VINTAGE
VINTAGE
Noi siamo vintage, diversamente anime, genialità e sregolatezza, ordinati, sobri ed essenziali, quelli delle linearità, dalle forme armoniche, irregolari, ma utili, fresche e colorate; siamo quelli che hanno osato, danziamo da i classici ai figli dei fiori, tra ghirlande, bouquet e papaveri, siamo bucolici, da trattoria, da feste nelle masserie con la pizzica e la taranta, siamo quelli del tango e della febbre del sabato sera o quelli che odiano la discoteca, siamo quelli del riordino, che fanno spazzatura del vecchio e l’ antico lo fanno meglio del nuovo.
Siamo quelli della gavetta, ai quali non è mai stato regalato nulla, quelli che si fanno il culo, quelli dalla colazione col pane e pomodoro e un filo di sale e coratino e un calice quattordici di Troia nero, invece del latte. Siamo quelli che hanno rotto il salvadanaio, non avevano soldi ma non disperavano mai. Siamo quelli che ascoltano Debussy, Pink Floid e Dire Strait, De Andrè e De Gregori. noi siamo quelli di Santana, Samba Pa Ti e country blues e di Lucio, Dalla e Battisti, che hanno fatto inventato la radio libera effe emme, le bands e suonato la chitarra in spiaggia proprio dentro ai falò.
Saltiamo da una tavolozza di colori, amiamo il blu perché va oltre i confini, dipingiamo granai, campi di grano, praterie con staccionate tutte da saltare, a noi, non fanno paura gli ostacoli. Non usiamo valigie, ma zaini a spalla; siamo minimal, timidi ma intraprendenti, odiamo il consumismo, non portiamo griffe, il brand è solo per il nostro nome, ci piace fare tutto ciò in cui crediamo; ci ritrovi ancora nei mercati americani, ma non siamo poveracci, ma ci sentiamo sempre adolescenti.
Siamo raffinati, abbiamo sempre il sorriso ed un libro nelle tasche, abbiamo tanti abiti, ma per comodità usiamo sempre gli stessi; amiamo i missionari, i francescani e i buddisti, tutti quelli che per davvero aiutano il prossimo, siamo naturalisti ed ecologisti, viaggiamo su una R4 col cambio sul cruscotto, preferiamo borghi e le strade di campagna. Ci piace essere leggeri e superficiali, perché siamo molto profondi. Per ogni problema abbiamo mille soluzioni e lottiamo contro il pessimismo di chi ha l’ alibi di non voler far nulla, di chi ha sempre mille problemi per ogni soluzione.
Siamo progressisti, ci piace l’ uomo sulla luna e crediamo negli ufo, siamo cresciuti col bianco e nero, due soli canali ed un telecomando che faceva tic tac; abbiamo inventato internet, per abbattere le distanze, proliferato radio, tanta musica e la Tv con i colori, amiamo la cabina con i gettoni e ci scordiamo a casa il cellulare, ci accontentiamo anche solo di respirare, siamo quelli che facciamo il vino in casa, comprano i pani per spillare la birra, sereni e di viaggiare sotto il vento, col sole sulla pelle, camminare sotto la pioggia, siamo quelli che guardiamo sempre l’ orizzonte, oltre chi pone inutili confini.
Ci sposiamo sulla sabbia, facciamo l’amore discreti sotto le stelle, ci piace parlare ed ascoltare di persona, odiamo le chat se non per necessità e per lavoro; siamo affamati di parole mai ascoltate, di tutto ciò che è indicibile ma vero. Noi siamo figli dei partigiani, quelli coraggiosi, con le palle, senza pretese, che non hanno peli sulla lingua, quelli per i quali non c’era mai tempo perché lavoravano sempre, ma eccoci, siamo qui, ci siamo cresciuti e siamo riusciti bene, siamo i sindacalisti dei torti subiti, che garantiamo ancora la libertà pagata dai nostri padri.
Ci piace spezzare e dividere il pane, darci entrambe le mani e dove ci sono trenta fa lo stesso con trentuno, ci piace essere umili e farci prendere in giro e anche se abbiamo tanto, ci piace vivere di poco, come se ci bastasse solo il cuore che ci batte; non ci montiamo mai la testa e non ci sentiamo mai a posto o arrivati, perché siamo sempre curiosi di sapere e le cose più intense, sono ancora tutte da sapere, non ci facciamo comprare da chi poi si vende, ci piace la chiarezza e sia molto diretti, siamo quelli del vivi e lascia vivere, non ci piacciono i consigli e non li sappiamo nemmeno dare, perché ognuno è intelligente per sapere dove andare. E se l’ amico è ventennale, dorme spesso a casa nostra, siamo sempre banchettari, dove ognuno porta il suo,
ci piace metter tavola e spesso c’è sempre un estraneo, un fratello extracomunitario senza famiglia ma che ha trovato casa, che si trova già a proprio agio per brindare, ridere e scherzare. E quando sul portone, tutti pronti per partire, con con una Prinz, la 127 o l’ Alfa Sud che per frenarla serviva un cuneo al disotti sotto dei pneumatici, per andare a funghi; che gioia ritrovarsi, per poi tornare a casa, per una frittura una spaghettata, o cento pizze al mare nel forno a legna, per parlare di politica, pettegolezzi, musica, e in silenzio raccontare di problemi personali o giocare a carte.
Noi vintage, amiamo la vita, odiamo i litigi e tanto meno le guerre ignoranti, ci droghiamo e ci facciamo solo di noi stessi, siamo matti di noi, siamo folli ed originali, odiamo ogni tipo di sostanza che ci toglie la voglia della danza, magari ci godiamo una Molinari con la mosca, un sigaro toscano o una Malboro, mentre studiamo, dopo un caffè psicologico o in piazza mentre chiacchieriamo con chi ci va.
Fanatici dei Ray Ban, delle scarpette bianche Superga, jeans e camicia bianca, beviamo alla stessa bottiglia, mangiamo la caramella che è caduta per terra, perché gli anticorpi, noi da bambini li abbiamo fatti sulla strada. Parliamo col barbone, col presidente della repubblica e l’ operatore ecologico, diamo il fazzoletto se il passante piange nel treno dei pendolari e se ci chiedono l’elemosina, la stringiamo senza timori nelle loro mani, parliamo con tutti o nel tram a chi incrociamo negli occhi.
Noi vintage siamo quelli che non creano distanze, che non si montano mai la testa, non dimenticano mai le origini, che ringraziano ma si emancipano da esse e gli restano devoti, non ci dimenticano mai che le radici sono sempre nel fango e che siamo tutti strani ed esseri umani e siamo in grado di parlare con il buono di ognuno, vogliamo essere ingenui, facciamo finta di niente, facciamo sempre lo stesso errore, quello di fidarci di tutti e facciamo molta fatica a diffidare, siamo incorreggibili, ma nessuno ci toglie mai dalla testa una scusa, quella di credere che il mondo può sempre essere migliore se guardato, come da noi, con occhi diversi.
Noi vintage abbiamo pochi valori, tutti gli altri perbenismi li abbiamo cestinati, ragioniamo con la nostra testa e tanto più col cuore, non siamo severi, ne intransigenti, siamo laici e moderati, diventiamo impertinenti e ci disgusta il fanatismo e gli estremismi, siamo sempre illusi che la bontà e l’amore vincerà sempre, perché la vita è trafficata da opere d’ arte ed ognuno ha un suo talento ed un posto per permettere di migliorare la qualità di vita di tanti. Per chi ancora non lo sa, noi vintage, lasciamo il meglio di tutto ciò che tutti noi siamo.
giorgio burdi
ContinuaL’ Emancipato
L’ EMANCIPATO
“L’uomo che riesce a fare a meno di tutto, non ha paura di niente”, questa è una citazione, menzionata in vernacolo napoletano e divenuta storica, attraverso la serie televisiva di Gomorra. Ora, Aldilà della serie, sulla quale non vogliamo soffermarci, tale citazione si impone come una espressione potentissima rispetto al tema della gestione della paura. Essa, in modo molto crudo e diretto, rappresenta un bellissimo messaggio di insegnamento su come superare e non essere soggiogato dalle fobie.
La capacità di rinunciare e di fare a meno di tutto o perlomeno del poco, smettendola di investire in aspettative verso gli altri, figli, genitori, amici, amori, affetti, oggetti materiali, rappresenta il fascino dell’ evoluzionismo del se, complicata e tortuosa, ma non impossibile da realizzare.
L’ ascesi religiosa propone un suo percorso di distacco, attraverso la meditazione e la preghiera, allo scopo di riportare il soggetto a ciò che nella vita è essenziale, da tutto ciò che è effimero ed apparentemente fondamentale, non importante, ricorda che tutto ha una data di scadenza, è passeggero, è vacuo, si consuma, che il senso di tutto è solo nel momento presente che va consumato con lentezza, piano piano e per bene, come un piatto prelibato, tanto che da fissare la memoria per una traccia indelebile ed eterna.
Tutto sommato a riguardo, ognuno di noi, della propria vita ricorda solo certi momenti salienti, quelli fondamentali, quelli dove era profondamente presente, tutto il resto viene archiviato come in una pattumiera, la nostra vita di trent’anni diventa quella della sintesi che fanno un anno. Una vita intera dedicata, solo per ricordare pochi istanti significativi e quanto, tanto tempo buttato, perduto per cose insignificanti.
La capacità di distacco viene generata prevalentemente attraverso la sofferenza. Lo stato depressivo o peggio quello psicotico, rappresentano forme involontarie di isolamento e di presa di distanza dal mondo, generate da un disagio. In questo caso il distacco diviene una conseguenza, viene generato per la paura di vivere, attraverso l’ isolamento in una chiusura , quasi autistica al mondo. Questo tipo di distacco da isolamento non è funzionale e al contrario diviene generatore di paura.
Il distacco consapevole, quello radicato con i piedi per terra, in cui si vive il mondo e nel mondo, al contrario è funzionale, è coraggioso, elimina la paura di vivere, permette di vivere col sorriso sulle labbra. Per non essere ingabbiati all’ interno della paura, abbiamo bisogno di essere un po’ “cuore”, contrarci per poi espanderci. Il fobico si chiude, si contrae il coraggioso si espande, si apre al nuovo, interagisce, prende, va verso, ma poi ritorna a se, ma sa farne anche a meno. Il coraggioso è un illuminato che si espande perché è passato prima attraverso la contrazione e la contrizione della sua notte.
Sa rinunciare solo chi ha la certezza di riconoscere se come una ricchezza; paradossalmente, avrà ancor meno paura, colui che è in grado di rinunciare anche a se. La libertà da tutto, rappresenta la massima nostra sicurezza. Saremmo abbastanza potenti, sicuri e ricchi, non per ciò che possediamo, ma per ciò a cui possiamo rinunciare.
Saper rinunciare è una potenzialità umana senza pari, necessita di una forza macroscopica per la sua attuazione, essa ci rende uomini emancipati; questo modo di esistere è molto più elevato in termini di qualità di vita, rende arguti, è complesso;
è complicato da realizzare rispetto al semplice avere, all’ attaccarci a persone o ad oggetti, in questo siamo tutti un po’ bravi, lo siamo molto meno, nel lasciar correre o lasciare la mano di qualcuno, ciò lo si può fare, solo percependo il pieno di se. Tutti i lavori analitici hanno questo scopo, lavorare e giungere alla percezione della pienezza di se, invece di continuare a riempire i vuoti esistenziali con surrogati insignificanti.
Un’ altra caratteristica peculiare è dettata da fatto che l’ emancipazione non può avvenire attraverso una continua tutela del soggetto; essa vincola alle condizioni altrui, agli altrui diktat, la tutela rappresenta la delega che si fa su di un altro, per evitare la comprensione dei propri limiti, sui quali poter lavorare; quando si sostiene lungamente un soggetto, si sostengono i suoi limiti, col rischio di inquadrarsi e di essere inquadrato come soggetto limitato.
Serve a ben poco e trova il tempo che trova, l’ assistenza, la spalla offerta sulla quale poter piangere, l’ appoggio dato lungamente o fare da stampella. Chi fa da stampella, poi diventa carrozzella e barella e poi sulla barella ci va di conseguenza, viene fagocitato e poi affranto, piano piano, dal dolore dell’ altro.
Chi tutela di continuo, teme di far soffrire, tratta l’ altro da incapace, da diversamente abile, sottrae al suo interlocutore l’ opportunità di fare il passo e il salto di qualità, di fare affidamento e tutela su di se, di potersi riconoscere capace ed intelligente.
Chi tutela, sminuisce la capacità di autonomia altrui e di difendere con orgoglio la propria dignità. a meno che non si tratti di minori.
giorgio burdi
ContinuaGratitudine e Riconoscenza
GRATITUDINE e RICONOSCENZA
La gratitudine e la riconoscenza rappresentano quegli atteggiamenti attraverso i quali il soggetto diviene consapevole dei propri limiti e delle proprie risorse e riconosce attraverso gli altri, l’ opportunità di arricchimento.
Tali atteggiamenti rappresentano veri e propri valori e sono esattamente in opposizione al narcisismo, all’ introversione e a gran parte di quei disturbi di personalità. La loro presenza o la loro assenza possono essere strumenti per valutare l’ equilibrio, il benessere mentale e dell’ intelligenza di un soggetto.
L’ irriconoscente possiede una personalità apparentemente in relazione, in realtà ha tratti anti sociale, non sa affatto cosa sia o cosa rappresenti una relazionare, si pone come se la relazione fosse una transazione economico – commerciale, si comporta attraverso un opportunismo camuffato. È facile svelare un soggetto con questa modalità comportamentale, egli ha l’ atteggiamento dell’ “interessato” ; dalle sue prime impostazioni, dall’ accanimento delle sue attenzioni, dalle sue innumerevoli intromissioni attraverso continue domande e dal suo graduale distacco e distanziamento. Il suo sguardo all’ inizio appare lusingato, in itinere si spegne, al termine diviene iper critico e distaccato e ciò che all’ inizio appariva affetto si rivela competizione e strafottenza.
L’ ingrato è rispettoso se è indiscreto, si presenta in punta di piedi ma, di li a poco , si rivela oppositivo, rivale ed ingombrante, indaga, è curioso, circospetto, pone domande a raffica, ascolta come un radar, ma non risponde, la sua inutilità risulta inequivocabile, irriverente, è uno di cui si potrebbe tranquillamente fare a meno. Una volta scomparso, non lascia traccia, non lo vedi, ne lo senti più, non lascia di se alcun ricordo, ti lascia il solo rammarico di essere stato svuotato, derubato e violato, la sensazione netta di aver subito un danno.
L’ irriconoscente, prende, consuma e non paga, non lascia nemmeno la mancia, sputa nel piatto in cui ha mangiato, ti usa e poi ti getta, prende ancora e non gli basta mai, fa suo il tuo stile e ti rinnega, non dice a nessuno di averti conosciuto, si vergogna, è il tuo più acerrimo traditore, nel suo egocentrismo non ti riconosce nulla di ciò che hai dato, anzi lo contesta,e se ha imparato, afferma che è suo e ha perso con te solo tempo; ti sminuisce, è un giudice intransigente, è avvilente, ti umilia, è cinico e sarcastico, è un sadico, vorrebbe che scomparissi da lasciar posto alla sua prima donna, è sprofessionalizzante.
È uno sciacallo che si nutre solo delle riserve altrui e come un cleptomane ne diventa padrone, ma in realtà è malato non ha nulla e prima o poi fallisce quando esaurisce le tue riserve. Sorride e complotta sotto sotto, è sornione, lo noti per la sua risata isterica, appare accogliente ma si defila, diventa un fantasma, ostenta conoscenze ma è una fotocopia, ma di suo non ha pen poco, sfoggia deontologia e moralismo, ma per il suo bigottismo viene isolato.
Una gentilezza, una cortesia, un favore, un gesto di cordialità, una stretta di mano, un abbraccio, una carezza, una presenza o una parola detta al momento giusto, possono cambiare il decorso della vita.
In questa epoca di guerre, in cui i le presenze, i valori non si sanno cosa siano, in cui l’uomo viene calpestato, l’ irriconoscenza e la gratitudine sono diventati di moda e la vicinanza e la solidarietà umana sembrano essere diventate estreme e rare eccezioni.
Dire irriconoscente, equivale a dire, parsimonioso, avaro, tirato, tirchio, l’ ingrato non si fa notare, giudica in modo spietato, ma da colpa ad altri, come un ladro del tuo tempo, è incapsulato nel proprio utilitarismo. La gente la frequenta, se è utile.
L’ ingrato è un ladro del tuo tempo, di un tempo che non ha ne prezzo e ne costo, si impasta nelle tue risorse e si crea il suo lievito madre. La sua caratteristica peculiare è scomparire all’ improvviso, si dilegua, non farai mai parte della sua memoria, come se non fossi mai esistito o non ti avesse mai incontrato. Egli non fa storia, non ha una storia, e se ce l’ha è striscia sugli altri come una sanguisuga, si illude, trova il tempo che trova, si nebulizza, è un vuoto a perdere, non c’è, diventa un peso per tanti un pensiero, un assenza che subisci.
Non fa altro che chiedere, lo fa anche con discrezione, ma, se lo cerchi, non puoi contare mai su di lui, trovi l’ aria fritta; se poi dai novantanove, solo per uno, diventi imperdonabile; scompare, poi ritorna e riprende a quattro mani, mette in tasca con destrezza e non sai come perquisirlo. Ha la pretesa di poter disporre di te, come e quando vuole.
Non è per fortuna, ma esistono persone, davvero persone umane, compiaciute di essere così naturalmente generose, consapevoli, alle volte, di farsi derubare, perché essere esseri umani porta con se il rischio e mettono in preventivo l’ opportunità di prendere fregature. Vivono a testa alta con dignità dinanzi a tanta distrazione e poco buon senso.
Il lavoro analitico, ad esempio, non rappresenta solo e semplicemente un lavoro, ma rappresenta una vera e propria rivoluzione e stravolgimento della propria esistenza. Esso, ti cambiala vita perché ti cambia lo stile, lo schema e il modo di essere, di pensare, ti avvicina a te stesso, snrevoticizza, ti rende migliore, assolutamente vicino alla propria natura umana, permette di credere più in te stesso e negli altri, rende migliore il mondo dei rapporti intorno a noi E il mondo degli uomini.
Dall’ oltre oceano avremmo dovuto importare la Festa del Ringraziamento, piuttosto che quella della carnevalata di Halloween. Ringraziamo e siamo grati per tutte quelle gratitudini che ci ritornano, ma vogliamo restare attenti per tutti coloro che le sfruttano.
È vero che, Il bene è per sempre, fa del bene e scorda, il bene rimane, non fare mai omissione di soccorso, aiuta il prossimo, ma iaggiungerei, fa tutto ciò che è nella nostra natura, ma fa attenzione nel comprendere, verso chi ti rendi così tanto disponibile, “non dare le perle ai porci”.
giorgio burdi
ContinuaAutoerotismo femminile e tabù
Sebbene la sessualità sia sempre meno un tabù e si ha più libertà di parlare di diverse sfaccettature e orientamenti che prima rimanevano nell’ombra, ancora oggi parlare di autoerotismo femminile resta un argomento ostico.
Per lungo tempo, falsi miti e credenze hanno visto la masturbazione protagonista nel pensiero sociale di diverse realtà quale pratica esclusivamente maschile per soddisfare un bisogno fisiologico o per soccombere alla mancanza di relazioni sessuali di coppia.
Molti pregiudizi hanno ritenuto volgare l’accostamento donna-piacere sessuale, considerando l’autoerotismo femminile una forma di peccato per il corpo e per l’anima. La donna è sempre stata considerata oggetto sessuale passivo, poteva ricevere piacere dal proprio partner, ma non poteva procurarsi piacere da sola.
A lungo l’autoerotismo è stato stigmatizzato da diverse ideologie religiose. Con l’avvento del Cristianesimo l’autoerotismo femminile fu considerato un peccato contro natura. Paradossalmente in Epoca Vittoriana, i medici iniziarono a curare l’isteria con la stimolazione del clitoride nonostante la masturbazione fosse considerata causa di malattie mentali.
Anche attualmente non mancano tabù in merito. Già nell’infanzia c’è una forma di discriminazione nella sessualità maschile e femminile.
Si pensi agli adulti che ritengono normale e fisiologico quando i maschietti si toccano i propri genitali, associano questo gesto alla scoperta del corpo; al contrario se sono le femminucce a farlo, le rimproverano e accusano di un comportamento “sporco”. Ciò sviluppa nelle bambine, durante la crescita, il senso di colpa e di vergogna che le accompagnerà nelle diverse fasi della vita.
La donna, dunque, sin da bambina ha sempre vissuto la conoscenza del proprio corpo e il raggiungimento del piacere con la masturbazione, con sensi di colpa anziché in modo spontaneo come dovrebbe essere.
Questo lo si evince anche perché i maschi già nella prima adolescenza parlano liberamente in gruppo delle dimensioni dei lori genitali e delle loro fantasie sessuali, mentre le femmine tra loro non affrontano questi argomenti perché provano imbarazzo.
Nello scenario comune, dunque, la masturbazione maschile viene accettata, riconosciuta come fase fisiologica, tappa evolutiva associata prevalentemente all’adolescente che diventa adulto.
Anche per l’uomo adulto l’autoerotismo viene considerato normale, mentre per la donna è un piacere celato, nascosto molto spesso per problemi culturali.
È un piacere non accettato, a volte anche dalle stesse donne, molte delle quali non lo praticano perché associano la sessualità esclusivamente alla presenza di un partner, e in assenza rinunciano senza considerare che la sessualità può essere appagante anche senza la presenza di un’altra persona.
Altre volte, invece, le donne non ammettano di praticare autoerotismo per un senso di pudore. È una pratica intima di cui non vogliono parlare apertamente. Ancora oggi, molte donne provano vergogna e imbarazzo nel parlare della propria sessualità.
È noto, infatti, che molti disturbi della sfera sessuale come il vaginismo, l’anorgasmia e la mancanza di desiderio sono la conseguenza di chiusura verso l’autoerotismo e la conoscenza del proprio corpo, spesso a causa di un’educazione sessuale rigida improntata sul pudore e sulla vergogna.
In realtà, chi pratica autoerotismo non ha nulla di cui vergognarsi, è un aspetto sano e naturale della sessualità, sia per l’uomo che per la donna.
La sessualità è la massima espressione dell’energia vitale e l’autoerotismo è un aspetto molto importante della sessualità, ha risvolti positivi personali e nel rapporto con il partner, per questo non andrebbe trascurato.
Così come è importante vivere la sessualità a qualsiasi età, l’autoerotismo dovrebbe essere praticato a qualsiasi età. La conoscenza del proprio corpo, del linguaggio del corpo, la risposta agli stimoli esterni, non sono competenze innate, ma si raggiungono nel tempo solo attraverso la pratica e l’esperienza.
A differenza che per gli uomini, per le donne l’autoerotismo non è solo un atto fisiologico. La donna che pratica autoerotismo trae numerosi benefici sia fisiologici che psicologici, vive una sensazione di benessere diffuso. Per la donna l’autoerotismo è un gesto di amore e cura verso sé stessa.
Con la masturbazione la donna familiarizza con il proprio corpo, sperimenta le zone erogene, impara a conosce meglio il proprio corpo, le proprie fantasie più nascoste, a sentirsi sessualmente appagata a prescindere dal partner.
L’autoerotismo deve essere considerato dalla donna come spazio di intimità personale piacevole e appagante e non come mera alternativa alla mancanza di un uomo.
L’autoerotismo femminile è un diritto al piacere alimentato da fantasie sessuali, pensieri liberi e non censurati; è come fare l’amore con sé stessa, coccolarsi, rilassarsi, godere.
Si riscontra come la donna che pratica autoerotismo si evolvi personalmente e potenzi l’autodeterminazione sessuale; praticare autoerotismo è fondamentale per una crescita psicosessuale armoniosa.
L’autoerotismo porta benessere psichico e fisico, è una pratica che non va assolutamente interrotta anche se si ha una relazione di coppia. A volte, però, questa pratica non viene ben accettata dal partner perché erroneamente associata all’idea di mancata soddisfazione e gratificazione sessuale.
Le donne che praticano autoerotismo non vuol dire che non abbiano un partner che le soddisfi sessualmente. Così come l’autoerotismo può essere un ausilio, un sostituto o una fuga dalla vita di coppia non soddisfacente, esso può tranquillamente coesistere nella vita di una donna senza nulla togliere alla vita di coppia, anzi è un valore aggiunto. La donna che pratica la masturbazione in modo regolare, impara a conoscere cosa le provoca piacere e lo condivide con il partner.
L’autoerotismo non deve essere considerato un atto esclusivamente solitario, anzi porta numerosi vantaggi nella coppia come l’aumento di complicità ed erotismo.
Al pari di un rapporto sessuale, l’autoerotismo permette di raggiungere l’orgasmo; ne consegue il rilascio di diversi neurotrasmettitori al cervello, tra questi l’ossitocina utile a ridurre i livelli di cortisolo, ha un effetto calmante e favorisce il rilassamento, e la dopamina responsabile del piacere.
L’orgasmo può essere considerato un rimedio naturale, un antidolorifico naturale perché rilascia endorfine conosciute come ormoni del benessere, le stesse sostanze prodotte quando si fa sport, riducono lo stress e contribuiscono al benessere psicofisico.
Nelle donne che praticano regolarmente autoerotismo vi è un aumento dell’intensità della propria libido, maggiore scioltezza e disinvoltura durante i rapporti sessuali, una maggiore consapevolezza e maturazione sessuale grazie alla conoscenza delle proprie reazioni all’eccitazione e al piacere.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso
Studio BURDI
__________
la Poli a riguardo del tema,
vedi il video qui sotto
Erotismo femminile (parte 2)
ContinuaL’ Elogio del Fallimento
L’ Elogio del Fallimento
&
l’ Assioma dell’ Errore
Non puoi guardare l’ orizzonte,
se non attraverso gli ostacoli.
Fallisce, non chi non vince, ma chi evita di perdere e di sbagliare e chi non regge all’ errore. (gb)
Tutti abbiamo bisogno di conoscenze , temiamo il fallimento e di non riuscire a cavarcela mai fino in fondo. Il fallire dipende molto dalla mancanza di adeguate informazioni, dall’ assenza di nuove conoscenze e da strategie di nuove soluzioni. Non si possono pretendere differenti risposte con relativi cambiamenti nutrendosi di identiche informazioni.
Per non fallire è necessario riuscire a spostare il proprio punto di vista, essere elastici nel pensiero e percorrere nuove strade, nuovi territori conoscitivi con nuovi orientamenti.
Chi non sa o non vuole acquisire nuovi dati, o chi semplicemente fa finta di sapere già tutto, vive da svantaggiato, è bloccato sul suo start, ai margini di un parcheggio, non parte mai, vive nel pressappochismo, vive da mediocre, è a rischio di sbandamento, è prigioniero dei suoi dogmi, dei quali ignora l’ esistenza. Egli ha l impressione di ragionare, ma ragiona solo , è soltanto pensieroso, intrappolato nei suoi schemi, già fallibile, disadattato e a breve deluso, perché vede e non sente ciò che è più grande della sua ragionevolezza, la sua elevata ed assoluta sensibilità.
La norma e la regola comune sono quelle di conoscere, imparare e di riuscire, ma anche la libertà di poter sbagliare. Chi sbaglia, non conosce, e chi non sbaglia mai, non vuole sapere, è rigido, fa fatica a raccogliere nuove esperienze o a concedersele, non progredisce perché ignora quantità elevate di differenti punti di vista. Chi conosce, trasgredisce alla tradizione e alla consuetudine e chi erra, è un ribelle del fanatismo. Si veda oggi nelle notizie del giorno, il governo dell’ Afghanistan, ha vietato alle donne la frequenza universitaria. Il non sapere consolida la tradizione, ovvero l’ idiozia, il crimine.
Chi non sbaglia mai, è statico, noioso ed un annoiato, severo con se e con gli altri, è un bigotto moralista, abita la caverna degli stereotipi, da fanatico è arroccato nei suoi dogmi, è un conformista, anti evoluzionista, nemico del progressismo.
Il progressista, invece, si nutre di errori, tra uno step e l’ altro è consapevole che la norma è poter collassare contro il limite, inciamparci dentro. Egli fa del suo successo, la certezza assoluta di aver sbagliato tanto ed essersi nutrito molto spesso dell’ amaro degli errori, e che la sua vita non è stata affatto per niente facile .
Solo chi cammina prende scivoloni ed inciampa nelle buche. Chi si infossa, si imbratta e si infanga, ha la certezza di camminare. Chi sta fermo non sbaglia mai, perché evita i problemi, l’ errore è fatto da chi si afferma, da chi affronta la vita, di petto, chi invece evita di sporcarsi le mani, come per lavare i piatti, evita di pulire e vivere il quotidiano. Domandati se hai mai lavato i piatti ! Si può brillare se si ha il coraggio di mettere le mani nello sporco, per toccare e rimuovere le incrostazioni e i cattivi odori. Ogni cosa ordinata parte attraverso la rimozione di un caos, di un disordine; un problema è un disordine, una incrostazione, un cattivo odore.
Si pensi al caos prodotto da una ristrutturazione di una casa o ad una bozza di un testo, che trova la sua origine in frullati di pensieri e di parole inizialmente tutte apparentemente inconcludenti e sconclusionate.
Chi è sereno col tema del fallire, vive meglio, dà per certo che l’ incontro con gli inciampi e con le ricadute, sono del tutto normali, anzi esse rappresentano una opportunità di rilancio. Quale pretesa possiamo avanzare, non conoscendo un territorio, di non sbagliare strada ? Se ciò accade non può lasciarci stupiti.
Vivere è errare. L’ errore è vitale ed inevitabile, perché senza di esso la vita non può evolversi su nuove prospettive, è una “conditio sine qua non”, volere o nolente, è sempre inevitabile e irremovibile questa condizione di fatto, anzi essa è una certezza. L’ errore è il nostro complice, è il nostro compagno di viaggio, timido e fidato, se lo guardi negli occhi e non lo schivi, ti sorride e ti dice, stai zitto, lo sappiamo io e te, hai fatto una calzata, non lo diciamo a nessuno. L’ errore poi si rivelerà, in seguito sempre, l’ ingrediente fondamentale di qualsiasi apprendimento.
Non si può pretendere che un piccolo bambino , eccitato dai suoi primi passi, non debba cadere o farsi male, piangere, rialzarsi e sorridere desideroso subito dopo di camminare e magari di ricadere ancora come per gioco.
Una partita di calcio sarebbe noiosa e inimmaginabile senza cadute ed infortuni, essa è fatta di ripetuti falli, di capitomboli ed incidenti, non per essi viene sospesa o non si gioca la partita.
Prendere la vita come un gioco ci rende convincenti e tenaci nel da fare e nel rialzarci,, questa modalità lascia intravedere il fallimento come una occasione per sfidare le avversioni e continuare la sfida.
La sommatoria di irrinunciabili e ripetute ricadute, rende perfettibili, predispone ad una maggiore stabilita, ma anche ad altri nuovi errori e a nuovi progressi. Errori, instabilità sicurezza, stabilità, sono in circolo, non finiscono mai nel ciclo della vita.
L’ errore è un fondamentale ed un assioma, esso è il cardine delle scienze esatte, che procedono attraverso un percorso irto di ostacoli e di perdite di tempi apparenti, per approdare raramente ad un sospirato finale risultato relativo, che riapre ad altre ricerche costituite da altri inciampi ed errori.
Sapere che questo confronto on i limiti è del tutto normale, acquieta, non scoraggia, perché a vita è questa, è fatta così, è come saper prendere il vento per galoppare l’ onda, sotto la corrente, seguire la sua scia, cadendo e ricadendo, per poi risalirla. La prima vittoria alla quale veniamo chiamati, è rialzarsi.
Il fallimento impone sempre di guardare oltre. Esso non ci sarebbe se non ci fosse una meta ben precisa da raggiungere. Ogni fallimento presuppone la presenza di una meta non soddisfatta. Ma, eccezionalmente, esiste alla base sempre una motivazione verso un progetto o un bisogno di auto realizzazione, la fatica nel superare il fallimento, dovrà far affidamento continuamente su questa motivazione verso una metà.
Non dovremmo essere sorpresi dal fallimento. Paradossalmente dovremmo ricercarlo, perché esso forgia, matura all’ oltrepassare i limiti dell’ instabilità e delle incertezze. Sarebbe una pretesa fuori luogo dover riuscire in una impresa, ai primi tentativi, saremmo già degli esperti o dei santoni.
Ci stabilizziamo e cresciamo, errore dopo errore, in tal senso, ogni fallimento sarebbe un successo, perché la direzione è quella del progresso personale ed ogni progresso possiede un regresso, un andare indietro per tornare avanti.
Il fallimento ha una caratteristica eccitatoria, è carico di delusioni, tentennamenti, rabbia e conquiste, esso può rappresentare uno stimolo, una forza propulsiva di caparbietà, una sfida contro l’ ovvio, verso la realizzazione della propria idea.
Chi molla dinanzi al fallimento, spera, sì muove in modo passivo, si adopera a casaccio o per tentativi, chi invece fallisce, convinto di riprendere, si arrabbia, si ostina e ci riprova, batte i pugni, diviene più forte, avanza a trotto, bada a temperarli, crede e si impegna su ciò che vuole realizzare, sulla potenza della sua abilità palestrata.
Il fallito, ha la rabbia e pertanto la grinta tutta dalla sua parte. Chi invece spera, fallisce prima, parte male, col piede sbagliato, inciampa di sicuro, è demotivato, la sua iniziativa tentenna, è titubante e frenato, barcolla, parte da perdente; chi crede, fallisce bene e vince prima con la sua ostinatezza, parte determinato, col passo deciso e felpato, avanza, cade e si rimette in perpendicolare, riparte convinto che sarà dura, ma il suo coraggio, è in corsa verso la meta.
Ogni fallimento, determina una sollecitazione alla lotta, contro le minacce e le intemperie e di tutto ciò che è avverso ed oppositivo; è avversario del decadentismo e dell’ accidia e del lasciarsi andare. Il fallimento ha la voce del “non c’è la faccio”, è la risposta spiacevole all’ invidioso e al competitivo, a chi complotta ed è arrogante.
Il fallimento pone un continuo confronto con la paura di sbagliare e di fare cattive figure , di essere giudicati, ma si può vivere sbagliando, che sbagliare di non vivere, senza provarci. il non provare è dettato dal ripensamento, è la messa a folle della vita, la mancanza di azione, è resistere alla tentazione di lanciarsi andare verso la novità, è pensarci a lungo in un immobilismo che non agirà mai alcun tentativo o cambiamento.
Chi fallisce e riprova ancora, è già vittorioso rispetto a chi molla, sperimenta di se, sia il limite, ma nello stesso momento il suo superamento.
Spostarsi dal fallimento al tentativo di volerci riprovare, fa tutta la differenza, rispetto a chi vive in pausa; egli è superiore, all’ interno della sua debolezza, opera un salto enorme di qualità, di coraggio e di follia, chi fa il passaggio dal fallimento all’ azione, snobba tutti, perché il fallito è convinto di non avere più bisogno dei consensi altrui, così fallito, riparte da solo e per questo è già un vincente, perché non dovrà dare conto più a nessuno, non subirà le loro apprensioni o le loro invidie, sarà in grado di modificare il proprio destino, perché si troverà finalmente di fronte a se stesso, più concentrato che mai e meno distratto dagli altri, in un contro corrente.
L’ inizio di qualsiasi percorso è sempre accompagnato dal caos, da confusioni ed equivoci, da un presente relativo tutto contraddittorio. Il nuovo, è un concentrato ed un contenitore di impurità, di sbagli ed imperfezioni, è un mistero sconcertante, ma affascinante, disorienta e lascia riflessivi, fintanto che il nuovo non viene inquadrato, resta approssimativo rappresenta il nulla, ma, da li a poco, potrebbe svelare un grande meraviglioso tesoro, perché il fallimento è come una miniera fatta tutta da dettiti che celano chili di oro.
Per questo è bello fallire. Invece delirio di onnipotenza, il presuntuoso che non vuole fallire, è perfezionista, ha già tutta la pretesa di essere tuttologo e di luccicare, ma difatti, non possiede nulla, perché solo la passione determina la resistenza nella fatica e alla lotta che permettono di sfondare e di vincere.
In tale prospettiva, chi fallisce e non si meraviglia o non si scoraggia di ciò, procede, cresce, perché consolida dal fallimento la propria identità. Imparare con umiltà a fallire serve a ricordarci che siamo tutti umani, da poter diventare un po più saggi, esperti e colti. Chi evita di fallire, perde, perché evita e schiva i problemi, chi lo persegue, lotta per se e per una società migliore.
Qualsiasi situazione che procede per il verso facile e per la pappa pronta, che non conosce sforzi, ne audacia , ha l’ opportunità di non farcela e di finire la sua corsa. Non potrà mai esserci una vittoria col vincere facile, senza una strada stretta e tortuosa, irta di ostacoli, di dossi, buche, dirupi e lotte, cadute e ricadute, che facciano da braccio di ferro con la vita; senza la lotta non si da senso a nulla, non c’è gusto a vincere, tutto perde di valore e di significato. Chi regge al fallimento, ha la vita già vinta.
giorgio burdi
ContinuaL’ Imbruttitore
L’ Imbruttitore
” ..magici calzari alati, un elmo che poteva renderlo invisibile e uno scudo riflettente. Cosi’ equipaggiato Perseo volo’ verso la dimora di Medusa, “
malvagia creatura che con serpenti al posto dei capelli, aveva il potere di impietrire tutti coloro che incrociavano il suo sguardo.
L’imbruttitore è la versione moderna di Medusa. Chiunque entra in contatto con lui viene pietrificato: diviene incapace di muoversi e di avanzare, diviene la peggiore versione di se.
Incantatore dall’intelletto perverso, l’imbruttitore dispensa alla sua amata mattoni di memoria (le illusioni) e realtà di pietra (le sue sofferenze): Illusioni e sofferenze sono zavorre grigie e rigide.
È lui stesso immobile ed immutabile, relegato all’idea del “come dovrebbe essere secondo me…”. A chi entra nel suo giardino è permesso solo di zigzagare tra i suoi presunti miracolismi e le sue convinzioni altrettanto statuarie, come le materie che dispensa.
Già pietrificatore del tempo, prosegue la sua opera catapultandoti in una dura e pesante realtà di ansie che tutto crolli, a cui secondi sono le attese e i silenzi. La sua testa di serpi racchiude certamente un combattente buono e ali per volare, ma sono imprigionati.
Davanti alle sue modalità si sperimenta tutta la fragilità del propio sguardo, che ha come unica strategia di volo l’indossare quell’elemo che rende inconsistente il proprio sè, già radicato e complice, e di guardare in altra direzione: dentro se stessi, nella stanza degli specchi.
Così.. tanto perché continuo ad incontrarlo per strada e mi verrebbe da menarlo
valeria carofiglio
ContinuaSe Decidi Per Te, Decidi il Meglio
Se Decidi Per Te, Decidi il Meglio
Tra il mio “io” senziente ed il mio “me” profondo c’è sempre un via vai di informazioni. Un flusso costante bidirezionale di pensieri consci e ragionati, sovrapposti a sensazioni inspiegabili, nebulose ma tenaci, che svaniscono appena cerco di metterle a fuoco.
La ragione ragiona, pensa e simula. Immagina scenari a volte ottimistici ed a volte no. Proietta immagini davanti agli occhi che spero o temo siano messaggi dal futuro, a seconda se ció che ha scatenato il pensiero sia una speranza o una paura.
Altre volte la ragione sragiona, asseconda la mia speranza, l’immaginazione che vede per me, solo un futuro tinto di rosa ed azzurro. Poi cancella tutto e resta solo la desolante paura da “foglio bianco” dello scrittore.
È a questo punto morto che il pensiero nebuloso ed evanescente di prima, mi mostra il suo progetto che ha in serbo per me. Non appare dalle nebbie piano, piano ma si accende di scatto, nitido, reale. Tanto reale da farmi pensare che non sia un pensiero ma un cartellone pubblicitario su una strada o meglio un segnale stradale che indica il cammino, il viaggio, la méta e lo scopo.
Forse è tutto un sogno. Un dare un significato alla decisione presa. Forse sono solo fantasie ma ogni volta che decido io, per me, decido il meglio. Per contro, ogni volta che “altri “ decidono per me e per la mia vita, pensando di prendere ed appropriarsi, decidono il peggio per loro ed il meglio per me.
Sono fortunato? Certo! Cerco di farmi andare bene ciò che mi accade? Certo! Godo di tutto quello che ho, pensando che non è detto che lo avró per sempre? Certo! La spiegazione a tutto questo forse è un bel miscuglio di tutte queste ragioni o il mio sentirmi in armonia con il mondo in cui vivo.
Posso solo aggiungere che io vedo e sento ció che la mia mente non vede e non può sentire. Indaffarata com’è a mettere in fila i mattoncini della mia vita. Lei vede la pianta del progetto ma io vedo l’edificio finito con i gerani al balcone. ( E di solito è una villa).
Fabio
ContinuaLegami Disfunzionali
LEGAMI DISFUNZIONALI
Che cosa è un legame ? Dal latino “ligamen”, esso rappresenta una relazione d’obbligo che limita la libertà d’agire e di disporre di sé, è un concatenamento relazionale. Esiste un legame progressivo ed uno regressivo. Il primo determina autonomia e crescita, il secondo incastra e favorisce la regressione. Il primo legane è accudente, ha un termine temporale, esso è fondamentale ed è relativo alla crescita dei figli, è unidirezionale, il genitore è interessato se non al solo benessere e alla salute del figlio.
I legami hanno la loro accezione positiva se applicati alla prima ed alla seconda infanzia della vita se essi conducono alla crescita, essi durano un tempo determinato affinché avvenga l’ avviamento verso la vita. Il secondo legame, che verrà qui analizzato, è adulto, ha valenza regressiva, genera dipendenza affettiva. Esso non ha motivo di esistere se non nella direzione dell’ autonomia, del rispetto e della libertà dei soggetti.
Tutti quei legami che conducono ad una dipendenza, lasciano intravedere un inceppo nelle fasi della maturità affettiva. Esso viene realizzato come un legaccio, un nodo, una catena, delle manette, un cappio, che genera una inter dipendenza. Ma come mai si ha il bisogno di avere un legame di questo tipo, se esso ha un’ accezione ed un risvolto assai negativo ? attiva un legame distruttivo, l’ attrazione e la condivisione delle sofferenze. Esse hanno un tale potenziale calamitoso, tale da attaccare i soggetti All’ interno di una forza di condivisione.
In questa accezione, questi tipi di legami non generano relazioni sane, perché agite da personalità confusionali e complessate, esse generano relazioni nulle e strazianti, irrispettose, ambigue, perverse, perché fondate su dolori soggettivi non risolti e producono dolori al cubo nel rapporto, come dieci a uno, tutto ciò che era meravigliosamente semplice, diventa maledettamente ingestibile, anche se durano a lungo, trovano il tempo che trovano, perché dura poco il suo entusiasmo, mandano fuori di testa, consumano la pelle è fanno invecchiare.
“l’ amore che strappa i capelli è perduto ormai”, recita De Andrè, Queste sono relazione che richiedono troppo impegno e troppa fatica, sono estenuanti, si consumano nel giudizio, diventano relazioni competitive sulla base di chi è il migliore, superano ogni limite della pazienza e della decenza umana, non hanno logica,
In un legame disfunzionale, come ti assorbe, ti fagocitata e ti risucchia al suo fondale, la sofferenza, non ti fagocita l’amore. La sofferenza è una sabbia mobile che non da possibilità di movimento, per quanto ci si dimeni, costringe a rimanerci dentro. Per un legame, sofferenza è più potente dell amore, essa paralizza e lega molto di più dell’ amore, che ne fa la storia.
non ti vedono, sei trasparente, non ti sentono, ma ascoltano se, si impongono, ostentano e sono avari, ti rendono la vita equivocabile, si fissano in testa come un chiodo, sono come la cocaina, gelosi possessivi, ossessionanti, tirano fuori il peggio di te, ti portano al limite dell’ impossibile, assurdo, è l’ aggettivo più coniugato, istigatori e dispensatori di violenza per frustrazioni calcarizzate, direttivi, maschilisti, dittatori, giocolieri di potere, manipolativi al limite del femnicidiio.
Tale legame il più delle volte rappresenta un incastro in un labirinto senza uscita, assai complicato, senza una via d’ uscita. Quando si avvia una tale relazione non si sa quasi mai nulla dell’ altro, se non delle sue sofferenze ed in quale caos si sta ficcando. A breve termine risulta essere un grosso inganno, appare in modo camuffato, al principio viene percepito come amore, ma poi si rivela un caos, un pasticcio, un calesse, come afferma l’ autore.
La trappola di una relazione di questo genere, viene costruita sulla base della condivisione empatica delle proprie sofferenze e delle proprie confidenzialità condivise. La sofferenza ha una connotazione molto sacra, intima, rappresenta il proprio crogiolo segreto, essa è un magma fatto di passioni, di turbinii, di contratture, di fenomeni e di contorsioni dell’ anima repressi, sensazioni e riserve trattenute, bisognose di essere vedute e condivise.
La loro condivisione è già una relazione sessuale, rappresenta una relazione intima, un atto liberatorio, di grande generosità e e di affido di contenuti unici e profondi, il dolore emotivo è il massimo della presenza di se è stracarico di sensazioni negative e di prospettive positive, esso è la proiezione verso la vitalità, se condiviso in un legame, conduce ad un legame forte ma relativo, perché solo esso non basta perché bisognerebbe essere soggetti risolti e in salute mentale. La piacevolezza di scaricare e condividere le proprie sofferenze, genera il legame.
Il legame nasce dalla condivisione di sofferenze ma rischia di generare dispiacere se dall’’ altre parte c’è chi si pensa di conoscere.Ti È facile confondere il piacere di un legame, intensificato con la condivisione dei dolori, con l’ attrazione e l amore. Ma l’ attrazione ha cone causa il bisogno irrinunciabile della condivisione. Tutto ha uno scopo di convenienza, utilizzando la sofferenza. Tali relazioni sono d’ aiuto, non d’amore, pur se conducono all’ intimità, l’ amore un’ altra cosa, è libero non chiede nulla, è totalmente gratuito, gode se stesso per quello che è, per questo regge, non chiede mai di essere diversi.
Nel legame, giunti all’ intimità, tutto si fa più complesso, la relazione si pone per quello che non è, un amore straziante. Per ritrovare la serenità essa va rinquadrata per come essa nasce, è solo una relazione di aiuto e di sostegno. Infatti il rapporto verrà posto da quel momento in poi sempre su un piano di aiuto difficoltoso di aiuto, sempre su problemi da gestire, riaprendo a quel mondo personale che per un attimo era sfuggito, fatto di frustrazioni, nevrosi e psicosi personali. Questo tipo di legame è tale, perché dopo poco svela i limiti, le follie, le perversioni, le assenze, i vuoti dell’ altro.
Bisogna fare attenzione nel condividere i propri dolori, se ne potrebbe percepire, subito dopo, una violazione o un senso di svuotamento e di pentimento. E se questo è stato già fatto, va disinvestito. Le sofferenze sono il veicolo accelerativo per far penetrare l’ altro nella propria vita e cone un invasore che ne prende casa. Quando si afferma che, ormai mi ha preso la testa, è proprio questo l’ inceppo, averlo lasciato entrare nello scrigno dei propri segreti, in quell’ indicibile difficile da svelato a qualcuno, più importante della proprietà privata.
In tale processo di confidenzialità si attiva l’ accensione dei motori della passionalità che si avvia piano, come un diesel, un ingranaggio che conduce e sbatte come su una cervice, diritto dentro alla propria anima. Lo scivolone viene assicurato, quando si arriva ad identificarsi e e ad affermare… “tu sei esattamente come me, come vivo e come sono io”. Attraverso questa espressione si genera l’ incastro perfetto: noi, un io e un tu che si confondono.
Insieme alle sofferenze condivise, c’è un secondo bisogno che detona la relazione: la solitudine di entrambi che ha spento ogni stimolo con la mancanza di complicità. Lo stato di solitudine viene determinato dallo stato di isolamento assorbito per via dei ruoli assunti relativi alla genitorialità, a quelli della famiglia come agenzia di servizi, ai gravosi sensi del dovere, di obblighi e di responsabilità. La solitudine in un rapporto nasce dall’ incapacità di entusiasmo, di gioco e di condivisione.
L’ assenza degli stimoli in un rapporto, determinato l’ aprirsi al peggio, all’ orrido e deriva dal senso dell’ obbligo e del dovere che uccidono la relazione nella monotonia casalinga. Passata la prima fase della condivisione dei propri dolori emotivi e dei propri segreti, appare il grande delirio, ii personaggio, il caratteraccio, lo psicopatico.
giorgio burdi
ContinuaIl Permaloso
IL PERMALOSO
Ecco alcune delle più comuni espressioni che lasciano intendere a riguardo della permalosità : ce l’hai sempre contro di me, intendevi invece dire altro, non sei attento al sottoscritto, la tua vera intenzione era diversa….
Cosa è la permalosità ? E’ una reazione emotiva eccessiva di risentimento che genera malessere fisico e malumore, scaturisce da incomprensioni e interpretazioni tali da modificare lo stato dell’ umore. Essa si manifesta sotto forma di irrequietezza o immobilismo psicomotorio, irritazione emotiva, rabbia o depressione. Il soggetto permaloso, nella fase acuta del sintomo, si ammutolisce, rimugina, diviene introverso o irascibile, sornione, tiene il broncio e il malumore, è turbato, si assenta nel pensiero persecutorio del probabile torto subito.
Come si diventa permaloso ? Si origina in fasi di lunghi processi de-formativi. attraverso modalità di aggressività passiva subita e attraverso il meccanismo del doppio legame di cui parla Paul Watzlawick in “ Pragmatica della comunicazione umana “ e che analizzeremo qui di seguito.
L’ aggressività passiva, è caratterizzata dal meccanismo del doppio legame, entrambi sono costituiti dalla presenza di messaggi ambivalenti e controversi in un processo di comunicazione, del tipo, ad esempio, sei una brava persona, ma non va affatto bene per come ti comporti, sei una figlia fantastica, ma non va bene che il tuo ragazzo abbia sette anni meno di te, è mio marito, ma è un deficiente, ti voglio bene, ma non capisci un cazzo….
In un messaggio passa un apprezzamento, l’ evidenza di un ruolo importante, ma nell’ altro viene veicolato una critica, un disprezzo, un giudizio irriverente ed irritante, che lascia perplessi e a volte sgomenti, per la natura aggressiva ed umiliante del messaggio. Sono messaggi disallineati, contraddittori ed incoerenti, diventano disarmanti e vengono nascosti, camuffati in giro di parole, confusionarie che confondono, perché non lasciano intravedere una sola verità, ma due, contrapposte, dove una delle quali è sempre il contrario dell’ altra.
La confusione che generano certi messaggi ambivalenti, lasciano in standby, pensierosi in uno stato di incertezza ed insicurezza, confusi e appesi ad un filo, incerti su cosa pensare.
Allora come si diventa permaloso ? Prevalentemente attraverso quei processi educativi impregnati di messaggi contraddittori, il permaloso è vittima della contraddizione, da essa è stato formato ed essa lui produce, nel senso che ciò che si semina, si raccoglie.
I messaggi ripetutamente ambivalenti, insieme a tutte quelle aspettative disattese, formano ogni soggetto alla diffidenza, al dubbio e all’ incertezza.
Il permaloso allora chi è? È colui che si nutre di perplessità, di dubbio, di diffidenza e di incertezza. Il permaloso non ci crede mai, è un rompi cazzo polemico, vive di sospetto, teme di essere raggirato e fregato, per questo è un pauroso insicuro, teme di essere raggirato di continuo, di essere trattato alla berlina, di essere bullizzato e alla fine, realizza il suo incubo, lo diventa, per via della sua natura di insicuro. Il paradosso per il permaloso, sarà che l’ essere bullizzato gli darà poi ragione per la sua permalosità.
in realtà il permaloso, recita a memoria l’ aggressività passiva subita nel suo passato e tutti quei messaggi ambivalenti dei quali si è nutrito nel corso della sua crescita. Vive nel presente L’ ambivalenza di non comprendere, che non è mai tutto chiaro, che la verità non esiste e di ritrovarsi ad essere stato confuso, sfiduciato, rifiutato ed umiliato, da consentirgli nell’ oggi di non credere a nulla e a nessuna, da avere come regola di vita, mi fido solo di me, non mi fido di nessuno, chi fa da se fa per tre, diffidare è meglio, chi confida, poi diffida.
Si può uscire dalla permalosità ? Certamente, ma alle condizione di voler avere la consapevolezza di essere permaloso, di voler riconoscere quali sono i suoi meccanismi passati di aggressività passiva e di doppio legame subiti, cercando di intercettarli nel presente per scioglierli.
giorgio burdi
ContinuaSenza Tempo
SENZA TEMPO
Immaginare di non contare più il tempo e il non guardare più il roteare delle lancette nel loro procedere, da’ la sensazione di essere fermi su di un fotogramma dinamico interno. Il tic e tac del tempo lascia percepire solo ciò che va, fa pensare alla memoria di ciò che sfuma, una dietro l’ altra che irrimediabilmente si consuma, senza fine. Il tempo è una persecuzione, quando sei attaccato alla vita e stai bene, lo conti e percepisci il suo consumarsi, invece quando soffri, è troppo, non vedi l’ ora che passi, che tutto passi in fretta e vada via.
Il trascorrere del tempo comunque, è uno delle maggiori cause dell’ ansia rispetto a ciò che si perde e non torna più. Contare il tempo non ci porta mai al presente, ma sempre a ciò che è andato.
Siamo nevroticizzati dal bisogno di fermarlo, frenando i processi di invecchiamento, di frenare il viaggio, sperando che non passi. Lifting, estetica, alimentazione, sport, vestiti giovanili, sono tutte espressioni di una lotta contro il tempo, a parte quel bisogno indispensabile di bellezza.
1, 2, 3 secondi ci mettono in contatto con il 4 secondo, con un futuro, ma anche con una involontaria frenesia contemporanea di archiviazione, prima ancora che quel tempo venisse vissuto. Il tempo non andrebbe contato, ma solo goduto nella sua scia.
Una vita senza il tempo, è una vita dove non è ne mai troppo tardi o non è mai troppo presto, dove c’è ancora l’ opportunità per fare di tutto e ancora per stare con chi si vuole e fare ancora ciò che si desideri. Mi rendo conto che l’ ancôra è un avverbio di tempo è un appendice del tempo. Una vita senza tempo è una vita senza mai e senza un ancora e ancor di più, senza un però. La misurazione del tempo è una agonia, una prigionia, quando ci diamo l’ inizio e la la fine di ogni possibilità o una frenata per andar cauti perché è ancora prematuro.
Fare in fretta, accelerare o procrastinare, sono tutte modalità dettate dalla frenesia del contare il tempo. La misurazione del tempo rappresenta una delle maggiori cause di malattie e dello stress umano.
Ma si può vivere senza la misurazione del tempo ? Nella vita privata, ritengo di si. In quella sociale si scatenerebbe il caos. Vedere l’immagine postata qui su, di un orologio senza le lancette, è disorientante, prova a guardarlo, è liberatorio in modo inquietante. Smarrisce. Si ha la sensazione di essere sospesi e campati in aria, di non avere punti e spazi di riferimento, di fare un salto nel vuoto, liberi e inquietati, di non appartenere più al nostro tempo, di non avere più ne passato e ne futuro, ma sbattuti nel qui ed ora, nell’assoluto relativo del presente, del tutto è qui.
È sconcertante pensare di non avere più il tempo o non poter avere quella sua meccanica di misurazione. Si avrebbe la sensazione di perdere un riferimento organizzativo, una sincronicità e, una coincidenze di tempi . Ma tutto ciò è vero o le meraviglie accadono al di fuori del tempo, tutto all’improvviso, come essersi appena conosciuti ed avvertire la sensazione netta di essersi da sempre conosciuti ? Certi eventi accadono a prescindere da qualsiasi tempo. Il tempo ci imprigiona con il suo contarlo.
Il “Senza tempo”, e la conquista del non dover pensare ad esso, ci apre in una prospettiva di infinito e di eterno, verso l’ iperspazio, oltre l’ orizzonte, ci pone oltre i confini, ci fa smettere di disperare perché è finita o sul come mai non è ancora incominciata. La dimensione del senza tempo, non concilia affatto con la condizione dell’ attesa. L’ Attesa ,per paziente ed estenuante che sia, impone il dovere di fermarsi e sedere, lo star fermi come statue bloccate da un sistema, contrastando con la dinamicità che siamo. Noi siamo oltre e di più del tempo che abbiamo, siamo altre dimensioni, siamo mente, siamo anima, siamo sentire, che vanno oltre qualsiasi cosa ancora tutte da scoprire.
Nella musica, il tempo impone il ritmo, ma solo nelle pause, quel senza tempo, la musica diviene fattibile. Una vita senza pause, senza il non tempo, sarebbe una vita senza musica, sarebbe una mono nota; il suono hi un gong o di un diapason, si propagano e sfumano il loro suono dettando differenze di tonalità che si propagano nello spazio, nell’ arco di una pausa senza sine che viaggia verso l’ infinito e per questo rilassante. Tempo e spazio, all’ interno del suono, si fondono, diventano parter, l’ uno accompagna l’ altro, e l’ altro trascina l’ uno.
Non c’è movimento della terra o dell’ universo, che abbia tempo, esso non conta mai il tempo, anzi lo genera All’ infinito, ed il loro movimento si fa suono. Il suono detta e canta il suo spartito attraverso il continuo movimento dell’ universo.
Tic tac tic tac, è il suono del tempo, senza il suono ci sarebbe silenzio. il silenzio è un’ altra dimensione del “senza tempo”. Togliere le lancette dal proprio orologio è rimpadronirsi del silenzio, senza il silenzio non può esserci incontro con se e con gli altri. Servirebbe molto silenzio, come accoglienza avvolgente, è nel silenzio della sua pausa, che la parola avrebbe il suo profondo senso.
Il piacere determina un bisogno di lungaggine e di prolungamento dello stesso. Gioire di più, impone il bisogno di far perdurare quel benessere e alla fine scatta il suo countdown. Il malessere invece, impone il bisogno di ridurre il tempo e di renderlo estremamente abbreviato.
Un modo più consono per non lasciarsi incastrare nell’ Alcatraz del tempo, è ribellarsi al ritmo frenetico imposto dalla vita e in particolare modo a chi dispone del nostro. Quando stiamo bene, vorremmo che il tempo si fermasse li, ma quando stiamo peggio, esso non passa mai. Il tempo quindi ha un peso a seconda del nostro benessere – malessere. Esso viene contato ed ha un valore, attraverso le nostre percezioni: Bene – il tempo passa velocemente , Male – il tempo non passa mai . È la sensazione del piacere dispiacere che crea la fissazione o il fluire e da’ il senso al nostro tempo. Avremmo tutti un gran diritto ed impegno nel farsi che il benessere non abbia mai una data di scadenza, ma questo dipende molto da quanto lottiamo perché ciò accada. In tal senso e il più delle volte, siamo noi stessi che ci rendiamo infelici.
giorgio burdi
Continua