cambiato quando ho deciso di uscire, o alzare il telefono, o partire, invece di restare a casa o peggio a letto!
-Nuovi lavori-nuovi e meravigliosi amici-nuovi entusiasmanti hobbies-Posti spettacolari-Amori appassionati e felici!
Rossana
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