L’ opportunista
L’ Opportunista
Deluso, se attendi gli altri
In questo articolo vorrei affrontare senza mezzi termini il tema dell’opportunismo.
Essendo molto giovane, fino a qualche anno fa neanche mi rendevo bene conto di quanto fosse diffuso e intrinseco nelle relazioni sociali che spesso portiamo avanti.
Ora, che di anni ne ho ventiquattro, qualche esperienza in più e un pizzico di innocenza in meno, posso dire di conoscerlo bene. Fin troppo forse.
Ritengo (magari mi sbaglio) che ci siano due “tipi” di opportunismo. Quello “sano”, che può aiutarci senza ledere gli altri e senza danneggiare nessuno, non esclusivo e non rivale, perché una volta attuato non va a diminuire le opportunità altrui e potenzialmente accettabile perché definibile come capacità di sfruttare quell’opportunità ghiotta senza vedercela passare davanti e stare lì, fermi a osservare come beoti quell’ennesimo treno che ci sfreccia davanti senza prenderlo al volo.
Poi c’è quello, più diffuso direi, che in modo a volte brutale e talvolta abilmente celato viviamo ogni giorno.
Ma quante ne vediamo di colleghi arrivisti, in università e sul lavoro, che “usano” il più bravo e lo, accogliendolo a braccia aperte in un gruppo di lavoro, solo perché a loro è utile, lasciando i meno bravi quindi (a loro avviso) meno “utili” in disparte.
Oppure, quanti “lecchini” e arrivisti che impostano la loro vita sull’utilizzo dell’altro (spesso il potente) per un proprio futuro tornaconto.
E se talvolta possiamo definire delle relazioni come “transazioni” ossia un “dare e avere”, quante di queste (amorose e non) intessiamo solo per soddisfare un nostro bisogno opportunistico e non certo disinteressato e spontaneo?
Ricordiamoci che nessuno fa niente per niente. Quante di queste ultime sono basate sul motto “ho bisogno di te”, come se il partner o l’amico/a fosse un medicinale salvavita, utile alla nostra sopravvivenza?
Si dovrebbe dire: “ho bisogno solo di me stesso, perché la mia vita può e deve essere bella e meravigliosa anche senza di te, tutto dipende dalla mia capacità di trovare un mio personale equilibrio, ma con te ho quella marcia in più”.
Quante volte si fa beneficenza solo per il bisogno di sentirci apposto con noi stessi, andando per l’ennesima volta ad utilizzare l’altro solo per ottenere un tornaconto basato su una fittizia pace con la nostra coscienza.
Quante volte invece vediamo senzatetto lasciati soli, emarginati dalla società, ognuno con la propria storia e spesso capaci, se si ha il coraggio di aprirci per ascoltarli, di arricchirci con importanti lezioni di vita e -al contrario- “potenti” mai soli? (E non parlo per sentito dire).
Si potrebbe andare avanti per giorni con altre storie riguardo questo tema, ma non voglio fare il pesantone. Però su una domanda mi ci vorrei soffermare. Abbiamo il coraggio di chiederci il perché?
Sono fermamente convinto che anche se non ce ne accorgiamo o semplicemente non lo vogliamo riconoscere, in tutti noi c’è quel pizzico di opportunismo. Che sia “sano” o che sia evidente e “malato”, sta a noi riconoscerlo, facendoci un’autoanalisi.
Quanto “usiamo” gli altri per i nostri scopi, pronti a passare sopra tutto e tutti pur di arrivare al nostro obiettivo?
Carlo Mastroianni
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Dr. Giorgio BURDI
Psicologo Psicoterapeuta
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : LA SPONTANEITÀ È ARRIVARE IMPREPARATI
Quando non c’è spontaneità, c’è timidezza, non c’è autostima, c’è solo la folla in testa.
Come la scia del vento che accarezza le foglie, scompiglia i capelli e architetta a spasso continue conciature, ridefinisce mille volti dello stesso volto, svariate bellezze della stessa bellezza, svolazza le gonne in una danza in festa, rigonfia le vele per tracciare le rotte, attiva i mulini, innalza alianti.
La natura è meravigliosa, funziona da sola, non richiede pensiero, va da sola va, trascina e si lascia andare, non controlla nulla, vive ciò che c’è, non cerca niente, ha già tutto ciò che le serve, va con la sua potenza e tutto muove, perché si lascia andare.
La spontaneità è la natura di un uomo, se non è corrotta da contaminazioni di pensieri, doveri, obblighi e responsabilità, giudizi, rappresentano la zavorra al volo, rappresentano la non spontaneità sono pesantezza, ossessione, essi sono un’ ancora, ormeggio, manette al benessere, alla serenità, alla salute.
L’assenza di spontaneità è generatrice di sintomi, è il precursore della malattia, rende coatti automi programmati, residenti del villaggio dei pensieri, lontani dalla semplicità della natura, residenti di meccanismi automatici mentali, incastri di schemi che imbavagliano la vita che parla continuamente.
La spontaneità è ascoltare di continuo la vita che parla, è parlare della vita che senti, è muoversi con la potenza delle sensazioni e delle emozioni.
La spontaneità è corpo, viaggia, la mente, se è contaminata, frena. La spontaneità esiste se mente e corpo hanno fatto pace, se sono allineati, se diventano o sono coerenti ed onesti tra di loro.
La spontaneità è avere il coraggio di accettare che le cose accadano, ma è anche trasformarle a vantaggio della propria direzione, perseguendo i propri obiettivi.
La spontaneità rappresenta un equilibrio tra ciò che va e come vorremmo che cose vadano.
È come imparare a navigare in un rafting, lanciandosi in una rapida, cavalcando una cascata e scendere delicatamente fino alla foce.
Spontaneità non è lasciarsi al caso, è esprimere la propria potenza, svincolata dalle inibizioni e dai sensi di colpa.
Il peggior nemico della spontaneità è il senso di colpa e il senso dell’ obbligo. Questi e le inibizioni trovano la loro causa acerrima, nel senso degli altri e non in se.
Chi perde di spontaneità è mentalmente sempre di fronte agli altri, anzi da questi altri ne potrebbe essere spregiudicatamente e continuamente vincolato e dipendente, dipendendo poco da se, dalla sua obiettività, pensa e fa tutto confrontandosi mentalmente con il suo chiodo fisso, depistatore, gli altri .
Chi perde la spontaneità, ha spostato il suo baricentro da se al mondo, il suo massimo interlocutore sono gli altri, in quel preciso istante non esiste più il se.
Quando ciò accade, non si vive più, ma si vive per una folla mentale, in uno stato confusionale della folla, con la sensazione di svuotamento e di de personalizzzazione di se e deperimento delle relazioni importanti.
Ma la folla alle volte non è solo così interpretabile, vive per se, non lo fa appositamente, vive l’ automatismo dei suoi atteggiamenti appiccicati pedissequamente su tutti, non ragiona, è così con tutti, oppure temiamo il suo giudizio pur inesistente. Questo non nega la presenza di persone fortemente manipolative.
Comunque sia, tali modalità contaminano continuamente il nostro destino, decidono comunque per noi, sempre.
Essere impreparati significa, non prepararsi prima, a nulla, arrivare senza e scevri da pregiudizi che temiamo in continuazione.
Spontaneità è non avere vincoli se non il vincolo con se stessi, è chiedere un annullamento delle interferenze.
Quando non c’è spontaneità, c’è timidezza, non c’è autostima, c’è solo la folla in testa.
La paura di essere giudicati rappresenta la perdita della propria vitalità e della spontaneità.
Bisogna decidere di fronte a chi desideriamo stare, se vivere per resoconti altrui sottoponendoci passivamente a ripetuti, gratuiti indiscrete inquisizioni, continuando a frustrarci contaminando quegli attimi dell’ unica vita che abbiamo con i suoi pochi atomi di meraviglia, o interpellare il proprio partigiano ribelle unico difensore della patria di se.
Partigiano, difendi la tua spontaneità, perché la Tua spontaneità è davvero l’unica tua Libertà, è il vero ed unico luogo dove Tu Esisti, è il Tuo stesso numero UNO, Essa è la stessa Tua Persona.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo
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ContinuaSettimanale Psicologo Roma : MADRE E FIGLIA
Dalla rivalità tra le donne ai contrasti tra i partners
MADRE E FIGLIA
Dalla rivalità tra le donne
ai contrasti tra i partners
All’ interno del lavoro analitico assisto molto spesso al bisogno di risoluzione del binomio amore rivalità tra madre e figlia e viceversa, che alle volte rasenta l’ odio all’ interno di questa relazione.
La rivalità della mamma nei confronti della figlia e viceversa, è una condizione più o meno di tutte le donne. Essa viene trasmessa sotto forma di modelli di atteggiamento da società arcaiche fino ai nostri giorni.
La rivalità tra le donne è una questione generazionale, genitorialmente trasmissibile attraverso il vettore della famigliarità, tali modelli vengono veicolati in modalità virale senza fine, gittati dal passato remoto al presente.
All’ interno di questa prospettiva al femminile, tali relazioni vengono impostate in modalità quasi simili, si possono osservare attacchi e controversie dirette, ed indirette, modalità competizioni, invidie e gelosie coatte, tali da sviluppare valenze di aggressività latenti e manifeste, dove l’ atteggiamento iper critico la fa da maggiore.
Originariamente gli attacchi verso la donna in senso lato, trovano la loro origine nelle rivalità madre – figlia, la misoginia ne è una conseguenza appresa da tale conflitto.
La rivalità tra le donne rappresenta l’ induttore, e l’ istigatore dell’ aggressività verso la donna da parte dell’ uomo.
La rivalità tra le donne è una dinamica formativo al conflitto sociale tra le donne, una dona ipercritica contro l’ altra, propone un modello educativo all’ intolleranza, alla cultura della simmetria e della supremazia.
La madre aggressiva è un formatore, un coach che allena e genera modelli di incomprensioni, di chiusure e distacchi emozionali tali che vengono consegnati da generazioni a generazione, come se fossero atti di proprietà con veri atti notarili.
Rivalità ed amore sono due sentimenti controversi conviventi e contrastanti nella relazione al femminile e la loro coesistenza lascia un conflitto di attrazione e dipendenza.
La rivalità allora da cosa nasce? Essa si struttura sull’ istinto di maternità. Esso viene vissuto come un potere femminile assoluto rispetto al generare ed accudire la vita. La vita che gestirà la donna le conferisce un potere enorme, assoluto, non esiste potere più grande se non quello della gestazione della vita. Chi detiene e gestisce la maternità, con elevata e spontanea responsabilità è solo la donna, l’uomo invece termina e si affievolisce in un piacere fugace.
È l’istinto di maternità che rende la donna seria, essa investe tutto il suo sentire e la sua passione, è seriamente sentimentale e tanto più pragmatica e, a giusta ragion veduta, più apprensiva rispetto all’ uomo, ella rappresenta il binomio perfetto tra estrema delicatezza e potenza.
Questo stesso uomo “aleatorio” , rispetto alla sua donna, divenuta mamma, si porrà come alleato di sua madre e di sua suocere, mettendo in scena quella rivalità arcaica tra la madre e la suocera e la nuova figlia acquisita (nuora), attivando un conflitto senza fine sia sulla base di un Edipo maschile non risolto verso sua madre, ma che sulla base della rivalità tra le donne.
All’interno delle nuove coppie spesso si riscontrano questi due conflitti di un figlio invischiato in un conflitto di Edipo madre figlio non risolto ed una rivalità della figlia moglie con sua suocera e con la sua madre di origine.
Povera la coppia che ignori tali meccanismi, profondamente radicati nella costituzione della sua nuova famiglia.
L’istinto di maternità quindi condiziona la serenità delle relazioni attraverso il suo potere matriarcato.
La serietà dell’ essere mamma, la pone nel posticipare la sessualità a vantaggio della sua maternità, che passa su un piano secondario, favorendo la messa in disparte del suo partner, attenuando il loro gioco attrattivo.
La mamma gelosamente vanta ed ostenta il suo ruolo di accuditrice del suo pargolo, questa sua esperienza diviene il suo assoluto.
La figlia divenuta adulta e mamma a sua volta, si imbatterà con la sua madre originaria in un confronto competitivo sul ruolo, rinforzando la scia della rivalità tra di loro.
L’ istinto di maternità diviene il fulcro delle rivalità nelle relazioni al femminile, caratterizzando nel suo interno un vicendevole egocentrico narcisistico.
Il problema nasce dalla chiusura all’interno del ruolo della maternità. Ogni donna che fa quadrato in esso, rivendica un potere, si chiude, smette di essere mamma della sua figlia adulta, da inizio ad una emancipazione di tale ruolo da madre figlia al ruolo di relazione tra donne.
Poter condividere l’esperienza dell’ essere madre, comunicando su di essa, può accadere sul piano dell’ essere donne, esse solo creano un trade union tra le due.
Una mamma non in grado di guardare nel costrutto della sua anima, se ne è totalmente identificata con essa, non sarà in grado di guardare nell’ animo della figlia.
Una mamma che conserva la sua capacita di guardare dentro certi vissuti è profonda ed analitica, è capace di capire, tacere, osservare e collaborare in modo sereno, comprende la geometria del concepire, del nascere, crescere , limando sul suo potere.
L emancipazione dalle rivalità, nasce dal riflettete sul come e perché si forma un tale meccanismo, allo scopo di poter spezzare l’ impasse conflittuale generazionale madre – figlia, cristallizzata e fermo nel passato dei tempi.
La dualità, rivalità – affetto, può determinare e condizionare tutta la vita della relazione al femminile, da doversene fare una ragione, tale da desiderare di voler rinunciare alla madre, e alla figlia, piuttosto che superare un tale diverbio.
La conquista dell’ autonomia, pur essendo una prospettiva molto positiva per la donna, in tal caso è altrettanto negativa se resta insoluto il suo rapporto con la mamma.
Si potrebbe attenuare e risolvere una tale rivalità, imparando ad inquadrarla come non del tutto appartenente all’ attuale relazione, ma andrebbe inquadrata come una zavorra generazionale estemporanea, che non deve e non può centrare con il proprio presente.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : PARANOICI
Il disastro dell’ auto convinzione
PARANOICI
Il disastro dell’ autoconvinzione
Il mondo, come lo delineiamo, è molto prossimo alla nostra fantasia o all’ orrore, tutto dipende dai nostri antefatti, molte volte ci raccontiamo una realtà che non esiste, non c’è e risulta essere molto prossima ai nostri timori, turbamenti o alle nostre aspettative anche più positive.
È difficile essere obiettivi, vedere la realtà per quella che è, bisogna avere i piedi ben saldi per terra con un solido battistrada, per osservare, guardare e sentire obiettivamente con autentica attenzione, con i neuroni sulle spalle, ben interconnessi tra noi e il mondo.
Riuscire ad avere una visione molto più prossima alla realtà ci rende migliori, veri e più sereni e più efficaci, perché essa, il più delle volte, è migliore del pensiero e delle proprie elucubrazioni e mugugni.
il pensiero spesso si comporta da demone malvagio, siamo un po’ tutti paranoici, la paranoia è l’ interpretazione del vero, non è il vero, è la ginnastica del pensiero ossessivo, rinforza i muscoli del pessimismo, l’interpretazione paranoica è un autentico falso immaginativo, al quale ahimè crediamo.
Il ripasso mentale continuo di pensieri e parole ossessive e delle loro interpretazioni, è la palestra del malessere e dell’ incupimento.
Frasi, parole, persone e fatti, visti con una certa convinzione, possono rendere la vita davvero impossibile.
Nelle fobie per l’ horror vivono mentalmente i ripassi di immagini temute, esse vengono raccolte dal passato, rivisitate, ripassate a memoria e rese vive nel presente sotto forma di fantasmi persecutori.
Gran parte dei disastri umani vengono edificati sulla base di tali timori ossessionanti. Dovremmo poter sentire, vedere e toccare la realtà con mano in modo più tangibile, da farci i calli, per come andrebbe afferrata.
Come guardare in faccia il cielo, il sole, la luce e l’aria, con le sue serene trasparenze, ci renderemo conto di quanto possa essere così bella, come il sibilo del vento, il semplice cielo fresco e stellato, così intenso nella sua notte profonda.
A volte è nell animo umano il volersi nutrire, costruire e creare problemi inesistenti, ci si sente a casa nell’ inquietudine inutile e vacua, probabilmente si è reduci di una casa così edificata.
Sono le esperienze ossessionanti che ci fanno fra intendere la realtà in un modo completamente distorto, sono le esperienze negative che ci fanno diventare prevenuti rispetto all’eventualità di sperimentare e sperare in una realtà migliore.
Rispondiamo in modo vecchio a realtà completamente nuove, c’è bisogno di un cambio di registro, di sovvertire le proprie credenze e convinzioni, ci sono tante risposte a sole domande e modi differenti di considerare gli eventi, diviene indispensabile comunque nutrire sempre il dubbio sulle proprie ed altrui “certezze” e visitare le circostanze da angoli di osservazione differenti, per curare il bene e rasserenarsi.
Gli angoli di veduta differenti si realizzano solo in un contesto di continuo continuo e continuo confronto con gli altri che ci portano in alto, i soli a condurci il più vicino alla realtà, attraverso i confronti e i litigi, è la passione per il parlare lo sbrogliatore delle matasse, perché il problema consta esattamente nel rimuginare soggettivo ripetitivo.
Il confronto è un privilegio di pochi, possibile fra interlocutori sensibili, intellettualmente onesti, non ancorati su posizioni prevaricanti, o cristallizzati su fossilizzate posizioni. Quando tutto questo fortunatamente non c’è, esiste il dialogo e la crescita, il proprio evolversi e maturarsi, diversamente si soccombe e se si ha personalità si fa il pieno delle tensioni.
Cambiano solo, le persone che hanno consapevolezza e volontà di farlo, questa coscienza é già un cambiamento, anche se non fattivo, ma che almeno vige nel proprio animo, per questo c’è la speranza che possa attuarsi al momento che si ritiene giusto per sé e vi siano le condizioni consone.
A volte è lento e graduale questo cambiamento, ma la predisposizione del proprio animo migliora la qualita di vita e costruirà le basi per il verificarsi dell’ attuazione delle condizioni favorevoli ad esso.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : GIOCARE SEMPRE
Il cervello è un bambino, lascialo divertire
GIOCARE SEMPRE
Il cervello è un bambino, lascialo divertire
Prendiamo tutto sempre così seriamente, mentre da bambini restiamo col mento appoggiato sul dorso delle mani, in attesa di essere divertiti e stupiti in una risata scoppiata con le lacrime.
Il cervello è un bambino alla ricerca continua, di una palla, di birilli o figurine, di una fetta di anguria sbrodolata sulla maglietta pura, alla ricerca di palline di vetro che fanno tiz che si scheggiano tra loro, di tana e tingola, di suonate di campanelli e fughe, di gavettoni e dentifricio nelle scarpe.
È alla ricerca di castelli di carta o di sabbia con gallerie in acqua di mare, con rastrelli, palette e secchiello e di tricicli, di giro giro tondo, di corse sfrenate con la graziella strong senza rotelle che si piega in due.
Noi siamo bambini che fanno lotte, salti, capriole e cavallucci, pendoli, salami e carri armati sul letto. Siamo bambini che di giorni parlano con le trottole e le costruzioni, con Cicciobello con ciucciotto e con BarbieBaci, in abito lungo ampio rosa in tulle, con stampino e rossetto; e la notte dialogano con l’ angelo custode, per proteggere i genitori e rendere i monelli più buoni, e dopo recitano le preghierine, per rendere più luminosa la notte.
Il cervello è un bambino che si nutre di Esopo, di favole a lieto fine, di racconti di marinai che percorrono le galassie con la loro nave fatta di razzi; è un bambino che spazzola i radi capelli alla sua scimmietta monciccì, che si stringe e dorme insieme al suo orsacchiotto. Noi siamo bambini che dormono sfiorando tra le dita la frescura di madre perla dei bottoni del cuscino, o sfiorano il raso e il cashmere del bordo della coperta.
I bambini sanno vivere, loro che dopo un bernoccolo scoppiano a ridere, non hanno diritto a soffrire, loro che il dolore lo chiamano bua e che subito dopo tornano a giocare, con le ferite che passano dopo una magia.
Un buon adulto è stato un buon bambino, e sarà buono con i suoi bambini e con gli uomini che gli passeranno accanto.
I bambini giocano sempre, non mollano mai, sono portenti, argento vivo, non si stancano mai, dicono -ancora e dai continua-, si inventano sempre personaggi, gli cambiano la voce, hanno una fantasia da regista, mettono in scena imperatori, principesse, schiavi professori studentesse e mietitrici…..
Inventano continue favole, recite e filastrocche, inventano sempre un mondo migliore che possa realizzarsi, senza bambini non ci sarebbe mai speranza e il loro sogno anche se rimane una illusione, ti fa guardare in modo leggero e con disincanto.
Invece noi facciamo castelli in aria, siamo sempre nel buio delle gallerie, lavoriamo come degli avatar con rastrelli e picconi, mettiamo da parte denaro per poi curarci, per andare in vacanza a giocare, quando di gioco potremmo giocare sempre.
L’umorismo è una reazione all’ istinto di morte, per esorcizzare il dispiacere, la serotonina e le endorfine sono quegli antichi ormoni a difesa del nostro piacere. Noi siamo nati per gioire. Noi per essi, giochiamo da sempre e saremmo sempre bambini.
Impariamo da noi, che siamo stati bambini, quando non avevamo sub strutture preoccupazionali che ci spegnevano, rimandiamoci all’ essenziale, all’ essere naturali, spontanei, vivi, autistici rispetto ai problemi. Fatalisti rispetto all’ irreparabile.
giorgio burdi
ContinuaPOETI CON LE PALLE
POETI CON LE PALLE
I Ricercatori di chiarezza
Sono romantici, delicati, passionali sentimentali, umani, molto vicini, abbraccianti, conoscono il senso dei valori, l’ omissione di presenza, di vicinanza e di soccorso non abita in loro, peró hanno i piedi ancorati per terra, l’ elmetto e lo sguardo alto, coperti sulle spalle, irti sulle proprie gambe. Sono scaltri, ma buoni, sono un faro nella notte, un banco di generosità, ti sono vicini, sono speciali perché ti svelano e ti incastrano su una parola, su un gesto, un’ impressione, per aprirti su mari di prospettive.
La loro meta è il vero, il così come si è e come si chiamano le cose per il loro vero nome, ti strappano la maschera, aborrono l’ ipocrisia, difficilmente si lasciano manipolare e quando ciò accade è perché odiano la guerra, amano l’ armistizio, l’ accordo, non la resa, sono validi diplomatici, ma non evitano i conflitti, li accolgono, per perseguire la comprensione, la compassione e la trasparenza.
Il loro baluardo è la chiarezza, se fuggi da essa, ti ritorna come un boomerang, non si lasciano tergiversare in peripezie di argomentazioni distraenti, riprendono il tema, l’ oggetto, battono il chiodo, non mollano mai l’osso, ma da caparbi, devono sciogliere il nodo.
Sono buoni e scaltri, forse giusti, acerrimi nemici del vago, del non detto e del non fatto, sottilmente discreti e taglienti sulle ambiguità che non passano inosservate.
L’ evidenza è la loro forza, non giocano a mosca cieca, lottano contro l’occulto, su ogni cosa lasciata in sospeso e nascosta, o su ciò che feconda il dubbio, l’ oblio e l’incertezza; sono speleologi delle ombre, entrano dentro come pompieri, per spegnere il rogo, non sono salvatori della patria, ma liberatori per bonificare, lasciando luce e trasparenze.
I poeti con le palle conoscono le paure, ma la loro audacia, mette paura alle paure, sono uomini di coraggio, perché le paure son dettate da ciò che si nasconde, come il buio che spaventa e rende inquieti ed insicuri, ma la scia dei poeti della chiarezza, le dissolve.
Nella chiarezza tutto è rinnovabile, la chiarezza è un solvente che prepara le barche ad essere riverniciate per nuove traversate, verso mari calmi ed in tempesta, ma per far la chiarezza serve molto coraggio.
I poeti con le palle non ragionano, sembrano impulsivi, ma non lo sono, sono impressionisti, con freschi colori di pennellate, sono schietti, sanno che la ragione molte volte non serve, giustifica, frena la verità , frena la chiarezza attraverso un processo difensivo di argomentazioni perditempo; i poeti con le palle ascoltano le pulsioni, le sensazioni, traducono ed ordinano in parole il caos nella testa e passano ai fatti, all’azione, sono dissolventi dei labirinti complicati.
Hanno esplosioni, eruttano emozioni, li senti solo quando detonano la loro carica di parole, fluenti come magma, trasformano i paesaggi in colori più roventi.
Il poeta con le palle ama le relazioni e più esse sono contorte e complesse, più è convinto che siano belle, perché bello è ognuno di noi, diverso tutto da sbrigliare e srotolare.
Il poeta con le palle non ha timore di abitare, perlustrare viaggiare tra le sensazioni e le sofferenze umane, li abita e dimora la più pura intimità, nella bellezza nel più ardente dolore, perché esso è l’ epicentro di se .
I poetici con le palle dicono ciò che non si dice, districano ciò che intorciglia la matassa, ciò che contorcono le budella, contestano ciò che non ha senso, sono paladini del buon senso, prevengono, ciò che diviene lotta intestinale, intrigo e cattiveria, essi danno la dritta.
Ciò che più è nascosto, è ciò che più rivela di noi; e le cose non dette sono spesso le migliori, ciò che non fa mai , un poeta con le palle, è non dire.
giorgio burdi
ContinuaLA PROFONDITÀ DELLA LEGGEREZZA
È come l’ attesa della stella cadente
LA PROFONDITÀ DELLA LEGGEREZZA
È come l’ attesa della stella cadente
La semplicità è leggerezza è desiderare la vita come è, volendola migliorare, è poter vedere le cose dall’ alto, è non temere di non poter trovare tutto, è non temere di poter provare tutto, è non temere di non volersi sottrarre a nulla.
Essere più leggeri non è superficialità , ma volteggiare delicatamente nell’aria. La leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avendo macigni sul cuore.
La semplicità è una musa ispiratrice, è una formatrice continua, vivente che osserva ed apprende. La vita è semplice, se gli uomini sono complessi.
È semplice e leggero il respiro, un sorriso, il bimbo che lalla, che mentre parla sembri che canti, è la parola buttata lì, una passeggiata, un ciottolo preso a palla, una nuotata sull’ acqua o sott’acqua, un alito di brezza, l’ attesa della stella cadente, il camminare scalzi mentre si guarda la luna, una risata, il mangiare con le mani uno scampo tra le labbra, mentre decanta il frizzante in un calice di bollicine, come ascoltare sul balcone le cicale o mentre dormi, tra l odore dei pini e il cielo della notte con le stelle che diventano vere come i sogni cadenti in questa notte d’estate.
Tutto ciò che è semplice è così perfetto che sembra scontato, ma è così scontato tutto ciò che è inosservato. Le cose semplici restano scontate perché trascurate all’ abitudine, ma sono così complesse che la loro armonia li rende semplici.
Le cose semplici sono leggere, non giudicano, non litigano, non limitano, sorridono e accadono, perché vanno da sole sopra il pensiero, come la frescura di questa sera d’estate, alla luce della luna, anche l atmosfera della terra complice, brinda per tutti noi.
giorgio burdi
ContinuaSettimanale Psicologo Roma : LA DISCREZIONE È INTELLIGENZA
Come vivere in pace, da zen
LA DISCREZIONE È INTELLIGENZA
Come vivere in pace, da zen
La discrezione è ricerca e possesso della propria identità, è la delimitazione tra se e gli altri, è il rispetto per la vita propria e per quella altrui, è il cardine della cultura delle differenze individuali.
Discrezione è distinguersi, guardare da un palmo al di sopra dei propri occhi, è essere zen, è tutela della salute, è distacco dai conflitti e accudimento di se, è conoscere la differenza tra ordine e confusione.
L’ indiscrezione è caos, è fusione agli altri, è rimpiazzarsi e realizzarsi sugli altri, è chiedere e non offrire mai risposte. L’ indiscreto è un ficcanaso, non ha scrupoli, ne diligenza, ne sensi di colpa, è un gossip del controllo, perché di suo riconosce molto poco, riconosce bene ed invidia i successi altrui.
La persona discreta ama, è delicata, raffinata, può essere un analfabeta, ma colto di buon senso, ha un grande senso di appropriazione di se e delle sue passioni, stima, non lascia informazioni gratuite, non si sente in obbligo o in dovere, conserva e cura rapporti rispettosi e piacevoli, perché un rapporto discreto edifica un rapporto piacevole, generato dal senso della riservatezza e della privacy.
Le relazioni, se non sono di natura lavorativa, hanno un senso se sono piacevoli, aborrono l’ ipocrisia, la doppiezza, perché possono essere scelte sulla base della discrezione.
Il discreto, tutela se è gli altri, non è asociale, è un agevolatore di dialoghi profondi, corretti, improntati al bene, è felice per la felicità altrui, del proprio amico, non invidia come l’ indiscreto, il suo atteggiamento, è il preliminare della legge sulla privacy. Prima della legge, bisognerebbe essere formati alla riservatezza.
L’ indiscreto controlla, chiede, domanda, è un paparazzo, un popolano insicuro, affetto da noia, è anasertivo, un ossessivo coatto, crede di averne molta, ma non possiede autostima, ha una stima apparente, manipolatore, non ha mai argomenti oltre al pettegolezzo, mai un cenno su di se, punta il dito giudica e resta solo.
Dedicato a tutti coloro che guardano raramente dentro di se, ma con invidia all’ altro che vorrebbero essere.
giorgio burdi
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