Settimanale Psicologo Roma : L ISTINTO È LA NOSTRA ANIMA
Per non demonizzare se stessa
L’ ISTINTO È LA NOSTRA ANIMA
Per non demonizzare se stessi.
ODE A ME STESSA
Vi siete mai sentite sole, perse, vuote?…Io si ed ho solo 22 anni.
Quando la vita ti mette dinnanzi a situazioni che ti privano della tua dignità, ti obbligano a metterla da parte per qualcuno o qualcosa che in realtà non ti ripagherà mai di nulla, è proprio lì in quel momento che tocchi il fondo e sfiori il “punto di rottura”.
Sì l’ho chiamato così quel momento in cui sei bloccata in un limbo, una strada senza via d’uscita (solo nella tua mente però)che non permette di riconoscerti più, ti guardi allo specchio e non sai più chi sei o cosa vuoi, o cosa cerchi dalla vita.
E’ proprio in quel momento che fai un bilancio lucido e razionale, o almeno ci provi,e impari a capire chi sei e cosa cerchi da te stessa e dagli altri recuperando quel sottile equilibrio che può essere spezzato.
Ripensi a quello che la vita ti ha dato, e a quanto potrà darti ancora. Ripensi al tuo stupido istinto che molte volte ti ha lasciata sola e ti ha costretta a mettere un punto e a dover ricominciare per la centunesima volta tutto daccapo. Ogni volta una sfida con te stessa, una tempesta nella tua fragile personalità che entra fortemente in crisi ogni qual volta si trova di fronte ad un duello settecentesco tra il puro istinto e la fredda razionalità che nella maggior parte dei casi cade sul freddo pavimento della tua anima dopo un solo colpo.
Ma cosa è l’istinto se non la nostra anima che ci parla? Perché reprimerlo? Siamo donne e in quanto tali la società ci spinge verso modelli e stereotipi bigotti, emulazioni di quello che sono le nostre madri, le nostre nonne, le donne che ci circondano e molte volte non vediamo di buon occhio chi ha il coraggio di assecondare il proprio istinto .. anzi la propria anima.
Per natura siamo esseri bisessuali, eppure la società o la nostra stessa mente ci ha portato a cancellare questo tratto o addirittura a reprimerlo, perche? Forse per paura di essere giudicati o forse perche in realtà non siamo in grado di accettare noi stesse e di guardarci allo specchio dicendoci:
“…siamo belle ,siamo sicure, siamo Complete, forse per paura di provare un’emozione più forte di quelle che generalmente riempiono le nostre giornate, eppure quel momento in cui cedi all’istinto è bello, è piacevole, è appagante ..ci si sente donne anche sole con noi stesse o con un’altra donna ..è paradossale? No non lo è … è reale!”
Quel bacio, quell’istante in cui senti lo stomaco aggrovigliarsi che porta tante belle sensazioni può accadere sia con una donna che con un uomo, perché negarlo! La sessualità non è e non deve essere un taboo. Guardarsi, curarsi, accarezzarsi, amarsi fa solo bene a noi stesse che iniziamo così a piacerci in quanto donne in quanto libere e forti. E forse per la prima volta nella vita potremmo finalmente dire: mi Amo ! .
Aurora
ContinuaLE PAROLE DINAMITE
La parola è uno speleologo
LE PAROLE DINAMITE La parola è una speleologa
Parole, parole, parole, suoni di vocali e consonanti stridule o melodiche, dai suoni ondulati o inceppati, sulla scia del tono di voce, sensuale, rauco o sfarfugliato, balbuzie di pensieri detti e non detti.
Si dice tanto per dire, mi è scappato, ho fatto un lapsus, non volevo dire questo, hai capito male, ma sei permalosa, esageri, dici cazzate, che belle parole, bla bla bla bla, ma sei connesso, parli a vanvera, che cazzo dici, mi riempi l’anima.
La parola è un veicolo di “virus” o di “antidoti” curativi, essa è la trasparenza dell’ anima, la rappresentazione del cosmo delle idee e del vissuto profondo.
La parola è la trappola designata del manipolatore con suoni fatti di pensieri, che attraverso toni e modi, conduce su prospettive e piani unidirezionali e alterati di relazioni non in relazione.
Il manipolatore è la causa dell’ alterazione dell’ autentico e della normalità, adopera parole ad elevato ph acido, commercializzate come ph basico, con effetti di conseguenti corrosioni corticali.
Se vuoi sapere cosa ha in testa, ascolta le sue parole attentamente e per non cadere nel’ inganno, osservalo, lo sgami.
La parola è l’ atto dell’ essere. Il comportamento, la sua edificazione.
Se non vuoi entrare in trappola, stacci tutto dentro all’ interno delle sue parole, ma solo per farle detonare.
Perché noi siamo gli estimatori della parola, gli appassionati di certi suoni, coloro che si attaccano ad esse, strateghi nell’ intercettare l’ ambiguo, il subdolo e l’ effimero.La parola è la nostra speleologa che ci conduce nei sotterranei della mente.
Le melodia delle parole, compongono il pentagramma di una relazione amorosa, curano e trasformano tra le sinapsi, le sintesi ormonali, gli attori della serenità chimica o delle nostre frustrazioni.
Quando la chimica è sballata, le parole sono un tritolo.
Fa attenzione a ciò che dici e molto di più a ciò che ascolti, perché il nostro è un incontro tra abissi di parole tremende e stupende.
Bisognerebbe imparare a sgrammaticare, riformulando la grammatica, usando codici differenti, linguaggi e segni da inventare, per poter capire profondamente l’uomo chi è, per uscire da determinati dallo scontato e dal’ ovvio.
Le parole dell’anima non hanno codici, non hanno grammatica, hanno suoni sensitivi e onomatopeici.
La nostra grammatica dei suoni è limitata per esprimere la sinfonia che siamo.
Riduciamo l’ uomo all’ al conosciuto, all’essenziale perché il conoscibile fa paura del fuori strada, di uscire da certi parametri.Profondamente sappiamo molto poco di lui, sismo spaventati dallo scandalo e le nostre parole restano così solo a metà.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : LA PAURA È UNA MEMORIA
Se riconosci le paure e le sue cause, decadono come le foglie
LA PAURA È SOLO UNA MEMORIA
La paura è un oggetto, una cosa con cui abbiamo avuto a che fare e che ricordiamo. La paura è la memoria di quell’oggetto. E il nostro presente viene continuamente condizionato da questo ricordo.
Se sono caduto dalla bicicletta facendomi male avrò paura di salirci perché il ricordo dell’andare in bici è un ricordo immagazzinato come negativo e la bicicletta a sua volta come un oggetto pericoloso che terrò a distanza. Ma quante cose vorremmo poter avvicinare nuovamente? Quanto cose vorremmo poter rivivere senza tutto quel timore?
Nella vita abbiamo sperimentato esperienze buone ed esperienze cattive. Ma tendiamo a ricordare soprattutto le seconde.
Ci sono poi delle paure (più correttamente dette angosce) che non hanno un oggetto diretto di riferimento; posso aver paura di volare senza che l’aereo preso in precedenza sia caduto, posso aver paura di guidare senza aver subito o causato incidenti, posso aver paura di mangiare alcune cose senza che queste mi abbiano fatto del male, posso aver paura di prendere l’ascensore e di fare una visita medica. La nostra mente spesso fornisce degli oggetti (o situazioni) sostitutivi da temere e allontanare.
Sostituisce esperienze emozionali con oggetti emozionali perché concreti, tangibili dove poter far confluire l’ansia, e ci troviamo ad avere paura di certe cose senza saperne la causa.
Se la paura è dunque la memoria di un’esperienza o tanto più spesso solo la sua idea, potremmo provare a sostituire i brutti ricordi con esperienze nuove e positive da inserire nel nostro bagaglio mnemonico.
Cominciando a inserire nuovi dati nella memoria possiamo alterarne il ricordo. I nuovi dati vengono forniti dalle esperienze e bisognerebbe cominciare proprio da quelle esperienze che più temiamo. se ho paura di volare e proverò a farlo quando sarò giunto a destinazione avrò sostituito un’idea o un ricordo negativo con un’esperienza positiva.
La mia memoria ne uscirà stimolata ad esercitarsi in questo senso.
Possiamo farlo diventare un “gioco”, il “gioco dei pezzi di ricambio”, sostituzione dei pezzi vecchi con pezzi nuovi. Se in passato quella precisa esperienza mi ha fornito un risultato negativo ripeterla oggi significa poter sostituire quel pezzo che tanto rallenta il mio meccanismo dando a all’esperienza di quell’oggetto un esito finalmente positivo. Associare nuove esperienze ai vecchi ricordi. Sgranare la memoria. La paura è un ricordo, non lo dimentico se non attraverso qualcosa di nuovo e di buono che posso cominciare a fare subito.
Sara
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : L’ INCONSAPEVOLE
Ma chi me lo ha fatto fare a sposarmi ? Storie di scontata convivenza
L’ INCONSAPEVOLE : Ma chi me lo ha fatto fare a sposarmi? Storie di scontata convivenza. Come ipotecare la propria vita, senza farci caso.
A volte ci domandiamo: dove ero ? Quando la consapevolezza di se è labile, si fanno cose per fuga, per amore dell amore non dell amato, non per l’ amore per Se, ma per non deludere gli altri.
È uno scempio non intendere, non capire, non lasciarsi scorrere sulla scia della propria vita e ritrovarsi impegnati in relazioni obsolete.
” Ieri dopo un anno, ho ritirato le foto del mio matrimonio, erano favolose, guardare le foto ho pensato che non fossi io, ed ho sentito tutto il rammarico dell essermi sposata, oltre al fatto di non aver vissuto quell’ emozione intensa che quel giorno avrebbe dovuto darmi, ho sentito addosso il pentimento nell’essermi sposata.
Ma io ero super sorridente ed estremamente sensuale.Ce né una in cui ci sono solo io, che guarda divina, non per fare la narcisista ma era il massimo della sensualità ” .
Ecco, appunto, lì ci sei proprio tu. Noi siamo proprio lì, così, e facciamo caso solo quando osserviamo una nostra foto. Crediamo che sia il contesto a farci essere ciò, ma non è solo così.Noi siamo ciò che siamo aldilà del contesto.Perché allora abbiamo bisogno che gli altri ci riconoscano per quello che siamo e invece siamo disposti a tutto e proprio a tutto, rinnegandoci, pur di soddisfare la loro idea di noi ?
Le scelte a volte le facciamo per questo, perché ci ritorni un immagine di noi, dal mondo, immagine che dovremmo chiederla a noi stessi e dovremmo già averla .
Ma è anche vero che la nostra immagine la identifichiamo attraverso il rispecchiamento sugli altri, impariamo così a conoscerci.
Dal rispecchiamento al Se è la vera strada e dal Se al rispecchiamento in un continuo feedback per poi tornare sempre al Se.
Segui il Tuo cuore, ma Il Tuo e solo il Tuo, facendo molta, ma molta Attenzione a non impelagarti ed impegnarti a seguire il cuore e le intenzioni segrete e le inconsapevolezze nascoste altrui.
Nelle nostre scelte inconsapevoli , restiamo vittime di scelte e di manipolazioni inconsapevoli dei nostri cari interlocutori. È L’ affetto, l’amore che fa perdere in obiettività non dell’ amore ma, delle manipolazioni .
Una persona manipolata è una persona già bella e fregata, imbrigliata in un sistema emotivo, sensuale, progettuale e legante, non è più libera, diventa affezionata, invischiata in un legame che chiamerà amore, pur non essendo tale, ma d’ aiuto ed abbandonico.
La vera nostra architrave e libertà è poter amare, ma anche essere libero da esso, perché il vero amore è poter amare ed avere l’ autonomia da esso. Una modalità concreta per non ammalarsi.
giorgio burdi
Settimanale Psicologo Roma : PER NON ESSERE PSICOSOMATICI
Manuale Per Essere Se Stessi
PER NON ESSERE PSICOSOMATICI.
Manuale Per Essere Se Stessi.
La MENTE mente, il CORPO mai.
Per la tua realizzazione, non chiederti mai di cosa hai bisogno.Chiediti cosa ti rende VIVO, allora Va e fallo.
La mente e il corpo sono due gemelli da non trascurare l’ uno a discapito dell’ altro.
Il segreto dell’ essere se stessi e della nostra autenticità é tutto li: nel CORPO.
Il nostro corpo è la mente che sente. Il nostro cervello corticale è la mente che pensa. E pensare che il cervello corticale è quantitativamente ridottissimo rispetto alla quantità neuronale emotiva che possediamo. I vissuti sociali attuali ci stanno sempre più allontanando dal reale contatto con noi stessi e con gli altri, ci formano alla velocità, alla quantità, al possesso.
Ascoltare, percependo se stessi in modo assoluto, é il primo strumento di crescita e di evoluzione. Accorgerci di noi riporta alla sensazione di esistere.
Non chiederti di Cosa hai bisogno. Chiediti Cosa ti rende vivo, allora Vai, e fallo. Perché ciò di cui avremmo bisogno, è di sentirci davvero VIVI, non serve altro.
L’ etimologia del termine CRISI dal greco significa SCELTA. La SCELTA è un momento importante, è l’ ATTO della SVOLTA.La crisi propone una scelta e se poni attenzione ce l’opportunità di attuare una svolta.
La crisi rappresenta l’ appuntamento, l’ occasione per agire e reagire, per essererealmente i protagonisti della propria vita, poiché é proprio dalla crisi che si può ritornare ad un ordine ricostruttivo. La crisi è uno sprono al cambiamento.
Per formamentis, la nostra attenzione è rivolta più verso l’aspetto razionale della vita, tanto che molto di sovente diciamo, ci devo pensare attentamente a lungo, trascurando i bisogni e le esigenze del nostro mondo corporeo-fisico-emotivo, trascurando l’ iceberg sottostante. Esso se non ascoltato, continua comunque ad esistere e ad esprimersi e a vivere non in piena coscienza.
Quell’ acufene, o emicrania o quei crampi allo stomaco o l’ attacco di panico che avevamo provato, sembrava voler dire “non accettate, rispondi, non lasciar correre, oppure, va via, trasferisciti, prendi casa solo per te, era e rappresentava la tua voce sommessa, la tua voce eccellente.
Ma col tempo, se lasciata inascoltata, si è trasformata in problemi fisici con la manifestazione di una colite, di un’ulcera gastro duodenale o in altri problemi psicogeni, come l’ansia, la depressione minore o una crisi dap o in ossessioni o attacchi di panico, generati dall’ assenza di contatto con la propria parte corporea, a vantaggio di un’ esclusivo concedersi ad una frenetica incontrollabile attività mentale dominante.
La vera natura dell’individuo, la verità di ognuno di noi è nel nostro corpo poiché è tutto lì il segreto, è tutto nel nostro sentire la vita è la vita è lì, nella nostra epidermide, nei nostri muscoli, nel nostro battito, nella nostra persona solida e liquida.
Tornare a dar valore al corpo è semplice, basta fermarsi ad ascoltarlo poiché noi siamo qui, nel corpo, è qui la verità di ognuno.
la MENTE, mente, ma il CORPO assolutamente mai, è il nostro fedele, la mente invece tradisce, confabula, giustifica e manipola, è il compromesso tra noi e il non noi, manipolata dai sensi di colpa, dai moralismi e dagli atteggiamenti interiorizzati genitoriali.
Fermati a sentine il tuo battito, il tuo respiro, ascolta la tua linfa, e l’ orientamento delle tue sensazioni, lasciati condurre dalle tue logiche emozioni, aiutale a proseguire nelle sue differenti direzioni, dagli sostegno, coraggio, proteggile come se fosse la tua amata.
Se hai dei sintomi, è probabile che ti stia allontanato dal tuo corpo, abbandonato a vantaggio della tua mente che è semplicemente una piccola parte di te.
Fidati, il corpo è l’ Amico più Fidato è più saggio che hai.
giorgio burdi
Chi sta bene, non si sente solo
Se ti senti solo, va al suo centro: Tuffati nei tuoi disagi, se vuoi uscirne
Chi sta bene, non si sente solo.
Se ti senti solo, va al suo centro: Tuffati nei tuoi disagi, se vuoi uscirne
Chi sta bene, non si sente solo. È geloso del suo tempo, non gli basta mai, non lo disdegna e non disdegna nemmeno gli altri, anzi è socievole e sereno, non teme la critica, ne il giudizio, anzi, lo ricerca per migliorarsi.
La solitudine è un segreto formativo, è l’ unica rampa di lancio per l’ auto realizzazione.
Chi è solo, ci fa sentire soli. Perché ha il suo vuoto da contemplare, non sa ascoltare, ne parla, tanto meno sa perché fa così e se gli chiedi come sta, si scrolla le spalle.
Per chi vive bene la solitudine, il giudizio non è soltanto indisponente, ma è un punto di vista sconcertante per migliorare.
Il giudizio suscita la ribellione degli schemi statici che possono mobilitare lo tsunami del cambiamento.
La crescita si sfionda sugli errori, è il suo miglior nutrimento, bisogna errare, è inevitabile, è necessario, volutamente non vengono cercati, ma accadono di continuo e se capitano, sono la benzina dell’ autonomia e dello sviluppo.
Il dolore per gli errori, non andrebbe schivato, esso basa le fondamenta della stabilità emotiva, ma bisognerebbe immergersi in esso.
Una vita che accumula errori, deprime e scoraggia, a volte si rischia di identificarsi con essi, la vita diventa una stasi.
Non dovremmo mai dire speriamo che vada bene, ma, credo che andrà bene.
Sperare è passivo, è attesa, di tempi migliori che magicamente nel’ illusione, dovrebbero poter trasformare la vita.Sperare è pensare, pensare e pensare, per non fare mai.Sperare è almeno sognare, ma di sogni non si cambia.
Credere è invece attivo, creativo, avere prospettive migliori per le quali prodigarsi, è soffrire, lavorare per autodeterminarsi.Autodeterminarsi è fare per realizzarsi.
Credere è darsi due mani, non una sola se poi ne abbiamo due è avere motivazione, è non avere aspettative sugli altri, non rimproverarli mai, ma essere rigorosi con se. Chi crede, ha motivi in più di riuscire,
Sperare è aspettare, aspettare sempre ed ancora aspettare rigorosamente gli altri, rimproverarli per le proprie assenze ed attendere di essere determinati da loro.
Chi crede è necessariamente solo, crea nuovi problemi per trovare nuove soluzioni. È dentro ai problemi, che si cercano i vettori risolutivi.
Chiedere consigli è cercare le stampelle per farsi aiutare, a volte si arriva alla carrozzella o in barella, equivale a cercare le soluzioni, le strategie e le strade ripercorse solo da altri.
Solo se si è coraggiosi di essere soli, si cerca e si trova la propria strada.
Allora, tu sei solo, speri o ci credi ?
giorgio burdi
ContinuaEssere Genitori di Se Stessi
Essere genitore di se stessi
Quando si ha una famiglia apparente
L’ambiente familiare esercita, inevitabilmente, un’influenza sul nostro modo di essere, sul nostro sviluppo psicologico, lasciando una traccia probabilmente indelebile su quello che sarà il nostro percorso di vita, la nostra personale maniera di affrontare il mondo, gli altri, noi stessi.
La famiglia è il primo contesto sociale nel quale ci troviamo, il primo filtro fra noi ed il mondo esterno.
Senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, almeno quando siamo troppo giovani per farlo, il modo di ragionare, di comportarsi dei nostri familiari, gli schemi mentali propri del loro modo di essere, di vivere, tracciano il percorso mentale che segnerà il nostro sviluppo individuale ed, inevitabilmente forse, il nostro modo di rapportarci con l’altro.
Una dipendenza emotiva dalla quale, forse, non ci libereremo mai completamente. Così almeno è stato, è per me.
Il clima che si respirava dentro casa, una freddezza di fondo, la mancanza di vero, reale contatto emotivo fra i componenti della famiglia, pur formalmente unita, un’estrema attenzione alla forma, anche dentro le mura domestiche, come se non ci si sentisse mai davvero liberi da barriere, da ombre, da un giudizio esterno, liberi di esprimere se stessi.
Un innato atteggiamento di sospetto, di diffidenza, di chiusura verso l’’altro’, verso il mondo esterno, verso tutto ciò che si trova fuori dalle mura domestiche.
Da qui un guscio, una corazza che si forma attorno al nostro essere, senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, che ci impedisce di arrivare a noi stessi, di conoscerci davvero, e ci rende così difficoltoso il contatto con le altre persone, un contatto vero, aperto, autentico, senza riserve, emotivo e fisico.
Tutto questo non deve però assolutamente diventare un alibi, una scusante per non riuscire, o almeno mettercela tutta, a rompere il guscio, ad imparare a camminare sulle nostre gambe, rompendo le catene che ci legano alla parte più deteriore del nostro passato.
Stefano
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : L’ IPOCONDRIACO
Ho 80 anni e da 50 credo di essere malato e di morire Una vita inutile dedicata alle malattie.
COS’È L’IPOCONDRIA?
La paura è una malattia
Cosa fa nascere il pensiero che il mio corpo generi qualcosa di “male”? L’idea di essere malata produce una serie di atteggiamenti volti ad indagare il mio corpo, percorrerlo, ossessivamente, con lo sguardo, il tatto, centimetro dopo centimetro per cercare quel che non va, trovare quel “danno”. Ma la sua origine è nell’animo.
Il mio corpo si ammala quando il mio pensiero si cura troppo degli altri e poco di me. Immagino quel “male” e quella solitudine trasposta nel mio corpo quando permetto gli altri di trasmettere di me un’immagine debole, fallibile e dunque volta alla disgregazione, alla rottura, alla malattia.
I rimproveri, la mancata stima, la mancata fiducia ci portano a rimproverarci, a non stimarci a non fidarci delle nostre stesse sensazioni, a non sentirci un tutt’uno , aggregato e stabile. Ci convinciamo di non “saper funzionare” e sentiamo la malattia crescere in noi, come unico modo possibile per giustificare la nostra incapacità di riuscita.
La percezione della mia “disgregazione” è sintomo del non essere all’altezza, del sentirmi “fuori luogo”, inadatto alle relazioni, al sostenere un’opinione, a gestire un conflitto, incapace di salvaguardare il mio spazio. Se non mi fido di me, non mi fido degli altri e il mio rapporto con l’esterno matematicamente fallisce e insieme fallisce il rapporto con il mio corpo.
Mi sento in disordine e questo genera la paura di sbagliare e di ammalarsi. Se credo di non meritare “cura”, attenzione, rispetto sentirò la malattia crescere, prendere possesso del mio corpo e soprattutto dei miei pensieri. Avrò paura di me.
La “malattia” è “l’alterità” (l’altro da me che percepisco come estraneo). Quando riesco a ponderare il rapporto tra la mia identità e l’estraneità mi faccio del bene, il diverso da me diventa nocivo quando nella relazione che pongo con questo ho il mancato riconoscimento di me. La mia individuazione è la mia volontà. La mia mancata individuazione conduce a relazioni dannose in cui mi lascio scivolare perché perdo la capacità di valutazione, mi faccio assorbire come cosa neutra.
Diversamente il rapporto con l’altro diventa accrescitivo quando mi riconosco. Quando tengo fede al mio senso. Se perdo senso mi ammalo. Gli altri avranno rispetto di me solo se avrò senso (che è a sua volta il rispetto profondo delle mie sensazioni). Solo così potrò cominciare a riporre fiducia negli altri, questo mi condurrà alla perdita della paura, alla perdita del controllo (come informazione ossessiva sui miei stati fisici); perché se non mi amo, non avrò cura di me, e avrò paura (del mio corpo e degli altri) e facilmente qualcosa potrà farmi del male. Se mi amo, avrò cura di me, muterò la paura in prudenza, e sarà più facile riconoscere quel che è bene per me.
Sara
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : SE PENSI TROPPO, TI AMMALI
Non pensarci, vivi
SE PENSI TROPPO, TI AMMALI
NON PENSARCI, VIVI
Alle radici della malattia e delle indecisioni. Frenare il pensiero calma e realizza.
“Come sei saggio”, “Come sei coscienzioso”, “Io questi ragionamenti non li facevo alla tua età”… “hai ragione”…”giusto”…
Quante volte me lo sono sentito dire, sin dall’adolescenza. In prima battuta possono sembrare frasi gratificanti, apprezzamenti al tuo modo di essere, alla tua persona. Lo sono, certamente, riferendosi a qualità che ti vengono riconosciute.
Però…L’emisfero cerebrale destro, quello deputato alla percezione emotiva degli stimoli che quotidianamente la realtà circostante ci propone, chiede di fare finalmente la sua parte, di scendere in campo. Si sente una vocina di sottofondo, ci sono anche io…
Per motivi caratteriali, per le influenze dell’ambiente familiare nel quale sono cresciuto la mia forma mentis è sempre stata estremamente razionale, il mio approccio alla vita sempre di tipo rigorosamente logico, ragionato.
Il troppo pensare, se non diretto verso uno specifico campo di applicazione, può essere dannoso, estremamente dannoso. La continua ricerca di un senso, in relazione a quello che fai, a quello che ti capita, rischia di farti restare pericolosamente a bocca asciutta.
L’animale razionale, definizione aristotelica, non vive troppo bene, almeno per quella che è la mia personale esperienza. Ha una vita probabilmente comoda, lineare, esente da strappi, da picchi, in negativo e in positivo.
Perde però tanto, tanto. Perde i colori più accesi, i sapori più forti, le emozioni più intense, perde il bello della vita. Il costante, incessante rollio del motore/testa copre tutto, come una coltre che si posa sul mondo nel quale viviamo.
Se è vero che il buon senso è una regola valida che dovrebbe sempre, o quasi, far parte della nostra condotta, saper dare spazio alla nostra emotività, alle nostre percezioni sensoriali, sapersi buttare nelle cose, nelle situazioni, lasciandosi andare, vivere su più livelli, saper essere anche leggeri, senza dover filtrare tutto con la ragione, credo sia una delle condizioni imprescindibili per poter dire di aver vissuto veramente. Sopravvivere è una cosa, Vivere un’altra.
Stefano
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : LA FAVOLA DEL RANOCCHIO E DELLA ROSA
Chi ti INVIDIA ti rende più PREZIOSO, quelli che ti augurano il PEGGIO devono sopportare che ti capiti il MEGLIO !
LA FAVOLA DEL RANOCCHIO E DELLA ROSA
Chi ti INVIDIA ti rende più PREZIOSO, quelli che ti augurano il PEGGIO devono sopportare che ti capiti il MEGLIO !
LA FAVOLA DEL RANOCCHIO E LA ROSA
In un giardino c’era una bellissima rosa
pero nessuno la tagliava,
perché al suo lato c’era un grande ranocchio grasso e brutto.
Un giorno la rosa molto arrabbiata gli disse:
” Perché non ti allontani da me? “
Il ranocchio, molto triste si allontanò.
La settimana seguente,
passando da quelle parti il ranocchio chiede alla rosa :
” Che cosa ti è accaduto?
Perché i tuoi petali si stanno appassendo? “
La rosa rispose:
” Le formiche mi stanno mangiando giorno e notte ” .
Il ranocchio le rispose:
” Quando io stavo vicino a te, anche se tu nn volevi,
io me le mangiavo,
per questo eri così bella e splendente ! “.
Molte volte siamo come la rosa,
non ci rendiamo conto del bene che ci fanno
le persone che stanno al nostro fianco,
non le apprezziamo, le trascuriamo
e facciamo in modo che vadano via,
senza renderci conto che ci stavano proteggendo.
NON ESSERE COME LA ROSA.
APPREZZA LE PERSONE CHE TI CIRCONDANO
PERCHÈ ANCHE SE TU NON TI RENDI CONTO,
LORO STANNO LÍ PER DIFENDERTI.
Chi ti offende ti rende FORTE,
Chi ti critica,
ti rende IMPORTANTE,
Chi ti invidia,
ti rende più PREZIOSO,
ed alcune volte è divertente sapere che,
quelli che ti augurano il PEGGIO,
devono sopportare
che ti capiti il MEGLIO !
Continua