CI STAI CAMBIANDO LA VITA
Covid 19
Ci stai cambiando la vita
ci hai portati all’ essenziale
hai un solo difetto: fai paura
abbiamo imparato la lezione
ma ora va via
ContinuaTERAPIA DI GRUPPO : Lettera alla Squadra: I soldati del conflitto
TERAPIA DI GRUPPO
Lettera alla squadra
I soldati del cambiamento
Hai desiderato ed imparato a guardare in faccia i tuoi problemi, che per vivere inizialmente è necessario accettare ed adattarsi, che il perfezionismo è una nevrosi senza uscita e se divieni più malleabile ne sei fuori. Hai imparato che per migliorare devi entrare ed andare fino in fondo al tunnel se vuoi accendere la luce, bisogna essere squadra per vedere diverse prospettive di uscita, non guardare solo dagli occhi tuoi.
E se ti impongono, ti cambiano le abitudini, mantieni duro, e pur di vivere, trovi sempre una nuova strada. Ne è fuori, chi non si arrende, chi combatte per il suo tempo e i suoi spazi, prende in mano la sua vita e non molla p mai.
Se la guerra che stiamo combattendo fosse armata; se ci avessero chiamato al fronte, in trincea, schierati contro un esercito nemico per difendere confini e valori, figli e spose, madri e idee, avremmo perso. Sicuramente. Ma non solo noi, anche gli avversari.
Saremmo stati entrambi immobili, fermi, disorientati da una serie continua di segnali di resa e ordini d’avanzata. Non ci avremmo, alla fine, capito niente. Tutti. Proprio come sta succedendo oggi, sul fronte delle nostre case, sommersi da mille versioni, analisi, commenti e soluzioni per una crisi mondiale, senza precedenti e che va rivelando, oltre la tragicità dei numeri, un’umanità da ricostruire.
Una ricostruzione che hai imparato a conoscere. scegliendo il percorso d’analisi e che, settimana dopo settimana, ti porta a ricostruire le tue certezze, la tua abilità, la tua stabilità, il tuo essere profondo.
Per quanto singolare e grave, la pandemia che ci circonda sconta la contraddizione del nostro tempo: il diritto di parola concesso a legioni di imbecilli, per dirla con Eco.
All’ ansia per la salute, propria e dei propri cari, si aggiunge l’ansia di questo navigare a vista, senza orizzonti e approdi.
Ma tu che fai analisi, conosci l’ansia, più di chiunque altro e la vivi, tu che la sai risolvere e la combatti, ci dialoghi continuamente: quando il capoufficio non ti paga, quando il tuo amore non ti ascolta, quando il passato torna a farti visita, quando non ti senti come il resto del mondo, quando ti escludi da una seconda occasione. La conosci perché hai accettato di sederti in un gruppo e vuotare il sacco della memoria. La vivi, ogni volta che il fallimento ti prostra con la faccia a terra e non ti fa respirare.
Il mondo ha riscoperto il sentimento della paura, dell’angoscia, sotterrato chissà dove dagli impegni, da un movimento ossessivo e continuo. È successo soprattutto per una contingenza: le necessarie restrizioni dei governi ci hanno messo faccia a faccia con noi stessi, con i nostri beni di prima necessità, con tutto il campionario degli istinti, pronto ad esplodere.
Ed anche il silenzio della notte appare più pesante, perché nasconde un presagio fastidioso, un timore a cui non si sa dare una sagoma.
Come i tuoi fantasmi che ora chiami per nome, avendo faticato mesi interi per farteli amici. Presentandoli, in modo precisissimo ai tuoi compagni di seduta, perché tramite il rispecchiamento, ti aiutassero a guardarli in faccia per andare avanti, aldilà.
E ora? Che si fa? Che fine hai fatto? Nell’ “ora più buia” conviene davvero mollare la presa, in attesa di tempi migliori ? Te, Il gruppo, la squadra, ha lavorato nelle notti più oscure di ognuno, e adesso non si può fare lo stesso ? Perché ci hai mollati nella notte, pensiamo ancora di essere una squadra, ti abbiamo dato venti mani, Tu adesso dove sei ?
A gennaio, quando eravamo ancora lontani osservatori della strana influenza cinese, è uscito un film, che ha riscosso grande successo e ha fatto incetta di premi. Il titolo è “1917 di Sam Mendes”. Parla di due giovani caporali che devono attraversare l’ostile territorio nemico, per consegnare un messaggio a un battaglione di 1600 uomini.
Così facendo, impedirebbero a quei soldati, di cadere in una trappola mortale ordita dai tedeschi.
La scelta cade su di loro perché, nonostante la feroce crudeltà della guerra e l’apatica stanchezza che regna tra i commilitoni (la guerra dura già da tre anni e non si capisce ancora come finirà), hanno saputo conservare un rapporto d’amicizia, uniti, schietti e sinceri, non sempre idilliaci, ma comunque onesti e leali.
Aldilà della trama, della sua evoluzione e conclusione, c’è un altro messaggio che circola e che arriva dritto al cuore, lo veicola un altro dei protagonisti del lungometraggio, il Colonnello Mackenzie: “La speranza è una cosa pericolosa!”. Ci fa solo attendere passivamente. L’Unità invece crea la certezza di farcela, ma tutti insieme, da un rispecchiamento ad un altro, si esce vittoriosi. Non lo abbiamo apprezzato tantissime volte ?
E la storia dei due soldati è quella di un’amicizia che riesce a trasformare la speranza, in azione, la toglie dal mondo fatato della retorica bellica (uno dei due vende una medaglia d’onore per una bottiglia di buon vino) e la trasforma in potenza in mezzo alle bombe e ai cadaveri abbandonati dei campi di battaglia.
È questa speranza – azione, intrisa di sangue, evitamenti e derisioni a salvare 1600 uomini e ad aprire la strada verso la vittoria finale.
Oggi, il nostro momento storico, per quanto indecifrabile e difficile ha bisogno di questa unità di speranza azione per risollevarsi. Finiranno gli inni nazionali, i flashmob sui balconi e non sapremo ancora se andrà tutto bene o meno, senza rispecchiamenti, partecipazione ed unità.
Ai due, sul varco delle linee nemiche, viene data una pistola lanciarazzi. Se non vogliono proseguire nella loro missione devono lanciare un razzo verso il loro accampamento, così saranno salvati; se decidono di continuare, devono lasciare l’arma a terra, perché gli altri, seguendoli, capiscano che non si sono arresi.
Tu, continua ad avanzare, lascia l’arma a terra. L’analisi a qualsiasi condizione, a qualsiasi modo è un passo costante verso la propria liberazione, maggiormente adesso.
Gli eventi del mondo o li eviti o li guardi in faccia. Non ricordi? L’hai ripetuto a mente, un sacco di volte, in ogni singola seduta: adesso sono qui, non posso arrendermi !
Con tutti i mezzi possibili, per me, per te, per tutti, sarebbe meglio non disgregarsi, restare insieme: i tuoi Amici partigiani sono sul fronte.
luca & giorgio
ContinuaLA VITA PERFETTA : La perfezione è partire dalle cose “sbagliate”
LA VITA PERFETTA
La perfezione è poter partire dalle cose “sbagliate” . Una grazia imperfetta o un perenne conflitto?
Alla base delle nevrosi e al vertice di certi malesseri c’è la prospettiva della perfezione. Miriamo in una certa direzione e la vita quotidiana ci presenta tutt’ altra. Ci impegnano a non sbagliare e ci ritroviamo punto e a capo.
La responsabilità è soltanto nostra, ma ci accettiamo per quello che siamo, o siamo accaniti in un processo autodistruttivo ? Se spesso sbagliamo, non sarà infondo che siamo umani e cerchiamo esattamente ciò che poi definiremmo “errore” ?
Nell’ errore c’è una prospettiva di cambiamento, paradossalmente lo cerchiamo, ma per cambiare. Perché allora lottarci contro ? Non è un invito a sbagliare, ma quando lo reiteriamo, vogliamo solo cambiare, esclusivamente cambiare.
La vita ci offre continuamente delle prove e, alcune meraviglie imperfette, che accettiamo come balsamo per quelle prove, attraverso le stesse meraviglie, imperfette, veniamo riportati alla grazia di noi stessi, ma la sua imperfezione ci rende vulnerabili.
Rischiamo di rimanere eternamente in conflitto, crogiolati dalle nostre nevrosi. Allora, sarebbe più giusto accettare uno stato di grazia imperfetto o una vita perfetta tardiva a venire ? Punti di vista significativi per fare della propria vita, una vita di dolori, o una vita più leggera, più serena, di grazia, di meraviglie, ma imperfetta.
Ci meritiamo il meglio dalla vita, indubbiamente, ma il meglio è sempre opera di edificazioni faticate e tortuose. La vittoria di un secondo è frutto di fatiche e sconfitte di anni. Ma la vita di grazia imperfetta non sarebbe ugualmente tortuosa ? Sicuramente, ma molto meno di una perenne nevrosi senza alcuna grazia.
Allora, non sarà che le meraviglie e le grazie imperfette, intrise anche esse di imperfezioni ed errori, possano essere il tramite balsamico, che noi scegliamo, come rampicata verso la perfezione ?
La perfezione può essere possibile ed esistere, accettando di essere sbagliati, come rampicata attraverso le meraviglie imperfette.
È indispensabile accettare l’ imperfezione e il delirio di questo periodo per Impegnarsi nel recuperare, senza accettazione ci sarebbe il vero delirio e la psicosi sociale.
giorgio burdi
Continua
UN FERNÈT SUL BALCONE.
UN FERNET SUL BALCONE
Bisogno di leggerezza, di spensieratezza, di viaggiare zen, sapere che l’aria che respiri sia tutto ciò che basti, calpestare l’ erba come un bimbo che rincorre un super Santos, che rotola sul prato, risotto al limone, ai frutti di mare, un calice di bianco appannato, o pane e pomodoro, due risate sciantose a tavolino e l’animo sereno.
Ricci Rossi con focaccia, brezza sulle spalle, giornata fredda, viso abbronzato, onde sui ciotoli, risate lontane di bimbi, stridii di gabbiani, salsedine sulle narici, profumo di alghe e tartufi, gossip di spiaggia, musica di un lido distante che apre alla primavera, sensazioni supreme su deboli pensieri, me ne fotto se ci penso, non penso, e se penso mi complico, attenzioni, ma non psicosi.
Le sensazioni sono come le turbine di questo potente aereo, indifferente alla gravità, svettando ti porta su, alto alto, come l’ umore che vive e la morte che muore.
Libertà di sentire, e morte di pensare, come chi ama ciò che fa, non lavora mai, e questi flussi di coscienza sono come queste nuvole leggere e solide di pace, come la panna dei monti da passeggiare.
Quanto è bello parlare, parlare, parlare, chiacchierare, decodificare l’anima attraverso la voce, quando le parole sono buone, l’ anima prende il volo, pendiamo sempre dalle labbra di qualcuno che abbia parole buone e vere e quando esse arrivano, sono baci tra parole, e le parole vere sono solo quelle che si baciano tra loro. Le parole che ci baciano, ci accolgono, ci abbracciano, riscaldano e fanno bene al cuore.
La parola buona è balsamo, permea, si spalma, rilassa e placa, stiracchia, tonifica, elimina i crampi dell’ anima, fa credere e sperare, ti fa abbandonare in uno stato di grazia, come toccare la neve che diventa zucchero a velo, come le nuvole che ti fanno guardare dall’ alto, la parola buona è un verbo che ti avvolge come un cappotto d’inverno, come la buccia d’ arancia che profuma di fiori e accarezza di dolcezza il suo frutto.
Sa usare la parola chi non punta mai il dito, ha il buon senso, da significato alle cose e rispetta il senso di se e dell’ altro, sa leggersi dentro interminabilmente, non smette mai di stupirsi, sensibile alla leggerezza, alle minuzie, al non essenziale, è vivo e ti fa sentire vero, chi non la conosce muore, e fa perire.
Parola che bacia parola, è vocazione per gli altri, per la vita, per la gente che cerca un senso, e il senso è sempre dentro chiunque e in qualcosa che la parola inesorabilmente cattura, è come fumare alla sera un sigaro sul balcone, con le labbra che si intingono in un fernèt.
giorgio burdi
ContinuaSANO EGOISMO PER GUARIRE
Sano Egoismo per agire i propri sogni
Ognuno di noi ha la sua età anagrafica, ma in realtà, la mente di ogni singolo individuo porta retaggi anchissimi. Ritengo personalmente, che nella maggior parte dei casi, questi retaggi siano molto pericolosi e nocivi, gli vengono insegnati sin da piccolo dai suoi genitori.
Crescendo l’ uomo, identificato come singolo individuo, viene stigmatizzato, plasmato, come un modellabile alle taglie conformate dei modelli confezionati, allentandolo dal suo vero Ego.
Accartocciata sui modelli, ma ribelle sotto, come da foto, nel suo istinto di vita. Le confezioni ci allontanano dal nostro autentico Se, la nostra parte più vera, più viva. Senza il nostro Se, senza i veri piaceri primordiali, l’ essere umano, è destinato alla completa estinzione mentale, condannato a modelli giurassici.
Trasformati in macchine, agiamo, senza piacere, automi, automatici, ieri come oggi, oggi come domani, domani come ieri, senza quell’ istinto di vita che la natura ci ha donato, ma programmati dalla macchina, ma perché il mondo attraverso i suoi meccanismi, ci induce a credere che sia quella la vera vita da pecora ?
Seguiamo la mandria, le strade già persorse, mettere i piedi dove troviamo già altre orme, ci lascia credere che quella sia la via giusta, la via della felicità, il nostro destino, ma sono solo strada già percorse. La realtà è che entriamo dentro delle gabbie mentali.
Molto presto queste gabbie si tramutano in sintomi psicosomatici, il corpo entra in sofferenza, perché bussa prepotentemente alla mente per dire, non è giusto ciò che mi fai, non mi stai vivendo, non vivi te, il tuo Ego-ismo ( io esisto ) la vita, che tu lo voglia o meno, è a colori, non monocromatica o in bianco e nero.
L’amore e il rispetto di se, insegna il rispetto e la cura per gli altri, perché, la cura che parte da se, accoglie gli altri solo quando si sta bene.
Il più grande complimento che possano farci è sentirci dire: “ sei diventato un egoista ” , ovvero un non conformato, non riusciamo più a confezionarti, non entri più nel pacco, o sul comodino, esci fuori dagli schemi, no ti capiamo più, sei fuori dai canoni o dal comune, ma di che taglia sei e chi ti credi di essere?
Ecco questa è la fase che fa la differenza, fase in cui sei una persona, sei una risorsa, quella risorsa che gli altri riconoscerebbero, quando da solo avrai la voglia e la forza di vederla e il coraggio di tirarla fuori.
Romina
ContinuaI valori ci fanno sopravvivere. Il vero valore sei Tu
I valori ci fanno sopravvivere.
il vero valore è essere se stessi.
Sinceramente so che il Bene non dipende dalle istituzionalizzazioni dei rapporti, dai valori definiti e condivisi dal mondo, da convenzioni e convinzioni architettate tali da rendere apparenti sicurezze, ma dal bene propulsore che il presente ci regala naturalmente sempre.
Ci aggrappiamo a condivisioni di moralismi e atteggiamenti di vita rassicuranti, per evitare la solitudine, diveniamo eserciti di insicuri bisognosi del senso di una vita comuni per fuggire il disagio di sentirci unici e soli sotto l’egemonia di comandanti morali che ledono l’identità personale a vantaggio di una omogenizzazione e massificazione sociale.
Diciamo spesso, si fa così e basta, perché la gran parte condividono tali valori, anche se tali valori mettono in gabbia il soggetto ed in una non condizione di vitalità.
La famiglia e le istituzioni rappresentano il nostro credo. Ma credere in quali valori, in una famiglia che possiede la licenza elementare, ma anche la laurea, sono davvero esse i depositari dei valori ?
Il conformarsi e l’accettare condizioni di vita perché “bisogna fare così”, rappresenta il precursore delle malattie nervose e psicosomatiche.
Il corpo lancia delle reazioni e dei segnali di bisogni di liberazione attraverso i sintomi, la mente, contenitore di convinzioni, imprigiona, fustiga e castiga, perché, mente sulle verità che il corpo impone attraverso i suoi dolori proclamatori indiscutibile di verità.
Una guerra dentro, tra verità e finzionI, tra il numero uno e il numero due, il corpo riflesso, sede dell’ istinto naturale di vita e di sopravvivenza, indica la strada maestra, ha i piedi per terra, avverte i profumi e i desideri, la mente è L’ aria fritta, l’ aria celi, i piedi per aria, vive nell’ iperuranio, sulle nuvole di questo aereo, si arrampica sugli specchi delle malattie, avverte i dolori e le paure di non essere omologato.
Noi siamo il valore, il bene assoluto, chi dà valore a se stesso, si emancipa dallo scontato, avverte se stesso come Unico e cresce in maturità ed autostima, si distingue, si domanda sempre, come un bambino il perché delle cose. Mette in discussione gli assoluti familiari e sociali, perché riconosce in se stesso i suoi assoluti, che non vuole insegnare a chiunque ma rappresentano una opportunità di emancipazione, se condivisi.
Ciò che sembrerebbe un nichilismo, invece è la strada verso l’uomo, non verso la sua omologazione e carcerazione, perché ogni uomo potrebbe essere un dono per la sua comunità se si lasciasse alla sua potenzialità, ma certe volte le potenzialità fanno paura alla comunica che lo deve ridefinire e redarguire.
Saremmo tutti migliori se avessimo più spazio per le idee e le sensazioni proprie e di tutti. Diversamente concepiremmo una dittatura, un partito politico o una setta, ma le sette apparentemente rendono sicuri e meno soli come la superstizione.
Posso essere io l’assoluto di me stesso ? O solo gli altri sono la verità da inseguire ? È condiviso che ognuno non può essere verità per se stesso, solo le famiglie, i gruppi sociali, il mondo avrebbero questo privilegio e sarebbero i nostri saggi, ed io invece un uomo piccolo uomo, un difetto, un non pensante, un deficiente ?
Quanta povertà non poter credere in se stessi, non poter uscire dall’ ombra, seguire la mandria, apparentemente rassicurante, ma in realtà, depersonalizza, col rinnegamento di se, si ammala chi si affida ai valori altrui, si adagia, forvia, è ossessionato, annega sé nelle ansie, sprofonda nel timore di sbagliare, di uscire dal range, non si muove mai, è inibito, frena sempre, va a singhiozzo, non parte, muore tre volte, prima dentro, invecchia, poi fuori.
È preferibile “errare”, aldilà dei canoni dei saggi, pur di avere in mano la propria vita, seguire il valore che si È, che il mondo vorrebbe gestire, censurandolo e schiacciandolo a se, nella consapevolezza che l’uomo, nella sua singolarità ed individualità è assoluto, ognuno è assoluto, se lasciato respirare.
giorgio burdi
ContinuaBuoni propositi e il ritorno alla normalità: Indole o destino ? Tutti alibi per non crescere.
Buoni propositi e il ritorno alla normalità: Indole o destino ? Tutti alibi per non crescere.
Prenditi cura di te come fa una mamma che segue nella notte il suo bimbo, nell’ aiutarlo a fare ciò che è.
Sono passati alcuni giorni dall’inizio dell’anno e già le bacheche dei social iniziano a spogliarsi degli auguri di nuova vita, dei pronostici superlativi per quello che verrà, dei rituali necessari al conseguimento della felicità. I parchi di ripopolano di runner, il reparto bio degli ipermercati si ripopola di nuovi clienti; trovano nuova vita gli edicolanti, gaudenti per le alte vendite delle riviste astrologiche.
Non succeda mai che le lenticchie non abbiano portato soldi, che la prima scopata dell’anno non sia foriera di altre piccanti avventure, che la mutanda rossa non garantisca fortuna e felicità. Di solito, come si può vedere, questa vocazione al buon proposito dura, in media, qualche settimana, poi l’anno nuovo inizia a risomigliare all’anno vecchio: stesso lavoro, stessi amici, stessa attività sessuale…
Rieccolo il destino cinico e baro che si ripresenta alla porta, scompensando tutti i progetti per la vita nuova brindata e auspicata. Gli errori iniziano a ripetersi, le risposte alla vita sono le stesse e nonostante sforzi e promesse di cambiamento, finiamo per convincerci che, in fondo, non cambierà mai nulla, perché il destino ha stabilito questo per noi. Il destino si trasforma così, in una destinazione, unica foce dove convergono i nostri giorni.
Pensare che, un tempo, la definizione di destino, non nascondeva tutte queste ombre di staticità, anzi, riconduceva ad un’idea di uomo, in continuo movimento tra le forze immense e potenti della natura. Destino deriva dal greco istemi = io sto. Ma questo “stare” non traduceva la passività, ma quella prorompente vitalità di essere nati tra la vita e la morte, tra ζωη (zoe), il continuo fluire della vita e βιος (bios), la naturale finitezza.
La civiltà greca intendeva la vita come una continua battaglia. Una lezione che ritroviamo nei tanti componimenti tragici giunti fino a noi: l’individuo è immerso nella sua finitezza, nella sua caducità, ma ciò che lo salva è proprio scegliere di non soccombere a questo destino.
La sua libertà risiede nel poter costruire il suo meglio: unica azione che lo libera e lo determina come uomo. Se ci pensiamo, non è poi un caso che Freud, padre della psicanalisi, abbia trovato nell’Edipo re di Sofocle, la chiave di lettura per interpretare nevrosi e isterie, la base teorica della sua scienza.
Nel proprio cammino psicoterapeutico sarebbe utile, rifarsi a questa idea di destino, non statica, ma vitale. Iniziare a comprendere che non esistono eredità passate immobili e immutabili su di noi, che non esistono eventi nascosti e oscuri, pronti a profetizzare i nostri errori, ma io solo, soggetto unico e singolare, che di fronte alla persistenza del fato avverso (la nevrosi, per definizione, è ciclica e replicata) agisco, decido, procuro una cesura, tra quello che fu e quello che sarà.
Però, sotto questo pensiero, resterebbe in piedi la teoria che chi ha una indole riservata, remissiva, non potrà mai cambiare il proprio destino, visto che è solo il fermo atto decisionale a svelare la nostra libertà. Ma parlare di indole è continuare a definire un passato che si ripete e si riassume in comportamenti che è possibile modificare, con la guida del terapeuta.
Ritornando al mondo ellenico, sulla facciata del tempio di Apollo, a Delfi era riportata la frase “conosci te stesso”. Per datazione non poteva rifarsi al concetto cristiano di anima e di coscienza. Conoscere sé stessi voleva dire, pena il mancato esaudimento della preghiera verso il dio, essere pienamente coscienti della propria precarietà e delle proprie possibilità. Concetto vicinissimo alla nostra idea di autostima, ma svuotato da tutti gli inutili corollari che, nel tempo, abbiamo saputo dargli.
Conoscere sé stessi, i propri limiti, le proprie capacità è poter iniziare a fare pace col proprio passato, con i rancori irrisolti, con le rabbie tenute dentro, con i nostri dialoghi incompiuti. È iniziare a costruirsi il proprio destino nel tempo. Dovremo aspettare, quindi, il 31 dicembre del 2020, per festeggiare daccapo? E cosa poi? Il nostro inizio o la nostra fine? Di certo, una soglia così breve non può contenere tutta la nostra capacità di speranza.
Tutto il tempo datoci è un’occasione seria, per dare senso alle cose. Per cercare ciò che va lasciato e ciò che va custodito. Sempre, continuamente, perseverando. Scegliere, decidersi, è la vita stessa a chiederlo. Qualcosa è giunta al tramonto, qualcosa nasconde i fermenti dell’alba. Non ci sono anni vecchi, non ci sono anni nuovi.
C’è il senso del nuovo. Semmai, se ci deve essere un augurio è che sia quello di trovare in questo nuovo, il tuo nome e una notte più chiara auto determinandoti, come una mamma segue il proprio bambino nella notte.
ContinuaL’uomo è più potente del suo dolore e della morte
Che senso ha la sofferenza
L’uomo è più potente del dolore e della morte
Ogni volta che ci troviamo di fronte ad un qualsiasi dolore, veniamo chiamati a rinnovarci, attraverso la sua presenza, possiamo comprendere forzatamente o piacevolmente, che si sta prospettando la necessità di una nuova nascita.
Non siamo nati per soffrire, ma quando il dolore è presente, invita ad una evoluzione verso L’ equilibrio e la serenità, direziona verso un aiuto, una presenza super partes, verso una voce che ci accompagni mano nella mano.
Il dolore mentale o fisico si presenta come un parto verso un nuovo adattamento. È l’adattamento verso la nuova prospettiva che si impone, che strugge l’anima.
La sofferenza denota il bisogno di adoperarsi per una evoluzione che fa spavento. Tutto ciò che è nuovo, orientato verso la sua differente prospettiva, fa letteralmente paura.
Il più delle volte percepiamo solo tutta la veemenza del dolore che oscurantisce la prospettiva del cambiamento. Non lo capiamo, non lo sappiamo, ma quando soffriamo si esige un cambiamento.
Gli stessi sintomi rappresentano una ribellione ad una condizione e in quel momento il dolore rappresenta paradossalmente il nostro miglior amico che vorrebbe indicarci la strada e ciò che di fatto non va.
La sfida del sintomo è dover riconoscere da cosa esso viene generato per avviare una metamorfosi liberatoria rispetto alla situazione generatrice del sintomo.
Accertati che non ci siano cause di natura organica, se hai un dolore alla gola, domandati, quante parole non dici, soffocate a mezza lingua.
Gli acufeni denotano la presenza di pressioni emotive scaricate sui timpani, gli attacchi di panico che ti fanno temere la pazzia o la morte, denotano cosa davvero ti fa impazzire o ti fa morire nella vira quotidiana. La mancanza di autostima non rappresenta uno stato di deficienza personale, ma a quanti giudizi sul mio conto ho creduto.
La ricerca continua del senso della vita, il mal d’ esistere, denota che c’è molto che non da senso alla mia vita.
Comunque sia, il dolore non è nostro nemico ma al contrario un amico che incita verso una trasformazione di equilibri, verso la serenità e la felicità.
Ma, lì dove è complesso cambiare, cosa succede ? La sofferenza impone e propone l’ adattamento e la capacità di accettazione che acquieta e rigenera una nuova nuova forza di vita. Comunque sia,
l’ organismo è sempre reattivo, per adattamento, al miglioramento di se.
La prostrazione della sofferenza rende vulnerabili, spinge verso l’errore, spinge verso una dimensione comunque umana di differenti prospettive. L’ errore rappresenta la ribellione verso il dolore, è un confuso tentativo irrefrenabile verso una prospettiva di miglioramento.
L’errore rappresenta il partner del cambiamento, è un urlo di liberazione, senza sbagli non si cambia. D’ altronde il bisogno di liberazione, in una condizione di sofferenza che genera confusione, non sempre è progettabile, per quanto si cerchi di non sbagliare perché l’errore è sempre ripugnabile, ma esso è il puro ribelle del dolore, verso una evoluzione al di là dello stesso.
L’uomo è più potente del dolore, della morte perché comunque vada o comunque sia, per istinto di vita o di sopravvivenza, l’uomo si difende sempre, lotta e vive in trincea perché auspica sempre al desiderio di vita e di vittoria. Non molliamo mai.
giorgio burdi
ContinuaPER CONOSCERE SE STESSI bisogna tradurre i silenzi in parole
PER CONOSCERE SE STESSI
bisogna tradurre i silenzi in parole
Quando ci chiedono “ come stai ? “, molto spesso dinanzi ad una tale domanda rimaniamo attoniti, pensierosi. Come sto ? Boh, Spesso percepiamo gli estremi, il massimo dolore o la gioia, per il mezzo non sappiamo rispondere, c’è quasi un vuoto di percezione.
Noi “stiamo” come stanno le nostre sensazioni ed emozioni, noi siamo le nostre stesse emozioni, esse sono caratterizzate da reazioni neuro fisiologiche potentissime, ma silenti, rappresentano la nostra raffinatezza. La sensibilità è il senso di umanità, è saper leggere tali raffinatezze.
Abbiamo bisogno di imparare a scansionare di continuo le nostre reazioni veementi, discrete o silenziose emotive e percettive, per essere presenti all’interno della realtà in cui viviamo, per realizzare la massima consapevolezza di noi e del mondo che ci circonda.
Parliamo in noi e tra noi continuamente e silenziosamente in moto vorticoso, un linguaggio interiore tutto da scoprire, al quale nessuna istituzione ci ha mai aperti o preparati, la conoscenza di noi viene data per scontata, ad essa non è mai data la dovuta importanza.
Nelle scuole primarie studiamo da sempre gli oggetti del pensiero, la fisica la matematica, la letteratura ect, ect, ma non c’ è la materia, “persona”, non è mai stata considerato oggetto di studio, il soggetto.
Conosciamo la giurisprudenza, la medicina, l’ Architettura, ma noi no, nella dimensione emotiva dell’ anima, del pensiero sommerso, di tutti quegli atteggiamenti dell’ affettività che determinano le globali relazioni e le transazioni umane.
Senza la conoscenza di noi saremmo sempre limitati, non saremmo abbastanza umani, vivremmo in relazioni mozzate, saremmo solo tecnici, avremmo relazioni automatiche e meccaniche, materiali, superficiali, monotone, relazioni monologhe.
Spesso osserviamo un medico o un assistente sociale, un professore privi di capacità relazionale umana, è inconcepibile osservare un medico, peggio ancora uno psicoterapeuta o uno psichiatra che curi il paziente prendendo le distanze dall’ uomo.
Leggere in noi significa leggere nel presente e nella nostra memoria.
Nella nostra genetica c’ è la storia di tutta l’umanità, abbiamo una catena elicoidale infinita di storie, in un filo invisibile, il dna, conduttrice generazionale. Esso ci collega alle radici della storia, catena trasportatrice di memorie, di reazioni emozionali, di paure, vitalità, di atteggiamenti, traumi, sensazioni e comportamenti.
Nelle nostre generazioni ci sono i sintomi, le patologie, le funzionalità, depositate nei campi della nostra vita genetico famigliare. I terreni sui quali noi costruiamo la nostra esistenza hanno radici neolitiche e preistoriche.
Noi siamo la memoria del passato e gli innovatori del divenire presente, siamo i depositari di una intelligenza storica e di un inconscio collettivo, siamo l’ acme dell’ evoluzione della specie umana e nella nostra specie ci portiamo l’ umiliazione, l’ orgoglio e il bagaglio del passato.
La congiunzione tra passato e presente avviene attraverso il concepimento, esso è il connubio della storia umana.
Curando noi, curiamo le nostre generazioni passate, e curando il nostro passato, curiamo noi nel nostro presente. Noi stessi siamo gli evolutori del nostro futuro e delle generazioni in divenire.
Noi, facciamo dono delle nostre emancipazioni ai nostri figli e alle generazioni future delle nostre conquiste. Il segreto dell’ evoluzione futura delle nostre prossime generazioni è nella cura e nella lettura e nella cura di noi che ci emancipa.
giorgio burdi
ContinuaPER CONOSCERE SE STESSI bisogna tradurre i silenzi in parole
PER CONOSCERE SE STESSI
bisogna tradurre i silenzi in parole
Quando ci chiedono “ come stai ? “, molto spesso dinanzi ad una tale domanda rimaniamo attoniti, pensierosi. Come sto ? Boh, Spesso percepiamo gli estremi, il massimo del dolore o la gioia, per il mezzo non sappiamo rispondere, c’è quasi un vuoto di percezione.
Noi “stiamo” come stanno le nostre sensazioni ed emozioni, noi siamo le nostre stesse emozioni, esse sono caratterizzate da reazioni neuro fisiologiche potentissime, ma occulte e silenti, rappresentano la nostra intimità e raffinatezza. La sensibilità è il senso della nostra umanità, è saper leggere certe sottigliezze.
Abbiamo bisogno di imparare a scansionare di continuo le nostre reazioni veementi, discrete , silenziose emotive e percettive, per essere presenti all’interno della realtà in cui viviamo, per realizzare la massima consapevolezza di noi e del mondo che ci circonda.
Parliamo continuamente, in moto vorticoso, un linguaggio interiore silenzioso tutto da scoprire, al quale nessuna istituzione ci ha mai aperti o preparati, è dato per scontato, non si è creata la dovuta necessaria del conoscere se stessi a scuola.
A scuola studiamo da sempre gli oggetti del pensiero, la fisica la matematica, la letteratura ect, ect, ma non c’ è la materia “persona”, non è mai stata considerata un oggetto di studio il soggetto.
Conosciamo la giurisprudenza, la matematica, la medicina, la letteratura, ma noi no nella dimensione emotiva, dell’ anima, del pensiero sommerso, di tutti quegli atteggiamenti di affettività, di cattiveria che determinano le globali relazioni e le transazioni umane. Le relazioni umane e i loro interscambi risentono degli umori e delle emozioni soggettive.
Senza la conoscenza di noi, non saremmo abbastanza umani, saremmo solo dei puri tecnici, avremmo relazioni programmatiche e automatiche, materialistiche, superficiali, monotone, avremmo relazioni monologhe.
Spesso osserviamo un medico o un assistente sociale, un professore, privi di capacità relazionale umana ed empatia, un medico che cura il proprio paziente non può curarlo mantenendo le distanze da ciò che lo caratterizza, la sua natura umana.
L’ ipocondria e le malattie psicosomatiche infatti, hanno valenze emozionali e suggestive, come si potrebbe prescindere dall’ omettere le architetture emozionali ?
Leggere in noi significa leggere nel presente e nella nostra memoria.
Nella nostra genetica c’ è la storia di tutta l’umanità, abbiamo una catena elicoidale infinita di storie, in un filo invisibile di dna, conduttore generazionale. Esso ci collega alle radici della storia, essa è la catena trasportatrice, di memorie, di reazioni emotive, di paure, di vitalità, di atteggiamenti, sensazioni e comportamenti.
Nelle nostre generazioni ci sono i sintomi, le patologie, le funzionalità, depositate nei campi della nostra vita genetica. I terreni sui quali noi costruiamo, hanno radici neolitiche, paleontologiche e preistoriche.
Noi siamo la memoria del passato e contemporaneamente gli innovatori del divenire presente, siamo i depositari di una intelligenza storica e di un inconscio collettivo, siamo l’ acme dell’ evoluzione della specie e nella nostra specie e siamo passeggeri presenti col bagaglio del passato.
La congiunzione tra passato e presente avviene attraverso il concepimento, esso è il connubio della storia umana.
Curando noi, curiamo le nostre generazioni passate, e curando il nostro passato, ci curiamo nel presente. Noi stessi siamo gli evolutori del nostro futuro e delle generazioni in divenire. Conoscendoci e curandoci, facciamo dono delle nostre emancipazioni ai nostri figli e alle generazioni future, delle nostre conquiste. Il segreto dell’ evoluzione futura è nella cura e nella lettura di noi che ci emancipa.
giorgio burdi
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