Il Sintomo è Salute
Il Sintomo è Salute
Il nostro sistema nervoso centrale lo possiamo rappresentare come un insieme di apparati sincroni, determinanti in assoluto la nostra vita, la nostra funzionalità organica e il funzionamento della fabbrica della nostra mente e dei nostri pensieri.
Tra mente e corpo esiste una profonda e perfetta sinergia una sincronicità e linearità, che è inopportuno e scientifico non considerarli mai scissi, a se stanti e divisi; dovremmo evitare e smetterla di pensarli, all’ interno della cultura medica, come fratturati e in una loro dualità.
Questa errata visione della dualità, determina non pochi problemi di natura scientifica, essa depista, crea notevoli fraintesi e problemi in termini di definizioni sintomatiche e diagnostiche. La comunità scientifica ha il compito e il dovere di considerare la persona nella sua interezza, non a segmenti. Un medico non puó prescindere dall’ umanità di ogni soggetto, come uno psicoterapeuta non può omettere la sua organicità. Se alle volte la distinzione si rende necessaria, è solo per definire fenomeni differenti, che vanno riportati però sempre nel suo insieme.
Nella realtà il corpo è la mente e la mente è lo stesso identico corpo, la mente è la mente del corpo, ed il corpo è il corpo della mente; non può esistere la mente senza i suoi neuroni, così come non può esistere un corpo senza la sua anima, tutto sarebbe un feretro, materia inerte; nello stesso modo non esiste il sesso, il polmone,
il cuore il cervello, ma esiste esclusivamente l’ entità Uomo e non sono gli organi che definiscono l’ uomo, ma è quest’ultimo è costituito da essi nello stesso modo in cui non è il carburatore che definisce un’ auto, ma è l’ auto che da senso all’ esistenza di esso.
Gran parte dei sintomi e dei disturbi mentali indicati nel DSM 5, trovano prevalentemente la loro origine e la loro sede, all’ interno dei conflitti e dei traumi subiti nelle relazioni umane, si replicano e persistono all’ interno della memoria che conserviamo, nello stesso modo in cui ogni cellula del nostro corpo memorizza la storia traumatica o serena che abbiamo.
Desideriamo parlare della mente, nello stesso modo in cui parliamo della corporeità, delle cellule e degli organi. Pertanto ogni conflitto emotivo o mal funzionamento cellulare, appartengono necessariamente ad una stessa integrità.
La memoria è il contenitore dei nostri sintomi, dei traumi e dei nostri piaceri; in particolare, la memoria del passato rende il presente e la la percezione del futuro, piacevole o frustante; ogni presente viene filtrato attraverso la griglia della memoria, si pone come un filtro che distorce la nuova realtà in un qualcosa di già accaduto.
Vivere un presente soddisfacente, è una necessità perché tutto diventa memoria. La memoria funge da deposito, da cassa panca in soffitta, da sotto cantina e nostro sotto bosco. Noi siamo la prima casa con i suoi depositi e riserve. Con la nostra memoria siamo in grado di rivedere, tutta l’ ‘attualità , come antico e già vissuto, pur non avendolo mai visto prima. La memoria, in tal senso, è una grande trappola.
Prevalentemente ragioniamo attraverso preconcetti e visioni critiche ed antiche della nostra vita, anche lì dove si presentano situazioni innovative, siamo in grado di rovinare ogni opportunità che abbia un certo fascino, ricca di risorse. Hanno grande responsabilità, gli stereotipi, le convenzioni, i moralismi con i relativi fanatismi, i “valori”, i dogmi e le convinzioni, essi non ci permettono l’ emancipazione, di poter apprezzare le novità e il bello nella vita, considerata pericolosa, spiacevole perché assimilata al passato o corrotta dalle visioni altrui.
Ogni disfunzione o sintomo, ha per sua natura un enorme potenziale di vitalità, anche se la percezione è esattamente contraria, di fastidio, il sintomo è la ribellione ed un cattivo funzionamento, ad un corpo estraneo, ad un fuori misura, al caos, è un sos per un pericolo impellente. Il sintomo è così talmente vitale, che senza di esso non sarebbe possibile continuare a vivere, rappresenta una richiesta di aiuto e di intervento a vantaggio della salute e della vita.
Qualsiasi sintomo è enormemente vitale, si presenta come un sistema d’ allarme, una ribellione contro un tentativo di disorganizzazione, di malattia o di morte, e si manifesta attraverso un fastidio un disturbo attraverso il dolore. I sintomi evidenziano la necessità dell’ organismo di riportare l’ armonia.
Il Disturbo e il dolore rappresentano i nostri commensali fastidiosi ed odiosi, ma anche i nostri più cari amici, nel caso non fossimo ipocondriaci, essi ottemperano alla nostra salute, senza di essi, non potremmo venire a capo di una malattia, sono le spie sul cruscotto della complessa macchina umana, senza i quali verremmo condannati ad un black out, ad un crash, ad una strada senza ritorno.
Originariamente il sintomo nella sua insorgenza, può possedere una variegata sensibilità che va dal prurito al bruciore, fino al dolore, da un disturbo passeggero ad un disturbo medio, acuto, cronico ad alto potenziale dolorifico ingestibile, da richiedere l’ utilizzo di anti dolorifici particolari come la morfina.
Per quanto il sintomo possa essere considerato un demone malefico, per la sua insorgenza e manifestazione, rappresenta invece la più elevata forma di pulsione verso la vita che rivendica il diritto ad una decente esistenza. Il sintomo è vitale e serve a difende il nostro desiderio di esistere.
Ognuno di noi possiede un regolatore centrale, detta soglia di sopportabilità del dolore. Essa viene prodotto dalla presenza di un potenziale tensivo, che va dalla semplice ipo sensibilità, fino a livelli più intensi insopportabili di dolore in caso di patologia grave. Ognuno di noi ha un livello più o meno di tolleranza al dolore. Solitamente nelle donne è più elevato che negli uomini.
Tra dolore mentale e fisiologico non esiste l’ uno più importante dell’ altro, se il disturbo è fisiologico, inevitabilmente la mente urla la propria liberazione, se il conflitto emotivo diviene persistente, i valori psicodiagnostici, vengono rilevati in cartella clinica e sballano le frequenze biologiche.
Pertanto non esiste un sintomo o una malattia dell’ organo ed una mentale, i sintomi parlano di noi, della nostra interezza e globalità, parlano di certe eventuali cause di attacco contro di noi. Il sintomo va ascoltato, non sottovalutato, perché è il nostro salva vita.
giorgio burdi
ContinuaSposarsi Con Se Stessi
Sposarsi con se stessi.
Oggi, dopo quasi tre anni di matrimonio inesistente, mi sono detta di sì.
Nel 2020, ho sposato l’illusione di un matrimonio: delle promesse volate al vento.
Nel 2023, ho deciso: mi provo un abito da sposa per la prima volta, senza la mia famiglia, sola con me stessa.
Guardandomi allo specchio con un abito semplice ed elegante, mi sono vista splendida e mi sono sentita meravigliosa e bella.
Ho sentito tanto amore per me stessa, come un abbraccio che mi avvolgeva. I miei occhi brillavano commossi da tanta tenerezza sentita.
Dopo tanto dolore, ho capito: la sola persona che ti accompagna nel bene e nel male, in buona e cattiva sorte, nella malattia, sei solo tu.
Esiste una sola me stessa in questo universo, quindi me ne devo prendere cura io.
Davanti allo specchio, vestita da sposa, mi sono detta «Sì, lo voglio». Voglio me.
Oggi mi sono sposata con me.
Sento tanto benessere, tranquillità, quiete ed amore, per me stessa e per gli altri.
Ho immaginato un matrimonio felice con tanto amore. Una famiglia unita e contenta. In quel momento, ho sentito tanta gratitudine.
Ho detto grazie al mio dolore: ti ho ascoltato, ho imparato a conoscerti e a conoscermi, e ti ho capito e accettato.
Guardandomi allo specchio, mi sono accettata con tutte le mie imperfezioni ed incoerenze, follie e voglia di vivere. Prima di sposarsi con qualcuno, bisognerebbe essere sposati con se.
Mi sono detta «Sì».
Eva Blasi
ContinuaIl Desiderio
Il Desiderio
Il desiderio, si pone come il motore primo delle motivazioni umane. Tutte le progettualità e le azioni umane vengono mosse da esso. Il desiderio si muove attraverso una modalità del tutto involontaria allo scopp di raggiungere un obiettivo. Tutti abbiamo la necessità di relazionare gli uni con gli altri, partendo da scopi differenti, veniamo benevolmente o maleficamente mossi da un principio di opportunismo . Il desiderio nasconde comunque sempre un sottobosco di opportunismo.
Veniamo movimentati da diversi tipi di desideri, da quello estetico, vincolato alla bellezza, all’ arte di apparire ed esistere, a quello emozionale, a quelli legati ai nostri cinque sensi, a quello sessuale. Tutti i desideri, ed in particolare modo quest’ ultimo, si pongono come una profonda necessità per esorcizzare e superare il dolore, il conflitto, la fatica di vivere, la morte.
Tutti abbiamo un continuo diritto nel realizzare i desideri, anche attraverso il bisogno di rassicurazione e di conforto tanto da rifuggire nelle fantasie o in determinate relazioni come fossero un eden, un paradiso, dove pretendere il sereno, la tranquillità, attraverso la “messa a nudo” di noi stessi la leggerezza per far sostare le proprie fatiche; abbiamo tutti bisogno di adagiarci e stenderci tra le braccia di qualcuno che non ci giudichi e ci accarezzi soltanto.
La frenetica routine quotidiana, il correre e il rincorrere, annientano il desiderio, la sua soddisfazione è gioia, esso è lentezza, percezione ed immersione nelle pacatezze, è lasciarsi andare, tracimati oltre il proprio scontato territorio, è smettere di condurre e controllare, ma lasciarsi portare, è un nuovo desiderato territorio dove non siamo mai stati o faremmo fatica ad essere.
Il desiderio è il contrario della paura, se esiste l’ uno non può esistere l’altra, l’ uno può solo sostituire l’ altra. Chi non desidera soffrire di paure, deve imparare a desiderare. La paura controlla, il desiderio no, il controllo produce stress e fatica, perché monitora, è pensieroso, calcola, accumula,progetta, il desiderio è contemplazione, estasi e abbandono, è orgasmo. Per sua definizione l’ orgasmo è il punto più elevato del rilassamento.
Con esso, c’è aria fresca di mare o di montagna, si vola, non si fa fatica ad esistere, il desiderio pone una tregua dal dolore. È adagiarsi, mollare, è la resa delle tensioni e e delle contratture e lo scioglimento delle contratture e dei crampi delle guerre quotidiane è lasciarsi andare nel vento sulle onde del mare.
Il desiderio soddisfatto è una felicità a tempo, una pausa tra due tensioni, uno stacco ed una ribellione rispetto al tempo che impone, rispetto all’ invecchiamento, il desiderio reciproco rappresenta una tregua ed un divincolarsi rispetto alla trappola del dovere, degli obblighi e delle responsabilità dalle quali si rimane prigionieri. Desiderio e monotonia sono tra di loro incompatibili, quando predomina la monotonia, esploderà prima o poi il desiderio.
Senza il desiderio, non si potrebbero realizzare certe scelte fondamentali in modo soddisfacente: amare senza il desiderio per l’ altro, convivere o sposarsi per il dovere di farlo, vestirsi solo per coprirsi, acquistare una casa qualsiasi per viverci, consumare uno spaghetto bollito per riempirsi o studiare all’ università solo per dire di essere iscritti, fino a quando reggerebbe la salute ?
il desiderio è la risposta ribelle alle frustrazioni, prive di quelle serene e semplici gioie ludiche e, in presenza del desiderio, c’è la più elevata considerazione di sé e dell’ altro.
Il desiderio reciproco attiva la necessità di prolungarlo ad oltranza, per un periodo assai più lungo e per sempre, si ferma il tempo e nel tentativo di contemplare quel paradiso che rende vicini all’ eterno.
Il desiderio reciproco è una bestemmia contro la noia, contro la morte e la consuetudine, contro tutto ciò di cui la gente si accontenta, è contro tutto ciò che non si deve fare, permettere o pensare.
Il desiderio reciproco è una tregua ed una ribellione contro la tragedia di una memoria di sofferenze, di stanchezze e di doveri, con la quale si è condannati a convivere . Quando diciamo che abbiamo voglia, in realtà affermiamo la nostra supremazia al diritto di gioire e il nostro diritto e la voglia di esistere.
giorgio burdi
ContinuaTransfert
Transfert
Il termine transfert, trasferire, si riferisce a quel meccanismo emotivo relazionale, attraverso il quale, una nuova persona, viene designata ed insignita dell’ effige, per una relazione seria ed “ideale” . Solitamente del transfert non si possiede la consapevolezza di come l’ altro verrebbe investito di questo ruolo, nel quale il soggetto verrebbe immaginato; il transfert, contrariamente a quanto si possa pensare, può essere utilizzato a vantaggio di una potentissima terapia, qualora la consapevolezza porti a distinguere la rappresentazione del soggetto, con la persona reale.
Il transfert, nello specifico, rappresenta il trasferimento delle sensazioni e del desiderio erotico su un nuovo soggetto, percepito come speciale ed interessante e si pone attraverso una percezione involontaria. Esso viene percepito, come un bisogno liberatorio, atto a tirarsi fuori da un attaccamento malsano, attraverso l’ istinto fantasioso di provare piacere per un nuovo soggetto e rappresenta un tentativo per divincolarsi da una relazione patologica.
Nelle dipendenze affettive, si è alle prese con una lotta di pensieri e preoccupazioni che si dimenano tra il desiderio di voler modificare il soggetto persecutore e il bisogno di liberazione da esso. Nel transfert, il nuovo soggetto viene rappresentato nella sua perfezione, rispetto al disastro che si possiede.
Il transfert rappresenta la liberazione e la speranza che esistano persone differenti rispetto a quelle presenti. Questa speranza inizia a spianare una prospettiva liberatoria dalla dipendenza.
Le relazioni ideali del transfert sono relazioni immaginative, mentalizzate, la psicologia psico dinamica le chiama, relazioni oggettuali. Una dipendenza affettiva, si pone come in un continuo conflitto tra ciò che si immagina dell’ altro e la realtà dei fatti inaccettabili. È una follia, che psichiatrizza, voler lottare per tenere in vita i due parametri immodificabili, l’ immagine e la tremenda verità.
La fatica nel risolversi, da una situazione di questo genere, diviene un circolo vizioso, fintanto che si resta imprigionati in questo tranello, tra relazione presente e relazione oggettuale ideale immaginale, fintanto che esse rimangono confuse. La nostra mente confonde il desiderio antico di un bisogno non soddisfatto, con la realtà presente frustrata.
Il transfert, è un meccanismo difensivo protettivo, esso giunge come un 118 di richiesta di aiuto verso un soggetto di interesse emotivo più elevato, rispetto alla personale condizione di vita, compassionevole e comprensivo e rappresenta la speranza verso la propria terra promessa.
L’ uscita da una dipendenza affettiva disfunzionale, può avvenire dalla decisione di intricarsi emotivamente all’ interno del transfert. L’ “intrico”, in realtà non rappresenta la nascita di una nuova relazione, ma il solo tentativo di uscita dalla relazione deleteria. Se l’ intrico venisse concordato, durante un transfert, con tutta chiarezza e consapevolezza, quasi come un “contratto”, genererebbe un respiro, una percezione di autonomia e di libertà, nel diritto incondizionato di essere se stessi.
Il dato più sorprendente della dipendenza affettiva, viene dato dal fatto che da essa, il più delle volte, non si vuole uscire. Voler risolvere una dipendenza affettiva è come imbattersi in un lutto, un lutto e la fine di un progetto di un sogno, del quale diviene faticoso riconoscerne il fallimento. Questo mancato riconoscimento, ulteriormente, annichilisce e sfianca il soggetto dipendente che resta condannato e imprigionato alla propria condizione. Sarebbe opportuno imparare ad accettare la realtà, soffrirla e magari, aiutati dal transfert, realizzare che il resto del mondo è più affascinante e totalmente differente rispetto a quello sofferto.
La liberazione dalla dipendenza affettiva genera paura. Crea disorientamento e terrore. Ogni distacco, anche quello più patologico, genera sdoppiamento e disorientamento. La frustrazione si dimena tra bisogno e timore del distacco.
Ma chi lo ha detto che affrontare un distacco, debba essere necessariamente preceduto da una sofferenza ? Il dolore è solo mentalizzazione, viene pensato e pertanto sofferta, esso è una ipotesi, richiamato dai timori, che richiama la memoria di un passato di sofferenze, è immaginativo e ciò accade quando si cade nel tranello di attribuire al soggetto di dipendenza, un potere liberatorio dal dolore e dall’ angoscia.
Concedersi ad un transfert, rappresenta il tradire quel potere, è rendersi conto, di li a poco, che tutto potrebbe essere diverso, da quell’ istante inizia ad esistere una nuova prospettiva, l’ opportunità di poter superare il malefico e di sostituire, un oggetto “buono”, con quello “cattivo”. Il transfert rappresenta l’ oggetto relazionale buono per cambiare la direzione, per riprendersi il diritto a ciò che è scomparso, il diritto al proprio benessere.
Il contrario della dipendenza affettiva, è l’ autonomia e l’ auto gratificazione. In questa direzione, vogliamo attribuire, una enorme importanza alla funzione dell’ auto erotismo, come una delle primaria oasi della privacy, di autonomia e di auto realizzazione verso il piacere di se. Esso rappresenta quel luogo di riserva – affettiva, attraverso il quale viene determinato l’ incontro amoroso verso se stessi. La personalità dipendente, attende invece le gratificazioni esclusivamente dall’ esterno, mai da se, ma esclusivamente dall’ altro.
In tale direzione, Il passaggio verso l’ autonomia, diventa difficoltoso, per via dell’ incapacità di perseguire l’ auto gratificazione. Ciò riporta nella dimensione antica del mancato svezzamento di una madre che non ha educato il figlio a procurarsi il piacere in autonomia.
Nello svezzamento c’è il primo esordio dell’ autonomia, nel momento in cui il bambino inizia a prendere il cucchiaio, inizia a non aver più bisogno della mamma. In qualsiasi dipendenza affettiva, la mamma non è mai stata in grado di mettersi da parte, o è rimasta invadente, invalidante con la sua onnipresenza o ancor più, assente;
nell’ auto erotismo,invece, prende forma il primordiale inizio della autonomia, esso si affaccia nella vita del soggetto, già nei suoi primissimi anni di vita, che Freud individua all’ interno della terza fase fallica dello sviluppo psico sessuale, definita fase onanistica auto erotica ; durante l’ uto erotismo la mamma viene blindata fuori dalla propria mente, dalla propria vita, il bambino proclama la sua supremazia, anche se rimane aperta, chiude la porta ad ella e al al mond; l’ auto erotismo rappresenta la palestra verso il riservarsi e l’ indipendenza, verso la ribellione dell’ adolescenza, ove gratificare è bastare a se stesso, ed è decisamente migliore rispetto all’ attesa dei tempi di gratificazione degli altri.
Il passaggio verso lo svezzamento, è molto complesso. trova un muro, una resistenza moralistico – educativa familiare, che chiederà un passaggio di consegne da dagli altri a se stessi, tale da dover tradire “la madre” , il mondo, a vantaggio del proprio primato.
L’ auto erotismo, attraverso l’ oggetto del transfert, si pone come una funzione fondamentale , che tradisce la patologia della dipendenza. Esso rappresenta il ritorno alla propria patria, al potere di auto determinarsi. O predomina l’ Eros attraverso l’ auto erotismo supportato da un transfert, come quel luogo mentale dove accade l’ ideazione , il sognare relazioni slanciate ed autonome, o si lamenta il Thanatos, una vita in prigione, senza il diritto di essere amati, chiusi nelle paure e nell’ isolamento, ossessionati dalle fobie per le malattie
Una dipendenza affettiva, non viene mai superata, se convive con essa un moralismo imperante e la paura per il giudizio sociale per una nuova relazione. Ciò è superabile solo nel concetto di piacere.
Chi ha paura di vivere, è vittima della sua disistima. non tralascia il suo apparente equilibrio; chi è dipendente, desidera solo una persona tutta di un pezzo e per sé, un suo costante punto di appoggio, una fermata su un passo carrabile, tutto ciò che è sanzionabile ma distrugge una relazione; chi si concede alla vita è acquisisce elasticità, fluisce e si stupisce per il nuovo, impara a non farsi sconcertare, è potente per la sua autorevolezza , ha carattere ed è audace.
Le relazioni centrate su l’ indipendenza, le rendono longeve, perché ognuno, rimane imperniato sul proprio talento. È necessario relazionare con personalità che energizzino i vicendevoli talenti, piuttosto che invidiarli, tali da generare relazioni intense, creative e profonde.
In conclusione un transfert, l’ auto realizzazione e l’ autoerotismo, possono rappresentare un vantaggio verso l’ emancipazione di se, possono essere un viaggio o una vacanza anche a tempo determinato, tali da determinare una rimessa su strada, una ripresa del motore, un modo per uscire dall’ isolamento dello svezzamento e poter riprendere la propria vita tra le dita.
Quando arriva questa unica e rara occasione, viviti e goditi il transfert, in totale consapevolezza, stipula un contratto di minima, è la tua occasione, attraverso esplosive, dignitose e rispettose emozioni, è il tuo momento fatale, il tuo ancoraggio, per ritornare a te stesso, il tuo defibrillatore che ti riporta in vita, per stupirti che il battito in te ancora esiste, credere che è ancora possibile ballare, gioire e respirare, che esiste ancora il tuo sogno, che tutto è nuovo e diverso, che c’è ancora motivo di vita, lascia andare il vecchiume, apri la serratura, lascia esplodere le tue sensazioni, apprezzerai quanto è meraviglioso poter perdere l’ affezione al tuo carceriere che sottomette la tua dignità e che la vita esiste ancora ed è tutt’ altro, tanto il transfert trova il tempo che trova, è tutta una scusa, una sola occasione che la mente trova inconsciamente per aggrapparsi e tornare a vivere. Quando ti capita, chiedi, vuoi essere il mio transfert ? Perchè il transfert lo ami e ti fa sentire amata . È solo un gesto di profonda , naturale ed amorevole umanità, per liberarsi dal disumano e tornare ad amarsi.
giorgio burdi
ContinuaLasciar Andare
Lasciar Andare
Lasciare andare è un atto difficile ed è una scelta liberatoria.
È dire di no alle emozioni negative, è togliersi le zavorre di dosso per percorrere la propria strada più liberi e sereni.
L’unica rivalsa con il sé stesso di allora, che non c’è la faceva, è riconoscere la voglia di non voler più adattarsi ad una situazione malsana e il voler smettere di mangiare bocconi amari. È dire di no al costante rifiuto ed è riconoscere il dolore e voler smettere di vivere con questa sofferenza prolungata che prosciuga l’anima.
Lasciar andare per vivere la nuova persona che si è diventati e fare nuove esperienze per scoprire parti di sé che chiedono solo di essere rivelate e vissute.
Davanti ad un muro, in un angolo, la realtà è che noi non ci incontriamo più.
Lasciar andare è un gesto d’amore verso sé stessi e l’altro.
Ti auguro di realizzarti nella vita e di brillare di luce propria, con il cuore cosciente dei propri tesori per esprimerli al meglio.
Va, vivi e diventa la persona solo unica come sei tu, con il tuo proprio arcobaleno.
Eva Blasi
ContinuaL’ Umiliazione della Dipendenza Affettiva
L’umiliazione della dipendenza affettiva
Amare è il valore esponenziale più elevato ed imponente che possiamo vivere e condividere, è il verbo onnipresente più sentito ed agito, reso a volte ridicolo e coniugato nel mondo. Esso ci pone in una modalità ed una forma di eccellenza relazionale, nulla avrebbe senso senza l’ amore umano.
Ma in ogni caso e per diverso genere, necessita del suo equilibrio. A pranzo non consumiamo due grammi o un chilo di pasta a testa o non sorseggiamo in un calice due gocce di nero del Salento o una damigiana ! Ogni cosa possiede il giusto valore se nella giusta misura e perde di qualità nella poca o eccessiva quantità.
L’ amore rappresenta una trappola se è fuori misura. l’ amore donato o corrisposto diviene una galera se è troppo poco o se è esasperato, diventa invasivo. Nella dipendenza affettiva siamo sempre cimentati a riempire dei vuoti, a ricolmare i nostri fallimenti, le nostre delusioni e i bisogni.
Accontentarsi delle briciole d’ affetto, elemosinarle o desiderare tutto dall’ altro, pone le fondamenta verso l’ incastro di una infinita richiesta. È necessario chiedersi se l’ amore per se stessi è superiore all’ amore che si chiede.
L’ amore innanzitutto per se è per quello che si è e per quello che si fa, anzi direi è fare, ciò che si è, rappresenta il calibro che delinea l’ equilibrio all’ interno di una relazione d’ amore, è risolvere innanzitutto i propri vuoti e le personali beghe, è bonificarsi.
Quando non si è mai soddisfatti, contenti, quando è presente una continua criticità, un rancore persistente, una lamentela ed una aggressività passiva, un conflitto reiterato, siamo di fronte alla miglior coltura della dipendenza affettiva.
All’ interno della dipendenza affettiva, ci si perde nell’ altro, la propria identità viene stracciata, ferita, l’ altro diviene il se, si acquisisce il nome e il cognome, si diventa ridicoli, un attore, la smorfia, la maschera, il soprannome altrui, ci si annienta, si diventa stupidi; L’ altro diventa il nostro bullo romantico, all’ altro viene attribuito il potere di farci respirare, di scioglierci l’ angoscia dal petto, di farci esistere. Quando l’ altro diventa la nostra felicità, di lì a poco diventerà il nostro inferno, la nostra ansia perenne. Nella dipendenza affettiva l’ altro rappresenta la vita ed io la morte, lui il tutto, io quasi il nulla, una nuvola, il fumo di un antico toscano, una panna montata, l’ aria fritta in un battito di cuore.
Ci si impasta con l’altro, si si porta l’ anima ad una ustione, ad uno stato di fusione, l’ amore non è uno shake, si rischia di sbattersi, scuotersi tanto da farsi vicendevolmente seriamente male, non serve a nulla questo tipo di frappé di unità confuse. Sono ridicole quelle affermazioni come, cerco “ la mia dolce metà “ , quando ognuno dovrebbe mirare alla propria unita, è una richiesta eccessiva ed una personale ingiustizia farsi completare dall’ altro; cerco “ l’ anima gemella “ , ma se siamo tutti diversi, vogliamo illuderci ? Possiamo essere empatici, sincroni, ma questo accade se ognuno sta bene di suo, le richieste pressanti rappresentano già la fine.
Dovremmo avere più attenzioni e più riguardi verso di noi, dovremmo chiedere mille volte perdono a noi stessi ed essere più seri nei nostri confronti, più compassionevoli, che accattare disperatamente amore.
È umiliante per se stessi e poco dignitoso. Nella dipendenza affettiva ergiamo l’ altro ad una onnipotenza che non possiede, lo viviamo come la terra promessa, il liberatore, il nostro salvatore. Bisogna chiederci da cosa vorremmo effettivamente essere salvati, certamente non da lui. Non si può dipendere dalle promesse altrui se a noi stessi non ne abbiamo fatta neanche mezza.
La promessa più grande che potremmo farci è legata dalla nostra personale progettualità. Senza una propria progettualità, in sintonia con le proprie passioni ed attitudini, siamo tutti in trappola, in pericolo, propensi ed inclini verso un incastro affettivo.
Se lavoro sul mio tutto, l’ altro diviene una parte, se pur importante diverrebbe un valore aggiunto, ma relativo. Ma se l’ altro diviene il proprio tutto, imbocchiamo un intricato tunnel buio.
Ogni storia è buona ed è una potente risorsa, se ognuno sta bene ed è detentore di equilibrio. Chi si accontenta o si logora per l’ ideale, che non esiste, chi persegue il perfezionismo e vuole tutto per se, parte molto svantaggiato, perché la vita è bella perchè è un dono gratuito sempre, per ciò che ci offre e se presi così per come noi siamo.
giorgio burdi
ContinuaNo Influencer
No Influencer
Siamo tutti in guerra, ma cosa mai sarà una mancanza di rispetto nei diversi gesti quotidiani? Se la guerra convive con tutti noi, ci stiamo abituando ad essere tutti soldati. Essa ci sta cambiando i connotati, la percezione di essere umano come un essere mostruoso, ci conduce a difenderci dal mondo, a diffidare di tutti, ci predispone a restare in difesa, propensi al facile attacco, suscettibili ed irascibili, la guerra ci obbliga ad armare la vita quotidiana.
Se nella cultura della guerra è lecito il saccheggio, nella quotidianità sarà d’obbligo il furto, la cleptomania, il rubare o il disporre della nostra vita. La percezione dell’uomo del 2000 è quella di un invadente, di un invasore di un barbaro saccheggiatore senza ritegno.
Stiamo riuscendo a non farci più caso, la guerra sta diventando la nostra consuetudine e la nostra massima “Influencer” col suo reiterato bollettino di guerra. Il concetto di “Influencer” è diventato del tutto naturale ed accettato, per certi movimenti è del tutto regolare influenzare, manipolare e convincere. Tutto passa sotto una cultura commerciale, del non pensare, subiamo attraverso i social mitragliate subliminali di bisogni continui che terminano in shopping compulsivi che ingombrano la nostra testa e riempiono le nostre case di tanti oggetti riempitivi di vuoti esistenziali. Stiamo diventando un gregge per il quale sembra plausibile anche creare facoltà universitarie in “Influencer”, tale da poter targettizzare eserciti su misura, eserciti di soldati decerebellati, obbedienti, al servizio di una qual si voglia idiozia.
Stiamo crescendo nell’ involuzione, dall’ Homo Sapiens all’ Homo Demens. La Gran maggioranza dei social viaggiano sempre più verso la globalizzazione, l’influenza, con eserciti di messi in riga, pecore di followers, di YouTuber, automi incantati nello scroller, formiamo avatar, robot dall’ IA, tutti in riga, eserciti di soldati, decorticati, privati della propria volontà; l’intelligente non farà mai cassa né massa, siamo all’interno di un regime, quello del gregge, del pastore e dei cani da guardia.
L’ “Influencer”, per sua definizione, ha la connaturalità del manipolatore, dell’ invasore indiscreto, che deve insinuarsi nella mente, del persuasore subliminale occulto, del profanatore ed invasore delle coscienze, quello delle fakes, degli invadenti, che ti mettono in fila tra milioni di followers. Si Identica esattamente agli autocratici delle guerre, degli invasori.Ogni epoca ci ripropone sistematicamente, con una tradizione quasi secolare, il sociopatico di turno, un nuovo pastore del male, clonato, per condurre le ennesime flotte di “animali” al macello. In questa condizione cosa mai sarà lanciare immondizia dal finestrino, spaccare bottiglie per strada, correre come un coyote, affittare una Lamborghini e filmare la morte in diretta, per postare come YouTuber: cosa mai sarà farsi in ogni dove o un pusher che vende spazzatura per far soldi facili come un “Influencer”, tutti ispirati a Paperon de Paperoni, mercenari che in forme e nomi diversi entrano in casa per saccheggiare i nostri principi, se sommato, siamo in guerra !
Il male più esasperante che viviamo, è quello di subire le volontà di alcuni dei singoli narcisisti benigni o maligni che siano, senza avere l’opportunità di difenderci e ribellarci. Chi non si ribella è già stato fagocitato dal gregge. Siamo all’interno di una vera sabbia module di dittatura. Chi influenza le masse è irrispettoso è un sociopatico in frack di diverso livello, costruiscono i loro modellini e si infiltrano come dei gas nervini nelle nostre vite . Esistono sociopatici fintanto che sarà facile costituire dei greggi. Siamo bisognosi di punti di riferimento, di leadership e di governi e ci ribelliamo così tanto poco che alla fine meritiamo il loro comando. L’uomo per sua natura cerca sempre un suo comandante al quale genuflettersi per ottenere i suoi benefit, tutto ciò accadrà di continuo fino a quando non si risveglierà la coscienza e la consapevolezza di ciò che ci accade.
L’uomo consapevole per sua natura è un ribelle. Ragiona con la propria intelligenza, ed agisce col proprio sentire a vantaggio di sé e degli altri, impara ad essere punto di riferimento per sé stesso innanzitutto. Non accetta alcuna forma di manipolazione, schiva e resta indignato per tutto ciò che è futile ed imposto in modo subdolo, non ammette prevaricazioni, non si lascia mettere in fila dagli “Influencer”, combatte le autarchie e le supremazie, ogni forma di imposizione greve o diplomatica, contesta ed urla la propria libertà a tutti quei carini manipolatori seduttivi.
Come se non bastasse, stiamo diventando fieri, da farne anche delle università per creare “Influencer”, per insaccare masse di intelligenze, per poi creare dei filoni di salami. Università per decorticare le nostre unicità, massificare per dirigere. Tutto ciò che è assurdo, sta passando per regolare.
Ci stiamo sempre più orientando verso la ricerca del massimo potere, del come aver sempre più successo, arrivare in prima pagina e possedere sempre più denaro in brevissimo tempo, secondo l’ accezione del tutto e subito, dove il sacrificio è spazzatura come poter toccare milioni di anime e asservirle a vantaggio del proprio utile. Ma non era proibita la schiavitù ? Siamo servi di un potere non tanto più occulto, ma lo siamo ancor di per il sol fatto che non ci facciamo più caso. La perdita del senso è la più grande miseria umana, infangata dall’ indifferenza, la vita privata, non possiede più una porta blindata che tenga fuori lo sciacallo.
Faccio un pieno di alcool, un chilo di erba o di sesso, scarico tinder, the casual lounger , scopa–amici, cupid o senzapudore, faccio uno spaccio, divento bulimico di incontri mordi e fuggi, take away, multi gusto, le prendo, vellutate, chiare, nere, bionde o rosse con lentiggini, la vita è un ipermercato, mi affitto un amico, lo metto nel carrello, ne metto più di uno, così poi faccio la prima scelta, anche se poi scelgo sempre quello più malato, e ne esco sempre massacrato; ma con il mondo con la guerra in testa, si potrà mai trovar pace, se la pace non la trovi dentro in te?
Allora me ne vado su in montagna, divento un tibetano, rimedio un breviario ed una coroncina, resto tra le nuvole, sul granito delle scalate; l’uomo è l’ inferno, preferisco isolarmi. Mi sono rotto le palle, ho voglia di silenzio, mi faccio di erba e medito, così mi fumo i pensieri, forse è meglio un acido, cosi mi brucio l’ angoscia o tanto meglio mi cracco l’ ansia o mi faccio un buco di pace. Mi faccio un pieno di roba, quanto più sento in me un vuoto grande quanto un cratere.
Relazioni take–away, cotte e mangiate consumate come tranci di pizza, pago, prendo e mordo, birra e scappo, il vetro sul marciapiede e giù un’ altra; ci trattiamo come dei consumabili, uso e getto, non è un colmo rimanere sempre insoddisfatti, è la cultura del sempre è colpa degli altri. Se togliamo la maschera, scopriamo che siamo tutti uguali e il potere a non ci da la vita, ma la vita è il potere più grande, è tutto ciò che può darci il senso.
Samo al limite della tolleranza. Le guerre convivono con la nostra quotidianità e convincono che la vita sia quella, esse stanno diventando la normalità e ci rendono indifferenti; tutto lo scempio in diretta sta diventando ammissibile. Nella cultura dell’ “Influencer”, la guerra ha l’influenza nel suo massimo delirio verso l’ irrispettosità più patologica. La nostra, la possiamo definire, l’epoca dei barbari, dell’ insubordinazione, dell’ assenza è del caos dei ruoli, del me ne fotto, del nichilismo e dell’ anarchia, della disumanizzazione, dell’ insensibilità globalizzata, è la sotto cultura della perdita del senso, dell’ io trasparente.
La disumanizzazione diventa la logica, acquisisce un suo “ordine” ed un suo progetto caotico, una sua disorganizzazione nel suo sistema, aggiungiamoci a tutto questo l’intelligenza artificiale, la robotica autonoma. Tutta la sensibilità umana viene relativizzata e pertanto un figlio depresso in casa, chi mai sarà ? Siamo chiusi in un isolamento dove non c’è parola che tenga, il silenzio la fa da maggiore dove esso coniuga le assenze.
È necessario il recupero del senso di sé e delle relazioni, della parola, della condivisione umana dei sentimenti, tipica dell’essere uomini, della cooperazione, delle collaborazioni, è necessario recuperare ciò che ci contraddistingue, l’affetto e la presenza, tutto ciò che possiamo apprendere dalla nostra natura e dal mondo degli animali, nostri esempi di vita, perché l’uomo, così, non è più un esempio né per noi, né per gli animali.
giorgio burdi
ContinuaIl Non Detto
I non detti del silenzio assordante
Il silenzio prima della bomba, dell’implosione.
Il tacere dopo una discussione, una litigata, un aspro dissapore, dice, con il silenzio assordante che non esisti. I tuoi bisogni, le tue lamentele e desideri repressi, non li ascolto.
Il dialogo continua nella testa, lasciando spazio ad interpretazioni, sensi di colpa, rimorsi, attitudini ambivalenti con comunicazione distorta e indiretta per non resuscitare il conflitto sopito ed evitare l’arma del silenzio.
Ti metto in silenzio. Ti tolgo la vita, la tua esistenza, la tua unicità.
No.
In verità, ti ho messo in silenzio: mi sono isolata, mi sono allontanata, sono morta.
La mia voce non si è espressa, il rapporto tra te e me non c’è più.
Scusa per non averti detto le parole che avrei voluto dirti, per non esserci stata quando ne avevi bisogno.
La mia infelicità, ne sono l’artefice. I miei rimpianti sono diventati la mia corazza.
Ho vissuto con la morte dentro, ma solo in punto di morte ho capito: vivi e ama te stessa.
Ora sono un fantasma e non sono mai stata così presente.
Quanta potenza in questo dolore! Chi lo ascolterà? Chi lo potrà accogliere? Come comunicare senza ostruzionismo?
Voglio vivere perché esisto, tra luci e ombre. Voglio amare ed essere amata per quel che sono ed essere rispettata nella mia dignità, nella mia voce.
Il silenzio è un’arma a doppio taglio: da tombale a d’oro, il silenzio vale più di mille parole.
In questo silenzio ti sto dicendo quanto rimpiango di averti perso e di non aver vissuto quei momenti con te.
In questo silenzio mi sono persa e mi sono ritrovata.
Eva Blasi
Continua
Epittèto: Citazioni e Aforismi
Epittèto
Chi ti fa andare in collera diventa il tuo padrone.
Solo gli istruiti sono liberi.
Accusare se stessi dimostra che la propria educazione è iniziata.
Un uomo saggio non si affanna per ciò che non ha, ma gioisce per ciò che ha.
Non cercare di far accadere gli eventi come vuoi, ma augurati che accadano come accadano e tutto andrà bene.
Il ricco è colui che è contento.
Non siamo disturbati da ciò che ci accade, ma dai nostri pensieri su ciò che ci accade.
Gli uomini non hanno paura delle cose, ma di come le vedono.
Nulla è per sua natura disastroso, anche la morte è temibile solo se la temiamo.
La difficoltà dice chi è l’uomo.
ContinuaLa Lettera Terapia
Scrivere, conoscere e curare
Spesso ci sono ricordi che contaminano i nostri pensieri, che ci condannano a vivere nel passato influenzando inevitabilmente e negativamente il nostro presente. Pensieri, esperienze, vissuti che non riusciamo a raccontare a nessuno, sofferenze e dolori taciuti che echeggiano rimbombanti nella nostra mente.
Il vissuto di ognuno di noi non si può sicuramente cambiare, fa parte della nostra vita, tuttavia relazionarci ad esso con prospettive differenti può aiutarci a vivere i ricordi con stati d’animo diversi, a raggiungere una maggiore consapevolezza di quello che è stato e di noi stessi.
La scrittura può aiutarci ad acquietare i pensieri che ci tormentano, a rasserenare il nostro animo liberandoci pian piano dal dolore. Scrivere è terapeutico se diviene un atto di libertà attraverso l’introspezione e la riflessione. Si può scrivere una lettera a sé stessi, mettendosi a nudo, attraversare la propria interiorità fino a incontrare l’altro, il vero sé. Si può scrivere una lettera alla madre o al padre, gli affetti predominanti e determinanti della nostra vita, a un amico, a un famigliare o al nostro senso di colpa.
Scrivere di tutto quello che ci provoca sofferenza potrebbe inizialmente essere doloroso, triste e angosciante, ma sicuramente ci porterà giovamento. Scrivere richiede solo coraggio, non è importante soffermarsi alla forma, ma farlo in modo scorrevole, naturale; è importante mettersi a nudo, mettersi in discussione senza vergognarsi. Questo permetterà di concentrarsi su ogni passo, su ogni emozione provata ripercorrendo così passo dopo passo tutto quello che ci condiziona, che condiziona le nostre scelte, le nostre decisioni, le relazioni e il nostro umore quotidiano.
È fondamentale non mentire, non sentirsi in colpa nei e dei racconti. È importante parlare di tutto, delle rabbie, dei torti subiti, delle offese, delle mancanze, delle paure, dei rimorsi, dei sogni, dei desideri, dei rimpianti, di tutte quelle parole che per troppo tempo non sono state dette all’esterno, ma che si sono moltiplicate dentro soffocandoci, di tutto quello che molto spesso non osiamo raccontare ad alta voce.
Scrivere aiuta ad evitare che quelle sofferenze interne taciute si trasformino in malessere fisico. Permette di mettere in ordine i nostri pensieri, di fare chiarezza, di sciogliere nodi, sgrovigliare matasse, dissolvere sensi di colpa e superare traumi. Ci dà la possibilità di comprenderci a noi stessi, di discernere le scelte sbagliate da quelle giuste.
Scrivere sviscerando e analizzando interamente le nostre esperienze palesa schemi e meccanismi interiorizzati e riproposti nel tempo. Schemi comportamentali che abbiamo appreso nella famiglia di origine e che per modellamento riproponiamo inconsapevolmente nella nostra vita indipendentemente dal nostro atteggiamento nei lori confronti.
Scrivere aiuta a smascherare meccanismi e relazioni familiari che hanno plasmato la rappresentazione mentale di noi stessi e degli altri, regole implicite, valori, senso di identità e appartenenza, ruoli assegnati, copioni familiari che si ripropongono perfettamente nel tempo.
Scrivere aiuta a svelare pessimi copioni di sceneggiature familiari dove ci sono ruoli predefiniti di chi deve fare cosa e quando rispecchiando perfettamente aspettative già stabilite, copioni che prescrivono e dettano legge su come si deve vivere e che causano disagio e sofferenza.
La scrittura, attraverso le parole che scorrono incontrollabili, organizza le idee, i pensieri e le esperienze emozionali dandone un senso. La scrittura ci aiuta a tirare fuori, a non lasciare più spazio alle frustrazioni, ad accettare quello che è stato con la consapevolezza di non poterlo cambiare, ma con la voglia di cambiare la nostra vita senza ulteriori condizionamenti. Mette in risalto ciò che per abitudine siamo stati e ciò che vorremmo essere ma non siamo per paura del cambiamento o dell’opinione e del giudizio altrui.
Scrivere di sé aiuta anche ad accettarsi, perdonarsi e amarsi. È un valido anti stress, una forma di automedicazione e aiuto psicologico. La scrittura aiuta a darci una nuova immagine di noi stessi, proiettata al cambiamento e alla ricerca di autenticità. La scrittura deve essere intesa come un progetto concreto di cura.
Elisabetta Lazazzera
Continua