
Settimanale Psicologo Roma : LA NOSTRA CASA E’ MALATA
Faccio di tutto per compiacere, ma per la mia famiglia sono sempre inadeguata
Mi sembra di essere ferma allo stesso punto da sempre. Le sensazioni che provo non migliorano ma sono sempre negative e non fanno che consolidarsi. Ho tanta rabbia,tanta tristezza. Mi sento un fallimento,una persona non adatta a vivere la vita di ogni giorno.
Mi sento il risultato dell’indifferenza e dell’odio tra
due persone…un errore che loro hanno commesso in maniera superficiale,senza valutare le conseguenze. Sembrano vivere come se io fossi un banale effetto collaterale che ormai fa parte delle loro vite. Odio ogni centimetro di questa casa, non riesco più a essere serena qui,ho solo ricordi tristi e cupi e qui ho maturato i miei primi pensieri di autodistruzione.
Non provo amore per la mia famiglia,ho cercato di conservare faticosamente qualche residuo ma non è rimasto più niente. Sono due persone che mi hanno dato la vita ma che credono di avermi dato amore assicurandomi i beni materiali. ho sempre dovuto reprimere tutto il mio dolore e nonostante abbia chiesto scusa per il mio modo di essere, anche se in momenti di profonda depressione in cui avrei soltanto voluto non essere invisibile ai loro occhi, da parte loro non c’è mai stato un riconoscimento dei propri errori.
Ma il fatto che non mi venga riconosciuto l’impegno e lo sforzo fatto per cercare di essere una buona figlia,in una situazione familiare affatto ideale,mi disgusta. La freddezza con cui ignorano o evitano di notare la mia sofferenza mi disgusta. Piangono per amici o conoscenti affetti da una malattia,e non hanno mai versato una lacrima per una figlia che pur non essendo affetta da malattia era visibilmente morta dentro.
Ho sprecato troppe energie per contribuire ad un minimo equilibrio familiare (
inesistente ). Dopo una settimana di lezioni all’università e studio intenso, per anni ho dedicato i miei weekend alla pulizia di 2 piani di casa (che io non ho scelto) ma che erano causa di profonda stanchezza per mia madre.
Mi ha inculcato l’ossessione per la pulizia maniacale,per cui spesso non uscivo nel weekend perchè ero troppo stanca dopo aver passato ore ed ore a pulire ogni superficie ogni + piccolo oggetto,per darle un pò di sollievo,sperando che
questo si traducesse in un rapporto più sereno fra lei e mio padre,e d
conseguenza in una maggiore serenità per tutta la famiglia.
E tutto quello che avevo in cambio era l’esaltazione dei figli altrui,di quanto gli altri fossero più fortunati di lei.Lei che non aveva ricevuto affetto da piccola,da moglie e da mamma.E poi le sue lamentele con tutti,perchè si stancava a mantenere pulita da sola una casa così grande. Tante volte mi sono rifugiata in camera a reprimere la mia delusione e la mia rabbia,ho pianto in silenzio,mi sentivo soffocare,perchè qualsiasi cosa facessi non era mai abbastanza.
Ogni volta che l’esame si avvicina questi pensieri e tanti altri aumentano,mi
riempiono la testa fino a stordirmi,non riesco a leggere in maniera fluida una sola pagina.devo frenare i miei pensieri per poter concentrarmi,ma per ogni 5
minuti di concentrazione ritrovata,ne perdo 60 a cercare di frenare i miei
pensieri. è stancante,ho bisogno di mandare un messaggio a un’amica o sentire qualcuno per telefono,mi dico che non sono sola,che ho persone intorno a me che mi vogliono bene…ma non è sufficiente se io in primis non me ne voglio.
Quando parlo o quando scrivo di ciò che sento non provo sollievo,ma solo un
senso di vuoto. A volte temo di aver provato così tante emozioni negative,da
essere condannata a non provare la felicità vera o un senso profondo di amore.
Mi guardo vivere,mi osservo,mi critico,mi analizzo,e di conseguenza osservo
attentamente tutto ciò che mi circonda…e ciò che vedo non mi conforta:c’è tanta superficialità,poco rispetto per l’altro,egoismo e invidia. ho sempre
avuto la profonda convinzione che certe persone (come me) non dovrebbero
nascere,chiunque abbia un certo tipo di sensibilità, e quindi una maggiore
debolezza, non è adatto a farsi spazio in questo mondo. Fino ad alcuni anni fa
ero riuscita a reprimere la mia debolezza e la mia profonda insicurezza,avendo
sempre in mente il mio obiettivo.Poi l’ansia e la stanchezza di lottare contro
le mie paure hanno gradualmente preso il sopravvento fino a rendere invisibile
il mio obiettivo.
Martedì ho l’esame,ma le pagine da studiare sono ancora tante…vorrei
comunque provarlo,mi presenterò all’appello e vedrò se riuscirò almeno a
tentarlo,superando la paura del giudizio dei professori.
Michela

Settimanale Psicologo Roma : VIVERE LA VITA
Perdi tempo se guardi fuori e non ti accorgi che la vita sei Tu
VIVERE LA VITA
Perdi tempo se guardi fuori e non ti accorgi che la vita sei Tu
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Settimanale Psicologo Roma : IL DECALOGO DI COME LO POSSO DIMENTICARE
USCIRE DA UNA RELAZIONE LACERANTE E PERVERSA
COME LO/LA POSSO DIMENTICARE
E USCIRE DA UNA RELAZIONE LACERANTE E PERVERSA
1 Darsi delle valide ragioni per la decisione presa.
2 Conservare e coltivare rapporti sociali. E’ alta la tentazione di isolarsi.
3 Circondarsi di persone rispettose.
4 Focalizzare l’ attenzione su autentici interessi personali.
5 Leggere ascoltare e vedere tutto ciò che riguarda l’argomento.
6 Elaborare le diverse dipendenze che hai.
7 Coccolati in tutti i modi.
8 Sfoga e scrivi sull’ argomento
9 Non parlare con nessuno di ciò, ma solo con chi competente.
10 interrompi ogni rapporto con chi mentalmente ti perseguita e non scoraggiarti se ricadi, inizia e rialzati.
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Settimanale Psicologo Roma : QUALCOSA DI SPECIALE
E’ difficile conoscersi, lo psicologo, nello specifico, ha questa competenza
QUALCOSA DI SPECIALE
L‘unica cosa che Ti separa dalla Tua realizzazione è solo nella Tua testa.
Puoi essere tutto ciò che vuoi SE CAMBI PUNTO DI VISTA.
Per vedere il filmato Digita QUI
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Settimanale Psicologo Roma : L amore è la punizione del Desiderio
La amo ma non riesco più a toccarla
L amore è la punizione del Desiderio
Lo amo ma non riesco più a toccarlo.
Tante volte ascolto in psicoterapia un tale sconcerto che destabilizza la coppia e che viene verbalizzato attraverso la stessa richiesta: dottore, mi aiuti, mi sono rivolto a lei, psicologo di coppia, perché io la amo, ma non riesco a toccarla o a farmi toccare e questo mi rende talmente angosciato, che prima o poi temo che ci lasceremo.
L’ idealizzazione dell’ altro, l’ inquadramento inconsapevole in un ruolo diverso da quello di partner, rende platonica e mentalizzata la relazione.
Accettare per lunghi periodi, amando o tollerando a lungo i platonismi, punisce il desiderio.
Il farsi carico continuo delle sofferenze o delle responsabilità altrui, indebolisce il sex appeal. Il ruolo di partner si tramuta in ruolo genitoriale o assistenziale minando quell’ attrazione magica che rendeva il rapporto idilliaco. L’ eros non ha bisogno di assistenzialismo, questi rappresenta il suo decadimento.
Tutto ciò non significa che la coppia non possa condividere sofferenze e responsabilità, ma se tutto questo diviene la norma, il desiderio ne viene ferito anche in modo stabile e duraturo, con la conseguente disattivazione del dell’ attrazione sessuale.
Per andar bene, nella coppia, ognuno dovrebbe vivere e maturare sulle proprie spalle, non su quelle altrui, si richiede maturità individuale prima che di coppia.
Per andar bene, facciamo molta attenzione nel curare le proprie defaiance, quei problemi onnipresenti passati o quotidiani ripetitivi o quelle assunzioni di ruoli che non fanno assolutamente bene al rapporto e che il ruolo sia solo quello di partner, perché l’ amore non uccida il desiderio di stare insiema.
giorgio burdi

LE CONVINZIONI: Dogmi Pericolosi
Lo psicoterapeuta, in quanto studioso, rileva che le convinzioni non consentono di cambiare, emanciparsi, di vedere prospettive idonee. Molti pensano che esse diano certezze, ma contrariamente le sottraggono.
non offrono prospettive per cambiare.
LE CONVINZIONI: PICCOLI MA GRANDI DOGMI PERSONALI
“Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità” scrive Friedrich Nietzsche. Eppure sembra che nessun essere umano riesca a farne a meno. In particolare, la cultura occidentale, a partire dal pensiero greco, ha eretto i cosiddetti “immutabili”, che non sono altro che forti e assolute verità, come le Idee platoniche, il Dio cristiano, la Ragion d’ essere.
L’umanità, sin da quando ha incominciato ad esercitare il pensiero, si è resa conto di trovarsi in balia di un mondo caotico e pieno di incertezze, in balia del nulla e dell’annullarsi di ogni cosa.“Io ero spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentivo soffocare, considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla” (Giacomo Leopardi).
Le convinzioni non agevolano i dictat, forme di assolutismo o di relazioni e comunicazioni simmetriche.
La diretta conseguenza di questo terrore è l’erezione di una verità Universale o semplicemente personale, una verità solida e certa capace di dare un senso alla vita umana o almeno capace di abbattere la paura dell’ignoto. “Pare un assurdo, eppure è esattamente vero, che, tutto il reale essendo un nulla, non v’è altro di reale né altro di sostanza al mondo che le illusioni” (Giacomo Leopardi)
Per opera delle nostre ataviche generazionali insicurezze, diventiamo affamati di certezze e convinzioni. Vogliamo punti di riferimento, ed una volta acquisiti, ci avvinghiamo ad essi come fossero ancore e dogmi indiscutibili, che non si debbano più rivedere, nè tanto meno metere in discussione.
I processi educativi, i valori, gli stereotipi, i pregiudizi, le opinioni, gli stili di vita, il popolarismo, le sette, le politiche, le religioni, con le loro interpretazioni contestualizzanti, spesso sono figli del loro tempo e rappresentano le colonne portanti di tutte le nostre CONVINZIONI.
Con esse cresciamo, ci formiamo, interagiamo, ci intersechiamo, ci condizioniamo, modifichiamo il percorso della nostra esistenza, e solo al termine di essa ci rendiamo conto che avremmo potuto fare sicuramente anche a meno di tutto ciò, che, come un faro, ha rappresentato ed ha condizionato la nostra esistenza.
I “sacri dogmi” hanno cambiato nel tempo la loro connotazione, si pensi all’ atteggiamento delle nostre culture riguardo al tema della sessualità che risulta essere in un continuo divenire.
Ciascuno di noi, nel suo piccolo, ha bisogno di credere fortemente in qualcosa e si rifugia nelle sue convinzioni con tutte le forze che possiede.Le convinzioni, insieme ai valori e ai criteri, costituiscono una componente fondamentale e molte volte inutile della nostra vita. Esse costituiscono la certezza di una realtà e influenzano il punto di vista e l’ azione.
Molto spesso le convinzioni non sono generate esclusivamente da noi stessi, ma sono il frutto di una rielaborazione interna delle nostre esperienze e di ciò che ci circonda: amici, genitori, insegnanti e mass media.
Tuttavia le convinzioni non sempre sono potenzianti (cioè utili al raggiungimento delle nostre mete e soprattutto capaci di donarci benessere e serenità), e possono arrivare a costituire un serio limite alla realizzazione del nostro equilibrio e dei nostri bisogni, sino a divenire patologiche. Molte nevrosi o disfunzioni sessuali infatti vengono generate da complesse convinzioni dove le forme paranoidee raggiungono il massimo della loro espressione.
Cosa dire allora di chi, affetto da dismorfismo fobico corporeo, lamenta certe malformazioni o continue imperfezioni relative al proprio corpo? O ancora, di chi è fobico e teme il contatto (rupofobia)? O del socio fobico convinto che con gli altri non potrà mai essere tranquillo, temendo che possano sempre giudicarlo? O di chi soffre di attacchi di panico o di depressione dap, che dalla vita non si aspetta altro che la repressione e il soffocamento della propria vitalità? E cosa dire invece dell’ ipocondriaco convinto di avere sempre una malattia che non ha, se non quella esclusivamente psicogena? O della persona psicosomatica che scaricherà le tensioni su un qualche organo bersaglio.
Per non parlare di tutte quelle disfunzioni sessuali come il vaginismo, o l’ anorgasmia o l’ assenza o l’ attenuazione del desiderio sessuale, convinzioni per le quali si farebbe piacevolmente a meno di ricevere e vivere il piacere di sè. Che dire allora della disfunzione erettile psicogena che si confronta con la certezza di non aver potenza e forza, o della sindrome da eiaculazione precoce nella convinzione che tutto può essere vissuto e goduto solo in forma accelerata ed egoistica, in sintonia con un inconscia impostazione sociale dove tutto è migliore se è solo per sè, se è accelerato e rimpicciolito.
La psicoterapia ha il compito di modificare tali convinzioni, se non a volte di sostituirle o eliminarle, salvaguardando l’equilibrio olistico del soggetto.
Scopriamo allora che ogni forma di sindrome è fortemente legata a stabili irremovibili processi di convinzioni.
La convinzione inoltre di non essere adeguati o di non essere all’ altezza degli altri, se esasperata, può generare un stato di ansia tale da minare la vita sociale di un individuo. È per questo che, talora, dobbiamo essere in grado di mettere in discussione ciò in cui crediamo, magari grazie all’ aiuto e al confronto di un esperto psicologo psicoterapeuta o psicanalista o di uno psichiatra studioso di certi meccanismi mentali.
Bisogna cioè essere in grado di riconoscere un pensiero negativo e di estirparlo, magari sostituendolo con un’altra convinzione, più sana, e che ci permetta di convogliare le nostre energie nella realizzazione del nostro benessere.
Il lavoro analitico o di psicoterapia ha esattamente il compito di rivedere l’ assetto delle convinzioni del soggetto, aiutandolo a modificarle o addirittura a sostituirle o ad annullarle.
Siamo davvero convinti che un assetto di convinzioni serva davvero per vivere meglio ed aiuti realmente il soggetto nella ricerca della propria stabilità e del proprio benessere?
Non è forse vero che un valido addetto ai lavori, qual è uno psicologo psicoterapeuta, per portare a termine una cura, debba essere in grado di spogliarsi di tante sue convinzioni ?
Allora sono davvero indispensabili le convinzioni o vanno trattate nel relativo ?
giorgio burdi
Continua
La Felicità Esiste
- Era come reimparare a respirare piano piano, e così di seguito, proseguendo con il mio coraggio e con la mia voglia di vivere…
Tutto è iniziato una mattina di giugno di qualche anno fa.Dopo essermi svegliato, lavato e sbarbato, iniziai a vestirmi per uscire di casa, prendere l’ auto ed andare di corsa in ufficio.
Ad un tratto mentre indossavo la camicia accusai improvvisamente dei forti dolori diffusi su tutto l’addome.
Non capendo di cosa si trattasse decisi di ritornare nuovamente in bagno, ma non accadde assolutamente niente.I dolori nel frattempo erano aumentati tanto da chiamare il medico di famiglia che mi consigliò di prendere degli antidolorifici e dopo circa due tre ore dopo e nonostante aver assunto i medicinali prescritti, i dolori all’addome aumentavano.
Decisi di richiamare nuovamente il medico che prontamente mi consigliò il ricovero in pronto soccorso.Mi diagnosticarono immediatamente una pancreatite acuta, ero gravissimo.
Nel reparto di Medicina dell’Ospedale, i medici iniziarono tempestivamente la cura e rimasi sette giorni e sette notti ricoverato, attaccato con due flebo nelle braccia e nel frattempo i dolori aumentavano lentamente fino a coprire tutto il corpo.
La notte del quarto giorno, nonostante la terapia iniziata, la temperatura corporea salì oltre i quaranta gradi, la vista iniziò ad annebbiarsi tanto che vedevo la stanza colorata di rosso, i dolori erano terribili tanto da non poter più muovere nessun arto. Pensai allora che la fine era arrivata.
Nelle ore successive nonostante la forte febbre ero lucido e il mio pensiero era rivolto principalmente alle persone e alle cose più care che in quel momento ricordavo ed amavo che temevo di perdere per sempre e non poterle più rivedere.
Mia moglie mi stava accanto, irresistibile piangeva come se fossi morto, ma la cacciai via.
Verso l’alba mi trovai nella fase più acuta della malattia decisi allora di reagire con la forza del pensiero e pensai di alzarmi per andare in bagno.
Cercavo di provare a me stesso che non era ancora finita poiché sentivo ancora di poter reagire psicologicamente.
Con gesti molto lenti e barcollando, senza nessun aiuto altrui, mi alzai dal letto e mi portai con uno sforzo immane nel bagno che era lì a pochi metri nella camera dell’ospedale, trascinando dietro l’asta con le due flebo attaccate nelle braccia.
Stremato ritornai a letto, avevo reagito e questo mi faceva star già meglio, iniziai a pregare e cosi mi addormentai di colpo per la stanchezza.
Al mattino, improvvisamente avvertivo un leggero miglioramento, era come respirare piano piano e così di seguito proseguendo con il mio coraggio e con la voglia di vivere e con la terapia, il malessere si convertì molto lentamente nella totale guarigione.
Era incredibile, il mio medico mi disse che riesce per due casi su cento.
Appena dimesso dall’ospedale la gioia di vivere era tale che assaporai, con un profondo respiro, come non mai, il profumo dell’aria fresca che mi avvolgeva, la voglia di camminare, la vista delle persone e delle cose che mi circondavano .
Ricordo che all’uscita dell’ospedale, la voglia di vivere era tanta che camminando a piedi verso casa, evitai di calpestare una piccola verde fogliolina accarezzata dal sole che era nata da una pianta sul marciapiede poiché mi resi conto che anch’essa era una vita e che aveva lottato per vivere.
Da questa triste esperienza oggi ringrazio maggiormente Qualcuno per avermi aiutato a capire che la vita va vissuta attentamente in tutti gli attimi, con gioia, con amore e con grande rispetto per gli altri e per tutte le cose del creato:
questa è la Felicità
Pippo
Grazie Pippo per il Tuo Immenso Regalo
giorgio
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Ciiao Pippo,
questa mattina, complice anche il tempo grigio, mi hai fatto scendere delle lacrime per la tua storia molto commovente, che grande ammirazione che provo per la tua persona!!
Come vedi è la forza d’animo e il crederci sempre che ci porta soluzioni positive. La felicità esiste ma ci ostiniamo ad apprezzare la
vita solo quando ci accorgiamo che sta per abbandonarci. Bravo Pippo!!!!
Rosalba
Continua
Vorrei vivere dei miei errori, non di quelli altrui.
Sbagliare, aiuta a cambiare.
Vorrei vivere dei miei errori, non di quelli degli altri.
So già sbagliare di mio.
Sbagliare non è necessariamente un errore. Secondo lo psicologo Bandura l’ apprendimento avverrebbe per rinforzo vicariante, ovvero per prova ed errori, lasciando quasi intendere che per apprendere sarebbe quasi necessario, anzi indispensabile sbagliare.
Diesel ha impiegato quarant’anni d’errori in tentativi, montaggi e rimontaggi, prima di far fare bruuuummm al primo motore. Caparbio o cocciuto? Immaginate la moglie di questo uomo come potrebbe aver vissuto ?
Ostinato o diabolico ? Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Ma il diabolico è semplicemente un ostinato o invece è un inetto ? Una cosa è certa, che Diesel senza la sua cocciutaggine nell’ errare, avrebbe mai messo a punto il suo diesel ? Forse la sua donna, lo avrà pur per un istante persuaso a mollare ?
Siamo umani e purtroppo o per fortuna a volte abbiamo bisogno di sbagliare a lungo, anzi molto a lungo, spesso prima di poter dire ho capito, adesso so, in tal senso siamo irrimediabilmente naturalmente malati.
Ma poi diciamolo francamente, cosa sappiamo di noi stessi, degli altri o della realtà se l’ esperienza umana è in un continuo divenire e cambiamento e ci propina situazioni e modi di sentire sempre diversi ed incompatibili, spesso inafferrabili e complessi, tanto da non riconoscere neanche più noi stessi rispetto ad un nostro passato nemmeno tanto remoto.
Dovremmo essere talmente elastici e continuamente lucidi da mantenere un elevato potere di controllo sulla realtà, da mantenerci in un continuo stato di equilibrio ed in un elevato monitoraggio della realtà, da non permetterci di sbagliare mai.
Invece non è mai così, è nella nostra natura lasciarci andare, come svampiti distratti siamo fatti di un cervello affettivo più che logico, che soffre di simpatie e antipatie soggettività e raramente di oggettività, di continue proiezioni di fantasmi depistanti del passato, tali che sbagliare sarebbe davvero non solo inevitabile, ma possibile.
Chi vive sbaglia, ma chi sta fermo non sbaglia mai. E l’ uomo, in tal senso, è uno sbaglio continuo.Se lo sbaglio è apprendimento, impariamo allora e non biasimiamoci troppo, facciamo invece tesoro più che piangerci addosso.
Siamo esseri umani fortunatamente condannati ad imparare, cioè ad errare.Lo sbaglio è quell’ unica certezza che ci rende fisiognomicamente uguali appartenenti allo stesso genere.Chi non tollera lo sbaglio spara sentenze e giudizi, è un “suicida” che compie “omicidi”.
Uomo fattene una ragione, sbagliare è una necessita alla quale nessun uomo è in grado di sottrarsi e di rinunciare, non è solo un limite, ma può essere un’ occasione per la propria metamorfosi, presente nella natura di chiunque.
Cambia chi sbaglia. Non offenderti, non prendertela se sei di casa nello sbaglio, ma nemmeno giudicare, è l’ occasione per imparare e se sai serenamente accettarlo, ci penserai e crescerai.
giorgio burdi

Settimanale Psicologo Roma : Fa’ ciò che sei
Non serve ciò che hai, conta ciò che fai come lo sei
Fa’ ciò che seiNon serve ciò che hai, conta ciò che fai come lo sei.
Cosa c’è di più bello nella vita, se non fare quello che piace, ed in particolar modo, il lavoro che piace?
Inizialmente mi sono laureato, una disciplina per la quale pensavo di avere molta passione.
Strada facendo invece soffrivo, in prossimità della tesi ero scoppiato.
Insegnavo filosofia, ma non ero io, era come aver accanto una donna che non ti appartiene. Avevo sbagliato, tutto era così pesante, avevo la sola opportunità di ricominciare da capo. Che dolce follia, quando ho compreso cosa avrei voluto fare e la faccenda seria era quella che lo sentivo già da un pezzo.
Serve coraggio per seguire se stessi, non è affatto facile non confondersi con l’inquinamento dei desideri altrui o delle persone care o anche con le paure di fallire. Ciò che conta è gustare piano ciò che fai, assaporarlo e farlo sempre più tuo, non pensando ad altro che gustare.
Non ho mai pensato al denaro, ai traguardi facili, ma chi mi ci ha fatto pensare, per poco, mi ha depistato.
No, non serve ciò che hai o potresti avere, conta più ciò che fai come lo sei. Come non conta avere un’ altra, conta solo chi E’, se è vicina alle tue curiosità.Ho ascoltato la passione, sotterrato i calcoli, studente sognatore, distratto solo da ciò che incanta. Mi incuriosisce ciò che affascina, lo stupore è casa mia, il Bello è il continuo passaggio dalla “buccia” alla “profondità”, andarci dentro da una superficialità e uscirne fuori andando incontro all’ effimero.
Fare ciò che si è, fare ciò che sei.
Discorso folle in un contesto nel quale bisognerebbe già accontentarsi e sentirsi fortunati di ciò che offre il mercato rispetto a ciò che si desidererebbe fare. Diveniamo commerciabili, venduti, arrangiati, compromessi, accontentati. Già, chi si accontenta gode, io non godrei affatto.Serve chiarezza e impegno il più delle volte sofferenza, caparbietà per raggiungere se stessi.Gli stolti non lo sanno, vedono il tuo successo, il saggio sa che c’è fatica, tanta, che come lo spermatozoo che sgomita si ostina dove vuole andare.
Il Bello è questo continuo reversibile passaggio dall’ effimero al profondo e viceversa, continuamente, ripetutamente. Non mi stancherei mai.
Fa ciò che sei e credici.
Faccio il lavoro più Bello al mondo, lo adoro, nonostante le fatiche immani che comporta.
Tempo fa riportavo ne” La passione per Te ” , tutto il mio animus . E’ un inno all’ uomo, all’ analisi, alla sua esplorazione dentro e fuori di se, all’ impegno faticato per realizzare il Suo Benessere, i Suoi obiettivi.
La passione per te è la mia passione, è la passione che ho, connaturata con me tanto da non avvertire le differenze e le fatiche tra ciò che sono e ciò che faccio, mi esprime integralmente e sono me stesso.
A volte quando mi ringraziano sorrido e ribadisco che sono io che ringrazio loro, perché mi permettono di esprimere quelle potenzialità che diversamente non verrebbero fuori, rimarrebbero potenzialmente in stasi.
La massima gratificazione è poter essere onorati per un qualcosa di molto importante, profondo, e serio, Bello e anche, perché no, molto divertente e sentire io il bisogno di ringraziare.
Fa ciò che sei, lavora sulla confusione e non confonderti mai, quasi in una continua lotta, con i desideri altrui.
giorgio burdi
Continua
Settimanale Psicologo Roma : Un altro modo di essere forti
E’ essere deboli
Un altro modo di essere forti:
E’ essere deboli
Mostrare sempre di essere forti, non fermarsi mai.
Confrontarsi continuamente con nuove sfide.
Positivizzare le difficoltà e i propri fallimenti con sé stessi e con gli altri.
Ogni volta tutto questo aiuta ad andare avanti, ma ci pone anche davanti una trappola insidiosa: quella di non volersi fermare un attimo a viverlo quel fallimento, quella difficoltà, non voler vedere fino in fondo dove si è stati o dove si è in quel momento, dove sono i desideri piu’ profondi e le mie contraddizioni, prima di ripartire con una nuova e piu’ solida consapevolezza della realtà e di se stessi.
E’ bello essere deboli ogni tanto, anche davanti agli altri che si aspettano tanto da noi, fermarsi un attimo a guardare, a sentire, ad accogliere, con dignità e rispetto per noi stessi, le proprie sofferenze, le delusioni, come una tempesta che ci obbliga a rimettere in ordine e vedere tutto, anche le cose che avevamo dimenticato.
E quando ci prendiamo cura di loro, rischiamo di non ricevere alcuna attenzione, perché indossiamo un abito quasi istituzionale della persona ” aiuto ” .
Già, perché quando noi siamo forti o appariamo tali, rischiamo che gli altri si dimentichino di noi, permettiamo loro che ci pensino sempre come se non necessitassimo di attenzioni e di comprensioni, peggio ancora gli permettiamo che ciò può non avvenire neanche in mente.
La responsabilità di questo sottile meccanismo è attribuibile solo alla nostra modalità di comportamento, in effetti saremmo noi inconsciamente a permetterlo e a volerlo. Facendo così ci daremmo un ruolo a volte di prestigio o saremmo alla ricerca di complessi consensi sociali per appagare bisogni di stima o di affettività.
In tal senso, apparire forti o positivizzare a tutti i costi, rappresenterebbe una modalità di grande insicurezza.In un contesto fondato molto sull’ immagine, si può trovare una straordinaria ricchezza e un nuovo vero slancio da questi momenti, riconoscendo le nostre insufficienze, insicurezze e debolezze senza l’inutile timore di doverli nascondere agli altri a tutti i costi, tra l’altro col rischio di risultare loro trasparenti, né riconosciuti o compresi.
laura