
settimanale Psicologo Roma : Nymphomaniac
Interpretazione psicodinamica al film di L Von Trier
La ninfomania nella personalità narcisistica. Una interpretazione psicodinamica al film di L. Von Trier.
Quello che da un punto di vista cinematografico rappresenta un capolavoro, dal punto di vista psicodinamico evidenzia un profondo disagio emotivo.
Stiamo parlando del film Nymphomaniac, volume I e II, in questi giorni presenti nelle sale cinematografiche.
La protagonista è una ninfomane che passa la sua esistenza nella costante e reiterata ricerca di un oggetto sessuale per soddisfare apparentemente i suoi soggettivi bisogni pulsionali .
In realtà, alla base del comportamento della protagonista vi è un orientamento narcisistico all’erotizzazione del sé e delle relazioni, finalizzato all’acquisizione di figure esterne ed interne tali da poter stimolare e soddisfare solo superficialmente il bisogno oggettuale con una marcata rinuncia all’interiorizaino di contenuti emotivi.
Così come ben rappresentato nel film, soprattutto nella prima parte, la spinta verso l’altro rappresenta una seduzione dell’oggetto, decentrato dal soggetto empatico, divenuto solo strumentale e di compiacimento.
Vi è un’incapacità di coinvolgimento a livello profondo ed una sessualità da salumeria.
In tale ottica, la stimolazione è superficiale svuotante e corporea, è temporanea che necessita di una continua sollecitazione, sia sul piano dell’ autoerotismo che da parte di altri sogfetti compulsivi.
Quindi nella scelta reiterata dell’oggetto sessuale, Charlotte sperimenta prevslentemente quel compiacimento, nel tentativo di alleviare il dolore che non è in grado di affrontare e che maschera con il ricorso ad un piacere divenuto automatico e vilente non in grado di soffocare il dolore depressivo.
Ciò che agisce la protagonista è un uso difensivo della sessualità che trova la sua origine nella relazione patogena con la madre che è stata a suo tempo insensibile verso le sue richieste emotive, pur iperstimolando la figlia stessa.
Un altro elemento importante che può essere osservato nel volume II del film, è la mancanza dell’orgasmo nella relazione con l’amante.
L’orgasmo per la protagonista rappresenta contemporaneamente la definizione del sé e l’annullamento del sé, ecco come mai in tale occasione viene evitato, in realtà, per difendersi da eventuali coinvolgimenti affettivi.
Una sessualità così agita consente di alleviare il dolore psichico permettendo un’alta stima di sé, una sorta di difesa dalle relazioni coinvolte.
Charlotte, nel reiterare la forma eccitatoria sospende lo spazio/tempo, elemento strettamente collegato ai disagi e sofferenze, dove la sensazione di piacere resta la presenza costante compensativa di una esistenti dolorante.
Il mondo ideale che la protagonista si è creata, è caratterizzato dall’isolamento rispetto alle relazioni con, colmo di una soddisfazione egoica che non permette di lasciarla andare nel raggiungimento del culmine del piacere organico.
La pericolosità percepita nel raggiungimento dello stato totale di benessere equivale per Charlotte alla ferita narcisistica di affrontare ed integrare il vivificatore, un oggetto psichico emozionale che permetta l’apertura della mente verso l’esterno e verso il contatto relazionale.
Alessia Potere
Psicologa

settimanale Psicologo Roma : IL REIKI
La guarigione spirituale e corporea dall’ universo
IL REIKI : L’ energia universale nell’ energia individiale
La guarigione spirituale e corporea dall’ universo
L’ oriente ci offre tecniche di meditazione tali da acquisire o aumentare la consapevolezza della propria esperienza cognitiva fatta di pensieri, sensitivá, fatta di emozioni e sensazioni, impulsivá, fatta di azioni.
La meditazione se ben praticata permette di focalizzarsi sul qui ed ora per ridurre o risolvere la sofferenza interiore e raggiungere l’accettazione di sé e favorire la crescita personale.
Una delle discipline più in voga è il Reiki, di origine giapponese, praticata per favorire il risveglio dello spirito attraverso la canalizzazione dell’energia attraverso le mani di chi la agisce con vogliano la dall’ universo.
In tal modo viene favorito un riequilibrio energetico nella persona con blocchi psicologici e fisici.
Alla base c’è la consapevolezza che siamo fatti di materia ed energia così come è fatto l’universo con il quale siamo in comunione cosmica.
In ognuno di noi secondo le antiche discipline orientali sono presenti dei punti focali di energia, che se allineati consentono di sperimentare il benessere psico-fisico, se questi centri energetici sono in squilibrio avvertiamo irrequietezza e instabilità, ciò significa che l’energia vitale non fluisce regolarmente nel nostro corpo dal cosmo.
Ritrovando l’equilibrio si raggiunge una guarigione spirituale con allineamenti benefici anche per il corpo e l’ immenso.
Attraverso il Reiki vengono attivate quelle fonti energetiche che ci rendono vitali e positivi tali che le sofferenze e le malattie possono essere ridotte allontanandoci dalla errata concezione che siamo separati dal cosmo.
Secondo il Reiki ci sono 7 centri energetici, dislocati dalla testa alla parte inferiore del corpo.
Siamo immersi in campi magnetici che interagiscono con altri campi magnetici cosmogonici che andrebbero riattivati.
Se il nostro campo interagisce con influenze negative come l’ ostilità, l’ invidia, l’ odio, la rabbia, ne subiamo l’ influenza, il nostro corpo assorbe e le agisce in sintomi poiché non riesce a filtrarle. Il cosmo fungerebbe da schermo e da riattivato re energetico.
Ecco perché attraverso questa disciplina si rafforza il corpo stimolando il risveglio spirituale e l’ unitá corpo spirito ed universo che sono un tuttuno.
alessia potere
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settimanale Psicologo Roma : CONTRO GLI ATTACCHI DI PANICO, LITIGA
Madrite e padrite; Chi non litiga soccombe e chi trattiene si ammala
Contro gli attacchi di panico, litiga.
“Madrite e padrite” : Chi non litiga soccombe e chi trattiene si ammala.
Chi litiga accetta la chiarezza, chi scappa induce confusione.
Che tipo di uomo sei ?Sei un Uomo spugna, duro o impermeabile?
Cammini sui pezzi di vetro, o le tante scarpe che hai sono tutte strette ?
Affronti a poppa la tempesta o ti lasci rimorchiare da prua ?
Attendi l’ iniziativa altrui , ti lasci trainare o attendi che ti suoni il campanello o il trillo del telefono che ti strattoni fuori di casa ?
Che razza di uomo sei, se cogli la debolezza altrui per raccogliere le tue energie, oppure l’ amore per lei è tale che metti da parte la tua per la sua serenità.
Che uomo sei, se ti nascondi nella menzogna e permetti che si smarriscano nelle paure che induci ?
È faticoso essere uomini sinceri, onesti, rispettosi degli oggetti e sentimenti altrui, prevede la presa in carico continua del conflitto.
L’ onestà mentale costa fatica, enorme conflitto.Poter essere se stessi è molto oneroso, ci si confronta sempre col conflitto, ma ne vale la pena.
La diversità impone sempre il conflitto, é l’ indesiderato necessario compagno di viaggio, è una malattia sociale, è la sua specifica natura, bisogna esserne più che convinti per poter vivere meglio, che esiste a prescindere.
Omettere ciò equivale ad essere inadeguati e disadattati.Non voler conflitti significa non voler nascere e pertanto crescere.
È necessario crescere naturalmente nell’ ottica del condottiero lottatore.
Genitori molto protettivi o assenti disabilitano l’ adulto alla lotta, alla costruzione della temperanza e della propria forza.
Genitori protettivi forti o trasparenti, generano figli deboli, mollicci, malati da infiammazione e irritazione genitoriale.
La “madrite” o la “padrite” sono tra le infiammazioni auto immuni più debilitanti delle funzioni e competenze sociali.
Un uomo che affronta la vita a muso duro ha un genitore che parla, cura, vive e lascia vivere, non invita ad evitare, non disdegna il confronto, il dolore e il conflitto, possiede gli anticorpi e fa si che si riproducano perché si faccia spazio nella vita.
Sa che nulla gli è dovuto, ma fa della sua meta un obiettivo tutto da difendere e da raggiungere e come un gladiatore nell’ arena della sua esistenza lotta perché lo raggiunga.
Il conflitto è l evidenza della convivenza tra diversi , ed esso impone il confronto e inevitabilmente il litigio.
Il litigio è indispensabile, rappresenta la contrattualità tra istanze differenti.
Chi litiga accetta la chiarezza, chi scappa lo genera e induce confusione.
Chi non litiga soccombe e chi si trattiene si ammala.
Cerca le tue situazioni appese ad un filo e prenditene cura.Ti auto immunizzi se litighi, la chiarezza è serenità ed igiene mentale.
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : IL RITARDATARIO
Padrone del tempo altrui, poco del proprio
Il Ritardatario
Padrone del tempo altrui, poco del proprio
A che ora ci vediamo ? Ti va di incontrarci ? Non vedo l’ ora, è la più elevata espressione tra due che desiderano far coincidere le loro attrazioni speculari.
Una coincidenza spazio temporale di due eventi in un incontro. Un punto per due in un tempo limitatamente infinito.
Nell’ attrazione tutto coincide, è sintonico, in assenza, il punto e il tempo diventano per i due, asincroni, quasi inesistenti, più ridondante nella relazione affettiva.
Nella realtà esistono due punti lontani e due fusi orari differenti, ognuno ha il suo e la sua allocazione esperienziale distante.
La diversità è lontananza, è figlia del ritmo del pensiero e della vita divergente di ognuno.
Per contro, l’ attrazione e gli interessi sono il motore della coincidenza.
La coincidenza dei tempi e degli spazi, in una convivenza, allontana, ma viene recuperata nel continuo recupero degli spazi e dei tempi singoli soggettivi.
La dimensione Relazionale esiste sulla base di questa danza tra io prima, tu poi, noi in fondo.
Il desiderio del noi non può anticipare la dimensione individuale, così come l’individuale non sopravvive a discapito del noi.
Il ritardatario è colui che ha perso la sensazione di se, avverte di essere inserito in un noi impositivo, sempre onnipresente, dal quale prende le sue distanze ritardando in modo coattivo per tentare di recuperare il proprio se.
Il ritardatario tarda perché possiede un sottile senso di onnipotenza, pensa sempre di farcela, mai è troppo tardi.Diviene padrone e manipolatore del tempo altrui, ma di fatto lo è poco del proprio.
Il ritardo è un atto mancato, una scala senza fine, una resistenza al noi, la proclamazione di un disagio non esplicitamente ammissibile, è una paura, un no taciuto o un malessere latente.
Ritarda chi è stanco, se premonisce una gap, se è saturato da un target di relazioni stressanti ritenute vuote o se è solo svuotato di se, resiste al tempo dell’ incontro, è convinto sempre di poter recuperare il tempo andato, perchè di fatto di tempo ne ha perso, ma il vero tempo che perde nel presente è esattamente solo il suo.
La sfera dell’ incontro espande il se, non rappresenta mai una perdita se ognuno è presente a se stesso.
Il noi, è sempre una risorsa, ma solo se ognuno è risolto ed è inserito nel proprio soddisfatto presente.
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : L’ ISTRIONICO
Il corpo urla ciò che la mente soffoca
Persone iperemotive, scaltre, intelligenti, misteriose, complesse, alla ricerca di attenzioni reimpostate. Includono una capacità di seduzione smisurata sincera e a volte manipolativa, travolgente in termini affettivi e sessuali, attraverso un bisogno eccessivo di continue approvazioni e conferme di presenza affettiva, compensative di aspetti abbandonici, seguita poi da una repentina e rapida fuoriuscita dalla scena emotiva temuta, ribaltando l’ altrui coinvolgimento come molesto.
E’ come raggiungere l’ olimpo, in un fascino seduttivo, insinuarsi, piazzarsi, ramificarsi, poi ridurre ai propri processi antichi di diffidenza e di tradimento acquisiti, confermare le mendaci ipotesi, giustificare, attuare la rapida fuoriuscita di scena, distruggere e colpevolizzare l’ interlocutore trasformato come causa dei propri mali presenti e passati.
Uno scempio psicodinamico delle relazioni dal passato ad un presente mai presente.
L’ istrionico ha la tendenza a sfuggire di continuo e a distruggere ciò che ha edificato, perchè diviene elevato e insopportabile il potere tensivo emotivo che pensa di non poter contenere, lo avverte come esplosivo magmatico dentro la propria mente e attraverso il proprio corpo.
Sfugge perchè non sopporta come la vita riporti in essere identici meccanismi di sempre, tali che gli altri sembre rebbi essere tutti simmetrici e tutti uguali.
Nel processo del continuo allontanamento dell’ altro molesto, sembra che molti altri siano di fatto una sola ed unica persona, trattata nella stessa maniera, la colpa è sempre unicamente dell’ altro e l’interessato è semplicemente una vittima.
Il vero molesto nella sua vita c’è realmente stato, ma a conclusione di un processo presente, del quale il vero regista è l’ istrionico, i molesti lo diventano tanti altri.
Ma la soluzione è fermarsi non continuare a scappare, specie se il processo sembra essere compiuto, diventa il momento giusto per analizzare ed approfondire un tale processo così evidentemente esternato.
Gli eventi non capitano mai a caso, per chi li sa cogliere, e solo chi li sa cogliere, li può al fine trattare, specie se ne è rimasto anche esso qualche volta vittima per amore.
giorgio burdi

Settimanale Psicologo Roma : LO SNIFFING
Un viaggio in caduta libera, vado più in alto, poi mi schianto e mi rifaccio per ritrovare il volo
LO SNIFFING
Viaggio più in alto, poi mi schianto e mi rifaccio per ritrovare la normalità
Il consumo di cocaina e la conseguente dipendenza è un fenomeno non altamente diffuso ma a dir poco devastante.Il suo consumo si è abbassato alla soglia degli 11 , 12 anni. Abitudinali non sono solo i giovani quanto anche gli adulti, alcuni dei quali devono sostenere ore di lavoro estenuanti soprattutto per riuscire a fare gli straordinari lavorativi e guadagnare qualche soldo in piu.
Sniffare cocaina è ormai un rituale collettivo consumato in ambienti considerati isole del piacere. Dove ci sono gli altri, c’è cocaina.
Le code nei bagni delle scuole, delle discoteche e i cosiddetti coca party, testimoniano la compulsione, insieme alla ricerca e al consumo in gruppo di questa sostanza psicoattiva per raggiungere lo sballo.
Il tramite è sempre l’ altro col quale essere complice e trainato. Si inizia al solito col bere, mi stono, mi sballo.
Se non ci fosse l’ altro, si spezzerebbe il meccanismo. Insieme è lecito, da solo connetto.
Parimenti se non ci fosse alcool sarebbe molto più complicato la spinta al seguito.
Si inizia con un fremito di piacere alla sola vista degli oggetti associativi al consumo, per poi provare euforia, sensazione di sollievo e del centro dell’ universo .
Dopo le prime volte, il consumatore di cocaina inizia ad avvertire la necessità di incrementare per ottenere l’ effetto precedente e nel momento in cui l’accesso al consumo non è possibile, impatta con la depressione e il malessere fisico.
La cocaina, così come per le altre droghe, compromette nel tempo, determinismo psichico, neuroni, finanze e rapporti sociali. Una vera e propria tagliola.
Perchè non si è in grado di controllare l’ impulso al consumo ?
Tutte le sostanze d’abuso attivano il rilascio di dopamina, il neuro-trasmettitore del piacere, cosí la scarica dopaminergica induce euforia e media l’ appagamento iniziale ed il successivo rinforzo.
Nel tempo, con il continuo consumo, avvengono delle alterazioni graduali nei circuiti neuronali cerebrali della gratificazione: ha origine l’ addiction.
Paradossalmente l’ uso frequente della droga sopprime alcune parti del circuito cerebrale della gratificazione e del piacere.
Sebbene la dipendenza da cocaina sia difficile da trattare, perchè il consumo di droga altera a livello neurochimico, i circuiti del reward, per tentare di uscirne, sarebbe opportuno:
1 non associarsi nella complicità
2 non bere prima dell’ opportunità del consumo
3 lottare contro la menzogna
4 fare una seria psicoterapia, ciò che il cocainomane farebbe a singhiozzo.
Indirizzarsi verso una psicoterapia del profondo che possa indagare i fattori psicologici, emotivi ed ambientali che colludono con il comportamento delle gratificazioni e delle dipendenze, riportando nel tempo più di prima il soggetto a ridiventare skipper della propria mente .
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : IL DISAGIO CI DA EQUILIBRIO
Tutto cio’ che non sale a livello di coscienza diventa il nostro destino
Il disagio ci da equilibrio.
Tutto ciò che non sale a livello di coscienza diventa il nostro destino
Attraverso i nostri disagi, che si manifestano nei diversi sintomi, noi permettiamo di integrarci ed interagire in modo da equilibrista con il mondo.
La malattia ci consente di attenuare quei fenomeni devastanti, evitandoci di cadere nel baratro più assoluto.
All’ interno delle nostre abitudini comportamentali di vita attiviamo dei veri e propri rituali esorcizzanti dei nostri malesseri.
Se non li attuassimo ci sentiremmo scompensati.
La loro messa in atto è liberatoria ed equilibrante, il solo trattenimento farebbe esplodere in noi il disagio.
In tal senso sarebbe molto difficile cambiare rotta e abitudini, come un granchio.
Manifestiamo passioni molto grandi per i nostri malesseri, a volte ne andiamo fieri, ne siamo affezionati perchè rappresentano la nostra dimora abituale.
Chi abita il disagio, difficilmente cambia casa. Insana affezione, ripetitore di sofferenze.
Attuiamo rituali comportamentali per lenire le tensioni e le angosce sottese che scompaiono e si riaffacciano come ad un appuntamento programmato.
A volte siamo talmente orgogliosi dei nostri stili di vita da intenderli anche come funzioni sociali.
Quanto più siamo identificati con certi rituali di comportamento, tanto più siamo confusi col nostro malessere, da mettere in moto nuovamente il rituale per lenirlo e ricominciare punto e da capo.
Il disagio è l’ asta dell’ equilibrista, il compensatore e l’ equilibratore tra il se e l’ altro e che prima o poi esplode.
Serve entrarci nel tunnel per uscirne, piuttosto che chiudersi sfuggire o girare i tacchi.
La grotta va visitata per scongiurare le sue paure e le sue angosce.
La passione per il disagio, può essere scongiurata dalla passione esplorativa di essa, affrontando con coraggio il senso di angoscia attanagliante e frenante, alla pari, va scongiurata con passioni simili o più grandi di esso, per poter attuare la metamorfosi.
Metticela tutta, non tirarTi mai indietro.
giorgio burdi
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RINASCERE
Dover rinunciare alle fragili abitudini Per l’ infinito che resta
Rinascere
Il tuo percorso
in una scia di erba,
Poi un tratturo,
una strada sterrata,
hai messo la ghiaia, con fatica battuta,
verso la tua autostrada
Vuoi andare lontano,
Non c’è orizzonte per Te,
è sempre così troppo irraggiungibile
Fai tutto da solo,
ti rimbocchi le maniche
dai tuoi geni alla tua strada
Che piano piano diventa afalto
dal sudore, al piccone
Scolpisci le pietre.
Monta muri a secco
La tua idea si fa progetto
testata d’ angolo
Dai forma alla malta
Impasta pensieri, ghiaia, estro,
sudore ed argilla
Si erge la torre
Incastra laterizi archi e capitelli
Sei Una labile idea
Che struttura un castello imperiale
quanta fatica
Dover rinunciare alle fragili abitudini
per l’ infinito che resta
Che diviene e trapassa l’ effimero
Ciò che è fatica, resta,
Vivere alla giornata angustia,
come La buccia secca perisce
La fatica rimane per una gioia infinita
Una scia di gioia finisce
er un botto di fuoco di paglia
A tutti coloro che edificano dentro,
Sarà roccia l’ edificio che è fuori,
perché si evolve chi cambia
non disdegna fa fatica
Riconosce i tuoi limiti.
non solo quelli degli altri.
commisera la povertà del proprio passato
e fa del proprio presente
la sua nuova vita,
la leggerezza della propria rinascita
AUGURI
giorgio burdi

Settimanale Psicologo Roma : TUTTI GENUFLESSI SU SUA MAESTA’ TELEFONINO
Il cellulare è lo specchio di noi, di ciò che abbiamo dentro
Tutti genuflessi su Sua Maestà Telefonino.
Il cellulare è lo specchio di noi, di ciò che abbiamo dentro.
Lungo i secoli non si è mai creato legame così tanto stretto con un oggetto, come il nostro col telefonino. Si pensi solo che gli dedichiamo un buon 40% del nostro tempo.
Gli riserviamo un posto così tanto privilegiato che è sempre con noi da non poterne più fare a meno. È la vera anima gemella, lo specchio di noi. CIó che abbiamo dentro, è tutto sul telefono.
Siamo tutti con la testa china, genuflessi sullo screen, in orazione ed adorazione della nuova religione telefonica.La telefonia è la nuova religione.
Non ci guardiamo più, per tre quarti della giornata, siamo in sua contemplazione, genuflessi al quinto potere delle lobby, sua maestà telefonia, non si sa se siamo stati comprati o venduti loro, non lo sapremo mai. Ci diranno che siamo solo noi dei liberi acquirenti. In realtà invece siamo prigionieri del 4 Reich, sottoposti, ad personam, a radiazioni di micro onde sostitute del gas nervino.
Incurante della privacy, squlla di continuo in tutti i luoghi, è l’ onnipresente, siamo intossicati dal suono e dalle microonde altrui. Come per il fumo sarebbe giusto avere zona telefonia e zona no, Il 50% della pubblicità è sulla telefonia e come se non bastasse il cell squilla ripetutamente per nuovi piani tariffari, mentre la sua qualità peggiora di giorno in giorno.
In realtà esso mira alla conquista del nuovo target . Per una telefonia dell’ infanzia, stanno ideando cellulari profumati al lecca lecca alla fragola e vanilia, con palloncini colorati a forma di Peppa Pig o Winnie Puh, parlanti che avrà per genitore Siri, che potrà rispondere a domande più impertinenti per agevolare genitori incapaci e nel loro intento poter formare un esercito di reclute programmate per i nuovi consumi. Un progetto fantastico, vero ?
L’ imperare di una nuova più subdola borghesia dittatoriale che alita le proprie trasmissioni elettromagnetiche e giunge attraverso l’ aria ai nuovi sudditi alienati e reverenti, tutti a testa china, file di ostinati predestinati ed obbedienti al direttorio del deus Operatore.
Siamo tutti imprigionati nel palmo di una mano.
Almeno abbiano raffinato l’ indice in movimenti rapidi, fini e dinamici.
Siamo lo speed del touch, ma anche lo slow delle interazioni sociali.
Il mondo sotto un polpastrello con le stelline dall’ apriti sesamo del genio della lampada. Finalmente abbiamo acquisito il potere di entrare nel mondo… ma quello tutto loro.
Col nostro indice sembreremmo padroni del mondo, almeno, vorrebbero farcelo credere, ma ci ritroviamo in sterminate schermate pubblicitarie imposte.
Altro che dittatura, un vero e proprio ministero capillare di Istruzione personalizzata, un Quarto potere occulto subliminale “for a close mind” .
I nostri recettori neuronali leggono immagini led, retina o oled, e tra un po 3D, allenati sulle palestre delle Appl , ci stiamo preparando nel disimparare il linguaggio della realtà e delle relazioni empiriche.Quando ci incontriamo siamo distratti, un gruppo di amici che non si guardano in faccia, ma ognuno automa, chino sul proprio terminale.
Non ci guardiamo più negli occhi, sempre in fuga, il nostro sguardo rivolto dentro di noi per cercare le parole da riportare sul qwerty, attraverso un irrefrenabile “aspetta che devo rispondere”.
Alimentazione di delusioni, dispiaceri discreti, ma subiti in modo quasi impotente, verso chi è fuso col suo telefono.
Mettiamo la realtà in standby tanto che lo standby diventerà realtà.
Una realtà ferma su un fotogramma ed un virtuale dinamico sempre più veloce al ritmo del suo ultimo chip set.
La cultura dello standby è la cultura della dipendenza e del coercitivo alla non consapevolezza, a non pensare, al non parlare, ma a dipendere compulsivamente da chi ha lo scopo di proporci prodotti mai richiesti
La telefonia fa da regista e da protagonista, noi semplici spettatori trainati e trattenuti volutamente in meccaniche mentali non desiderate.
Il protagonismo è godersi di persona la realtà scelta, e gli altri, di persona sono la realtà.
Godiamo la relazione in diretta, impariamo a guardarci negli occhi, li c’è l’ autenticità della nostra umanità,
impariamo a spegnere e a privarci un po’ del telefono per non privarci di noi, perché è bello guardare negli occhi una persona, accoglierla, ascoltarla e parlarle.
giorgio burdi
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Settimanale Psicologo Roma : LA CAPACITÀ DI APPARTENERSI
Come non rendersi dipendenti nelle relazioni amorose
La capacità di Appartenersi.
Come non rendersi dipendenti nelle relazioni amorose.
Nella relazione tra i due partner, ognuno è assorto e ascolta i propri pensieri, immersi nei prati della mente, ove ogni filo d’erba è una idea, una sensazione, un mondo di sogni Incantati o disincantati, non è necessariamente narcisistico.
L’ uno Assorto nella musica dei propri pensieri, scopre che da quando esiste l’ altro, immagina e ascolta solo lui, in un dialogo continuo interminabile con la propria mente e la sua Vita.
Il partner coinvolto, Vorrebbe provare a guardare il mondo con i pensieri e i sensi dell’altro: scopre l’ altro emisfero di se, affascinante e allo stesso tempo irrimediabilmente devastante.
In quel fascino che la rende regale, la spaventa la stabilità, i silenzi e la novità per la frenesia di essere sempre al Top delle proprie potenzialità, fa molta fatica doversi rilassare e spegnere lo switch, quasi obbligata sempre alla massima efficienza, il tranello di un loop, che smarrisce il fluire della spontaneità.
Ma per fare il pieno, si passa necessariamente da un vuoto, è un circolo continuo ripetibile all’ infinito di silenzi e parole, presenza assenza, solitudini ed incontri.
Ma il vuoto rende insofferenti, e mentre si fa il pieno, si rigenera il rilassamento che si fa nuovamente pieno.
Quando si sta bene è perché si riesce a fare il vuoto di pensieri, di persone, di passato, di futuro, a vantaggio del pieno del presente.
Ognuno, però, possiede pensieri devastanti, ha i suoi ritmi e i suoi luoghi intimi, il più delle volte non condivisibili, con le proprie aree indicibili e perverse, paralleli, con le proprie forme di tolleranza ed auto assoluzione, e che possono risultare per altri sconcertanti.
Il senso di appartenenza è non trascurare nulla di tutto questo, sapere che siamo fatti un po’ tutti così, e poter arrivare a condividere l’ indicibile, per poi scoprire che è di casa anche nel partner e che l’ unico scandalo sarebbe stato non ammettere la presenza di tutto ciò .
Domandiamoci se spesso non siamo struzzi e il livello della comunicazione e dell’ intimità e della partecipazione ad una storia siamo soltanto noi che lo poniamo.
Il senso di appartenenza è percepire l ‘altro come l’ estensione di se, un infinito fuori di noi, dal quale diviene complesso distogliere il proprio sguardo e il proprio pensiero . Per faro tutto ciò serve il coraggio di svelarsi, il non temere l’ altro, perché un tale timore quale intimità rivelerebbe ? E se poi non dovesse reggere, realizzeremmo che forse era una propria invenzione, non era alla propria portata, anticiperemmo la fine, senza troppe angosce protratte.
Certe storie reggono sul nascondimento, l’ atto di svelamento è un atto dovuto, piuttosto che lasciarsi solo permeare dai bisogni seduttivi e dalla magia sessuale perché la massima magia sessuale si realizza nel “mettersi a nudo” per davvero.
Ma noi sappiamo davvero con chi stiamo o scopriremo più avanti che sarà solo frutto delle nostre proiezioni ? E gli altri sanno davvero con chi stanno ? E se ci nascondiamo e nascondiamo verità intime assai importanti, ma di quale intimità stiamo parlando col partner ? Forse ci stiamo tutelando l’ amore per noi o l’ altro per se . Non può questo essere amore , ma fare narcisisticamente il proprio interesse , invece, quando ci si svela significa fare l’ interesse del noi e dell’ altro, anche nel pericolo di perderlo. Il più grande atto d’amore per se e per l’altro è metterlo e metterci in condizioni libere di poterci e poterlo perdere, ma nella verità.
La verità è il più grande atto di appartenenza e di amore.
Il senso di appartenenza è lasciarsi andare, è sentirsi a casa, è il fiore giallo nella natura, è voler adagiare se nell’ altro come in un nido, percepito come contenente comprensivo ed oceanico di se protettivo.
Il contrario dell’ appartenza è riservarsi.
Il limite al nostro infinito è la nostra arroganza e diffidenza, il nostro orgoglio e la nostra paura di metterci a nudo, è la nostra timorosa timidezza.
La riserva è limitante di questa fusione di infiniti a due.
Negli atti di pura evasione, l’ altro viene scaraventato oltre l’ uscio dell’ appartenenza ed il ripeterlo rappresenta l’ inizio di una fine pre impostata.
La non appartenenza è la non condivisione.
L’ appartenenza esiste quando ci si affida e ci si abbandona, non ci si trattiene, ci si fonde ma non confonde, mentre le riserve non trattengono le distanze, ma le supera nel desiderio.
Trattenersi all’ interno delle distanze è trattenersi sull’ uscio, un invito a pensare vai via.
Il senso di appartenersi è avere il coraggio di condividere, elisir dell’ autonomia, l’ antidoto contro la dipendenza
giorgio burdi
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