Settimanale Psicologo Roma : IL MORALIZZATORE
Se le regole diventano più importanti dell’amore
IL MORALIZZATORE
Se le regole diventano più importanti dell’amore.
Il Moralizzatore è quello che punta il dito. Quello che dice “questo si fa e quello non si fa”,”questo va bene e quello no”. La voce del provinciale, del micro encefalo.
I genitori del Moralizzatore sono di madre religiosissima, di Bigottismo Popolano, da bravo figlio gli presterà obbedienza incondizionata per tutta la vita, perché è così e basta.
Zero ribellione, zero personalità, zero io, zero rispetto, sottomesso all’ imperante deus incontestabile.
Realizza sin da piccolo, se non sottomesso, non sarà degno di carezze, che non sarà accettato come vorrebbe, non sarà amato, tormentato dai loro litigi.
Cresce secondo regole e impara che tutto quello che è al di fuori di se è sbagliato ed è male. Le regole dettano il passo all’ amore.
I suoi crede che siano dei rottermeier, quelli della santa inquisizione, i senza scampo, della caccia alle streghe, sente come predestinazione il rogo per bruciare per ciò che è , coi suoi perché, a vantaggio della pubblica umiliazione.
Lo sbeffeggiamento del peccatore. Il giudizio impietoso di chi non risponde ai suoi santi canoni.
Per le donne è molto dura, esse sono tutte peccatrici, delle puttane se sono se stesse.
Diventare la donna del Moralizzatore è un attimo: dopo la prima volta a letto, se ti esprimi, non sei più sua.
Diventi di proprietà, se non ti esprimi. Da questo momento non devi più:
1.avere amici maschi. Gli uomini sono tutti porci che vogliono solo portarti a letto, specialmente i tuoi amici, e quindi se stai in loro compagnia vuol dire che sei provocante. Se sei donna, sei un problema.
2 parlare con i maschi in genere, se nemmeno sono tuoi amici, perché, scambiare due parole con loro ? Allora sei tu che ci provi ?
3.uscire senza che lui sia presente ? Impensabile. Saresti una rimorchiatrice. Le amiche non sposate sono delle adescatrici che ti vogliono trascinare nel tunnel della perversione.
4.Indossare un abbigliamento femminile in sua assenza? Non siamo fatte per il nostro fascino femminile . Vuoi mica mettere una gonna, fare un make up, indossare una parure o una lingerie, apprezzano gli estranei, per lui invece tutti accessori da zoccole .
E così se resti nei suoi sacri parametri te ne puoi stare col tuo bel Moralizzatore a vivere la felice vita da ameba
Dio non voglia che un giorno esci dal torpore, capisci che non ne puoi più e vuoi chiudere. Tu, meschina ingannatrice, maestra del raggiro e del tradimento.
Tu sei sua,come puoi voler andare altrove?! Come osi volerti sottrarre alle sue grinfie amorevoli? E’ chiaro che c’è un altro. Se non vuoi più stare con lui è ovvio che l’unico motivo è che sei una cagnaccia della peggior specie che lo abbandona per andare a darla ai quattro venti.
Meriti di bruciare all’inferno e lui sceglierà un’altra pecorella santa da accudire. Santa davvero, non come te donnaccia infame, una che cioè risponda alla vita di obblighi, privazioni e doveri che lui vuole per sé e chi gli sta accanto.
Ma chissà poi quanti Moralizzatori non venderebbero l’anima per avere tra le mani le peccatrici che pubblicamente accusano.
Heidi
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Dido Brava Heidi!!! ….è così VERO e da “brivido” questo articolo… Perché ce ne sono TROPPI così… 🙁 …è un incubo che diventa realtà e se non scappi in tempo, l’egoismo di questo “moralizzatore” MALATO, potrebbe costarti la vita o rovinartela per sempre…. È una lotta impari, è vero. Ma se le donne lavorassero di più su se stesse, sul proprio amor proprio e sulla propria autostima, lo riconoscono in tempo e ne escono forti e da LEONESSE!!! Perché l’AMORE VERO è una CAREZZA ad occhi chiusi. Non una GABBIA!!
ContinuaSOCIOFOBIA E LA PAURA DEL GIUDIZIO UNIVERSALE
Sociofobia, Un viaggio tra una solitudine sospettosa, la vergogna di se e il giudizio universale. L’ esperienza di Romolo
SOCIOFOBIA E LA PAURA DEL GIUDIZIO UNIVERSALE
Un viaggio tra una solitudine sospettosa, la vergogna di se e il giudizio. L’ esperienza di Romolo
Il timore del giudizio, è un giudizio subito che diviene paura di se . L’ esperienza di Romolo.
Qual’è il mio problema? Il mio problema, che si ripete in ogni momento della mia vita, è la certezza dell’esclusione sociale.
Ho 35 anni e ad oggi mi riesce ancora incomprensibile capire come si possa stare a proprio agio e piacevolmente in mezzo alla gente e riuscire ad andare oltre un semplice rapporto formale.
Riuscire a fare questo sarebbe per me una cosa fantastica e preziosa. Infatti le rare volte che mi sono sentito amato ho provato una sensazione di euforia, anche un po esagerata.
Fatto sta che la mia normalità è una solitudine sospettosa e, a volte, rancorosa. In ogni contesto mi sento un ospite, un intruso inadeguato alla circostanza e irrimediabilmente destinato all’esclusione e all’emarginazione.
Vedo nascere intorno a me amicizie, simpatie, reciproci gesti di affetto, di stima e considerazione di cui sono un rassegnato spettatore.
E questo succede praticamente da sempre. Mi sono convinto e ne ho la sensazione che la gente, al di fuori dei rapporti di lavoro ed economici, pensi di me che sia un disadattato e un mezzo deficente.
Il guaio è che, con il tempo, sono diventato d’accordo con questa opinione che, anzi è diventata anche un comodo alibi per chiudermi ancor di più in me stesso.
Mi vergogno di me e cerco di sembrare “normale” ma ho una gran paura di crollare davanti a tutti come mi è successo in terapia. Ho annullato ogni mio desiderio perché penso “fa niente tanto non lo merito” e diniego ogni possibilità di incontro per paura di provare di nuovo quella sensazione di esclusione.
Penso sempre di non essere interessante e di non avere niente da offrire agli altri e, al contrario, sono affascinato dalla capacità di relazionarsi, nel reciproco rispetto, che vedo nelle persone.
Non dico mai di no per paura di essere abbandonato per punizione anche a costo di calpestare io stesso la mia dignità. E il rancore dentro di me aumenta. Ho vissuto e vivo solo per adempiere un dovere.
Dovere che è per me una missione che appaga il mio desiderio di dare e di fare qualcosa per gli altri in genere e per ottenere quella briciola di affetto e considerazione che mi è indispensabile per andare avanti e dare un senso alla mia vita.
Questo è il mio modo automatico di ragionare e la visione che ho della realtà. Spero si possa fare qualcosaComunque Sono proprio contento per la prima seduta di gruppo di oggi. Grazie. Un abbraccio . Romolo
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La paura che hai del l’esclusione sociale è quella di sentirti un disadattato ed un deficiente, ti dimostrerò che sono solo tue interpretazioni delle relazioni e sono dettate dall abitudine all’ evitamento degli altri, tanto da aver inibito le tue innate competenze relazionali.
Abbiamo due opportunità di uscire, sulla base di una autentica spontaneità, dal nostro isolamento, quando siano presenti nostri interlocutori, uno è esprimere ciò che pensiamo, l’altro è esporre ciò che sentiamo del momento.
Ti porterò lontano da questa tua falsa credulità, attraverso la psicoterapia del Cerchio .
Se mi segui ce la facciamo, ne sono più che convinto. Mi devi soltanto dedicare quelle 2 ore alla settimana e vedrai, un gradino per volta, chi la dura la vince e il giudizio universale lo lasceremo solo al cielo.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : PER VINCERE, NON LA COMPETIZIONE, MA IL PIACERE
Se il tuo numero due è severo, perdi
PER EMERGERE, NON LA COMPETIZIONE, MA IL PIACERE.
Se il tuo numero due è severo, perdi.
Nelle concitate giornate della mia vita cerebrale con molta e ripetuta frequenza, innumerevoli pensieri popolano le mie attività. In due momenti in particolare, però, questi pensieri diventano particolarmente persistenti: durante la notte e durante una sfida.
I pensieri della notte, le ansietà, le paure sono come un guanto di velluto che stringe, mai troppo e mai troppo poco, il mio collo, smorzandomi il respiro, quel tanto che basta da creare un disagio, ti svegli, ti agiti un po ma per la notte esistono tanti metodi per sopperire alla carenza d’aria, la notte basta cercare di dormire, la chimica fa il suo dovere ed un buon libro aiuta.
Il vero problema, per me, è durante una sfida.
Per passione, per piacere ed a volte per dovere pratico l’arrampicata sportiva ( il bouldering per esattezza ) ad un livello medio alto, uno sport che richiede forza , tenacia, sacrificio equilibrio e serenità, ho imparato negli anni che tu sei come scali ! Se scali bene stai bene, la tua vita va bene, se scali male stai male, la tua vita va male!
Molto spesso mi ritrovo in competizioni siano esse pro o semplicemente amatoriali in cui affiora il senza volto colui che molti chiamano IO , ma che io chiamo solo “stronzo” ovvero il numero due.
E’ un amico atroce, il numero due, può stare zitto a lungo e parlare al momento giusto per ottenere il risultato desiderato, ottenere la mia caduta, la mia non riuscita .
Molte volte è capitato di trovarmi a dover sostenere una finale di gara ed in quel contesto già mangiato dall’ansia da prestazione, seppur immerso in questa fragilità, eseguo comunque i miei movimenti decisi, per raggiungere il TOP, il culmine della mia scalata, ed è li, nel momento in cui, la tenacia si distrae che il numero due striscia ed affiora, è li che il numero due sussurra:
” ma che fai vai al top, ma dai non ce la fai, stai per cadere, non lo puoi fare, stai per cadere, sei stanco è normale, tranquillo tanto nessuno ti dirà niente, hai 37 anni, questi sono più giovani di te che ci vuoi fare? hai già fatto abbastanza , molla ..lascia perdere..”
e che cosa volete che succeda, che lui vince e mi convince , io cado.
Per terra, seduto sul materasso, tutte le sue giustificazioni, quelle che lui ha sussurrato, sono solo un palliativo e non alleviano la mia frustrazione anzi la incrementano; mi portano ad ammirare la freddezza degli altri ed a denigrare la mia scarsa lucidità durante il momento della sfida, lasciando la mia testa al buio, intrisa di pensieri colpevoli di giustificazioni inutili.
In questi momenti la mia passione per questo sport diventa un dovere, la gabbia in cui questo “stronzo” mi rinchiude, facendomi sentire prigioniero delle mie paure .
Il numero due diviene il carceriere, detentore della mia agilità, della mia grazia e della mia determinazione, mi fornisce illusorie motivazioni agganciate al successo o all’insuccesso di ciò, o di chi mi sta intorno, dandomi come cibo il confronto con me stesso e con gli altri, cibo salatissimo e da bere tutte le infinite scuse di cui egli è portatore, una bevanda amara ,un pranzo veramente di merda!
E questa gabbia ha un nome, si chiama paura dell’insuccesso, paura di non essere amato dagli altri o meglio paura di essere amato per quello che faccio…e come posso essere amato se quello che faccio è solo cadere…
perchè faccio quello sono o sono quello che faccio e quello che faccio è solo cadere …solo cadere…
Non ha valore il sudore dell’allenamento, la preparazione, la sensazione emotiva , la magnesite tra le mani , la comprensione del movimento, la fatica del momento, l’impegno nella gestualità, no, niente di tutto questo ha valore, l’unica immagine è la proiezione dell’insuccesso, di un momento che ancora non c’è stato ma che a breve avverrà, la realizzazione della profezia che si avvera ancora ed ancora ed ancora…
In questa metodica litania il valore di me, la parte bella quella che vive di e nelle cose belle, che sorride alla sua unicità in quanto uomo in quanto uguale ma diverso ed inconfrontabile, il numero uno, la materia spirituale di ciò che sono, si spegne, anzi la spengo, è innegabile la parte buia di ognuno di noi è sempre molto forte.
Non ho trovato, “ancora”, un modo per sbarazzarmi del numero due e dar voce al numero uno ma ho deciso di allenare la mia mente mentre alleno il corpo, rispondendo al numero due con le sue stesse armi e combattere. Non so quanto tempo ci vorrà, so che sarà difficile debellare il lato oscuro della forza , se per farlo George Lucas ha fatto 7 film non mi aspetto di metterci di meno ma voglio partecipare con tutto ciò che sono, con tutto ciò che di bello ho da offrire a me stesso ed al resto.
cercherò di accettare questa sfida gestendo la sfida dentro se stessa, chiamando lo stronzo per quel che è, non IO ma solamente stronzo! …. [continua…]
Cisco
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : LA SPONTANEITÀ
Vivere sani è vivere spontanei
Vivere sani è vivere spontanei
Spontaneità, elogio della pazzia
Magari ci fossero veri matti
La spontaneità è la tendenza abituale a comportarsi con naturale franchezza e immediatezza, senza finzioni e senza falsi ritegni. Sinonimi: naturalezza, semplicità, sincerità, schiettezza, franchezza, genuinità.
Io aggiungerei pazzia. Sì, perché spesso nella vita di tutti i giorni fare quello che ci suggerisce l’istinto più sincero e naturale, risulta essere agli occhi degli altri chiaro sintomo di squilibrio rispetto a regole, valori e consuetudini che qualcuno prima di noi ha deciso di farci ereditare, come una sorta di debito pubblico emotivo.
Genitori, amici, compagni di vita, modelli educativi, lavoro, religione, istituzioni sociali ci condizionano dall’esterno, fino a penetrare nel terreno carsico che è il nostro Io, col rischio di inquinare le falde acquifere. Più siamo “carsici” e più ci allontaniamo dalla nostro sentire.
Samuel Beckett sosteneva che “Nasciamo tutti matti, qualcuno lo rimane”. Il problema vero del vivere è che i matti sono sempre più merce rara rispetto ai sedicenti sani. Il sano è il rettificato, il messo in riga, il livellato, la tabula rasa, il rallentato, lo scontato il piatto.
Il sano non è ironico, creativo, ha poco da raccontare, parla solo dei pazzi, dei loro protagonismo, vive di loro e tanto poco di suo.
Rimanere un po’ matti, ci aiuta ad essere sereni. Diamoci alla pazza gioia! La saggezza popolare definisce questo modo di essere “avere la guerra in testa”.
La differenza tra la spontaneità e il cappio delle aspettative nostre e altrui ci impediscono di essere noi stessi, di spiccare il volo come uccelli, invece di fare solo lunghi balzi, goffi e irregolari, come tacchini rinchiusi in un’aia.
In ogni situazione dovremmo cercare di dare sempre più spazio al “numero uno”, lasciando il geometra “numero due” a casa o in ufficio.
Impresa non facile, ma intanto si può iniziare col sentire la voce interiore, provando ad esternare sentimenti negativi e positivi, desideri e risposte, anche estemporanee e sopra le righe.
La forma più sublime di spontaneità è l’ ansia e l’ironia. Con l’ansia dici sempre quello che senti, con una battuta puoi seppellire una montagna, e ogni volta che si ride di qualcosa con uno sberleffo arguto, avviene il piccolo grande miracolo della creatività che ti fa dire “ma in fondo chi se ne frega, ogni problema è una soluzione”.
La spontaneità ha come sinonimo in rima anche la creatività. Tutti siamo dotati di sensibilità e intelletto, che ci rende artisti in qualche modo. Vivere è un arte, c’è un dandy in ognuno di noi.
Ma spontanea è anche la rinuncia alla diplomazia che rasenta la “democristianità”, retaggio di una cultura popolare che fa del quieto vivere e del “una parola in meno e ti ritiri a casa” , un mood che rende finta tutta la nostra esistenza.
Piuttosto che implodere, è molto più igienico esprimersi anche con un bel “vaffanculo” o un “mi sono rotto il cazzo”. La spontaneità non bada molto alla forma, è irriverente, tiene solo conto solo del vissuto.
Certo, se il numero uno o numero due arrivassero a coincidere, non so quali conseguenze si potrebbe avere sul vivere sociale.
Un aumento delle querele per diffamazione? O meglio ancora degli omicidi? In quest’ultimo caso si potrebbe anche cinicamente parlare di ammortizzatore sociale, perché in un periodo di crisi economica e disoccupazione, ridurre la popolazione sarebbe un rimedio contro la scarsità delle risorse, come teorizzava il reverendo ed economista Thomas Robert Malthus.
Ma lui predicava anche l’astinenza sessuale, come rimedio anti crisi, ma questo non va bene per che siamo fatti per essere spontanei nei sentimenti e nella sfera sessuale. Quindi lasciamo stare Malthus e i suoi deliri.
Anche nella sessualità bisogna recuperare la dimensione della propria spontaneità, vivendo tutto in sintonia con i propri desideri e le proprie emozioni, ed uscendo dal concetto della prestazione sportiva agonistica che usa l’erettometro al posto del desiderio, come strumento di misura delle performances.
Una lezione di spontaneità ci viene dai bambini e, appunto, dai matti. Ritrovare la parte ludica e fantasiosa ci avvicina a queste due dimensioni, forse le più sincere della natura umana. Quindi quando ci sentiamo dire “stai cambiando”, “ma sei pazzo ?!”, “sei come un bambino”, probabilmente siamo più a fuoco sul “numero uno”.
Anche quando ho dovuto accingermi a scrivere queste righe, l’ansia anticipatoria, mi ha fatto venire una sorta di blocco dello scrittore. Poi ho deciso di lasciar perdere, fare una doccia, e così ho dato la stura al “mio schifo”, ai pensieri.
Spontaneità avrebbe voluto che non avessi riletto e corretto il testo, lasciando tutto al flusso di coscienza e tralasciando i refusi. Non ce l’ho fatta, lo ammetto. Il perfezionismo del geometra “numero due” ha fatto capolino.
Ma sono i refusi che rendono interessante la vita. Sii un refuso, sempre, mi dico, uno sbaglio della grammatica, una indecenza linguistica, un balbettante delle cose indicibili, lascia parlare lo sbaglio delle emozioni palpitanti che varcano gli orizzonti oltre la nostra conoscenza finita.
giorgio burdi
ContinuaUN MURO DI GOMMA
VIVERE SENZA EMONIONI
Il muro di gomma
E i sentimenti che rimbalzano come palline da tennis
Quante volte nella nostra vita abbiamo invidiato quelle persone che hanno la capacità di farsi scivolare addosso le discussioni che si affrontano quotidianamente in famiglia, con gli amici o sul lavoro?
Forse abbiamo anche pensato quanto ci piacerebbe non dare peso, semplicemente lasciare che gli altri si sfoghino per poi continuare con la solita routine.
Non neghiamolo, molti di noi almeno ogni tanto vorrebbero essere un muro di gomma, con quella sensazione di calma e serenità che accompagna questo modo di essere.
Ma se proviamo a scavare più in fondo ci accorgiamo che spesso quel muro non è poi così sereno.
Il muro di gomma, sul quale gli eventi esterni rimbalzano come palline,, a lungo andare può nascondere dei lividi.
Rifiutare il confronto infatti comporta un grosso rischio: gli sfoghi degli altri iniziano ad espandere i loro confini. Parenti, amici e colleghi possono iniziare istintivamente a trattarci come quelli sui quali si può vomitare addosso qualunque rabbia o frustrazioneperché, non reagendo, diamo l’impressione di non accusare il colpo.
Ecco che noi diventiamo martiri di noi stessi.
E dato che purtroppo moltissime persone intorno a noi sono frustrate, il boccone per chi ci sta intorno diventa ghiotto e noi iniziamo a ingoiare il malessere degli altri, fino a quando anche la nostra misura non è colma e magari esplodiamo facendo ancora più danni.
Non è sano per il nostro benessere mentale accumulare rabbia senza reagire. Per spezzare questo meccanismo dobbiamo convincerci che abbiamo il diritto di far conoscere a chi ci sta intorno i confini del rispetto reciproco. Gli altri non possono sapere fin dove spingersi fino a quando non siamo noi a dire basta.
Non è necessario urlare o buttare tutto all’aria. Sicuramente a volte litigheremo, l’importante è cercare il dialogo e comunicare quello che pensiamo.
Imparare a reagire con intelligenza e a manifestare il nostro disagio ogni qualvolta che sentiamo di essere stati trattati ingiustamente ci aiuta a non accumulare rabbia e a vivere le relazioni in maniera più equilibrata.
Fare il muro di gomma inoltre vuol dire che non riteniamo gli altri degni del confronto. A volte può essere utile ma dobbiamo considerare che:
– Nel caso delle persone care non si dimostra più affetto o stima incassando e tacendo, se riteniamo il nostro interlocutore intelligente e degno di stima, abbiamo il diritto-dovere di fargli conoscere i nostri pensieri e di instaurare un rapporto più vero;
– Nel caso di relazioni in cui siamo un po’ costretti ad una frequentazione che non ci interessa molto (ad esempio in alcuni rapporti di parentela) abbiamo l’opportunità divivere la relazione in maniera più sana ed equilibrata
Come si inizia?
Il problema è che prima di tutto dobbiamo concederlo a noi stessi. Se non sentiamo di meritare rispetto, gli altri si comporteranno di conseguenza.
Quando invece noi per primi ci rispettiamo, verrà più naturale farlo capire anche agli altri.
Concedere a noi stessi la libertà di parlare e di esprimere il nostro disagio è la chiave per non accumulare rabbia e frustrazione. La sensazione che stiamo lasciando agli altri il potere di farci quello che vogliono è distruttiva e generatrice di somatizzazioni.
Non dimentichiamo inoltre un aspetto molto importante: se ci alleniamo costantemente a diventare un muro di gomma per difenderci dalla rabbia, corriamo il rischio di diventare muro di gomma anche verso i sentimenti positivi e le emozioni. Se adottiamo un atteggiamento di chiusura potremmo non essere in grado di usarlo solo quando serve come un interruttore, potrebbe investire anche gli aspetti belli della nostra vita privandoci della capacità di godere delle cose che amiamo.
Dobbiamo invece allenarci all’equilibrio, alla gestione del flusso continuo di emozioni esternandole, belle o brutte che siano, come in un processo osmotico tra noi e gli altri, con la consapevolezza cha abbiamo il diritto di dichiarare i nostri confini e di meritare il rispetto che diamo.
gabriella o
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : LA CONSULENZA PER LE PATOLOGIE PSICOLOGICHE
Avvocato Pepe e l’ esercizio abusivo della professione di psicologo
LA CONSULENZA PER LE PATOLOGIE PSICOLOGICHE È RISERVATA AI PROFESSIONISTI ABILITATI: ALTRIMENTI SI INCORRE NEL REATO DI ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE
La Cassazione, con una recente sentenza , affronta il tema delicato dell’esercizio abusivo della professione nell’ambito delle patologie di natura psicologica.
Secondo la Corte infatti anche una semplice consulenza deve essere fatta soltanto da uno psicologo iscritto all’albo.
L’utilizzo di altre definizioni, simili a quelle di psicologo, non solo non ha valore legale bensì fa scattare il reato di esercizio abusivo della professione.
Nel caso in esame della Corte, il soggetto era stato condannato perché si era qualificato con la definizione di “psicosomatista di impresa” sul proprio sito internet.
Tutte le patologie di natura psicologica sono riservate agli psicologi in quanto sono molto rigidi i paletti posti dalla legge relativa all’esercizio della professione: è sempre necessario essere laureati e specializzati in psicoterapia nonché regolarmente iscritti al relativo albo.
Quindi la Cassazione ha confermato la condanna, per il reato di cui all’art. 348 cod. pen., per aver esercitato abusivamente una professione intimamente connessa con quella di psicologo, nonostante la ricorrente abbia sostenuto di aver esercitato, l’esercizio della distinta attività di counseling psicologico, sottratta all’inquadramento in un Ordine.
STUDIO LEGALE
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ContinuaSettimanale Psicologo Roma : VIVERE LIGHT – L’ AMORE CHE NON HA ETÀ
Quando l’età fa la differenza
VIVERE LIGHT di Maggio
L’ AMORE CHE NON HA ETÀ
Quando l’ età fa la differenza
L’ amore non ha età, è proprio vero, ma questa espressione è molto più attuale esplicitata e presente in questi ultimi vent’anni della nostra storia sociale, che nel passato.
Oggi rispetto a ieri, possediamo meno freni inibitori, veniamo più allo scoperto, abbiamo imparato a mantenere più un contatto con i propri bisogni che col consenso sociale.
La cultura rappresenta l’abbattimento di molti pregiudizi e convenzioni sociali, è una messa in discussione su chi e perché si osservano certe regole o tendenze comportamentali.
Chi lo ha deciso che i sentimenti debbano seguire uno standard e sono vincolabili all’ età .
I sentimenti per loro natura sono folli, sregolati, non chiedono il permesso mai a nessuno, spaccano gli schemi, le aspettative, permettono un cambiamento di rotta, una inversione di corsia, sono inflazionanti, fuori regola, sconcertano chi li vive, gratificano chi se li concede.
Le convenzioni e i consensi sociali, rappresentano esattamente l’opposto di tutto ciò. Secondo le convenzioni, tutto deve essere fatto secondo la norma sociale, tra coetanei, sposarsi, avere figli, un lavoro, un mutuo, una casa, è una questione acquisita, un dato di fatto generazionale e va quasi sempre così, ma chi lo avrebbe deciso ?
Rifiutarsi di vivere da convenzionali dipende da una elevata forma di consapevolezza verso la riappropriazione di se.
Determinate relazioni non coetanee, nascono sulla base, molto inconscia, dettati da meccanismi profondi di natura fortemente emotiva.
Come è vero che certe storie, diversamente coetanee, si fondono sull’amore, è anche vero esattamente il contrario, si possono stabilire su altri meccanismi.
Già per definizione, l’amore viene definito dalla psicanalisi come un bisogno proiettato.Ovvero, leggiamo nell’altro ciò che ci manca, ma cechi di tutto il resto.
L’amore è tale, se nasce e si sviluppa in un clima lì dove non ci sono dei bisogni o delle carenze da soddisfare. L’ amore non è una questione di bisogni da soddisfare e su questo saremmo tutti d’accordo, ma tale meccanismo è così facile individuare ?
Se l’amore fosse un soddisfacimento di bisogni inconsci, ci sarebbe una relazione impari, impreniata su ruoli come quelli genitoriale e di figliolanza o comunque di tutor di aiuto al rapporto.
Una relazione in tal senso non può esistere in quanto impari a lungo, prima o poi ci si rende conto, diventerebbe logorante per una donna accorgersi lungo il tempo di fare da madre al proprio compagno, o accudirlo nelle sue continue sofferenze e difficoltà dettate dall’età o da altro.
Una relazione d’ amore è tale, se da, non se chiede, attende, ha il piacere di donarsi. Ma per dare, bisogna essere entrambi cresciuti, fondamentalmente e sommariamente risolti.
Si possono confondere molto facilmente relazioni fondate su un amore apparente, specialmente quelle relazioni di aiuto, o relazioni fondate sulla condivisione di un determinato stile di vita o di una sterminata condizione instabile dell’umore .
Ad esempio una persona arrabbiata o che che soffre, avrebbe più opportunità di sentirsi in sintonia con un’altra altrettanto nella stessa condizione, trovandoci con essa delle profonde affinità.
A volte ci si convince che la propria forza e la capacità di essere così se stessi, dipenda dalla presenza di un altro, dimenticando che quella stessa forza è già presente in ognuno.
Serve un lungo percorso di vita insieme per poter realizzare che si tratti di amore, invece che di involontari subdoli meccanismi psicologici, tali da realizzare nel tempo separazioni dolorose e abbandoni inattesi.
Abbiamo tutti una grande attrazione verso la freschezza dell’incerto della nostra verde giovinezza da una parte, e dall’ altra verso la corteccia delll’età adulta.
In ognuno di noi coesistono sempre un bambino un genitore ed un adulto e traumi a parte, ne veniamo sempre attratti.
La sessualità all’interno di una relazione diversamente coetanea, prevede due tappe fondamentali, quella esplosiva funzionale attrattiva iniziale, dettata dalle forze emotive che ha sfaldato le convenzioni, ad una successiva, più attenuata, relativa non solo alla normalizzazione della relazione, ma derivante da consueti regolari processi di invecchiamento.
Gli ormoni che decadono con l’età sono l’ estradiolo, il progesterone, l’ ormone della crescita, negli uomini si presenta una riduzione dei livelli di testosterone .
Nelle donne, invece, gli estrogeni diminuiscono rapidamente dopo la menopausa e con l’ aumentare dell’ età. Successivamente restano a livelli bassi.In particolare la melatonina è il primo ormone che, con l’età, presenta una diminuzione legata all’invecchiamento , infatti le concentrazioni dell’ormone cominciano a diminuire del quinto già dal ventesimo anno di vita.
Una coppia così costituita, avrebbe probabilità di esistere, più come coppia comunicativa, e condivitrice di passioni, che prevalentemente in termini sessuali .
È strepitoso vivere l’entusiasmo dell’amore a qualsiasi età , ma, entusiasmo a parte, a volte sarebbe opportuno servirsi, durante la relazione, di un lavoro analitico preliminare, per chiarirsi eventuali meccanismi proiettati e prevenire inaspettati problemi ed abbandoni vicendevoli inattesi sconcertanti.
giorgio burdi
ContinuaIl troppo bene ci rende bonsai
LA FAMIGLIA DEL MULINO CAPOVOLTO
Affetti Discutibili
Il troppo bene ci rende bonsai
Affetti discutibili
Tutti noi, possiamo essere vittime di terrorismi, che non ci tolgono la vita, ma contribuiscono a destabilizzare i nostri comportamenti e i nostri sentimenti.
Sono traumi, più o meno piccoli, dei quali spesso siamo vittime e che ci fanno male il doppio perché all’origine ci sono non degli uomini armati fino ai denti di tritolo, ma i nostri mariti, le nostre moglie, i nostri genitori.
SI utilizzano gesti, frasi, semplici parole, che colpiscono duro come lame, come proiettili. Non si muore, ma si può finire in ospedale.
La guerra non arriva per le strade, ma nelle nostre teste.Questi traumi sono dovuti a imposizioni che piovono dall’alto come sentenze inamovibili (spesso in buona fede) e ci limitano, se non addirittura ci umiliano; ci obbligano a fare ciò che non vogliamo (o non vorremmo) per rispettare dei canoni prestabiliti; sono un tracciato dal quale, se si vuol essere ‘bravi e buoni’, non ci si deve allontanare: così è e così dev’essere.
L’imposizione (alla quale si lega l’eventuale punizione) agisce per renderci migliori, per non farci sbagliare, quindi per renderci felici, mettendoci in una bolla, frenandoci, proibendoci di commettere errori, di deviare, quindi di crescere e fare esperienza autonomamente: tutto ciò che è diverso è minaccia nella visione di chi impone, ciò che è diverso diviene paura nell’ottica di chi subisce l’imposizione, quindi ansia, quindi paralisi, quindi infelicità. Imponendo “il giusto” si ottiene il suo esatto contrario. Non rispettare l’imposizione ci trasforma in fuorilegge, se non addirittura in folli.
Ma il terrorismo psicologico avviene anche in modo più sottile, celato e “paradossale”. l’imposizione avviene non in modo palese e perentorio, ma concedendo all’altro uno spazio di azione: “sei libero di fare quello che vuoi, ma sappi che…”/ ”io la penso come te, però…”; La concessione di autonomia è in realtà fortemente limitata e limitante: è ‘maanchismo sfrenato’, dissimulatamente innocuo ma dagli effetti non meno deleteri.
L’imposizione invece che piove dall’alto, stavolta si insinua lentamente dentro di noi. Il risultato che ne scaturisce è lo stesso: paure, ansie, paralisi, infelicità.
Esiste una cura? Certo, che sì. Quando qualcosa non ci piace come è apparecchiata, bisogna ribaltare il tavolo.
La psicoterapia fa esattamente questo: come in una palestra, ci si allena finché non si è in grado di ribaltare, con le proprie forze, quel benedetto tavolo che tanto non si tollera più.
La psicoterapia ci aiuta ad abbandonare la selva oscura nella quale siamo stati obbligati e ci accompagna verso la strada “giusta” non per il mondo, non per gli altri, ma solo e soltanto verso noi stessi.
La psicoterapia ci aiuta non a dire sì sempre agli altri, ma a dirlo a noi stessi; apre i cancelli delle prigioni restituendoci la libertà dei comportamenti e dei sentimenti, attraverso la comprensione di quegli schemi mentali che invece di “fare il nostro bene” (come si vorrebbe), ci opprimono.
La chiave per aprire questi cancelli è la comprensione di ciò che ci frena e la libertà di essere noi stessi. Solo queste due cose possono salvarci dai terrorismi di dentro e dai terrorismi di fuori.
Stefano
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