
Settimanale Psicologo Roma : LE FONDAMENTA DI UNA VITA RELAZIONALE AMOROSA
La Stima e la fiducia sono due elementi indissolubilmente intrecciati che fanno l’ Amore
Le fondamenta di una vita relazionale amorosa e armoniosa.
La Stima e la Fiducia sono due elementi indissolubilmente intrecciati che fanno L’ Amore
Nei primissimi anni di vita, quando il bambino si trova tra le braccia della mamma, inizia a sviluppare il futuro linguaggio affettivo che ripresenterà da adulto negli scambi con il partner.
E’ nel contatto fisico ed emotivo tra la mamma o caregiver e il bambino, attraverso quindi il toccare e l’essere toccato, il guardare e l’essere guardato, che si creeranno occasioni per sviluppare e sperimentale la fiducia in se stessi e negli altri.
Avendo interiorizzato la capacità di fidarsi della figura che si è preso cura del piccolo, lo stesso da grande potrà contare sulla fiducia in sé, come persona importante e piena di valore.
Queste modalità di relazione influenzeranno il modo di avvicinare gli altri nella ricerca di intimità e affetto.
Capita a volte che questo tipo di esperienze non siano adeguate, ad esempio in presenza di una madre che risponde ai bisogni fisici del bambino, ma non a quelli emotivi, una madre che non ama incondizionatamente il figlio o che comunica verbalmente che gli vuole bene ad una condizione che lui si comporti a dovere.
In tali occasioni, il bambino non si sentirà amato per come è, ma svilupperà la convinzione che l’amore bisogna meritarselo dimostrando sempre qualcosa agli altri o seguendo la via della perfezione cercando di far stare bene gli altri pur di essere amato.
Traslato sul paino sessuale quando il figlio avrà modo di vivere momenti di intimità, il timore di deludere e di non piacere caricherà di paura questi momenti trasformando la sessualità in una dimensione relazionale difficile da affrontare e non gratificante, chiudendosi poi in una solitudine non fisica, ma emozionale.
alessia potere
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Settimanale Psicologo Roma : TRA EDIPO E AMLETO
Le trasformazioni familiari e l’ adolescente
Tra Edipo e Amleto
Le trasformazioni familiari e l’ adolescente
Le dinamiche familiari sono state da sempre ben rappresentate in drammi e tragedie, ma l’opera Shakespeariana dell’Amleto raffigura in maniera diversa e più profonda i diversi ruoli. Soffermandoci, ad esempio, sulla figura del padre che nel classico triangolo edipico incarna il divieto all’incesto, orientando l’amore del figlio verso un’altra donna diversa dalla madre (considerata un puro oggetto passivo e proibito) .
Nell’ Amleto questo è sconfitto e ucciso, che chiede solidarietà e vendetta proprio al figlio al quale avrebbe dovuto indicare, invece, la strada per il mondo ed insegnargli ad affrontare difficoltà e pericoli che l’avrebbero reso uomo.
La maggior parte della schiera degli esseri umani passa per la strada edipica, all’ interno di una serena risoluzione della relazione con la famiglia, ma una buona parte è realmente tragicamente Shakespeariana, le relazioni fondamentali risultano come inesistenti e poi continuamente distrutte.
Quello che succede oggi da noi, rispecchia le trasformazioni strutturali della famiglia che sempre di più diventa allargata dall’ aggiunta di partners e affini. Se queste trasformazioni vengono affrontate dai coniugi con grossi disagi, separazioni caratterizzate da odi, insulti, svalutazioni, accade che a portare i segni della sconfitta genitoriale siano proprio i figli. In che modo?
Con difficoltà, ad esempio, a comprendere i propri tratti essenziali e l’immagine di sé e a volte nella difficoltà a sviluppare la capacità di vivere la sessualità in maniera coinvolgente e unificata, con un ingresso problematico nell’età adulta.
Sono i costrutti, questi, per una eterna adolescenza, alla continua ricerca di un periodo mancato, per la paura di una età adulta, perchè gli adulti hanno fatto paura, ma la paura di cambiare, non potrà mai fare l’ adulto per poter apprezzare il suo livello.
Essere adulti è più bello dell’ essere continuamente adolescenti, se l’ adolescenza non la dimentichi mai.
alessia potere
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FEMMINILE E MASCHILE: Complementari, ma tanto simmetrici
Femminile e Maschile?
Complementari, ma perché poi tanto simmetrici ?
Cosa è La perfezione ? E’ saper cogliere il lato femminile e maschile di noi e delle cose. Questo è l’ onnicomprensivo.
Nessuno potrà mai comprendere fino in fondo un uomo ed una donna, senza conoscere il femminile e maschile presente in ognuno, senza questa prospettiva olistica.
L’ assenza di questa prospettiva è la base dei conflitti di relazione dell’ incompatibile e del’ incomprensibile.
La rigidità strutturale dei ruoli sessuali, carambola l’ un dall’ altro. L’ identità di specie non determina necessariamente l’identità di genere. Ognuno tira fuori ed è padrone di ciò che è.È l’inseparabile femminile dal maschile il vero karma, l’ alfa e l’ omega, il giorno e la notte, la terra e l’ orizzonte, l’ ulivo e la sua linfa, il fiore e la clorofilla.
Il pensiero e il logos.
La rigida identificazione uomo donna, rompe l’ armonia, scinde i pastelli, è causa di inutili effimere competizioni simmetriche. La guerra nasce dalla rigida asimmetria e ristrutturazione dell’ identità di specie. Dimentichiamo di essere un UNO femminilemaschile, come uno è l’ universo, o sicuramente forse nemmeno lo sappiamo.
Riuscire ad intercettare e godere della propria componente etero, annullerebbe competizione e contrasti, a vantaggio della complementarietà e cooperazione.
L’ omofobico è un fratturato dentro, competitivo da sempre, uno solo, cultore ed artista belligerante, sacerdote dell’ orror, saccente fobico, prevaricatore schizoide omosex.
Ciò che mai vorremmo essere, nel rifiuto, lo esaltiamo e lo evidenziamo.
Noi tutti, siamo due facce della stessa medaglia: Donna maschio, Uomo femmina, femmina uomo, maschio donna.Insieme, siamo l’ unità dell’ universo.Femminile maschile, distinzioni per convergenze all’ unità .
giorgio burdi

settimanale Psicologo Roma : FOLLI PRIGIONIERI DEGLI SCHEMI
I bambini hanno invece occhi limpidi.
Folli Prigionieri degli schemi.
I bambini hanno invece occhi limpidi.
Siamo attanagliati da una rete di griglie di acciaio a maglie strette che filtrano l’ inusuale, l’ insolito, l’ incomprensibile, il nuovo.
Noi siamo fatti di schemi, siamo gli stessi schemi.
Gli schemi rappresentano definizioni che vorrebbero inglobare complessità indefinibili, ma le definizioni uccidono.
Non permettiamo di espanderci perché pensiamo di aver già acquisito i nostri territori o abbiamo il timore di conoscere quella notte ombrosa di noi carica di turbamenti.
Il giorno è coscienza, è il conoscibile, la notte viene annoverata all’ incubo, alla paura di smarrimento al non risveglio.
Gli schemi ci rendono forti dinanzi agli incubi, il sol dire, era un sogno, diviene rassicurante.
Se solo pensassimo invece che la condizione onirica rappresenti, non solo l’ induzione al sonno nella fase REM, ma il portone di accesso alle grotte della nostra mente, forse saremmo più affascinati nel non liquidare con, era solo un incubo, ma saremmo invece spinti a voler sapere cosa c’è oltre lo schema della paura nell’incubo.
Conoscere è la funzione primaria delle scienze, ma gli schemi già codificati, impoveriscono e limitano notevolmente la sua esplorazione, rappresentano il loro suicidio ed anche il nostro.
Quando ad esempio si accede da uno psicologo o psichiatra, i Wikipedia di molte teorie e di tanti metodi interpretativi, si rischia di farsi incollare addosso etichette e nosografie preconfezionate tanto da incastrare la personalità, con il serio rischio di non capire assolutamente nulla di chi si ha difronte e peggio ancora di manipolarlo inconsapevolmente a seconda di certe griglie.
La preparazione la formazione è la libertà dagli schemi, perché l’ altro è il totalmente altro.
Affascinante vero? O disorientante. Chi avverte disorientamenti in mancanza di schemi è il fobico.
Esso viene aiutato a non controllare la paura ma a conoscerla, lasciandolo scivolare sopra e dentro questa emozione, cercando di non fargli opporre resistenza nella discesa ripida dallo scivolo dell’ acqua park della sua mente, col rischio di gravi ustioni.
Le malattie mentali il più delle volte rappresentano delle “ustioni” per la resistenza e il disadattamento circostanziato, una sorta di opposizione ad una esistenza ritenuta ostica.
Bisognerebbe sapersela prendere, scivolando nel gioco della vita, non opponendo sempre resistenze.
L’ analisi rappresenta l’ esplorazione degli schemi all’ interno dei quali siamo impantanati ed incastrati.
L’analisi rappresenta ancor più l’ individuazione e l’ esplorazione del nostro stesso contraddittorio, all’ interno del quale esiste un elevato direttorio risolutivo.
Ma non basta riconoscerlo, andrebbe poi ascoltato, perché il rischio sarebbe quello di arroccarsi su preconcetti soliti irremovibili, coattivi della malattia.
Però noi siamo continuamente auto riformulabili, se così non fosse non avrebbe motivo di esistere la psicoterapia.
La vita è risoluta di suo col suo istinto, così deve andare, è forte e rappresenta la strada di uscita.
A volte gli eventi bisognerebbe lasciarli andare, opporsi ad essi, ritarderebbe solo di molto o di poco la soluzione.
Quando si è vivi, la vita fa il suo seguito, il filo d’erba che nasce nel cemento, lo spacca, senza tener conto della solidità della struttura.
L’ essenza della vita possiede già nel suo interno degli schemi propellenti e prepotenti rispetto ai nostri modelli culturali e educativi, all’ occorrenza disintegrano il tutto.
Opporci alla nostra stessa natura, sarebbe un genocidio.
La natura è buona di suo, non crederci sarebbe non credere in noi e nel senso umano delle cose, gli schemi invece sono la nostra distruttività, la malattia.
La natura è buona, lo schema è il male, è malattia.
Opporci ad essi ed Evitarli a volte ci dilania in particelle impazzite.
Per star bene e ritrovare il senso di se è delle cose, potremmo imitare la vita, la natura che fa il suo naturale decorso di guarigione, bisognerebbe essere un po’ più fiduciosi, come il filo d’ erba , comunque sia, trova la strada, consapevoli che c’è sempre una strada per tutti .
La verità però è quella che degli schemi non possiamo proprio farne a meno, e ne siamo impregnati, per non averne bisogno, paradossalmente bisognerebbe averne una infinità, e particolarmente di tipo contraddittorio, tanto da allargare le maglie della rete, per farci accedere a più conoscenze, magari con l’ intenzione di non voler far loro affidamento, tale da poter accedere a totali e più complesse conoscenze.
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : SAN VALENTINO: INDICAZIONI PER UNA SANA STORIA D’ AMORE. PERCHE’ COSTRUISCO E DISTRUGGO LA STORIA D’ AMORE
Indicazioni per una sana storia d’ amore e dedicato a chi se la fuma
INDICAZIONI PER UNA SANA STORIA D’ AMORE
L’ istrionica edifica e, nel clou e nel bel mezzo, distrugge la sua opera. Non è solo una questione di seduzione o di appetiti affettivi.
Essa ha la tendenza a distruggere ciò che ha edificato, anche se in amore è inevitabile ferirsi.
Le persone con tratti isterici o nel continuum più patologico , istrionici, sono persone di ambo i sessi ma a prevalenza femminile, predestinate, quasi per un magico destino intergenerazionale, a restare sole e vittime di loro stesse. Riproducono e restano intrappolate in dinamiche relazionali arcaiche di matrice genitoriale e disfunzionali che oramai mettono in atto in modo automatico e inconsapevolmente, con la speranza di incorrere in qualche modalità affettiva riparativa compensativa.
Ma nella realtà tutto cambia, il modo di relazionarsi all ‘altro affettivo, difficilmente permetterà loro, che si concretizzi una relazione che vada a sanare il trauma redazionale antico e ferito condizionato prevalentemente da assenze parentali significamente comunicative, tali da procreare sofferenze e ingenerare relazioni superficiali in quanto emozionalmente superficiali tale da permettere l’ evitamento delle sofferenze. In realtà pensano di riuscire a farlo all’ interno delle nuove relazioni, ma hanno difficoltà a capire in profondità sia se stessi che l’ altro, in quanto molto coinvolti in tali dinamiche arcaiche.
La selezione dei partner, relazionali o sessuali, è spesso altamente inappropriata. Mi nutro alla tua fonte, linfa che dai vigore, ispiri in me potenza, il mio energevit che come un tetrapak lo premo e poi lo butto via.
Qualora qualcuno dovesse riuscire a penetrare la barriera e il senso di angoscia legato alle proprie sensazioni di essere dipendente a qualcuno , allora, rappresenterebbe la chiave d’ accesso per l’ apertura all’ eventuale salvatore che lo condurrebbe dai limiti delle sue dipendenze alla eventuale liberazione.
Ma il solo tentativo di accesso, del designato salvatore, mette in condizione di retrocedere come un granchio, perché il sol toccare o rimembrare emozioni troppo forti, spinge a un ritiro protettivo e narcisistico. Come un’ ostrica che che si ritira, nel tentativo di custodire la sua unica perla preziosa, e proteggere il proprio affetto atavicamente ferito che piange dal passato.
Il meccanismo protettivo che ne consegue, autoconvince che, basto a me stessa, e gli altri affettivi che tentano di accedere a me, e le emozioni che ne conseguono, sono pericolose, perché alla fine ne divento loro vittima, da sentire tutto il loro dolore, tale che poi sarebbero loro a controllare me e non il contrario.
Si tratta di persone iper emotive, alla ricerca di attenzioni reiterate. Esse includono una capacità di seduzione smisurata e inappropriata con un bisogno eccessivo di approvazioni e conferme con una repentina e rapida fuoriuscita dalla scena temuta: la relazione affettiva.
La dinamica relazionale si basa sul catturare l’altro fino a fargli perdere il controllo, attraverso la messa in atto di riti e miti seduttivi che non si completano quasi mai in atto sessuale vero e proprio o in relazione continuata o in relazioni contate.
Per l’ istrionico qualsiasi relazione è già finita, perché la proiezione rimbalza sempre al passato.
L’obiettivo è solo quello di raggiungere il controllo delle emozioni, perché le emozioni, dal loro esordio, seducono e fanno molto male, per la rievocazione delle assenze arcaiche di figure parentali. In tal senso la tanto attesa ed attraente emozione, induce il suo stesso rifiuto, adducendo giustificazioni, come quello della noia, come una mera superficiale giustificazione, atta al non voler approfondire la sensazione di sofferenza, da attivare la fuga e la confusione.
La chiusura poi diviene seduttiva per il salvatore, tale da possederlo, da permettergli di vivere quel partner ancora più in senso misterioso e attraente per il suo rifiuto. Si realizza ancora e allora una vera e propria affascinante follia logorante .La caratteristica preponderante dell’ istrionica, è il suo inesorabile potere seduttivo.
Essa è il genio del controllo, perché è il controllo che la salva dalle sue stesse emozioni, monitorando e stoppando quelle altrui, se controllo sono salva, se mi coinvolgo, sono infestata.
In tal senso una storia iniziata, quanto più ricca è di emozioni, è già tanto finita, quanto più è distaccata emotivamente, tanto più è duratura.
In tal senso ci si illude di ricevere affetto fisico, senza coinvolgimento emotivo in modo molto duraturo, attraverso relazioni sessuali de-emotivati.Solo così, con una fisicità de-emotivata si sostengono relazioni più durature tenendo l’ altro sotto controllo emozionale e preservandosi dal fallimento relazionale, tentando di lasciare sempre più vuota la storia dai coinvolgimenti mentali: relazioni senza testa, senza cuore, perché sono gli organi più ammalati e doloranti.
La capacità di mantenere rapporti sessuali multipli, molto spesso è determinata dalle caratteristiche di personalità, ossia avere più rapporti sessuali e relazionali contemporaneamente, non permette un vero legame, entrare in relazione superficialmente con tanti in realtà è restare con nessuno, perché l’ intento più importante non è realizzare la relazione in se, ma difendersi dai legami . Isolare le emozioni significa non potersi concedere l’ opportunità di mentalizzare una relazione, a vantaggio delle solo esperienze corporee.
Nell’ istrionico è presente un tratto schizoide come tendenza alla separatezza e distanza tra sessualità ed affetti . Spesso, sono persone che hanno subito molestie o abusi o che hanno fatto da confidente per uno dei due coniugi. Un dilemma che descrive bene questa dinamica è quella dei porcospini di Schopenhauer che descrive benissimo la tragicità e la disperazione di molte relazioni infelici.
Si cerca l’altro per la propria solitudine, ma quando si scoprono gli aculei lo si lascia, perchè si cercava solo di vincere il freddo della propria solitudine. L’ autoerotismo coatto riscalda il senso di solitudine.Conclusa una storia, ricomincia la ricerca di un’altra, in un continuo illudersi e disilludersi che abbatte la speranza e infiacchisce la capacità di legarsi.
Non è possibile amare senza fare e farsi male, come i porcospini della favola di Schopehauer, che d’inverno si stringono l’un l’altro per trovare calore, ma poi si ritraggono per evitare gli aculei dei propri simili. E’ una metafora perfetta della vita sentimentale di noi esseri umani, che ci dibattiamo fra il dolore del coinvolgimento e l’isolamento dell’amore. Indecisi tra il calore e il gelo, tra la fiducia e la sfiducia reciproche, non volendo o non potendo togliersi gli aculei ( o intimoriti dall’ipotesi che un’eventuale perdita di essi li renda ulteriormente vulnerabili ), gli uomini si accontentano perciò di rapporti tiepidi ed indifferenti con i loro simili, poco radicati nella loro intimità, e destinati pertanto al fallimento.
Forse il porcospino dovrebbe voler scaldare l’altro prima che se stesso e accettare gli aculei che lo feriranno. Darà calore e si scoprirà di riceverne.
Gradualmente aiuterà l’altro a smussare le punte e a trovare le giuste misure per amarsi, senza ferirsi troppo, perchè in amore forse ferirsi è inevitabile.
Dedicato a tutti coloro che “fumano” per produrre cenere e a coloro che osano amarsi e farsi male tra gli aculei.
giorgio burdi

Settimanale Psicologo Roma : CONDIZIONATI DAGLI AVI
La vera libertà, sarebbe quella dall’ albero genealogico.
Condizionati dagli Avi
La vera libertà, sarebbe quella dall’ albero genealogico.
Nell’immaginario collettivo un individuo libero è colui che agisce secondo istinto, senza remore, che vive a ruota libera, viaggia, non ha legami, è deresponsabilizzato da tutto.
L’archetipo, ovvero l’immagine mentale collettiva, che rappresenta la libertà è quella del “cercatore”, colui che spinto dalla curiosità, dal desiderio di autonomia, dal coraggio, dall’insofferenza verso l’ordinario ed il solito, dal rischio, è sempre alla ricerca di nuovi significati e il suo spirito della ricerca emerge quando si sente alienato e prigioniero.
Ad oltrepassare le definizioni comuni del concetto di libertà e a cercare di esplorare il vero significato è stata l’analista Schutzenberger, psicoterapeuta di gruppo e psicodrammatista di fama internazionale.
Il concetto di libertà è da lei collegato al concetto di intergenerazionale, che si riferisce alle dinamiche e legami invisibili tra antenati.
Infatti, la Schutzenberger nel libro “Il piacere di vivere” evidenzia come la vera libertà, che ognuno di noi possiede, faccia riferimento al ripetere
inconsciamente o consciamente o ancora al sapersi distanziare da cio’ che è stato fatto o non fatto dai propri antenati ( genitori, nonni, bisnonni etc.), ma in tutto questo è importante capire la propria storia e in che contesto questa si inserisce.
E’ in quest’ ottica che la creatrice della psicogenealogia, approccio che studia l’influenza dell’albero genealogico sulla vita di una persona , sottolinea come per essere liberi nel senso piu’ profondo del termine è necessario pulire il proprio albero genealogico.
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CHI SOFFRE E’ PROFONDO E CHI HA DESIDERIO E’ VIVO
la pacca sulla spalla è il peggior biasimo che si possa ricevere
Chi soffre è profondo e chi ha voglia è vivo.
la pacca sulla spalla è il peggior biasimo che si possa ricevere.
Chi ristagna nella propria sofferenza ricava poco profitto, diventa il suo stesso peggior nemico, da inimicarsi il mondo è vittima di se e delle sue situazioni. E’ un lamentoso che fa della sua nenia il suo maggior vantaggio, perchè la lamentela gli rende pietosi benefici.
Il dolorante, è come un’ acqua stagnante che dopo poco puzza, ti infetta perché infestato dal suo collezionismo di fallimenti e cattivi ricordi e pensieri pessimistici contaminanti.Il vittimismo è la prova della resa, è il compiacimento per gli altri,è il biasimo di se. Di vittimismo si soffre di più, che della sofferenza subita.
Il vittimista compie un salto di qualità oltre al suo dolore, si fa per dire, sa anche umiliarsi e farsi compatire.Il dolore umiliato cerca la compassione, cerca il suo balsamo affettivo ed una consolazione effimera, che trova giusto il tempo che trova, è la così detta pacca sulla spalla.
Ecco, la pacca sulla spalla rappresenta il peggior biasimo ricevuto, attenzione, in quel momento, a nessuno interessa del tuo dolore, specialmente se dice, peccato.In tale direzione lo scopo del dolore diviene quello di ricercare un consenso e un riconoscimento subdolo.Siamo depressi per cercare affetto, è poco vero il contrario, cioè chi non ha affetto è depresso.
Si può trasformare il dolore ? In autocommiserazione, che è la forma masochistica più edonistica per eccellenza, oppure modellandolo come un pongo di plastilina per farne una cosa bella e sublime.
La sofferenza è una sfida, quella di proporci di stare li o di non starci, è una sfida per cambiare.E’ una spinta verso il cambiamento, una doglia per nascere, l’ inverosimile e il contrario dell’ autocommiserazione.
La sofferenza stimola la voglia.Se il dolore venisse accolto, come una energia propellente, a vantaggio del cambiamento, diventerebbe profondità e creatività.Chi soffre è profondo se lì non ci vuole restare, se oltre il buio, fa di tutto per scorgere la luce, se dal suo Thanatos solletica e sollecita, con energia e caparbietà, il suo Eros, la sua pulsione di vita, la sua Voglia.
Il dolore, se isola, lascia l’ illusione di sentirsi migliori degli altri, col risultato di sentirsi peggio, perché gli altri prima o poi ti mollano.La sofferenza ha senso nell’ ottica del suo superamento, nello sforzo di uscirne, di percorrere tutto il tunnel, perché è certo, che oltre esso c’è l’ aria, colori e ossigeno. Non ci potrà mai essere il superamento della sofferenza senza che la si attraversi tutta o senza che ce ne si prenda cura.
L’ abbraccio del dolore, la lotta contro l’inerzia del movimento controvento, la mancanza di respiro, l’ affanno col senso di fatica, sono i tutti segni di chi ha voglia, il vettore progettuale di realizzazioni intelligenti e profonde.
Dedicato a tutti coloro che soffrono, e che della sofferenza non riescono a farne mai a meno, pur volendone, compreso me, perché in essa si trovi l’occasione per cambiare e migliorarsi sempre.
giorgio burdi

LE MANIPOLAZIONI AFFETTIVE
Manipolare un affetto è violarlo renderlo svuotato .
Le manipolazioni, come manovre psicologiche agite su un soggetto o su un pubblico piu’ o meno vasto, possono essere di vario tipo, da quelle socioeconomiche a quelle affettive, queste ultime sono agite attraverso canali verbali paralinguistici e corporei.
Un esempio di grande manipolatrice affettiva, nota a molti, è Filumena Marturano, protagonista di una delle commedie di E. De Filippo.
La differenza tra il primo tipo di manipolazione su indicata ed il secondo tipo di manipolazione è riscontrabile nella presenza di un pubblico nel primo caso, che invece è assente nel secondo .
Cio’ significa che il manipolatore affettivo si serve solo della vittima ed evita di coinvolgere un terzo o un pubblico in modo da non smascherare la sua manipolazione che viene agita in privato e che punta sull’emozione della vergogna.
Tendenzialmente la manipolazione ha effetto sulle personalità dipendenti affettive che pertanto colludono nella dinamica.
Se i manipolatori sono narcisisti aggressivi/passivi e talvolta perversi, le vittime possono essere narcisisti per difetto, cio’ significa che hanno bassa autostima, elemento su cui il manipolatore punta, attraverso un isolamento, il creare il vuoto intorno, attraverso lo screditare la vittima, e l’assenza di testimoni cosi’ che la vittima inizia a star male fisicamente e psicologicamente fino al crollo totale.
Il manipolatore affettivo considera le sue vittime come delle sagome senza cervello e in quest’ottica inizia ,con diverse manovre, a minarne l’autostima soprattutto a partire da momenti delicati come il matrimonio, la convivenza o la nascita dei figli.
Nel caso di manipolatori uomini, l’origine di questo atteggiamento puo’ essere ritrovato nel rapporto con la figura materna, manipolatrice per eccellenza, che avendo distrutto il figlio creerà in lui il desiderio di cercare un indennizzo con la figura femminile tenendo a ricreare la dinamica.
Al termine di questa manovra portata avanti per lungo tempo, chi avverte l’esigenza di andare in terapia è proprio la persona che rischia di essere distrutta: la vittima.
Da non confondere con la manipolazione affettiva, i reali innamoramenti occasionali solo determinati dal tempo e che lascerebbero erroneamente intendere con la fine dei sentimenti, una manipolazione affettiva inesistente.
Uscire dalla manipolazione si puo’ con la messa in discussione in gruppo della situazione vissuta.
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Settimanale Psicologo Roma : CHI NON SA RIDERE, NON E’ UNA PERSONA SERIA
Se ridi, ti esplode l’intelligenza a crepa pelle.
Chi non sa ridere, non è una persona seria.
Se ridi, ti esplode l’intelligenza a crepa pelle.
Solitamente chi ride verrebbe annoverato tra le persone prive di problematiche, tra chi “avrebbe la testa fresca” o è semplicemente sarebbe più spensierato . Non è esattamente così. È risaputo invece che i più grandi comici, che hanno grandi intuizioni sceniche, celano una loro profonda tristezza di fondo.
La risata rappresenta l’ anti zavorra, la riserva del carburante, la gobba del cammello con la sua riserva d’acqua per affrontare il deserto, l’ accumulatore della batteria, la dispensa in cucina per preparare almeno uno spaghetto, numero otto, veloce, è una grigliata scotta dito con un calice di negramaro.
La risata rappresenta la riserva antidepressiva, è endorfina e catecolamina, il modo migliore per curare i proprio umore e coccolarsi.
La risata non è solo una questione di barzellette o buon umore per chi è beato a possederla, va ricercata con decisione, se diventa stile, atteggiamento, ci tutela dal pessimismo, ci immette più soluzioni e slanci pirotecnici rispetto al guardare semplicemente al problema isolatamente.
La risata rappresenta l’ estensione del se dai propri limiti, l’ aereo con le ali, lo spaghetto aglio olio e peperoncino, il turbo del motore, la fibra ottica che spara luce e fa esplodere e illumina l’ umore.
La risata è l’ estensione del sapore della vita.Chi non ride è spento, è freddo e distaccato, è un gelato senza cialda, è una mortadella senza pistacchio o senza un panino caldo e croccante, è una parmigiana senza frittura, una pizza senza massa, una margherita senza regina, una caprese senza bufala, una limonata senza lingua…. per assaporarla.
Chi non ride, non è serio, perché la vita la prende conto vento, non dispiega mai le vele, non chiude i boccaporti, non salpa mai l’ancora. Chi non ride è gestito dal problema, non organizza i propri progetti, si affoga in impegni inutili, non ha consapevolezza del proprio spazio e del proprio tempo che perde.
Chi ride gestisce i problemi, li prende a se per risolverli, perché la risata è quell’ intelligenza che permette la danza, di prendere la giusta distanza dalle cose per avvivinarsi di più alle risposte che cerca.Ridi se vuoi che l’intelligenza esploda in te.
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : MBSR E LA RIDUZIONE DELLO STRESS
Lo stress e la trappola dei giudizi automatici.
Settimanale Psicologo Roma :
MBSR E LA RIDUZIONE DELLO STRESS
Lo stress e la trappola dei giudizi automatici.
I fenomeni di ansia e stress prendono spesso origine dalla valutazione di una situazione e delle nostre risorse per gestirla, per cui le nostre risorse ci sembrano inadeguate.
Benché non ce ne rendiamo conto, queste valutazioni sono solo parzialmente legate alla realtà oggettiva, ma dipendono anche molto da associazioni mentali e condizionamenti radicati che hanno a che fare con il nostro vissuto particolare.
Puo’ essere molto utile, in un percorso mirato alla riduzione dello stress, imparare a monitorare i criteri di valutazione che utilizziamo, attraverso un allenamento quotidiano, un lavoro di introspezione mirato a smascherare tutti quei giudizi automatici, ai quali ci identifichiamo e che spesso scambiamo per la realtà. Questi giudizi automatici infatti, limitano il nostro campo visivo e non ci permettono di vedere l’ampio spettro di soluzioni e di risorse che potremmo avere di fronte ad una data situazione.
Imparare ad osservare, quando, quanto e come giudichiamo puo’ essere un punto di partenza verso una visione della realtà e di noi stessi piu’ ricca, piu’ articolata e in cui il nostro margine di libertà, di fronte ad una situazione oggettivamente o potenzialmente stressante, è piu’ ampio.
Dott.ssa Laura C.
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