
Bisogna innamorarsi quando si è pronti, non quando si è soli
Quando si ha la capacità di essere soli si è pronti ad una relazione
Bisogna innamorarsi quando si è pronti, non quando si è soli
Quando si ha la capacità di essere soli, si è pronti ad una relazione.
Si è pronti ad una relazione, paradossalmente, non solo quando si “sente” il sentimento o lo slancio emozionale, ma quando da esso si è liberi.
Ad una relazione si è pronti, quando della relazione non si ha “bisogno” , quando la relazione non dipende dal solo “assecondare”, dal solo entusiasmo occasionale frutto della sola adrenalina, ma dalla libertà dall’ ormone.L’ ormone dell’ entusiasmo, il più delle volte forviia , devia dall’ obiettività, in realtà in quei momenti avremmo più bisogno di noi stessi che di un altro.
Lo stato di solitudine rappresenta una condizione ed uno stato di bisogno, che non ti permette di guardare la persona in toto e al suo proprietario, e qualsiasi stato di bisogno deforma l’ obiettività e la gratificazione piena; la persona viene inconsciamente utilizzata come un mezzo, non come un fine, per godere e rispettando la bellezza del gusto della conoscenza profonda dell’ altro.
Ogni relazione sana, non nasce mai da colpi di fulmine; in questo modo non sarebbe mai sana una relazione adeguata, quando si è in affanno nel cercare la persona giusta o quella definitiva, ma sarebbe sano, solo se il soggetto interessato sa mettersi in gioco su una relazione relativa, tutta da scoprire e da costruire, ovvero se è in grado di vivere le micro situazioni emozionali nei suoi istanti, solo se è collegato a se stesso e sta bene ed è presente a se stesso. chi perde o svaluta le meraviglie di tale processo nel presente, pensando ad un perfezionismo di una storia che non c’è, rischia di attenderla invano per tutta una vita.
Ogni storia importante non può mai nascere nel criterio del definitivo, ma solo nel criterio costante del relativo. Chi vive nel relativo di una storia vive pienamente quella Storia, se pur per un brevissimo tempo, essa diviene intensa perché il soggetto è presente a se stesso, da concedersi la profondità di quegli istanti profondi in divenire.
l’ attesa di una storia definitiva, è l’ attesa del nulla, di un principe fiabesco che non c’è, sono solo le meraviglie del presente, quando accadono, e se si permettono il loro accadere, che andrebbero colte come perle preziose irripetibili. Realizzeremmo che quegli istanti superano le fiabe, e ciò accade solo perché siamo a noi presenti.
Chi è affannato nel ricercare l’ ideale, non vedrà mai, perché vede solo la sua ideazione. La persona presente vive, perché in tutti i suoi momenti relativi c’è, e gode delle sensazioni in essi presenti. Cercare il definitivo risulta essere una perdita di tempo e molto pericoloso, perché si rischia di non vivere mai. Vivere nel relativo, con tutti i suoi difetti, lascia esplodere la vitalità dell’ essere presenti e che potrebbe aprirsi, solo in questa prospettiva, ad un definitivo. Pertanto, un definitivo deve sempre nascere da una sequenza interminabile di relativi.
Si è pronti ad innamorarsi solo quando siamo presenti negli istanti relativi, ovvero quando non abbiamo più il bisogno di tutelarci dagli altri o di tutelare gli altri a noi, perché non più paurosi della solitudine da riempire o di ciò che non è definitivo.
Non si è mai pronti ad innamorarci, quando cerchiamo sempre certezze, sicurezze, definitivi, presenze fuori fuori di noi, spalle sicure, futuri, tutte frustrazioni di chi non sta bene con se stesso, bisognoso, bisognoso di appoggiarsi, di possedere, di ingelosirsi, di dipendere affettivamente, cone dipendere dalla propria solitudine.
La vita va vissuta per il nuovo, il bello, per tutto il diverso che non era stato previsto ed inquadrato, per tutto il relativo che si offre, se sei nell’ idea del relativo, sei profondo, cogli, se invece sei imperniato sull’ ideale del definitivo, perdi ogni cosa, ogni istante, la tua vita, se ne va, vacante.
Il bisogno di un altro è il bisogno di un feticcio, che rappresenta l’ attaccamento ad un particolare. Ma è inevitabile, saremmo tutti dei feticisti, perché quando chiediamo, perché lo ami, iniziamo a stilare una carrellata di caratteristiche feticistiche dell’ altro. Esattamente come se l’ altro fosse composto da un mosaico di tasselli e di pezzettini di caratteristiche tutte colorate che danno luce ai nostri bui.
Quelle caratteristiche rappresentano solo minimamente la rappresentazione di noi e dei nostri bisogni, sminuiscono noi e l’ altro, deformandoci sulla taglia nostra o su quella altrui.
Lo stato di solitudine richiamerebbe un processo compensativo atto a ricolmare dei vuoti esistenziali molto antichi o avrebbe un aspetto consolatorio per tutelarci dai mostri che affiorano durante le fasi di profonda solitudine
Il senso di solitudine nasce da quel processo di distacco da se e di attaccamento agli altri, alla madre originaria, la quale non avrebbe mai avuto il coraggio di lasciare la nostra mano o di non averla mai presa. La soluzione sta sempre nel giusto e il problema nell’ eccesso, ne troppo sale, ne troppo zucchero.
Il senso di solitudine è correlato al bisogno di avere sempre una madre o un padre DIALOGICO E CONTENITORE accanto. Hanno dato tutto, ma senza questi, il tutto diventa nullo, quasi mai esistito. Come si sostiene la paura e le incertezze dei temi di un adolescente che sente gli ormoni a palla, con una fiorentina a cottura media ?
Parimenti, il nostro senso di solitudine nasce, e viene indotto, da una madre non in grado di lasciarci andare, perché a sua volta bloccata in una storia di solitudine nei confronti di sua madre, resa assente dalla solitudine di una altrettanta madre sola. E’ evidente una questione generazionale.
la solitudine è l’ attaccamento all’ assenza della solitudine materna e non esclusa quella paterna, perpetuata e tramandata attraverso generazioni.
Il senso di solitudine, secondo questa accezione, viene generazionalmente ereditato dai propri avi e generato da processi di attaccamento, attivati dai meccanismi dell’ assenza, protratti lungo il tempo.
Il senso di solitudine allora è rappresentato dalla convivenza con un genitore presente, ma in realtà assente, a sua volta perduto nel vuoto del suo genitore presente assente .
La vera relazione nasce dunque dal superamento e dall’ accettazione, che diviene piacere, del senso della solitudine, ed è costituita dalla presenza di due solitudini accettate e condivise al punto tale che entrambi stanno bene anche da soli.
La vera Presenza è la coscienza di se e della propria gradita solitudine .Un’ autentica relazione nasce dall’ attaccamento non propriamente e solo all altro, ma dall’ attaccamento alla propria solitudine, quasi in modo morboso e geloso.
Bisogna che ci rendiamo capaci di essere soli, questo ci renderebbe PRESENTI a noi stessi e poi subito dopo agli altri in una relazione più dinamica e funzionale. Diversamente, creiamo i presupposti per rimanere nella solitudine dei due, se anche l’ altro non è mai stato in grado di incontrarsi e di capirsi.
Una relazione efficace nasce su queste attenzioni e presupposti, sulla base essenziale di non rinunciare mai ai presenti relativi , mai carichi di progettualità, ma intrisi di sensazioni e forti emozioni, esse soltanto rappresentano una corsia preferenziale verso la progettualità e l’ auto affermazione, verso un futuro assoluto.
Pertanto bisogna potersi vivere tutto, e tutto ciò che non necessariamente avrebbe senso e proiezione futura, ma tutto ciò che personalmente è carico di significati che abbiano il solo loro fascino nel presente relativo.
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : Crescere è desiderare di cambiare, è accettare di poter sbagliare
La paura di Cambiare
Chi possiede tante certezze vive in bilico con il timore di cambiare
Nell’ immaginario infantile, le trasformazioni creano sorpresa e fascino, pensiamo ai cartoni animati che mostrano incantesimi e variazioni di identità. Come vivono i cambiamenti gli adulti, soprattutto quando si tratta di approcciarsi alla vita in modo differente?
Per il mondo adulto mutare le certezze che nel tempo sono state costruite giorno dopo giorni puo’ risultare non solo faticoso, quanto destabilizzante.
Abbandonare gli schemi di comportamento già collaudati per avventurarsi in un nuovo percorso di vita senza conoscere a priori la meta, crea forti dubbi e turbamenti.
La mente,infatti, tende ad utilizzare meccanismi di protezione e mantenimento della stabilità e questo si nota sia nei comportamenti che nelle strategie di pensiero.
Affrontare il timore dell’ignoto e aprirsi al cambiamento permette di vivere l’ampio spettro delle possibilità che la vita offre, perché la vita è ricerca ed esplorazione, un processo senza fine.
E’ importante avere un atteggiamento positivo nei confronti delle novità a cui si va incontro nel percorso di vita, cercando di accettare la conseguente sensazione di incertezza ed allenarsi al cambiamento nelle piccole abitudini quotidiane, così da saper affrontare le grandi scelte di vita.
Imparare a cambiare è una vera e propria arte.
Accettare i cambiamenti rappresenta una grande opera dell’ intelligenza umana, Piaget infatti individua come intelligente, colui che è in grado di sapersi adattare.
Il cambiamento rappresenta la crescita e l’ emancipazione, purtroppo questo processo rallenta notevolmente con l’ avanzare dell’ età, è inversamente proporzionale ad essa.
Mentre i bambini posseggono una grandiosa potenzialità a voler sperimentare il mondo intorno ad essi, sviluppano una spiccata propensione all’ apprendimento .
Gli anziani, per contro, frenano la propria sperimentazione, circoscrivono la propria conoscenza, rallentando le proprie potenzialità di apprendimento.
Detto ciò, non significa che il cambiamento, necessariamente è legato solo all’ età, al contrario, un adulto o un anziano quanto più è in grado di desiderare ed operare i cambiamenti ed attivare le novità, tanto più ha uno spirito giovanile e il continuo desiderio di apprendere.
Diversamente, un giovane, spento nella fiamma del bisogno della conoscenza, che non desideri imparare, per il timore di sbagliare, nutre la sua psico astenia e vive come un attempato, prigioniero delle sue certezze, irremovibilmente paralizzato nella sua staticità.
Desiderare di cambiare è crescere, è accettare di poter sbagliare.
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Settimanale Psicologo Roma : Un Adulto che non è mai adulto, è un bambino all’ eterna ricerca della sua infanzia
Come un petalo è la mente di un bambino, avvicinati con molta cura.
UN CUORE IN TRAPPOLA
Come un petalo è la mente di un bambino, avvicinati con molta cura.
Quante parole, eccessivo rigore educativo, sensi di colpa, mancanza di stimoli e carezze possono influire sullo sviluppo della sua persona ?
Sono una donna di 40 anni ormai, eppure i miei bisogni e tanti dei miei desideri coincidono con quelli dell infanzia.
Le paure, il bisogno di conferme, di affetto è lo stesso, immutato, forse accresciuto nel tempo.
E’ un cuore in trappola il mio, trattenuto negli schemi di un tempo che non gli appartiene più.
Un cuore che dentro un corpo ormai di donna, ha ancora lo sguardo della bambina in attesa che il desiderio rivelato ad una stella cadente si avveri.
UN BAMBINO
Un bambino nella stanzetta in silenzio, teme che qualcuno rubi i suoi giochi. Crede sia un peccato ridere, che la gioia debba esser trattenuta, debba gonfiarsi nella pancia fino a far male. Un bambino non sa più cosa è bene o male, sente crescere in sè la nebbia dell indifferenza di ogni cosa. Un bambino cresce, e costruisce un mondo.
Di amici immaginari, di giochi proibiti da nascondere al mondo, di piaceri straripanti ingabbiati sotto pelle.
Un bambino cresce, in uno spazio senza tempo. Un bambino non diventa uomo se è ancora in attesa di vivere i suoi giochi.
Rivendica all’ esterno quella vita vissuta solo in sogno, convinto che per magia il tempo sia clemente, che i suoi capelli, la sua pelle rimangano quelle di un bimbo in attesa fermo li in un istante, col naso schiacciato contro il vetro, a tracciar disegni con le dita sul bianco condensato di un respiro.
Un bambino impara a nascondersi a sè stesso, sa di esser seguito in ogni istante da quello sguardo giudice incollato alla sua nuca.
Un bambino impara ad esser folle, una follia che esplode di emozioni quando è l’ assiduo spettatore dei continui disagi degli adulti.
Una follia cruda e di palpitante dolore, una follia che ti lacera il ventre. Un dolore che accompagna la tristezza quanto la gioia.
Un dolore talmente forte quanto intensa e ostinata e lacerante è la gioia di vivere.
Un bambino confuso, stanco e straziato, non sa più se ama la vita o la morte, odia l’ adulto e non vorrà mai farci parte, vorrà rimanere bambino a cercare la sua infanzia mancata e ferita.
Un bambino si perde nel confine sfumato, perde il senso di una lacrima o di un sorriso che non c’è, perchè non c’è mai stato Lui.
Un Adulto che non è mai adulto, è un bambino all’ eterna ricerca di se.
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LE CONVINZIONI Dogmi Pericolosi
Possedere troppe convinzioni non consente di cambiare di emanciparsi di vedere prospettive migliori ma le sottraggono e non offrono prospettive per cambiare
Il sorriso è la libertà di non avere troppe convinzioni
“Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità” scrive Friedrich Nietzsche. Eppure sembra che nessun essere umano riesca a farne a meno. In particolare, la cultura occidentale, a partire dal pensiero greco, ha eretto i cosiddetti “immutabili”, che non sono altro che forti e assolute verità, come le Idee platoniche, il Dio cristiano, la Ragion d’ essere.
L’umanità, sin da quando ha incominciato ad esercitare il pensiero, si è resa conto di trovarsi in balia di un mondo caotico e pieno di incertezze, in balia del nulla e dell’annullarsi di ogni cosa.“Io ero spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentivo soffocare, considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla” (Giacomo Leopardi).
Le convinzioni non agevolano i dictat, forme di assolutismo o di relazioni e comunicazioni simmetriche.
La diretta conseguenza di questo terrore è l’erezione di una verità Universale o semplicemente personale, una verità solida e certa capace di dare un senso alla vita umana o almeno capace di abbattere la paura dell’ignoto. “Pare un assurdo, eppure è esattamente vero, che, tutto il reale essendo un nulla, non v’è altro di reale né altro di sostanza al mondo che le illusioni” (Giacomo Leopardi)
Per opera delle nostre ataviche generazionali insicurezze, diventiamo affamati di certezze e convinzioni. Vogliamo punti di riferimento, ed una volta acquisiti, ci avvinghiamo ad essi come fossero ancore e dogmi indiscutibili, che non si debbano più rivedere, nè tanto meno mettere in discussione.
I processi educativi, i valori, gli stereotipi, i pregiudizi, le opinioni, gli stili di vita, il popolarismo, le sette, le politiche, le religioni, con le loro interpretazioni contestualizzanti, spesso sono figli del loro tempo e rappresentano le colonne portanti di tutte le nostre CONVINZIONI.
Con esse cresciamo, ci formiamo, interagiamo, ci intersechiamo, ci condizioniamo, modifichiamo il percorso della nostra esistenza, e solo al termine di essa ci rendiamo conto che avremmo potuto fare sicuramente anche a meno di tutto ciò, che, come un faro, ha rappresentato ed ha condizionato la nostra esistenza.
I “sacri dogmi” hanno cambiato nel tempo la loro connotazione, si pensi all’ atteggiamento delle nostre culture riguardo al tema della sessualità che risulta essere in un continuo divenire.
Ciascuno di noi, nel suo piccolo, ha bisogno di credere fortemente in qualcosa e si rifugia nelle sue convinzioni con tutte le forze che possiede. Le convinzioni, insieme ai valori e ai criteri, costituiscono una componente fondamentale e molte volte inutile della nostra vita. Esse costituiscono la certezza di una realtà e influenzano il punto di vista e l’ azione.
Molto spesso le convinzioni non sono generate esclusivamente da noi stessi, ma sono il frutto di una rielaborazione interna delle nostre esperienze e di ciò che ci circonda: amici, genitori, insegnanti e mass media.
Tuttavia le convinzioni non sempre sono potenzianti (cioè utili al raggiungimento delle nostre mete e soprattutto capaci di donarci benessere e serenità), e possono arrivare a costituire un serio limite alla realizzazione del nostro equilibrio e dei nostri bisogni, sino a divenire patologiche. Molte nevrosi o disfunzioni sessuali infatti vengono generate da complesse convinzioni dove le forme paranoidee raggiungono il massimo della loro espressione.
Cosa dire allora di chi, affetto da dismorfismo fobico corporeo, lamenta certe malformazioni o continue imperfezioni relative al proprio corpo? O ancora, di chi è fobico e teme il contatto (rupofobia)? O del socio fobico convinto che con gli altri non potrà mai essere tranquillo, temendo che possano sempre giudicarlo? O di chi soffre di attacchi di panico o di depressione dap, che dalla vita non si aspetta altro che la repressione e il soffocamento della propria vitalità? E cosa dire invece dell’ ipocondriaco convinto di avere sempre una malattia che non ha, se non quella esclusivamente psicogena? O della persona psicosomatica che scaricherà le tensioni su un qualche organo bersaglio.
Per non parlare di tutte quelle disfunzioni sessuali come il vaginismo, o l’ anorgasmia o l’ assenza o l’ attenuazione del desiderio sessuale, convinzioni per le quali si farebbe piacevolmente a meno di ricevere e vivere il piacere di sè. Che dire allora della disfunzione erettile psicogena che si confronta con la certezza di non aver potenza e forza, o della sindrome da eiaculazione precoce nella convinzione che tutto può essere vissuto e goduto solo in forma accelerata ed egoistica, in sintonia con un inconscia impostazione sociale dove tutto è migliore se è solo per sè, se è accelerato e rimpicciolito.
La psicoterapia ha il compito di modificare tali convinzioni, se non a volte di sostituirle o eliminarle, salvaguardando l’equilibrio olistico del soggetto.
Scopriamo allora che ogni forma di sindrome è fortemente legata a stabili irremovibili processi di convinzioni.
La convinzione inoltre di non essere adeguati o di non essere all’ altezza degli altri, se esasperata, può generare un stato di ansia tale da minare la vita sociale di un individuo. È per questo che, talora, dobbiamo essere in grado di mettere in discussione ciò in cui crediamo, magari grazie all’ aiuto e al confronto di un esperto psicologo psicoterapeuta o psicanalista o di uno psichiatra studioso di certi meccanismi mentali.
Bisogna cioè essere in grado di riconoscere un pensiero negativo e di estirparlo, magari sostituendolo con un’altra convinzione, più sana, e che ci permetta di convogliare le nostre energie nella realizzazione del nostro benessere.
Il lavoro analitico o di psicoterapia ha esattamente il compito di rivedere l’ assetto delle convinzioni del soggetto, aiutandolo a modificarle o addirittura a sostituirle o ad annullarle.
Siamo davvero convinti che un assetto di convinzioni serva davvero per vivere meglio ed aiuti realmente il soggetto nella ricerca della propria stabilità e del proprio benessere?
Non è forse vero che un valido addetto ai lavori, qual è uno psicologo psicoterapeuta, per portare a termine una cura, debba essere in grado di spogliarsi di tante sue convinzioni ?
Allora sono davvero indispensabili le convinzioni o vanno trattate nel relativo ?
giorgio burdi
psicologo psicoterapeuta

Mi sento vivo se ti rendo tutto difficile
Lo stalker e il suo diritto di proprietà
Cosa c’è alla base dei comportamenti persecutori?
Da poco, a Bari e in altre città, è stato inaugurato il CAV (Centro Anti Violenza) per le donne vittime di violenza intra famigliare.
Solitamente ad ogni vittima corrisponde una tipologia di abusante che manifesta la sua violenza non solo a livello fisico, ma anche a livello psicologico con comportamenti persecutori.
Come si spiegano queste condotte?
Secondo lo studioso Mullen esistono cinque tipologie di stalker come il cercatore di intimità, mosso dal bisogno di affetto, l’inadeguato, che ha scarse competenze sociali soprattutto nei confronti dell’altro sesso, il rancoroso, che mira ad ottenere giustizia, il predatore, che mira ad avere un rapporto sessuale con la vittima, il respinto che, quando la relazione viene interrotta, mira a ristabilire un rapporto per vendicarsi.
Indipendentemente dalla classificazione, alla base del comportamento del molestatore c’è un attaccamento insicuro/ambivalente nei confronti della figura allevante dell’infanzia (caregiver), modalità che si riflette nel rapporto che lo stesso soggetto da adulto avrà con il partner.
Lo stalker, quindi, per diventare inoffensivo, dovrebbe essere aiutato a ridefinire il rifiuto vissuto da piccolo per non sentirsi il colpevole, considerando che determinate situazioni sono state dovute inconsapevolmente allecaratteristiche del caregiver (la figura che si prende cura dell’infante).
Solo modificando i modelli mentali inconscidell’attaccamento si potrebbero scardinare e ridefinire le modalità comportamentali poco sane, ma questo comporterebbe un duro lavoro di ristrutturazione cognitiva ed emotiva che necessita dell’aiuto dello psicoterapeuta.
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Dislessia riconoscerla in tempo per superarla
Non vorrei ritrovarmi a trenta anni sapendo che sono dislessica per non poterci fare più nulla
Dislessia riconoscerla per superarla
Quanti ragazzini si sono sentiti dire dai genitori o dagli insegnanti “Non sei mai attento!”, “Impegnati non vedi come è bravo tuo fratello?” o “Sei uno stupido! Ma come fai a ripetere sempre gli stessi errori? Ti ho appena spiegato come devi fare!”.
Ancora oggi nel 2013 ci sono tantissimi bambini e poi ragazzi e poi adulti che pensano di non essere portati per la scuola o di non valere quanto gli altri perché pur impegnando al massimo le loro energie, pur studiando quanto e più degli altri i loro risultati scolastici sono scarsi.
Lo sapevate che circa il 4% della popolazione è Dislessico? La cosa incredibile è che molti non lo sanno perché ancora oggi non si fanno diagnosi sufficienti, eppure sarebbe semplice, ci sono dei segnali davvero evidenti!
Alcuni insegnanti non preparati ignorano questi segnali facendoli passare per immaturità o svogliatezza dei bambini, alcuni genitori invece non vogliono ammettere la difficoltà del proprio figlio per ottusità o stupido orgoglio! Poi ci sono genitori attenti e sensibili che devono scontrarsi con l’assurda burocrazia e non arrendersi dinanzi alle difficoltà e pretendere l’ascolto e l’aiuto a cui il proprio figlio ha diritto. Qualunque sia la ragione tutto ciò causa gravi sofferenze!
La Dislessia non è una malattia, è una difficoltà di leggere e scrivere in modo fluente e corretto, in alcuni casi è presente anche la difficoltà nel calcolo (dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia), a volte può essere presente l’una e non l’altra, a volte tutte insieme.
La lettura è un automatismo e per quanto possa apparire semplice non è detto che questo automatismo sia presente in tutti. La Dislessia non presenta deficit di intelligenza, il ragazzo dislessico è intelligente quanto gli altri, può leggere e scrivere ma non può farlo in maniera automatica, in tal modo si stanca facilmente, fa errori, perde il filo e rimane indietro.
Gli errori più comuni sono: l’inversione di lettere e numeri, la sostituzione di lettere, scrivere 2 volte la stessa parola o saltarla completamente, difficoltà a imparare le lettere dell’alfabeto, l’orologio, le tabelline, i mesi dell’anno ecc. , difficoltà a esprimere verbalmente il suo pensiero, difficoltà di concentrazione, difficoltà a copiare dalla lavagna, difficoltà a prendere nota delle istruzioni impartite dalle insegnanti verbalmente e spesso sono presenti difficoltà motorie come allacciarsi le scarpe.
Le insegnanti hanno una grande responsabilità infatti la diagnosi andrebbe fatta già alle elementari, esse dovrebbero segnalare ai genitori, che a loro volta dovrebbero rivolgersi alla ASL di competenza per eseguire delle batterie di test che possono accertare la presenza di questa difficoltà in modo da mettere in atto tutti quegli strumenti compensativi utili ad aiutare il ragazzo nel suo percorso di studi. Oggi da noi ci vogliono 2 anni di attesa per una visita alla ASL pertanto vengono accettate anche le relazioni fatte da psicologi psicoterapeuti privati. La scuola ha il dovere di mettere in atto gli strumenti compensativi.
Il problema psicologico può presentarsi in seguito a tali difficoltà (scarsa autostima e demotivazione). Chi non proverebbe disagio dinanzi ai propri compagni che riescono meglio e sono più veloci in tutto? Chi non avvertirebbe con angoscia le aspettative dei propri genitori?
Il compito di ogni genitore è di non arrendersi mai dinanzi alle difficoltà, se pensate che vostro figlio possa avere una qualsiasi difficoltà non vi arrendete neanche dinanzi a insegnanti o medici non specializzati in tale campo che vi dicono, senza aver fatto gli approfondimenti specifici, che non c’è alcun problema! Non ascoltate i parenti, non umiliate vostro figlio, abbiate pazienza e amore infiniti! Solo i test specifici possono escludere tale difficoltà!
Sono la mamma di un ragazzino di 11 anni e mi sono dovuta scontrare con insegnanti poco preparate che pur evidenziando le difficoltà di mio figlio continuavano a dirmi che era solo immaturità e svogliatezza, scarsa concentrazione e via dicendo, insegnanti a cui ho chiesto aiuto e sostegno che non mi è stato dato, insegnanti che per mettermi tranquilla mi gonfiavano i voti! Solo in prima media ho chiesto e ricevuto ascolto, ho incontrato insegnanti attente e rivolgendomi ad una psicologa psicoterapeuta privatamente sono giunta a scoprire la causa delle sue difficoltà!
Ora possiamo mettere in atto tutte le strategie utili per farlo studiare meglio! Come mamma ho passato degli anni tremendi, ogni giorno ho dovuto e devo seguire mio figlio passo dopo passo e questo mortificava lui e caricava di ansia me, eravamo entrambi stanchi e frustrati, ora lui deve volare con le sue ali perché sa che può farcela avendo i mezzi adatti e il sostegno degli insegnanti oltre che quello dei suoi genitori e del suo fratello più grande suo compagno di vita e di giochi!
Spero che questa mia lettera possa aiutare qualcuno che in questo momento sta vivendo una situazione simile, un abbraccio di cuore a tutti i ragazzi, buon lavoro e buona scuola! …ah dimenticavo sono tantissimi i personaggi famosi dislessici uno fra tutti Einstein !!!
Elisabetta
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Se vuoi legartela, stressala e non farla vivere
Istruzioni d’uso per legare nevroticamente un affetto sindrome di Stoccolma
Se vuoi legartela, stressala e non farla vivere
Istruzioni d’uso per legare nevroticamente un affetto sindrome di Stoccolma
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Chiara
Mi ha stressato per lunghi nove anni, non avevo pace per la sua gelosia, non potevo frequentare le mie amiche perché deplorevoli e tentatrici, avevo chiuso con tutti i miei amici perché oggetti di sicuro tradimento, mi son fatta relegare tra le mie mura domestiche da condividere con i miei genitori più del tempo dovuto, tanto da litigare con loro come non mai.
Al lavoro non dovevo guardare nessuno.Mi son fatta indossare il burca per soddisfare il mio carceriere talebano. Con questo uomo, se così posso definito, ho perso 10 kg e ne ho presi altrettanti in depressione.
Non c’era altra scelta, l’ho mollato, ed è stata una grande fatica per tutto lo stalking.
Ma dottore oggi perché mi manca tanto ?
Il vero problema, mi rendo conto, sono proprio io.
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Secondo la Sindrome di Stoccolma durante l’abuso o la prigionia, prova un sentimento positivo, fino all’amore, nei confronti del proprio aguzzino.
Si crea una sorta di alleanza e solidarietà tra la vittima e il carnefice. E’ evidente che stiamo parlando di una forma di attaccamento patologica dove la vittima, paradossalmente, si rende complice del suo persecutore. Le cause di tale meccanismo andrebbero ricercate non propriamente all’ interno dell’ ultimo rapporto persecutorio, bensì nella precedente storia passata.
In realtà il Suo ex compagno, si fa per dire, rappresentava e lo rappresenta ancora oggi, quell’ unica ed assoluta opportunità di ricezione di attenzioni e di attaccamento a minuziose briciole di affetto, evidentemente non concedibili da altre direzioni opportunamente chiuse dalla relazione stessa.
È evidente che Lei è una delle maggiori artefici cause di tali meccanismi e che inconsciamente se li è edificati e cercati tutti, il suo ex compagno, ha soltanto completato l’ opera che a lei mancava tanto, come effetto di collegamento alle sue reminescenze della sua epoca passata.
Un altro aspetto, infatti, potrebbe essere quello che si potrebbe rimanere legati a tali prigionie relazionali, in onore delle passate prigionie affettive famigliari, che comunque verrebbero autonomamente ed automaticamente reiterate nel presente.
Tale atteggiamento adoperato perdura anche per tutta la vita, fino a quando non decidiamo di farlo passare attraverso la “purificazione” analitica in grado di separarci da determinati meccanismi auto distruttivi.
giorgio burdi
psicologo psicoterapeuta

San Valentino parole d’ Amore grafie e lettere che fanno bene al cuore
Quando l amore conduce a se come uno psicoterapeuta
Come nella psicoterapia, ” Le Parole “ hanno il senso fondamentale nel ripristinare quegli schemi psico neuro biologici relativi al benessere e all’ equilibrio, le parole d’ amore, costruiscono, edificano ed esaltano l’essere ricollocandolo al centro dell’universo, ricordandogli la sua centralità e ripristinando la gerarchia delle priorità dell’esistenza.
Stralci di dialoghi amorosi che fanno bene al cuore :
Auguri Amore mio, perché Esisti e perché la Tua esistenza da senso alla mia, Ti Bacio tutta l’ Anima e il Tuo splendido Vestito regale vellutato
Augurissimi anche a Te, Amore mio !La dolcezza che mi pervade quando penso a Te, e quando il desiderio di vederTi si fa davvero intenso come ora, mi da la forza e il coraggio di andare avanti così, diritta verso la mia gioia nascosta che solo Tu conosci….Ti adoro !
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Quel giorno… durante la scorsa settimana… in cui mi hai detto che ero algida, gelida come neve… ricordi ?! Mi hai fatto venire in mente uno dei più bei romanzi che io abbia mai letto: Neve, appunto…Un libricino che fa parte di una trilogia di M. Fermine, devi assolutamente leggerlo se non l’hai già fatto ! , e che mi ha riportata indietro di un bel po’ di anni… in uno dei periodi più particolari ma anche tra i più sofferti della mia vita…
D’impulso, l’ho ripescato, riaperto e riletto tutto d’un fiato, riportando alla mente e al cuore le stesse, identiche emozioni che a suo tempo mi aveva già suscitato… ma pervase, stavolta, da una consapevolezza diversa !
Le tue parole, che in maniera così diretta e rivelatrice, hanno sempre avuto il pregio di far sì che io potessi osservare con distacco me stessa, mi son tornate chiare e in sintonìa con l’immagine di me: quella di una funambola che ( come la protagonista del romanzo stesso ) si tiene in equilibrio sul crinale della vita, senza calarvisi mai appieno, rinunciando anche al “ gioco della vita ” pur di non farsi contaminare e “sporcare” dalla realtà tutt’attorno…
Son talmente affezionata a quell’equilibrio instabile… solo lì, per anni, la mia anima mi è apparsa limpida e senza sensi di colpa… ma talmente triste….
“Ci sono due specie di persone” dice l’autore “Ci sono gli attori…. E ci sono i funamboli….”
Ti renderò grazie per sempre A, perché porgendomi la tua mano mi hai fatto finalmente scendere da quella fune, cominciando a vivere appieno la “mia” vita, che era lì da tempo ad aspettarmi….
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Le Favole Abbiamo tutti l immagine di una mamma che racconta al proprio bambino una favola, magari la nostra non lo ha neanche fatto, che risultati e quali danni possiamo aver ricevuto
Le favole ed il loro potenziale psicoterapeutico
Abbiamo tutti l’immagine di una mamma che racconta al proprio bambino una favola, magari la nostra non lo ha neanche fatto, che risultati e quali danni possiamo aver ricevuto ?
La maggior parte delle volte la sera, la mamma o il papà o la sorella maggiore, prima che ci addormentavamo, raccontava una favola e come una carezza rappresentava la nostra coccola per eccellenza.
Incantati , immaginavamo personaggi, colori e movimenti e noi immersi come in un cartoon tanto che quando finiva il racconto, dispiaciuti, li esortavamo che continuassero a descrivere la magica scena
Le favole rappresentano di certo una piacevole fuga dalla realtà, ma in particolar modo danno un contributo fondamentale alla struttura della vita emotiva del bambino, perché rappresentano l’ etichettamento, la rappresentazione e simbolizzazione delle pulsioni, sono fasi importanti dello sviluppo psichico dello stesso.
Nelle favole, attraverso la simbolizzazione delle angosce profonde che è alla base della nostra vita psichica, il bambino può affrontare e gestire le sue pulsioni più arcaiche.
Si pensi alla presenza della figura del lupo che simbolizza la pulsione orale, quindi, l’impulso di divorare.
A differenza del bambino, l’ adulto non sa fantasticare, in quanto fortemente aderente alle sue realtà, le vive marcatamente spaventose e per questo spesso lo conduce a non accettare, avendo un’immagine cruda dalla realtà.
Le favole stimolano i processi di riparazione, utili allo sviluppo emotivo dell’infante, perché attraverso la stimolazione dell’immaginazione il bambino può inventare finali diversi, sognare e auto produrre e modificare elementi appartenenti alla sua realtà psichica che riguardano dimensioni come l’amore, la paura, l’abbandono, la rivalità tra fratelli, la morte, la separazione.
Anche l’uso delle metafore ha una sua funzione psicologica perché queste simbolizzando i drammi e conflitti proteggono il bambino quando si proietta nella trama e nei personaggi garantendo una certa tranquillità nei processi di identificazione.
C’è da sottolineare, pero’, che ad essere terapeutico non è solo la trasmissione dei contenuti, quanto l’interazione autentica con lo sguardo, i gesti, il tatto, tra i soggetti coinvolti, perché raccontare ed ascoltare storie apre degli spazi tra il linguaggio e il corpo, spazi necessari per la crescita strutturale del piccolo.
Noi adulti dovremmo provare a raccontarci più favole, non solo per sognare e fuggire, ma per riformulare una realtà molto spesso inaccettabile.
Dovremmo poter portare la realtà più vicino alla favola alla favola e la favola nella realtà.
alessia potere psicologa
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Musicoterapia la musica è vita senza la musica la vita sarebbe un errore F Nietzsche
Psiche e musica hanno le stesse corde suonano insieme all’unisono
Durante la routine quotidiana, l’ascolto casuale di una strofa di una canzone un tempo amata attiva magicamente zone della nostra memoria fino a quel momento dimenticate.
Cosi’ come indica la frase di un testo di Jovanotti “..una musica che pompa sangue nelle vene e che fa venire voglia di svegliarsi e di alzarsi, di smettere di lamentarsi..”, la musica è soprattutto un potente attivatore di emozioni !!!
Attraverso il suono, vengono suscitate reazioni fisiologiche vegetative automatiche, quindi involontarie, come la modificazione della pressione sanguigna, del battito cardiaco, del ritmo respiratorio.
Aascoltare brani musicali per accompagnare le azioni della vita quotidiana fa si’ che la che diventi un’ottima compagna delle nostre solitudini consapevoli degli effetti che la stessa puo’ avere sul corpo e sul proprio stato emotivo.
Usiamo la musica per distrarti , per rilassarci, per creare un’atmosfera.
Tutti i momenti piu’ intensi vissuti sono associati ad una “colonna sonora”, cosi’ che nel tempo diverse canzoni assumono funzioni rievocative.
La memoria del suono è la memoria della nostra storia .
La musica in quanto rievocativa ha la funzione di attivare ricordi, proiezioni, interpretazioni, un vero e proprio stato di alterazione della coscienza, una sorta di trance dionisiaca .
La musica esalta la poesia, l’ estro, la creatività, la riflessione, il turbamento, la passione.
Produce tutta la gamma delle emozioni, dalla depressione delle marce funebri alle forme esaltanti delle musiche di Wagner.
Psiche e musica hanno le stesse corde suonano insieme all’ unisono .
andrea stefanì psicologo
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