
Se Decidi Per Te, Decidi il Meglio
Se Decidi Per Te, Decidi il Meglio
Tra il mio “io” senziente ed il mio “me” profondo c’è sempre un via vai di informazioni. Un flusso costante bidirezionale di pensieri consci e ragionati, sovrapposti a sensazioni inspiegabili, nebulose ma tenaci, che svaniscono appena cerco di metterle a fuoco.
La ragione ragiona, pensa e simula. Immagina scenari a volte ottimistici ed a volte no. Proietta immagini davanti agli occhi che spero o temo siano messaggi dal futuro, a seconda se ció che ha scatenato il pensiero sia una speranza o una paura.
Altre volte la ragione sragiona, asseconda la mia speranza, l’immaginazione che vede per me, solo un futuro tinto di rosa ed azzurro. Poi cancella tutto e resta solo la desolante paura da “foglio bianco” dello scrittore.
È a questo punto morto che il pensiero nebuloso ed evanescente di prima, mi mostra il suo progetto che ha in serbo per me. Non appare dalle nebbie piano, piano ma si accende di scatto, nitido, reale. Tanto reale da farmi pensare che non sia un pensiero ma un cartellone pubblicitario su una strada o meglio un segnale stradale che indica il cammino, il viaggio, la méta e lo scopo.
Forse è tutto un sogno. Un dare un significato alla decisione presa. Forse sono solo fantasie ma ogni volta che decido io, per me, decido il meglio. Per contro, ogni volta che “altri “ decidono per me e per la mia vita, pensando di prendere ed appropriarsi, decidono il peggio per loro ed il meglio per me.
Sono fortunato? Certo! Cerco di farmi andare bene ciò che mi accade? Certo! Godo di tutto quello che ho, pensando che non è detto che lo avró per sempre? Certo! La spiegazione a tutto questo forse è un bel miscuglio di tutte queste ragioni o il mio sentirmi in armonia con il mondo in cui vivo.
Posso solo aggiungere che io vedo e sento ció che la mia mente non vede e non può sentire. Indaffarata com’è a mettere in fila i mattoncini della mia vita. Lei vede la pianta del progetto ma io vedo l’edificio finito con i gerani al balcone. ( E di solito è una villa).
Fabio
ContinuaLegami Disfunzionali
LEGAMI DISFUNZIONALI
Che cosa è un legame ? Dal latino “ligamen”, esso rappresenta una relazione d’obbligo che limita la libertà d’agire e di disporre di sé, è un concatenamento relazionale. Esiste un legame progressivo ed uno regressivo. Il primo determina autonomia e crescita, il secondo incastra e favorisce la regressione. Il primo legane è accudente, ha un termine temporale, esso è fondamentale ed è relativo alla crescita dei figli, è unidirezionale, il genitore è interessato se non al solo benessere e alla salute del figlio.
I legami hanno la loro accezione positiva se applicati alla prima ed alla seconda infanzia della vita se essi conducono alla crescita, essi durano un tempo determinato affinché avvenga l’ avviamento verso la vita. Il secondo legame, che verrà qui analizzato, è adulto, ha valenza regressiva, genera dipendenza affettiva. Esso non ha motivo di esistere se non nella direzione dell’ autonomia, del rispetto e della libertà dei soggetti.
Tutti quei legami che conducono ad una dipendenza, lasciano intravedere un inceppo nelle fasi della maturità affettiva. Esso viene realizzato come un legaccio, un nodo, una catena, delle manette, un cappio, che genera una inter dipendenza. Ma come mai si ha il bisogno di avere un legame di questo tipo, se esso ha un’ accezione ed un risvolto assai negativo ? attiva un legame distruttivo, l’ attrazione e la condivisione delle sofferenze. Esse hanno un tale potenziale calamitoso, tale da attaccare i soggetti All’ interno di una forza di condivisione.
In questa accezione, questi tipi di legami non generano relazioni sane, perché agite da personalità confusionali e complessate, esse generano relazioni nulle e strazianti, irrispettose, ambigue, perverse, perché fondate su dolori soggettivi non risolti e producono dolori al cubo nel rapporto, come dieci a uno, tutto ciò che era meravigliosamente semplice, diventa maledettamente ingestibile, anche se durano a lungo, trovano il tempo che trovano, perché dura poco il suo entusiasmo, mandano fuori di testa, consumano la pelle è fanno invecchiare.
“l’ amore che strappa i capelli è perduto ormai”, recita De Andrè, Queste sono relazione che richiedono troppo impegno e troppa fatica, sono estenuanti, si consumano nel giudizio, diventano relazioni competitive sulla base di chi è il migliore, superano ogni limite della pazienza e della decenza umana, non hanno logica,
In un legame disfunzionale, come ti assorbe, ti fagocitata e ti risucchia al suo fondale, la sofferenza, non ti fagocita l’amore. La sofferenza è una sabbia mobile che non da possibilità di movimento, per quanto ci si dimeni, costringe a rimanerci dentro. Per un legame, sofferenza è più potente dell amore, essa paralizza e lega molto di più dell’ amore, che ne fa la storia.
non ti vedono, sei trasparente, non ti sentono, ma ascoltano se, si impongono, ostentano e sono avari, ti rendono la vita equivocabile, si fissano in testa come un chiodo, sono come la cocaina, gelosi possessivi, ossessionanti, tirano fuori il peggio di te, ti portano al limite dell’ impossibile, assurdo, è l’ aggettivo più coniugato, istigatori e dispensatori di violenza per frustrazioni calcarizzate, direttivi, maschilisti, dittatori, giocolieri di potere, manipolativi al limite del femnicidiio.
Tale legame il più delle volte rappresenta un incastro in un labirinto senza uscita, assai complicato, senza una via d’ uscita. Quando si avvia una tale relazione non si sa quasi mai nulla dell’ altro, se non delle sue sofferenze ed in quale caos si sta ficcando. A breve termine risulta essere un grosso inganno, appare in modo camuffato, al principio viene percepito come amore, ma poi si rivela un caos, un pasticcio, un calesse, come afferma l’ autore.
La trappola di una relazione di questo genere, viene costruita sulla base della condivisione empatica delle proprie sofferenze e delle proprie confidenzialità condivise. La sofferenza ha una connotazione molto sacra, intima, rappresenta il proprio crogiolo segreto, essa è un magma fatto di passioni, di turbinii, di contratture, di fenomeni e di contorsioni dell’ anima repressi, sensazioni e riserve trattenute, bisognose di essere vedute e condivise.
La loro condivisione è già una relazione sessuale, rappresenta una relazione intima, un atto liberatorio, di grande generosità e e di affido di contenuti unici e profondi, il dolore emotivo è il massimo della presenza di se è stracarico di sensazioni negative e di prospettive positive, esso è la proiezione verso la vitalità, se condiviso in un legame, conduce ad un legame forte ma relativo, perché solo esso non basta perché bisognerebbe essere soggetti risolti e in salute mentale. La piacevolezza di scaricare e condividere le proprie sofferenze, genera il legame.
Il legame nasce dalla condivisione di sofferenze ma rischia di generare dispiacere se dall’’ altre parte c’è chi si pensa di conoscere.Ti È facile confondere il piacere di un legame, intensificato con la condivisione dei dolori, con l’ attrazione e l amore. Ma l’ attrazione ha cone causa il bisogno irrinunciabile della condivisione. Tutto ha uno scopo di convenienza, utilizzando la sofferenza. Tali relazioni sono d’ aiuto, non d’amore, pur se conducono all’ intimità, l’ amore un’ altra cosa, è libero non chiede nulla, è totalmente gratuito, gode se stesso per quello che è, per questo regge, non chiede mai di essere diversi.
Nel legame, giunti all’ intimità, tutto si fa più complesso, la relazione si pone per quello che non è, un amore straziante. Per ritrovare la serenità essa va rinquadrata per come essa nasce, è solo una relazione di aiuto e di sostegno. Infatti il rapporto verrà posto da quel momento in poi sempre su un piano di aiuto difficoltoso di aiuto, sempre su problemi da gestire, riaprendo a quel mondo personale che per un attimo era sfuggito, fatto di frustrazioni, nevrosi e psicosi personali. Questo tipo di legame è tale, perché dopo poco svela i limiti, le follie, le perversioni, le assenze, i vuoti dell’ altro.
Bisogna fare attenzione nel condividere i propri dolori, se ne potrebbe percepire, subito dopo, una violazione o un senso di svuotamento e di pentimento. E se questo è stato già fatto, va disinvestito. Le sofferenze sono il veicolo accelerativo per far penetrare l’ altro nella propria vita e cone un invasore che ne prende casa. Quando si afferma che, ormai mi ha preso la testa, è proprio questo l’ inceppo, averlo lasciato entrare nello scrigno dei propri segreti, in quell’ indicibile difficile da svelato a qualcuno, più importante della proprietà privata.
In tale processo di confidenzialità si attiva l’ accensione dei motori della passionalità che si avvia piano, come un diesel, un ingranaggio che conduce e sbatte come su una cervice, diritto dentro alla propria anima. Lo scivolone viene assicurato, quando si arriva ad identificarsi e e ad affermare… “tu sei esattamente come me, come vivo e come sono io”. Attraverso questa espressione si genera l’ incastro perfetto: noi, un io e un tu che si confondono.
Insieme alle sofferenze condivise, c’è un secondo bisogno che detona la relazione: la solitudine di entrambi che ha spento ogni stimolo con la mancanza di complicità. Lo stato di solitudine viene determinato dallo stato di isolamento assorbito per via dei ruoli assunti relativi alla genitorialità, a quelli della famiglia come agenzia di servizi, ai gravosi sensi del dovere, di obblighi e di responsabilità. La solitudine in un rapporto nasce dall’ incapacità di entusiasmo, di gioco e di condivisione.
L’ assenza degli stimoli in un rapporto, determinato l’ aprirsi al peggio, all’ orrido e deriva dal senso dell’ obbligo e del dovere che uccidono la relazione nella monotonia casalinga. Passata la prima fase della condivisione dei propri dolori emotivi e dei propri segreti, appare il grande delirio, ii personaggio, il caratteraccio, lo psicopatico.
giorgio burdi
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Il Permaloso
IL PERMALOSO
Ecco alcune delle più comuni espressioni che lasciano intendere a riguardo della permalosità : ce l’hai sempre contro di me, intendevi invece dire altro, non sei attento al sottoscritto, la tua vera intenzione era diversa….
Cosa è la permalosità ? E’ una reazione emotiva eccessiva di risentimento che genera malessere fisico e malumore, scaturisce da incomprensioni e interpretazioni tali da modificare lo stato dell’ umore. Essa si manifesta sotto forma di irrequietezza o immobilismo psicomotorio, irritazione emotiva, rabbia o depressione. Il soggetto permaloso, nella fase acuta del sintomo, si ammutolisce, rimugina, diviene introverso o irascibile, sornione, tiene il broncio e il malumore, è turbato, si assenta nel pensiero persecutorio del probabile torto subito.
Come si diventa permaloso ? Si origina in fasi di lunghi processi de-formativi. attraverso modalità di aggressività passiva subita e attraverso il meccanismo del doppio legame di cui parla Paul Watzlawick in “ Pragmatica della comunicazione umana “ e che analizzeremo qui di seguito.
L’ aggressività passiva, è caratterizzata dal meccanismo del doppio legame, entrambi sono costituiti dalla presenza di messaggi ambivalenti e controversi in un processo di comunicazione, del tipo, ad esempio, sei una brava persona, ma non va affatto bene per come ti comporti, sei una figlia fantastica, ma non va bene che il tuo ragazzo abbia sette anni meno di te, è mio marito, ma è un deficiente, ti voglio bene, ma non capisci un cazzo….
In un messaggio passa un apprezzamento, l’ evidenza di un ruolo importante, ma nell’ altro viene veicolato una critica, un disprezzo, un giudizio irriverente ed irritante, che lascia perplessi e a volte sgomenti, per la natura aggressiva ed umiliante del messaggio. Sono messaggi disallineati, contraddittori ed incoerenti, diventano disarmanti e vengono nascosti, camuffati in giro di parole, confusionarie che confondono, perché non lasciano intravedere una sola verità, ma due, contrapposte, dove una delle quali è sempre il contrario dell’ altra.
La confusione che generano certi messaggi ambivalenti, lasciano in standby, pensierosi in uno stato di incertezza ed insicurezza, confusi e appesi ad un filo, incerti su cosa pensare.
Allora come si diventa permaloso ? Prevalentemente attraverso quei processi educativi impregnati di messaggi contraddittori, il permaloso è vittima della contraddizione, da essa è stato formato ed essa lui produce, nel senso che ciò che si semina, si raccoglie.
I messaggi ripetutamente ambivalenti, insieme a tutte quelle aspettative disattese, formano ogni soggetto alla diffidenza, al dubbio e all’ incertezza.
Il permaloso allora chi è? È colui che si nutre di perplessità, di dubbio, di diffidenza e di incertezza. Il permaloso non ci crede mai, è un rompi cazzo polemico, vive di sospetto, teme di essere raggirato e fregato, per questo è un pauroso insicuro, teme di essere raggirato di continuo, di essere trattato alla berlina, di essere bullizzato e alla fine, realizza il suo incubo, lo diventa, per via della sua natura di insicuro. Il paradosso per il permaloso, sarà che l’ essere bullizzato gli darà poi ragione per la sua permalosità.
in realtà il permaloso, recita a memoria l’ aggressività passiva subita nel suo passato e tutti quei messaggi ambivalenti dei quali si è nutrito nel corso della sua crescita. Vive nel presente L’ ambivalenza di non comprendere, che non è mai tutto chiaro, che la verità non esiste e di ritrovarsi ad essere stato confuso, sfiduciato, rifiutato ed umiliato, da consentirgli nell’ oggi di non credere a nulla e a nessuna, da avere come regola di vita, mi fido solo di me, non mi fido di nessuno, chi fa da se fa per tre, diffidare è meglio, chi confida, poi diffida.
Si può uscire dalla permalosità ? Certamente, ma alle condizione di voler avere la consapevolezza di essere permaloso, di voler riconoscere quali sono i suoi meccanismi passati di aggressività passiva e di doppio legame subiti, cercando di intercettarli nel presente per scioglierli.
giorgio burdi
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Senza Tempo
SENZA TEMPO
Immaginare di non contare più il tempo e il non guardare più il roteare delle lancette nel loro procedere, da’ la sensazione di essere fermi su di un fotogramma dinamico interno. Il tic e tac del tempo lascia percepire solo ciò che va, fa pensare alla memoria di ciò che sfuma, una dietro l’ altra che irrimediabilmente si consuma, senza fine. Il tempo è una persecuzione, quando sei attaccato alla vita e stai bene, lo conti e percepisci il suo consumarsi, invece quando soffri, è troppo, non vedi l’ ora che passi, che tutto passi in fretta e vada via.
Il trascorrere del tempo comunque, è uno delle maggiori cause dell’ ansia rispetto a ciò che si perde e non torna più. Contare il tempo non ci porta mai al presente, ma sempre a ciò che è andato.
Siamo nevroticizzati dal bisogno di fermarlo, frenando i processi di invecchiamento, di frenare il viaggio, sperando che non passi. Lifting, estetica, alimentazione, sport, vestiti giovanili, sono tutte espressioni di una lotta contro il tempo, a parte quel bisogno indispensabile di bellezza.
1, 2, 3 secondi ci mettono in contatto con il 4 secondo, con un futuro, ma anche con una involontaria frenesia contemporanea di archiviazione, prima ancora che quel tempo venisse vissuto. Il tempo non andrebbe contato, ma solo goduto nella sua scia.
Una vita senza il tempo, è una vita dove non è ne mai troppo tardi o non è mai troppo presto, dove c’è ancora l’ opportunità per fare di tutto e ancora per stare con chi si vuole e fare ancora ciò che si desideri. Mi rendo conto che l’ ancôra è un avverbio di tempo è un appendice del tempo. Una vita senza tempo è una vita senza mai e senza un ancora e ancor di più, senza un però. La misurazione del tempo è una agonia, una prigionia, quando ci diamo l’ inizio e la la fine di ogni possibilità o una frenata per andar cauti perché è ancora prematuro.
Fare in fretta, accelerare o procrastinare, sono tutte modalità dettate dalla frenesia del contare il tempo. La misurazione del tempo rappresenta una delle maggiori cause di malattie e dello stress umano.
Ma si può vivere senza la misurazione del tempo ? Nella vita privata, ritengo di si. In quella sociale si scatenerebbe il caos. Vedere l’immagine postata qui su, di un orologio senza le lancette, è disorientante, prova a guardarlo, è liberatorio in modo inquietante. Smarrisce. Si ha la sensazione di essere sospesi e campati in aria, di non avere punti e spazi di riferimento, di fare un salto nel vuoto, liberi e inquietati, di non appartenere più al nostro tempo, di non avere più ne passato e ne futuro, ma sbattuti nel qui ed ora, nell’assoluto relativo del presente, del tutto è qui.
È sconcertante pensare di non avere più il tempo o non poter avere quella sua meccanica di misurazione. Si avrebbe la sensazione di perdere un riferimento organizzativo, una sincronicità e, una coincidenze di tempi . Ma tutto ciò è vero o le meraviglie accadono al di fuori del tempo, tutto all’improvviso, come essersi appena conosciuti ed avvertire la sensazione netta di essersi da sempre conosciuti ? Certi eventi accadono a prescindere da qualsiasi tempo. Il tempo ci imprigiona con il suo contarlo.
Il “Senza tempo”, e la conquista del non dover pensare ad esso, ci apre in una prospettiva di infinito e di eterno, verso l’ iperspazio, oltre l’ orizzonte, ci pone oltre i confini, ci fa smettere di disperare perché è finita o sul come mai non è ancora incominciata. La dimensione del senza tempo, non concilia affatto con la condizione dell’ attesa. L’ Attesa ,per paziente ed estenuante che sia, impone il dovere di fermarsi e sedere, lo star fermi come statue bloccate da un sistema, contrastando con la dinamicità che siamo. Noi siamo oltre e di più del tempo che abbiamo, siamo altre dimensioni, siamo mente, siamo anima, siamo sentire, che vanno oltre qualsiasi cosa ancora tutte da scoprire.
Nella musica, il tempo impone il ritmo, ma solo nelle pause, quel senza tempo, la musica diviene fattibile. Una vita senza pause, senza il non tempo, sarebbe una vita senza musica, sarebbe una mono nota; il suono hi un gong o di un diapason, si propagano e sfumano il loro suono dettando differenze di tonalità che si propagano nello spazio, nell’ arco di una pausa senza sine che viaggia verso l’ infinito e per questo rilassante. Tempo e spazio, all’ interno del suono, si fondono, diventano parter, l’ uno accompagna l’ altro, e l’ altro trascina l’ uno.
Non c’è movimento della terra o dell’ universo, che abbia tempo, esso non conta mai il tempo, anzi lo genera All’ infinito, ed il loro movimento si fa suono. Il suono detta e canta il suo spartito attraverso il continuo movimento dell’ universo.
Tic tac tic tac, è il suono del tempo, senza il suono ci sarebbe silenzio. il silenzio è un’ altra dimensione del “senza tempo”. Togliere le lancette dal proprio orologio è rimpadronirsi del silenzio, senza il silenzio non può esserci incontro con se e con gli altri. Servirebbe molto silenzio, come accoglienza avvolgente, è nel silenzio della sua pausa, che la parola avrebbe il suo profondo senso.
Il piacere determina un bisogno di lungaggine e di prolungamento dello stesso. Gioire di più, impone il bisogno di far perdurare quel benessere e alla fine scatta il suo countdown. Il malessere invece, impone il bisogno di ridurre il tempo e di renderlo estremamente abbreviato.
Un modo più consono per non lasciarsi incastrare nell’ Alcatraz del tempo, è ribellarsi al ritmo frenetico imposto dalla vita e in particolare modo a chi dispone del nostro. Quando stiamo bene, vorremmo che il tempo si fermasse li, ma quando stiamo peggio, esso non passa mai. Il tempo quindi ha un peso a seconda del nostro benessere – malessere. Esso viene contato ed ha un valore, attraverso le nostre percezioni: Bene – il tempo passa velocemente , Male – il tempo non passa mai . È la sensazione del piacere dispiacere che crea la fissazione o il fluire e da’ il senso al nostro tempo. Avremmo tutti un gran diritto ed impegno nel farsi che il benessere non abbia mai una data di scadenza, ma questo dipende molto da quanto lottiamo perché ciò accada. In tal senso e il più delle volte, siamo noi stessi che ci rendiamo infelici.
giorgio burdi
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Presente Relativo, Futuro Assoluto
Presente Relativo,
Futuro Assoluto
Con l’espressione di presente relativo, non intendiamo affatto relativizzare sul presente, ma tutt’ altro, contrariamente a ciò che si può intuire, vogliamo affermare l’ imperialità dell’ esperienza presente.
Il concetto di presente relativo mette in evidenza la centralità del presente come momento eterno ed assoluto, ed in crisi il senso di onnipotenza del dopo, del se, del futuro, del “per sempre”, “per tutta la vita”, e di quello della grande menzogna “ per tutta l’ eternità” , pensieri reiterati sempre nella stessa identica modalità e che attendono inutilmente risultati sempre diversi.
Il concetto di presente relativo propone di non dare nulla per scontato o per già conosciuto, di combattere e sgretolare gli automatismi. Il tutto è nuovo e diverso, pone i dubbi e l’ impegno di osservare la quotidianità come luogo delle continue novità ed opportunità.
Per presente relativo vogliamo intendere tutte quelle micro esperienze fenomenologiche, vissute con devozione e decisiva presenza, che nell’ immediato non hanno carattere necessariamente progettuale o auto realizzativo e formativo, ma rappresentano tasselli fondamentali che non producono null’ altro che gratificazioni e soddisfazioni immediate e che eventualmente produrrebbero, nel divenire, progettualità durature future.
Ogni relazione sana, non nasce da colpi di testa o di fulmine; non sarebbe sana, perché soggetta all’ imprevedibilità della mancata conoscenza. Ciò accade quando si è in affanno nel cercare una persona ideale e definitiva a se; sano sarebbe non cercare mai nessuno; una relazione proficua parte dal totale disinteresse verso l’ altro o dal non dover soddisfare un proprio bisogno. Attraverso una conoscenza tra interessi comuni, si introduce una prospettiva comune, all’ interno di un continuo presente relativo.
La sommatoria di diversi presenti relativi, rendono continuativi la stabilità piacevole del flusso della vita, può esistere un qualcosa di interessante in un prima, durante e in un dopo, solo se i presenti vengono rinforzati da curiosità, da esperienze cariche di significati.
La perdita delle curiosità determinano la demotivazione, la noia e la fine di una relazione. Essa, per essere funzionale, non può far affidamento sulla certezza che potrà esistere sempre e a prescindere, ma esisterebbe sulla base delle curiosità fondate sulle continue spontanee domande e sulle risposte, ovvero attraverso un continuo desiderio di dialogo reciproco.
Una sana relazione, viene data dall’ impegno di affrontare le costanti incertezze e i dubbi riscontrati, che guardi e consideri la le differenze individuali.
Una relazione, che fa affidamento solo alla sua istituzionalizzazione, relative a stereotipi o a certe etichette di ruoli quali, amici, fidanzati, conviventi, accompagnati o sposati, produce certezze relative, veicolano con se aspettative, pretese, sorprese e delusioni inaspettate.
Parliamo spesso di ricerca dell’ anima gemella, dell’ altra metà, di colpo di testa o di fulmine, ma in realtà è solo ciò che in quell’ istante si desidera e piace. Esaltiamo solo quei tratti attrattivi necessari al periodo. Il tal senso poi c’è la sorpresa. Il dopo, ripropone ciò che avremmo dovuto vedere nel prima, la globalità, ma si è ciechi, in quegli istanti esisterebbero solo i dettagli.
Il presente relativo ci permette di evitare l’ ovvio e lo scontato, consentendo di investire pienamente nel qui ed ora. La reiterazione di una attenzione intensa e continua verso, crea un naturale desiderio ed impegno, apre prospettive verso um futuro relativo progettuale che possiede un intrinsecò suo carattere di incoerenza.
Nel presente relativo, tutto è coerente. Le magnificenze che si incrociano, possono essere in quell’ istante coerenti tra di loro, ma incoerenti con la vita che conducono. Si scontra ripetutamente una coerenza presente, su una incoerenza futura, tra di loro fanno guerra.
La coerenza del presente relativo non vorrebbe mai confrontarsi con l incoerenza del futuro assoluto, anzi , non lo vede affatto, non lo considera, fa esattamente finta che non esistesse, lo ripudia.
Il presente relativo è ricco di passioni ed interessi, e ne scopre tanti, ripercorrendoli, è ribelle, è edonistico, è immoralistico, gode l’ intensità dei significati di quegli istanti, si interessa solo di vivere, vive; d’altra parte di cosa dovremmo preoccuparci ed interessarci, della non vita, della morte?
È vita tutto ciò che ci bombarda con milioni di stimoli, ma filtriamo tutto, ci lasciamo le briciole, per senso di sacrificio moralisticamente condiviso. La vita è una continua fonte e lotta tra coerenza del presenze ed incoerenze del futuro, nel tentativo continuo che la coerenza predomini, che la vita predomini. Nel presente relativo convivono insieme sempre, attrazione, desiderio, progettualità ed incoerenza. Convivino elementi contraddittori.
Mi rendo conto che, questa modalità di pensiero, toglie ogni forma di certezza relazionale e di affidamento, ma consideriamo nel modo migliore, predispone ad una attenzione verso l’ universo di se e dell’ altro.
È esattamente questo concetto di “universo” che apre verso nuove prospettive esemplari. Una relazione termina quando finisce il senso di universo dell’ altro e, come in uno specchio, attraverso la fine dell’ attenzione verso di se. L’ altro ci permette di scoprirci e come in uno specchio, la perdita di interesse per l’ altro diviene la perdita di se con il conseguente distacco.
Le storie di dipendenza affettiva sono storie decadute sull’ impoverimento del rapporto, creduto ancora universale come un dogma. La dipendenza affettiva è la fissazione e l’ affezione al dogma dell’ ideale di noi.
Il concetto di presente relativo, toglie apparentemente ogni forma di certezza e punto di riferimento, ma in realtà l’ unica certezza che possediamo, risiede esattamente in quell’ istante. Le certezze assolute non esistono, esse vengono tolte, dalla morte. Esistono solo certezze e presenti esclusivamente relativi che meritano la loro considerazione grandiosa ed assoluta.
Nulla è mai così tanto definitivo, se lo fosse non sarebbe la vita, perché manco essa lo è. Vivere all’ interno di questa consapevolezza, ci permette di non sprecare il tempo in direzione futura, ma nella sua intensità e dedizione presente.
Il concetto di futuro assoluto sposa quello di onnipotenza, il sapere che un qualcosa verrà fatto e lo sarà per sempre, rammenta quello di perfezionismo, di controllo e di cristallizzazione della vita e nei suoi obblighi. È esattamente nel concetto di obbligo, e di appartenenza statica, la fine di qualsiasi sogno. Senza una appartenenza a se, non può esistere qualsiasi appartenenza a nessuno.
Il legame vero è rappresentato dalla sommatoria di esperienze di appartenenza in intensi presenti relativi, essi però non possono essere a garanzia della loro proliferazione futura. Il malessere si evince dalla nostalgia di tali momenti e dalla loro memoria, dalla quale il presente dovrà attingere per mantenere in vita l’ illusione di una relazione esistente, del genere, ti ricordi come stavamo bene ?
Tutti questi aspetti sono fantasmagorici e derealizzanti del soggetto, lo fanno sognare, da fargli perdere di vista il senso della concretezza, diviene ossessivo e compulsivo arriverso un pensiero ideativo.
Un soggetto, in una relazione nativa, decide di intraprendere un viaggio relativo, senza prospettive tali da non voler costruire inizialmente nulla, in un viaggio simile viene orientato a mettersi in gioco, spogliandosi di impostazioni varie e stereotipi. Parte come nuovo. Disinteressato, disattiva schemi e protagonismi, osserva funzionalità e disfunzioni.
Ogni storia importante e sana non nasce sul criterio del tutto definito e definitivo, ma sul criterio del relativo. Chi vive nel relativo, vive quella sua Storia, perché impegnato nel tutelarla, se diviene intensa, una storia che lascia è concentrata sulla profondità di quell’ istante.
L’ attesa di una storia definitiva, è l’ attesa del nulla, è un’ ipoteca su un bene ancora inesistente, di un principe fiabesco che non c’è, di un futuro non prevedibile; solo le meraviglie del presente, in divenire, spianano una prospettiva visibile futura .
Chi è orientato dal suo ideale , non vede, se non la propria ideazione. La persona presente, tiene piantati i piedi per terra, vive e gode delle sensazioni in essa presente. Chi cerca il definitivo chiede sicurezze insostenibili, inesistenti per le sue incertezze, perde tempo perché insegue il proprio sogno, non vive, fantastica nel suo iperuranio . La realtà vissuta, è invece una novità, tangibile, è rivelatrice di meraviglie, superiore a qualsiasi ideazione astratta, del nulla o del tutto soddisfacente.
Un definitivo nasce da una sequenza di relativi intensi. Si è pronti ad innamorarsi solo quando si è coopredenti negli istanti relativi, quando non si ha più il bisogno di tutelarsi gli altri o di esercitare il potere sugli stessi. Un definitivo nasce dal giungere spogli da teorie, congetture, moralismi, convinzioni, stereotipi, dogmi popolari, da qualsiasi sub struttura che incapsuli una relazione. La presenza di questi limiti, rappresentano i sintomi di una relazione che di la a poco si frantumerà.
Non si è pronti ad innamorarsi, quando si chiedono garanzie e certezze altrui, quando si applicano protocolli di soli programmi di necessità, come farebbe una agenzia di servizi, o se vengono richieste certezze e spalle sicure, la garanzia di tutelarsi la propria metà o l’ anima gemella, tutti stereotipi che anticipano il fallimento. Il bisognoso di appoggiarsi, di possedere, di ingelosimento e di dipendere affettivamente, fagocitano, rendono la relazione pesante, sono aspetti tutti insiti all’ interno delle prime battute di una relazione, che anticipano un la fine.
La vita va vissuta per tutto il nuovo e il divino che ripropone il relativo del non conosciuto, per tutto il diverso e l’ imprevedibile, per ciò che non era stato previsto, ma esiste, per quel fugace relativo che offre la luce. Chi è piantato nel relativo, è piantato nella vita, raccoglie nel presente, ne coglie la sua profondità, chi invece è imperniato sull’ ideale del definitivo, perde il senso delle cose e suona fuori tempo. Cogli l’ Attimo.
giorgio burdi
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La Terapia di Gruppo e Il Gioco degli Specchi
Il Gioco degli specchi
La potenza della Gruppo Analisi
Seduto su una sedia, attendo che altre sedie, tutte posizionate in circolo attorno a me, accolgano il loro ospite.
Uomini e donne, come punti in equilibrio su una circonferenza, tutti alla ricerca del loro centro.
E per trovarlo, il loro centro, hanno deciso di spogliarsi di ogni orpello, di ogni maschera e specchiarsi nelle vite ed esperienze altrui.
C’è Chi siede sempre nello stesso posto. Chi invece lo cambia continuamente, forse alla ricerca dello specchio che gli restituisca più nitidamente la propria immagine.
Chi si siede ma in realtà non è lì.
Chi si siede e ascolta.
Chi parla ma non ascolta.
Chi a volte piange ma, alla fine, va via con un sorriso.
Chi sembra forte ma è fragile dentro.
Chi sembra fragile ma è in realtà duro come il diamante.
Tutti diversi ma tutti legati a questo sottilissimo filo d’oro circolare che si passano di mano in mano come una cordata su una catena montuosa e lo tengono stretto per non cadere nei soliti burroni, cercando di restituirselo integro la volta successiva.
Da un anno faccio parte di questo cerchio, da un anno mi specchio in ciascuno di quei puntini ed in ognuno di loro trovo qualcosa di me.
E in questo “gioco di specchi” lo scopo è quasi sempre togliere: paure, ansie, credenze, convinzioni, dipendenze, certezze fasulle, tutto ciò che io non sono.
Ognuno si riflette nella vita dell’altro e toglie dentro di sè scorie che pensava ormai inamovibili.
Una voce fuori campo, parla.
Ascolto e sento parlare di Indicibile, di Numero Uno, di 101 %, di Risorse, di Valorizzazione della persona, di Amore, di Azione, di Uccidere il Buddha, di desideri, di tutto ciò che mi riporta forte in vita.
C’è qualcuno che mi parla sempre, prima fuori nel gruppo e poi dentro e c’è chi quel cerchio lo ha pensato e disegnato e contenuto nel palmo di una mano, perché tutti i suoi punti possano più precisamente allinearsi, caratterizzarsi e individualizzarsi.
Qualcuno che quel cerchio cerca ad ogni incontro di levigarlo nei suoi attriti in modo che possa rotolare via lontano, senza inciampi e mai più far ritorno.
Un applauso ad ogni vita ritrovata.
Una sedia si svuota e si festeggia, ma il cerchio non si stringe mai.
Chi va via, lascia sempre il posto ad un altro specchio pronto dal proprio buio a farsi luce e a riceverla a sua volta.
Sono seduto sulla mia sedia ed in attesa di trovare, oggi, il mio riflesso penso a quanto sarebbe più facile la vita sol che si avesse il coraggio di lasciarsi andare all’ascolto e guardare senza mai abbassare lo sguardo, parlare senza aspettare, agire senza procrastinare e rinunziare a vivere la propria scena.
Le sedie attorno a me sono ora tutte occupate. E’ tempo di iniziare. La Voce comincia a parlare… E’ ora di “riflettere”… E’ ora di “riflettersi”, è ora di cambiare.
francesco pastore
giorgio burdi
disegno del fantastico fumettista giun

L’ indipendenza
L’ INDIPENDENZA
è individualità o relazione ?
Quando pensiamo alla parola “indipendenza” la prima cosa che ci viene in mente è la capacità di saper stare da soli, di saper bastare a noi stessi.
Siamo portati, di conseguenza, a pensare che l’indipendenza significhi stare da soli, allontanarsi da tutto e tutti, facendo valere la nostra caparbietà e determinazione.
Probabilmente, per alcuni, vuol dire essere in grado di allontanarsi e tagliare i ponti con chi, in passato, ha messo in discussione la nostra forza di saper stare da soli rendendoci dipendenti emotivamente.
Anche se, di primo impatto, può sembrare un ragionamento corretto, in realtà non lo è. Perché non è questo il giusto percorso da seguire ?
Perché la vera indipendenza è il saper bastare a se stessi, facendo valere il proprio pensiero, senza condizionamenti esterni, non evitando questi ultimi. Significa far valere il nostro numero uno rispetto a chi rappresenta il nostro numero due.
Come potremmo mai mettere alla prova la nostra capacità di farlo valere allontanandoci dalle persone che più ce lo mettono in discussione? Che tipo di prova daremmo a noi stessi se non ci confrontassimo con gli altri? La verità è che chi evita di mettersi in gioco, allontanandosi, è il vero “dipendente”. Teme che interagendo con l’esterno possano venir fuori le sue debolezze, le sue fragilità, la sua ricerca di sicurezza in qualcun altro che non sia lui.
Mostrarsi agli altri facendo valere la propria personalità è una palestra mentale e più la si allena, minore è la paura di aver bisogno di qualcuno che compensi le nostre insicurezze.
Quindi, quello che più temiamo all’inizio di un percorso verso l’indipendenza, è in realtà la nostra possibilità di rivalsa.
Eleonora Tegliai
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ScriverE’
SCRIVERE’
Si scrive di tutto, prevalentemente di cronaca, di politica, di conflitti bellici, di menzogne, di fake, di illusioni, di chiacchiere, di gossip, di tutto ciò che non è, all’ interno di un teatro di maschere e di illusioni sceniche persuasive, alle quali quasi crediamo, perché abbiamo bisogno di credere in qualcosa per darci delle speranze, perché abbiamo un gran bisogno di sognare e siamo disposti per questo a lasciarci ingannare;
ma la scrittura su di se, rappresenta la più autentica forma di incontro con l’ autore, con noi stessi, la verità in realtà la conosciamo solo noi, noi solo sappiamo come stanno i fatti e non esiste bellezza più grande se non quella di svegliarci dal sonno e dall’ inganno, guardando dentro di noi, nella nostra realtà, dove essa stessa supera il sogno e i tanti bluffs, i piaceri effimeri e quelli di carta, di un mondo prevalentemente apparente,
La scrittura su di noi, rappresenta l’ aderenza all’ interlocutore che siamo, nel modo più diretto e più tangibile che possa esistere; attraverso la pagina bianca di uno schermo o il foglio, questo stesso diventa la materializzazione della nostra anima, la biografia di quell’ istante, del nostro movimento mentale o del nostro sindacato difensivo della nostra persona. Soggettivo o oggettivo, quel foglio rappresenta una via maestra di inizio di conoscenza e di consapevolezza su di noi.
Questo tipo di scrittura è sempre rivelatrice dell’ esistenza di un libro interminabile dentro ognuno di noi e ci apre al bisogno di lettura del nostro mondo interiore criptato, avente un nuovo linguaggio differente da ognuno. Noi tutti siamo delle meraviglie interminabili tutte da leggere e da scrivere, diverse dalle altre .
Il foglio bianco si pone cone un contenitore delle nostre interminabili risorse o come un album di fotografie che, di la a qualche istante, lascerà una serie di serigrafie, e di stampe su uno sfondo bianco, le impressioni, le copie dei nostri mondi più profondi; il foglio scritto diventa l’ evidente materia visibile di una vita interiore intensa, invisibile; nel momento in cui scriviamo di noi, in quell’ istante, rendiamo visibile ciò che era impercettibile, siamo veri, il foglio diventa foto sensibile, mentre focalizziamo l’ attenzione sulle nostre ripartizioni mentali, sul nostro oggetto turbativo o espressivo.
Il foglio si propone come lo sfondo di una tela sulla quale dipingere il nostro ritratto immaginale, bello o brutto che sia e accade attraverso la ricerca minuziosa della parola, ci conduce a fissare il focus su come stiamo, e sul perché siamo in quel modo, ripercorrendo la trama tra passato e futuro, fino a catturare quel filo dei significati e delle risposte ai nostri tanti perché.
Lo scrivere è molto più efficace del parlare. Nello scrivere scandagliamo la mente, la versiamo sul foglio prima a piccole goccioline, poi come un ruscello, dopo come un fiume in piena, non si deve far leva sulla memoria, con la scrittura si diventa ricercatori raffinati e più precisi attraverso il definire la parola esatta e attraverso la parola della parola, si definisce quella più idonea nella rappresentazione degli eventi interni.
Il solo parlarne, invece, fatica nel reggere la memoria, nel parlare si dimentica e si nega l’ evidenza o ciò che è stato detto, a meno che il parlare diventi psicoterapia, analisi, che aiuta nel mantenere la cordata.
La parola individuata, è lo strumento meraviglioso di indagine e di ispezione e di ispirazione, si scova tra i grovigli e i traffici di altre parole, nel tentativo di intercettare una situazione dubbia o confusa tale da diventare la parola che cattura, si pone come liberatoria e comprensiva nel marasma. La parola fissa, fa il punto, mette al muro, all’ angolo la situazione, intercetta quel fotogramma chiarificatore che, fino a poco tempo prima, lasciava nel dubbio e nelle titubanze, esprime un suo effetto catartico e terapeutico.
Nel tentativo di scrivere, la parola si fa vogatore, si fa spazio fra migliaia di molte altre, sbroglia la matassa e ridisegna una nuova trama, quella propria, liscia e serena. Scrivere è come porsi allo specchio, per intercettare le ombre, aldilà di ogni evidenza visibile, è una cordata o un tratturo che va tortuoso e dritto nel sottosuolo, è calare il secchio nel pozzo, è l’ incontro con il mistero del nostro caos, per ricercare le risorse nella miniera, da portare su alla luce. La parola cerca la strada di uscita, o di entrata, cerca la prospettiva del miglioramento e della felicità, se poi diventa parola agita, verbo e comprensione, diviene azione e cambiamento verso la propria realizzazione.
Quando provi a scrivere, tutto è complicato, non sai mai da dove incominciare, credi sempre di non riuscirci, perché il foglio è bianco e il vuoto ti fa paura, ti senti così, nullo e nella testa tutto è confuso, c’è solo il peso di una angoscia qualsiasi o di una festa, la sensazione magica di un paradiso, immerso in una giostra di problemi, o in un minestrone di situazioni, di turbamenti, di fastidì, in un traffico di gente mentale o nel frastuono più assoluto.
Poi arriva, una sola, quella parola che diventa il punto di un ricamo, che si espande molto piano verso il disegno.
Quanto desideri stare con te stesso, quanto interesse hai nel guardare ciò che ti disturba, quanto sei geloso del tempo dato agli altri ? C’è un momento in cui non hai più tempo da perdere, se non ti leggi e scrivi da dentro la tua storia, non potrai leggere o scrivere su nessun altro.
Senza una lettura e una scrittura di te, non avrai mai qualcuno, rimarrai insoddisfatto di te, della vicinanza di uno affettivo accanto, perché se non hai testa di stare dietro di te, come sarà possibile pretenderlo dagli altri. Le relazioni che creiamo sono lo specchio di come noi incontriamo o evitiamo noi stessi, e lo scrivere su di se, è uno strumento potente per fare chiarezza.
giorgio burdi
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L’ Indicibile
L’ INDICIBILE
La caratteristica fondamentale del Numero Uno, è quella di non rinunciare mai, alla verità, di voler esprimere incessantemente quel flusso di percezioni profonde e sconcertanti che, in modo diretto e vorticoso, freneticamente ruotano dentro ognuno di noi.
Parliamo di indicibile come la massima espressioni di se. Per essere tale, l’ indicibile, ha rigorosamente la necessità di essere verbalizzato, avendo per sua natura una connotazione prevalentemente emotiva ed innanzitutto extra verbale.
L’ indicibile è visibile sempre e decisamente nell’ extra verbale.
Tutti vorremmo conoscere le diverse percezioni altrui, i loro pareri e i giudizi sul nostro conto. La diffidenza verso gli altri, nasce dalla atavica paura verso il giudizio, verso il timore che esso possa essere devastante e difforme dalle nostre percezioni ed aspettative.
Quando affermiamo che certe persone sono vere ed autentiche ? Quando esse “parlano schiette, sono dirette, “ parlano in faccia”, affermano e dicono ciò che percepiscono e ciò che pensano, senza alcun filtro o sotterfugio o manipolazione, non inducono a incertezze o a confusioni e non utilizzano retoriche, non adoperano giri di parole, ma sono espressione di chiarezza, se pur alle volte inaccettabili.
Chi si pone nell’ ottica di voler esprimere l’ indicibile, ama la trasparenza, risulta franco, innovativo, propositivo, resiliente e rivoluzionario, reattivo, giusto, ma alle volte veemente, insostenibile, controcorrente, fuori dai valori comuni, ti punta e non perde di vista il tema, il filo e l’ occasione, non è ne rinviante, ne proscrastinante.
L’ indicibile è la casa, è casa nostra, pretende il diritto al libero pensiero, alla parola, alla risposta, alla domanda, alla coerenza, all’ incoerenza e all’ onestà di se. Nelle relazioni ci sono molte variabili e punti vi veduta differenti di ognuno che si intersecano, incomprensibili ad ogni interlocutore e chiaribili solo nell’ ottica dell’ espressione dell’ indicibile.
È molto difficile la comune comprensione, siamo tutti intricati e lontani, rappresentiamo la contraddizione l’ un dell’ altro, diveniamo irraggiungibili, strani e folli, è solo nell’ orientamento di svelare l’ indicibile, che ricreiamo quel ponte di ricongiunzione che potrebbe renderci più collegabili ed affini.
Quando parliamo di indicibile non ci riferiamo a qualcosa che non si può dire, ma al contrario, ci riferiamo al “non detto”, che è più importante ed imponente dell’ evidente. L’ indicibile invece si riferisce al timore di esprimere casa propria, il se autentico, perché appare inopportuno dire e non conforme alla situazione, perché la sua espressione risulterebbe imbarazzante e sconcertante.
L’ indicibile ha coraggio, non rinuncia al proprio tetto, a se, è teso nel combattere le vergogne e gli imbarazzi, le incomprensioni, i conflitti o a crearli li dove sembra tutto andar bene, chiama all’ appello; esso è diretto, non conosce il buono o il cattivo senso, perché persegue il senso, e non conosce la buona o la cattiva educazione, ma percepisce cosa è rispettoso; è ribelle al conformismo, è irriverente, indiscreto, teme, ma osa, non tiene conto dell’ opinione comune, o delle disapprovazioni, ma il suo verbo è, dire, ciò che gli altri direbbero, ma, inibiti, non osano.
L’ indicibile ha una struttura in cemento armato, è un travertino, un ponte in acciaio, ha una marcia in più, parte per primo e se rinunci ad esso ti fai massa, gregge, curva sud, ti globalizzi, ti emargini, diventi un pantano putrido, ti auto confini, ed escludi, accetti lo scontato, rinneghi la dignità del tuo nome, rimani assente, spettatore, rinunci all’ intelligenza differente, rinunci ai tuoi contribuiti, cadi nel mal pensare, diffidi, diventi un orso, un musone taciturno, inciampi nelle tane del pettegolezzo, triangoli. Chi rinuncia all’ indicibile, diventa cinico, sarcastico, tra il detto e il non detto, fa libera professione di aggressività passiva, amico del malumore e delle rimuginazioni, delle interpretazioni e delle perplessità, preda dei soliloqui, delle introversioni, della scontrosità e delle aversioni .
All’ indicibile si oppongono le apparenze del sottaciuto, le elaborazioni, gli espedienti, le scuse, gli escamotage, le menzogne, le retoriche, i giri di parole, tutti quegli atteggiamenti difensivi per non mettersi mai in discussione, come il negare l’ evidenza e il rinviare per non decidere mai.
L’ indicibile è il frutto di una introspezione agita, è la consapevolezza in persona che si fa azione, è il vetro trasparente e la liberazione di se dalle trappole. Esso è l’ evacuazione, la foce, lo sbattere in faccia la verità taciuta che se lungamente trattenuta diviene disagio, rammarico, teatralità protratta, malattia, psicosomatica, nevrosi, disgusto e dispiacere.
La narrazione dell’ indicibile, attraverso la consapevolezza di non voler rinunciare a se, conduce alla riattivazione del benessere, delle sinapsi e della salute, è il riscorrimento delle endorfine, è il respiro, la riscoperta delle anime affini.
L’ espressione dell’ indicibile consta nello scovare dove sono le maschere e nel coraggio di toglierle.
La navigazione e la narrazione nel flusso dell’ indicibile, conduce all’ autenticità, al miglioramento o alla chiusura anticipata di certi rapporti, prima che diventino dei falsi consolidati, fino alla riscoperta di altri, speciali.
Ci sono persone che non si conoscono da sempre, se pur si frequentino da tanto, risultano essere tra di loro, estranee. Chi entra nel flusso dell’ indicibile, avverte sincronicità o fa selezione ed esclusione da subito.
Poche volte accade, che nel fracasso nella folla, si percepisce, la presenza di un sottile filo d’oro che collega ad un qualcuno di importante, che si osculta ma non si vede, un impercettibile filo di Arianna, li tiene legati da sempre, da sentir pronunciare piano e poi forte il proprio nome, da riconoscere quel qualcuno, che ricordi, ma mai conosciuto, molto vicino, e prima di quell’ istante, mai visto, intimo più della famiglia ma conosciuto li per li. Questo accade quando si è a casa e in sintonia con se stessi, senza carnevalate e nascondimenti, quando si è sereni, senza maschere, con la propria nudità, si incontrano le meraviglie.
Quanto di quel tempo viene adoperato stando in contatto in relazioni brillanti, ma allo stesso tempo vacue, fagocitanti, confusionarie, fatte tutte di un pezzo, rigide, apparentemente infrangibili e alla minima difficoltà, friabili ?
L’ indicibile produce trasparenze e tra due trasparenze, la luce non farebbe fatica ad infrangere l’ incomprensione.
Chi lo decide quando dobbiamo esistere ? Lo decide la nostra anagrafica e il nostro nome, anche se già lo eravamo prima, dal concepimento. Solo quando ci chiamano, reagiamo all’ interno di in un sistema che ci stimola alla risposta, la chiamata del nome è la chiamata all’ appello, alla propria sede, il nome ci ricorda che siamo, nel nome chiamato, si materializza il se. Se non ci chiamano, impariamo a farlo da soli, proviamo quell’ emozione di chiamarci da soli, col proprio nome.
A Nessuno di noi è mai stato insegnato ad ascoltare se stesso, diversamente siamo stati educati ad ascoltare e rispettare gli altri. Ci hanno dato il nome, ci hanno chiamato, ma abbiamo imparato i nomi della storia, le date dei conflitti e degli eventi, ma mai ci hanno indicato di rispettare e ricercare il nome proprio e ad ascoltarlo. Abbiamo spesso sentito chiedere, ascoltami, mai ascoltati, siamo stati educati a rimanere sordi a noi stessi, a finta di nulla, ad ascoltare solo i “rumori” delle voci stridule altrui.
La nostra voce urla dal nostro primo vagito e nasce come l’ altra voce, ogni volta che nasce una nuova voce, nasce la rivoluzione, il contraddittorio, ma parallelamente nasce la volontà e la tentazione di volerla mettere gia a tacere per la sua diversità, per il suo indicibile, per i suoi “capricci”. Ognuno esiste, se riesce a darsi voce, chiamandosi all’ appello.
giorgio burdi
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L’ indicibile
L’indicibile è per coloro che non temono il giudizio, che, sicuri del loro sentire, percorrono la via della sincerità, della realtà, della libertà di essere e di esprimersi.
Non tutti sono ingrado di accettare tale schiettezza sbattuta in faccia, a molti non piace la verità, preferiscono la finzione, il buon viso a cattivo gioco.
La verità è per pochi. Ma di quale verità parliamo infondo? Non estite un’unica verità, ognuno è condizionato dalle sue esperienze, dalle sue emozioni, la verità è spesso distorta da quello che noi crediamo di vedere o sentire.
L’indicibile va oltre la verità, è l’essere autentico, nudo e crudo, senza paura e senza vergogna, perché non ci si deve vergognare di essere se stessi, anzi, bisogna coltivare l’indicibile, bisogna portarlo fuori, esorcizzarlo, renderlo familiare, amico, compagno.
Ma ormai credo che bisogna essere se stessi e non pensare di poter piacere a tutti o di trovare un legame con tutti. Ci sono persone che non ti apprezzeranno ma probabilmente sarà anche meglio così. Mostrando l’indicibile sarai apprezzato da chi è come te o da coloro che nel tuo indicibile vedono qualcosa di unico e meraviglioso
rossella ramundo orlando
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Procrastinare
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE IL PROCRASTINARE
Cos’è la procrastinazione
Procrastinare significa rimandare qualcosa al futuro prossimo o lontano. Termine che ha origine dal latino “pro” (a favore), “crastinus” da cras (domani), è l’atto di rinviare dall’oggi al domani, da un giorno a un altro, posticipare, differire, prorogare, temporeggiare, posporre, indugiare.
Ad ognuno di noi è capitato almeno una volta di rinviare un’attività, un compito, un impegno, un esame, una decisione, una scelta importante, un progetto di lavoro, lo studio, la dieta, l’attività fisica, buoni propositi per il nuovo anno…rimandare qualcosa che avremmo potuto iniziare o fare nell’immediato, ma a causa di mancanza di volontà abbiamo procrastinato.
Se rimandare occasionalmente qualcosa per pigrizia o perché considerato noioso è un atteggiamento non preoccupante, da considerarsi normale, posticipare continuamente è invece disfunzionale.
La procrastinazione, a volte, può diventare un’azione abituale, ricorrente, un’abitudine consolidata. Se cronica si trasforma in un vero problema, procura molteplici disagi, stress e frustrazione.
Chi ha la tendenza a procrastinare ha consapevolezza delle conseguenze negative di tale comportamento come l’accumulo di lavoro da dover svolgere all’ultimo minuto, la sovrapposizione di scadenze, l’aumento di ansia…ciò nonostante, sostituisce attività prioritarie con altre secondarie, meno importanti, ma ritenute piacevoli.Sceglie le distrazioni perché regalano sollievo, allentano la tensione e allontanano il senso di inadeguatezza.
Alla base della procrastinazione c’è un blocco mentale e psicologico. Rinviando si evitano le proprie paure, insicurezze, i propri limiti, si sfugge da problemi e preoccupazioni, non si prende responsabilità delle proprie azioni.
Generalmente si tende a procrastinare le attività più impegnative, complesse, le scelte più importanti, questo perché la procrastinazione è legata alla regolazione delle emozioni.
Tuttavia, però, più rimandiamo ed evitiamo qualcosa, più le sensazioni negative che si hanno verso quella situazione si rafforzano rendendo tutto più difficile.Molto spesso la procrastinazione induce il senso di colpa per non aver portato a termine qualcosa di programmato, questo senso di fallimento innesca un circolo vizioso che porta a continuare l’atteggiamento di procrastinazione.
Cause
Diverse cause possono essere attribuite all’origine della procrastinazione. Sicuramente la propensione a rimandare è genetica: non tutti procrastiniamo allo stesso modo.
Tra le maggiori cause della tendenza a procrastinare:
A prescindere dalla causa, senza dubbio procrastinare è un comportamento autodifensivo, di protezione. Rimandiamo per la paura di insuccesso, di fallire, di scoprirci imperfetti, di deludere le nostre e altrui aspettative, di essere giudicati.
Si pospone un’attività per allontanare le sensazioni negative da essa procurate e ottenere così un immediato sollievo seppur momentaneo da qualcosa che ci pesa.
Sintomi
Cura
È possibile smettere di procrastinare individuando le cause nascoste dietro questo meccanismo di difesa.Questo è il primo passo verso il cambiamento.
È importante intervenire tempestivamente perché ilprocrastinatore cronico ha grandi probabilità di incorrere in problemi di salute fisici e mentali. L’accumulo di stress e ansia, la continua insoddisfazione, il senso di frustrazione, la bassa autostima, possono indurre stati depressivi ma anche problemi fisici quali mal di testa ricorrenti, problemi gastrici, disturbi cardiovascolari.
Procrastinare in maniera assidua, inoltre, comporta conseguenze in ambito personale, relazionale e lavorativo. Limita la produttività personale e il raggiungimento dei propri obiettivi.
Intraprendere un percorso di psicoterapia è un valido aiuto. La psicoterapia permette di lavorare sulla regolazione emotiva imparando a tollerare e modificare le emozioni negative, sull’autocompassione e sul perfezionismo.
Attraverso la psicoterapia si impara a perdonare séstessi, a non avere vergogna per gli errori commessi, ma imparare da questi per rompere gli schemi in cui si è intrappolati. Si impara ad accettare di essere imperfetti e fallibili e a superare le rigidità.
La psicoterapia aiuta a cercare nuove abitudini funzionali, a riconoscere la procrastinazione come un inganno e a non assecondarla continuando a rimandare ma passando all’azione anche a piccoli passi perché tutto diventa più facile una volta iniziato. Partire gradualmente, focalizzarsi su obiettivi più piccoli, aiuta il raggiungimento dell’obiettivo finale.
L’autoconsapevolezza ci permette di raggiungere i nostri obiettivi.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera Tirocinante di Psicologia presso lo Studio BURDI