
Il senso ammala, Il significato cura
*Il senso ammala, Il significato cura, il senso dopo il significato consolida.*
È difficile trovare un senso alle cose e in effetti non è proprio quello l’obiettivo principale. Trovare un senso è una frase che di per sé non ha senso. Il senso non si trova, ma si può dare. In effetti, la frase dovrebbe essere “dare un senso alle cose”. Ma prima di dare bisogna fare.
A volte ci incastriamo in meccanismi continui di dover dare un senso alle cose senza effettivamente avere la materia prima: il fare. Proprio per questo motivo, il senso perde di qualità e diventa una mera elucubrazione mentale che non ci soddisfa pienamente. In effetti, il senso è un concetto troppo vago, etereo, che può voler dire tutto e voler dire niente. Questo può sembrare un ossimoro: “Come è possibile che il senso non abbia effettivamente senso?”
La parola “senso” deriva da “sensūs” participio passato del verbo che tradotto in italiano vuol dire “percepire”. Già di per sé il concetto di senso si basa sulla percezione, che non ha nulla di oggettivo e quindi può essere compromessa dalle sensazioni – anch’esse derivanti dalla parola senso – e quindi essere figlie di un malessere, una depressione, una parvenza di vero che vero non è.
“Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha”.
Vasco Rossi stesso aveva capito che il senso è sensazione.
Dovremmo invece sostituire la parola senso con significato.
La parola significato deriva dal latino significatus, participio passato di significare, che a sua volta è composto da signum (“segno”) e facere (“fare, rendere”).
Lasciare il segno con il fare ed è qui che l’esistenza gira attorno. Fare è essere. Fare è vivere. Fare è significare.
Avere troppo tempo libero per pensare al senso, ci porta lontano dal significato, che non è nient’altro che agire. Agire? Come?
Hobby, sport, sana alimentazione, persone analitiche con il quale passare del tempo di qualità, non giudicare prima di conoscere, non avere rancori, lavorare con il piacere e non piacere perché devi lavorare, fare figli quando si è pronti e non fare figli per essere pronti e soprattutto sano egoismo, amare con la consapevolezza di amarsi. Ritagliarsi un po’ di spazio per sé stessi senza la smania di doverlo per forza condividere con qualcuno.
Il senso può ammalarci, renderci deboli, colpirci nelle nostre più profonde e inconsce debolezze, distruggere le nostre certezze, mettere in discussione i nostri sentimenti. Il significato è la perfetta cornice che delinea la nostra psiche.
La nostra psiche deve essere vista come un quadro di olio che non si asciuga mai, che può colare da un momento all’altro e l’unico modo per contenere questa decadenza è la cornice del significato.
Il significato è curativo, solleva l’anima e la rende libera. Una volta raggiunto questo livello, possiamo dare un senso alla nostra vita, asciugare quei colori ingestibili e dare una netta dimensione alle sfumature della nostra vita. Il senso dopo il significato ci aiuta a consolidare chi siamo e a farci rendere conto che per stare bene, basta davvero poco.
alessio
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Manuale di Autoipnosi
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Su Amazon è online il Cofanetto sull’Autoipnosi (Edizione 2015-2025), realizzato dallo Studio BURDI. È un percorso articolato in sette tappe, disponibile al costo di una singola seduta. Inaugura la Collana:
“Psicologia e Psicoterapia Applicata”
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“Manuale di Autoipnosi”
Seconda Edizione 2015-2025
ISBN 979831214451290000
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1. Libro cartaceo o Kindle
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✅ Percorso guidato, strutturato passo dopo passo, per favorire rilassamento, concentrazione e benessere.
2. Sette Tracce Audio
✅ Disponibili tramite QR Code, pronte per l’ascolto in qualsiasi momento e luogo:
✔️ Il rilassamento – Per sciogliere tensioni e ritrovare calma interiore.
✔️ Stabilisci la meta – Per allenare la mente a raggiungere obiettivi.
✔️ Riposa serenamente – Per migliorare la qualità del sonno e risvegliarti energico.
✔️ Quieta il tuo pensiero – Per liberarti da pensieri negativi e sviluppare lucidità mentale.
✔️ Difendi la tua salute – Per rafforzare il benessere psicofisico.
✔️ Antifumo – Per smettere di fumare in modo naturale e definitivo.
✔️ Raggiungi il peso forma – Per ritrovare il controllo su corpo e alimentazione.
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Presentazione
Manuale di AutoIpnosi
L’ipnosi è uno stato naturale della mente, un’esperienza quotidiana che spesso passa inosservata. Accade quando si guida lungo un tragitto abituale e ci si ritrova a destinazione senza ricordare il percorso, o quando ci si perde nei pensieri mentre qualcuno parla, trasformando la sua voce in un suono lontano. Sono momenti di trance spontanea, in cui la razionalità si ritira e lascia spazio all’inconscio, la dimensione in cui risiedono emozioni, sogni, intuizioni e potenzialità inesplorate.
L’ipnosi non è un mistero né un trucco, ma una soglia di accesso alle risorse più profonde. Un viaggio interiore capace di rivelare capacità inespresse, superare blocchi emotivi, smantellare convinzioni limitanti e risvegliare energie latenti. Il Manuale di Autoipnosi, disponibile su Amazon, guida il lettore in questa esplorazione, fornendo strumenti pratici per comprendere e sperimentare la trance ipnotica. Non si tratta solo di leggere e ascoltare, ma di immergersi in un’esperienza trasformativa.
Contrariamente ai luoghi comuni, l’ipnosi non comporta perdita di controllo, ma rappresenta un mezzo per riappropriarsi del proprio mondo interiore e riscriverlo. Il cervello registra e filtra informazioni attraverso schemi mentali costruiti nel tempo, influenzati dall’educazione, dall’ambiente familiare e dalle esperienze vissute. Spesso, questi schemi si irrigidiscono, limitando la libertà di essere e di esprimersi. È qui che l’ipnosi interviene, sciogliendo tensioni emotive e liberando la mente da vincoli inconsci che possono manifestarsi nel corpo come sintomi fisici.
Mal di testa, dolori articolari, disturbi gastrici, tachicardia, insonnia, disfunzioni sessuali, ansia e depressione possono essere espressioni di un conflitto interiore inascoltato. Quando la mente non riesce a tradurre il disagio in parole, il corpo lo esprime attraverso sintomi, che spesso vengono ignorati finché non si fanno troppo evidenti.
L’ipnosi permette di intervenire su questi processi, favorendo un riequilibrio interiore che porta a una nuova consapevolezza e a un benessere più profondo. L’inconscio, libero dalle interferenze della razionalità, diventa uno spazio aperto al cambiamento, in cui riscrivere percezioni, vissuti e convinzioni limitanti.
Questa capacità non è riservata a pochi, ma appartiene a ogni individuo. Alcuni accedono facilmente alla trance ipnotica grazie a una predisposizione naturale all’immaginazione e alla suggestione, altri vi giungono con maggiore difficoltà a causa di una razionalità rigida che ostacola l’accesso agli stati profondi della mente. Proprio per questi ultimi, l’ipnosi può rappresentare un’opportunità straordinaria: affidarsi al proprio mondo interiore significa risvegliare potenzialità latenti, rafforzare la fiducia in sé stessi, superare paure e insicurezze.
In psicoterapia, l’ipnosi è un ponte tra conscio e inconscio che consente di elaborare esperienze dolorose, superare blocchi emotivi e trasformare il modo di affrontare la vita. Il terapeuta diventa una guida, un esploratore dell’anima che accompagna il paziente nelle profondità della psiche, aiutandolo a illuminare le zone d’ombra e a ricostruire un equilibrio più armonioso tra razionalità ed emozione.
Non si tratta di subire un processo, ma di esserne protagonisti, imparando a riscrivere la propria storia interiore. Il Manuale di Autoipnosi non è solo un libro, ma un’esperienza che insegna a comprendere il funzionamento della mente e a sfruttarne il potenziale nascosto.
Se vuoi scoprire come funziona l’ipnosi, se vuoi sperimentare il potere della tua mente e imparare a utilizzarlo per migliorare la tua vita, questo libro è il punto di partenza ideale. Il viaggio nella tua mente è pronto per iniziare. Sei pronto a scoprire di cosa sei veramente capace?
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Adolescenza e Genitorialità
Mamma, ho il cervello fasciato!!
Un cervello fasciato è un giardino d’inverno, dove il vento si ferma sul bordo. Eppure, tra fasce e pensieri, un battito lento e rabbioso è il suono di un eco che accenna un abbraccio di aurora
Lo sguardo di un adolescente che si sente tra l’incudine e il martello. Si sente in gabbia. Incapace di essere sé stesso. Sempre con l’altro al centro, dando alle proprie preferenze e a sé stesso una priorità bassissima. In un loop ansia-dubbio-controllo-benessere, e di nuovo. Vuole avere tutto e tutti sotto controllo. Anche i genitori. Che forse percepisce come mine vaganti, nascoste sotto quello che ritiene un campo di battaglia e invece dovrebbe essere semplicemente il terreno fertile su cui germogliare. La rabbia sconsiderata che quell’adolescente mostra, spesso non è un pensiero con un significato, ma una azione che parla al posto suo. Quell’adolescente ad un certo punto trova, a modo suo, il coraggio di segnalare che la cosa non è più tollerabile.
Ma cosa passa nella sua testa? Raggiungerlo, là dove è lui e non dove vorrei portarlo io. L’ascolto vero. Non è ricerca di soluzioni performanti, né di risposte. E’ una semplice mano sulla spalla. E’ un incontro che accoglie e restituisce. Niente psicologia positiva. Niente puntare sulle sue risorse. Ma provare a riconoscere un po’ la sua emozione.
Questo modo di relazionarsi può sembrare di poco successo nell’immaginario collettivo, perché viene considerato una resa educativa. Poco funzionale alla evoluzione dei nostri figli, come se una sorta di durezza dei sentimenti dovesse avvolgere necessariamente la genitorialità, per favorire la gerarchia. Percepita come LA soluzione. Come se la gerarchia fosse quello di cui una giovane persona ha bisogno per esprimersi al meglio.
Provare a riconoscere le emozioni del proprio figlio credo che sia la cosa piu’ difficile per un genitore. Perché richiedeanche a sé stessi di sviscerare il proprio dolore, riconoscerlo e renderlo pensiero e racconto personale (non del propriofiglio), senza erigersi a detentore della verità. Andare a mettere mani nel proprio passato, non tanto per narrare la propria storia (che a dritto e storto ha una qualche forma di equilibrio), ma soprattutto per farsi adulto per il proprio figlio, evitandogli proposte di natura proiettiva, che ai suoi occhi hanno probabilmente tutta l’aria di essere sintonizzate con il proprio dolore di bambino. Come potrebbe abbandonarci nel nostro dolore che riconosce, senza sentirsi cattivo?! Ma come potrebbe accettare la nostra visione senza sentirsi senza via di uscita?! (Forse) La natura proiettiva delle nostre azioni di genitori non risolti, diventa un ostacolo ulteriore alla già difficile costruzione della propria identità, nell’adolescenza.
Cosa gli passa nella testa? Forse il timore di abbandonare e deludere quel genitore che riconosce ferito! Un pensiero inconscio, questo, che lo fa sentire non amabile ai propri occhi e perciò rifiutabile. Forse questa idea si accompagna al sospetto di non veder ricambiato il proprio sentimento per lui e alla prova provata che si possa essere abbandonabili e costantemente tradibili. È questo (forse) il quadro su cui si manifesta la rabbia di un “cervello fasciato”?
valeria carofiglio
tirocinante di psicologia
presso lo studio burdi
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La Mia Psicoterapia
La mia psicoterapia
Racconto di un incompetente
Diario di una Terapia di Gruppo
Eccolo lì, seduto sulla sua poltrona preferita, gambe accavallate, braccia conserte e quel sorrisino alla Joker. Lo guardo e penso :“Ma che cazzo si ride questo?!”.
Noi qua a soffrire, a piangere, a incupirci nel disperato tentativo di capire perché stiamo male, mentre lui è sereno e rilassato. La mia esperienza è iniziata così, stravolto dagli eventi, terrorizzato dalle conseguenze, con i sensi di colpa che mi divoravano ed Emanuele che sorrideva.
Il primo periodo è servito solo a sfogare tutti questi stati d’animo che mi dilaniavano. Poi ho iniziato a calmarmi e a guardarmi intorno ed ho fissato i primi punti fermi da cui ripartire. Avevo bisogno di capire. Ero finalmente pronto a tuffarmi nel profondo pozzo delle mie emozioni. Le prime volte rimanevo con la testa fuori dall’acqua, lì sotto era tutto buio, non avevo il coraggio di immergermi.
Poi, piano piano, vedendo qualcun altro che lo faceva, ho preso coraggio ed ho provato. All’inizio non riuscivo ad andare molto in profondità, questione di allenamento, e soprattutto non sapevo dove e cosa cercare.
Allora ho deciso di ascoltare il mio Caronte, perché lui mi indicava sempre qualcosa, ma io non gli davo molto credito. Così sono riuscito a fare immersioni più lunghe, ad andare più in profondità e a cercare le emozioni giuste, perché dovete sapere che nel nostro pozzo ci sono miliardi di emozioni, a galla si trovano facilmente quelle piacevoli mentre quelle dolorose si trovano sul fondo, magari nascoste sotto un sasso oppure sotto altre emozioni, e sono proprio quelle che dobbiamo scovare, quelle che ci hanno ingannato, quelle che per accettarle e superarle ci hanno costretto a mentire a noi stessi facendoci credere di essere quello che non siamo.
Il viaggio è doloroso, è lungo e, può sembrare strano a dirlo, ringrazio la motivazione che mi ha spinto a farlo, perché comunque mi ha fatto scoprire quanto coraggio posso avere, quanta bellezza c’è nella follia di guardare il mondo stando in verticale, nel saper ridere di sé stessi, nel piangere senza vergogna, nell’amare se stessi per poter amare nel modo più sano e vero il prossimo.
Io, poi, amo in particolare quel senso di disorientamento che provo quando i pensieri si formano nella mente e iniziano a vorticare, perché è così che riesco a vederne tutte le sfaccettature.
Non potrò mai dimenticare coloro che ho conosciuto in questo percorso, nessuno escluso, ognuno di loro mi ha dato qualcosa e spero di aver dato anch’io a loro qualcosa di mio. Senza i miei “specchi” e il mio Caronte non ce l’avrei mai fatta.
Ed oggi eccomi qui, su una delle tante poltrone a disposizione, gambe accavallate, braccia conserte e quel sorrisino alla Joker.
Qualcuno si chiederà “Ma che cazzo si ride questo?!”. Mentre loro soffrono, piangono, si incupiscono per i più disparati motivi che li hanno portati qui, io mi sento sereno, rilassato, in pace con me stesso e pronto per continuare il viaggio.
claudio
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Nata Una Seconda Volta
Nata una seconda volta
Sono nata una seconda volta..
Incredibile, fantascienza fino ad un anno e mezzo fa …
La me di oggi non c’era prima, prima c’era un’altra che non esiste più .
La penso con tenerezza, rabbia, disappunto.
Se l’avessi davanti vorrei prenderla per le spalle scuoterla e svegliarla..
Ma non la vedo più.. oggi riflessa nello specchio vedo ME, la vera me ..
Ed è bellissima e la amo da morire …
Che bello aprire gli occhi e vedere tutto diverso …
Che bello scoprire che quel perenne senso di colpa e di debito di inadeguatezza verso tutto e tutti : marito, figli , lavoro, genitori, amici non e’ nato con me ma frutto di schemi che ci hanno impresso appena venuti alla luce se non prima …
Oggi ho capito che cos’è la libertà.
La libertà e’ essere se stessi senza il bisogno spasmodico di eccellere in ogni cosa, senza frustrazioni se non ci riesci.
Libertà e’ scegliere con chi stare.
Libertà e’ essere gelosi del proprio tempo, del proprio buon umore..
Libertà e’ fregarsene del giudizio degli altri.
Il giudizio degli altri ci rende schiavi inconsapevoli e ci fa vivere una vita non nostra …
Oggi ho capito che cos’è l’amore.
L’amore è amare se stessi.
Accogliere se stessi ogni giorno e supportarci e comprendere i nostri desideri e i nostri disagi ed aiutarci nei momenti difficili così come facciamo con gli altri amori della nostra vita, anzi di più .
Amore significa divertirci, giocare e ridere ridere fino a restare senza respiro.
Amore significa commuoverci ed accogliere anche le emozioni negative perché sono sempre emozioni e in quanto tali sono VITA.
Oggi ho capito quanto è speciale l’essere umano.
Tutti diversi all’apparenza ma tutti uguali.
Oggi amo l’essere umano.
E voi compagni di questo mio straordinario viaggio, mi avete insegnato questo amore diverso, inatteso speciale .
Vi ringrazio per esserci stati uno ad uno quelli che sono andati via prima e che spero di riabbracciare prestissimo e poi tutti voi che lascio con commozione qui:
Eva: il candore, una rosa sbocciata davanti ai nostri occhi
Antonello: la tenerezza, l’immenso amore per Sara. Gli auguro che con la stessa intensità ami presto se stesso e poi non lo fermerà più niente e nessuno.
Raffaella: la freschezza, la voglia di vivere, la sensuale innata dolcezza.
Eldorado: è speciale e non lo sa, quando se ne accorgerà si amerà come deve
Saverio: è speciale e lo sa, ma si ama a metà …
Francesco: se deciderà di demolire, scoprirà tanta meraviglia.
Federica: la cucciola guerriera, la forza dirompente.Prenditi tutto il meglio Fede, la vita te lo deve.
Giuli, arrivata da poco, peccato … mi sarebbe piaciuto conoscerla meglio..
Carmela: fidati e affidati e scoprirai cose che ancora non sai.. pensa…
Simona: il mio antipodo, ma che figata conoscerti .
Laura: il bisturi di seta, incisiva nella sua smisurata delicatezza…
E poi il dott. Giorgio, cosa dire, mi ha preso per mano e mi ha fatto percorrere la mia vita al contrario fino ad arrivare a quella bambina dietro la ringhiera , me l’ha fatta abbracciare , rassicurare, ed insieme siamo tornate qui e lei sarà sempre con me.
Certo non mi aspetto che questo stato di beatitudine duri per sempre, ma la cosa importante è io che l’abbia provato, che io sappia che esiste che non è utopia.
E qualora lo perdessi il mio unico obiettivo sarà di ritrovarlo. Vi voglio bene
paola
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L’ armadio, lo scrigno dell’ intimità.
L’ armadio, lo scrigno dell’ intimità
Nella vita quotidiana, l’armadio non e’ solo un mobile dove riportiamo abiti e oggetti personali; e’ un luogo simbolico che rappresenta cio’ che scegliamo di conservare, proteggere e nascondere. In ambito psicologico, fare spazio nell’ armadio per qualcun altro assume un significato profondo: e’ un gesto che riflette il desiderio di aprirsi, di lasciare andare il passato e di accogliere nuove possibilita’ nella nostra vita emotiva.
Considerando il significato simbolico dello spazio nell’ armadio dal punto di vista psicologico, si puo’ dire che l’ armadio puo’ essere visto come una metafora della mente e del cuore: un luogo interno in cui custodiamo ricordi, paure, desideri e aspettative. Fare spazio nell’ armadio per qualcun altro non e’ solo un gesto pratico, ma un processo psicologico complesso che richiede : confronto con il passato.
Aprire l’ armadio e affrontare il suo contenuto significa riconoscere cio’ che si e’ accumulato nel tempo : vecchi ricordi, esperienze dolorose e gioie ormai sbiadite, in termini psicologici corrisponde al processo di elaborazione del passato. Lasciare andare cio’ che non ci serve piu’ e’ fondamentale per completare i cosiddetti “ cicli aperti” e fare spazio a nuove esperienze.
Affrontare la paura del cambiamento facendo spazio nell’ armadio, rappresenta anche la resistenza al cambiamento; fare spazio per qualcun altro implica vulnerabilita’: si deve rinunciare a un aparte del proprio controllo per accogliere l’ imprevedibile. Questa dinamica e’ legata al concetto di psicologia cognitiva di “ zona di confort”, dove ogni modifica viene percepita come minaccia alla nostra stabilita interiore.
Fare spazio per un’altra persona nell’ armadio non e’ solo un atto fisico, ma un adichiarazione implicita di fiducia e apertura. Dal punto di vista della teoria dell’ attaccamento di Bowlby, rappresenta la disponibilita’ a creare un legame sicuro, accogliendo l’ altro nella propria vita. E’ un gesto che comunica; Ho fiducia in te e nel nostro legame .
Il processo di creare spazio per l’ altro e’ accompagnato da un calendoscopio di emozioni; La prima tra le emozioni coinvolte e che emerge e’ “ La paura”. Aprire l’ armadio significa confrontarsi con cio’ che e’ stato nascosto o rimosso dalla consapevolezza. Puo’ esserci il timore di mostrare parti di se’ stessi che si ritengono inadeguate o non degne di essere viste. Molte persone provano riluttanza e resistenza nel lasciar andare vecchi oggetti, simbolo di esperienze passate. La riluttanza e’ spesso associata a un attaccamento emotivo, come descritto dalla psicologia dinamica: gli oggetti conservati nell’armadio possono rappresentare meccanismi di difesa o il bisogno di matenere il controllo sul proprio mondo interiore.
Ebbene dopo aver affrontato la paura iniziale, fare spazio per qualcun altro puo’ essere un esperienza liberatoria. Nasce un sentimento di speranza ed emozione, lasciando un ripiano vuoto nell’ armadio significa aprirsi alla possibilita’ di costruire un nuovo futuro, caratterizzato da conessioni piu’ profonde e autentiche. Carl Rogers nell’ approccio umanistico sottolinea come l’apertura e l’ autenticita’ sono alla base di relazioni significative.
Liberarsi del superfluo e creare spazio nell’ armadio e’ spesso accompagnato da un senso di leggerezza, il “ decluttering “ anche simbolico teorizzato dalla psicologia positiva evidenzia come possa ridurre il carico mentale e promuovere un senso di benessere generale.
Da un punto di vista terapeutico fare spazio nell’ armadio assume un valore importante poiche’ puo’ essere visto come un esercizio simbolico per promuovere la consapevolezza e il cambiamento, attraverso una visualizzazione guidata si puo aiutare ad esplorare cio’ che l’ armadio rappresenta, identificando le emozioni e i significati sottostanti.
Creare spazio significa, in definitiva, prendersi cura della propria interiorita’, preparandola ad accogliere nuove esperienze e legami. E’ un atto di amore verso se stessi e verso l’altro, un gesto che comunica disponibilita’ e apertura.
Lo spazio nell’a armadio non e’ solo vuoto: e’ potenziale. E’ l’ inizio di una nuova fase, dove cio’ che e’ stato rimosso lascia posto a cio’ che e’ ancora da costruire
angela ciulla
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L’ Imbarazzo
L’ imbarazzo
L’imbarazzo è un turbamento che tutti provano almeno una volta nella vita.
Lo proviamo quando ci sentiamo non all’altezza o giudicati dagli altri, per uno sbaglio o una situazione sconfortante. Può farci avvampare, grondare o sentire un forte disagio.
Quest’emozione, nonostante sia sgradevole, è importante: aiuta a comportarci secondo le regole sociali e ad emendare i nostri equivoci.
Ad esempio, se facciamo una sciocchezza, l’imbarazzo ci spinge a scusarci e a cercare di sistemare.
Il senso di colpa, tale comportamento, è frutto di esperienze vissute durante la fase infantile. Ad esempio, i bambini si scusano quando sbagliano, quando dicono una parolaccia, quando sbagliano.
Questo sistema di scuse si propaga dall’infanzia fino all’età adulta. L’adulto si scusa con il partner, la famiglia e il lavoro. Siamo fatti di scuse meno di ossa.
La ciclicità delle scuse comporta una metastasi di senso di colpa.
Senso di colpa e imbarazzo sono amiche o nemiche? La domanda non ha ragion di esistere.
L’imbarazzo è conseguente al senso di colpa, nella stessa misura in cui il senso di colpa è antecedente all’imbarazzo. Uno dei punti che crea forte imbarazzo, aldilà del rapporto con i genitori, sono i tabù.
Fortunatamente, negli ultimi anni attraverso i social e la comunicazione virtuale, i ragazzi parlano e trattano argomenti che fino a ieri, per cosi dire, erano tabù. Spesso, gli argomenti ruotano attorno alla donna, probabilmente perché la donna o gli atteggiamenti da donna generano imbarazzo. Anche qui, diventa complicato rispondere. Certamente, possiamo considerare come “la nuova generazione” sta affrontando l’imbarazzo, i tabù e i silenzi intimidatori, lo fa con destrezza, con arroganza e di diritto perché ci si riprende in toto o in parte quello che per anni è stato sotterrato. Per esempio, una ragazza non si imbarazza più se deve baciare un’altra ragazza o cambiare l’assorbente nel bagno del centro commerciale. Siamo donne, non vasi ripieni di fiori meravigliosi. Logicamente, anche l’uomo ha i suoi imbarazzi, oggetto di discussione è l’aspettativa degli altri.
L’aspettativa negli altri, si genera nell’uomo, in particolare dal confronto con il padre.
Le cause dell’imbarazzo possono essere molte e varie: una svista davanti agli altri, una colloquio arduo o la paura di non soddisfare le aspettative degli altri.
Ogni persona reagisce diversamente, ma tutti possiamo imparare a manovrarlo con alcuni tips..
Per gestirlo, può essere utile ammetterlo come una parte normale della vita.
Ironizzare su noi stessi o non prenderla troppo seriamente aiuta anche. In più, riflettere sull’esperienza aiuta a non ripetere situazioni analoghe in futuro.
In conclusione, l’imbarazzo è una sensazione normale e, se impariamo a in miglior maniera, possiamo utilizzarlo come spunto per crescere ed interagire meglio con le persone.
sharon di mauro
tirocinante di psicologia
università statale di Foggia

Il Numero Uno e il Numero Due
Il Numero Uno e il Numero Due (c)
Esprimere davvero la propria natura, o un lato di noi che normalmente rimane nascosto può essere difficile ma anche sorprendente. Spesso, fin da piccoli, impariamo a soddisfare le aspettative degli altri – genitori, amici, società – e a volte, per evitare il conflitto o la disapprovazione, ci costruiamo un’identità ed una vita che non ci appartengono davvero.
Winnicott, psicoanalista britannico, parlava di una sorta di maschera che siamo soliti indossare, come risposta adattiva, a garanzia della nostra sopravvivenza emotiva, ma spesso a scapito della nostra autenticità, della nostra spontaneità e del nostro reale essere e benessere.
La prima volta che il Dott. Burdi mi ha parlato del “Numero Uno” e del “Numero Due” sono rimasta affascinata. Credo (spero) di aver immediatamente colto il senso della loro presenza ricorrente nelle sue sedute di psicoterapia. Immediatamente ho pensato a tre entità distinte: “UNO”, “DUE” e la “Loro Relazione”.
L’immagine del Numero DUE che si era formata nella mia testa è stata quella di una figura tragica, automatica, meccanica e priva di autonomia. Era un’ombra silenziosa, che si muoveva per volontà di burattinai, prima esterni e poi divenuti interni. La sua esistenza era un eco di ordini che non comprendeva ma eseguiva. Un corpo che si muoveva, il cui cuore non batteva di sue emozioni. Un fantoccio che danzava al comando di mani invisibili. I suoi passi perfetti erano privi di anima. Non viveva, ma si muoveva; non decideva, ma agiva. Nella mia mente era un servitore fedele: svolgeva il suo compito ma non chiedeva mai perché.
Nessun pensiero scomodo lo attraversava, nessun dubbio lo tormentava, ma i suoi occhi erano spenti come una fiamma mai accesa. Se avesse avuto sogni, non so dirlo. Ma certamente gli mancava la libertà. Praticamente ero uno schiavo perfetto. Eppure, nel suo cuore meccanico, c’era un vuoto che nessuna obbedienza poteva mai colmare.
Il Numero UNO era invece un sogno silenzioso. Culla di un’armonia che tutto avvolge. Viaggio eterno, senza destinazione. Nella mia mente era liscio e puro, come l’acqua che scorre. Ogni suo punto era equidistante dal suo centro: il cuore, la sua anima, la sua natura. Il suo centro era il suo segreto: offuscato, nascosto, ma presente. Non conosceva spigoli né angoli da temere. Solo curve morbide. L’ho sentito come un abbraccio che non stringeva. L’ho percepito come una figura armonica da sempre presente, che non conosceva confini, né rotture. In Lui c’era la vita infinita.
La Loro Relazione? Un interminabile continuo conflitto, un dialogo muto di presenza e assenza, un continuo gioco di vicinanza e separazione, sottomissione e dominanza che raccontano una storia senza bisogno di parole, ma piena di dolori ed incertezze.
Il Numero UNO e il Numero Due sono in realtà lo strumento utilissimo, ideato e utilizzato da Giorgio Burdi nelle sue sedute di psicoterapia, per stimolare riflessioni profonde sul concetto del “Sè autentico” distinto dal “falso se”: la nostra vera essenza; chi siamo per davvero; quali sono i nostri desideri piu’ profondi, da dove provengono le nostre convinzioni piu’ radicate e quali sono quelle più autentiche. Lo scopo della psicoterapia di Burdi, è indurre al recupero della propria autonomia emotiva e della capacità di vivere pienamente, e secondo le proprie attitudini più profonde.
Uno e Due convivono dentro ognuno di noi, creando una dinamica complessa. Uno rappresenta la nostra essenza autentica, che ci parla di continuo con una voce flebile ma tagliente come un bisturi, è ciò che siamo profondamente, con i nostri desideri, bisogni e inclinazioni naturali.
Due, invece, si sviluppa attraverso i primordiali processi educativi, come un meccanismo di difesa, una “maschera” che ci aiuta a conformarci alle aspettative familiari, sociali, o culturali, spesso per proteggerci da rifiuti o traumi emotivi. Nel corso della vita, queste due parti restano spesso in conflitto: In certe situazioni, il nostro Numero Due può prendere il sopravvento e, come un servitore fedele, può spingerci a comportarci in modo da compiacere gli altri o evitare il giudizio, a scapito della nostra autenticità, anche facendoci agire in un modo inappropriato ed incoerente a noi stessi.
E generando, cosi’ frustrazione, insoddisfazione, ansia, ecc. Tuttavia, il nostro Numero Uno rimane sempre presente, anche se, talvolta, può resta schivo, timido, nascosto o represso.
La relazione tra UNO e DUE, il dialogo muto, racconta una storia: la nostra e determina il suo destino.
Il compito della maturazione psicologica è quello di riconoscere quando il nostro Numero Due ci domina e lavorare per far emergere il nostro Numero Uno, riducendo il divario tra ciò che mostriamo al mondo e chi siamo realmente. Il nostro Numero due, in questa ottica può essere un motore di crescita e cambiamento nel metterlo da parte, conservando con esso un dialogo autonomo.
Convivere con entrambe le parti significa accettare i nostri punti di forza e alle volte la debolezza del dover cedere, con tutte le influenze date dalle nostre esperienze passate, dalle circostanze attuali e dalle nostre risposte emotive e mentali, agli eventi che affrontiamo, ma riconoscere la nostra realtà presente, momento per momento, e capire che siamo in un continuo “lavoro in corso”.
Un viaggio intercontinentale senza ritorno e senza destinazione fissa. Convivere con entrambe le parti significa imparare a bilanciarle, lasciando che il Numero Uno emerga sempre di più, come avente l’ assoluto diritto al proprio spazio di vita, senza la necessità di nascondersi dietro il Numero Due.
Riconoscere che certe “disposizioni” non ci appartengono, ma sono state “ereditate”, oppure sono state una risposta adattativa ad un qualche bisogno dell’infanzia, è “nutrire il Numero Uno”; Essere consapevoli delle “maschere” che indossiamo e cercare di ridurre la distanza tra come ci presentiamo agli altri e come siamo interiormente è “alimentare il numero uno”; distinguere tra ciò che è una preoccupazione reale e ciò che è un condizionamento è ancora “dare pulsione al Numero Uno”; Ma anche esporsi a piccoli rischi in maniera controllata o prendere decisioni che implicano rischi calcolati, sperimentando fiducia in sé stessi e scotomizzando paure interiorizzate può essere “nutrire il numero UNO”.
Di contro, le aspettative degli altri, o le loro critiche, le pressioni sociali sono l’armatura del servitore fedele del Numero Due. Osservare la relazione tra UNO e DUE, è il modo per liberarsi dai condizionamenti e tirare fuori il proprio Numero Uno. Ma tutto questo non esime il soggetto analitico da una lotta, il quale per favorire l’ emersione del suo Uno, avvia una sua grande rivoluzione.
E’ questo un punto che richiede il coraggio di guardarsi dentro, l’accettazione della propria unicità, e l’impegno costante per vivere in sintonia con le proprie caratteristiche ed il proprio baricentro, senza cercare di conformarsi a un’immagine ideale o a quello che gli altri hanno deciso e si aspettano da noi.
In sintesi, Non si tratta di eliminare uno dei due, ma di integrare entrambe le dimensioni in modo armonioso, auto validando l’ opera d’arte di se stessi.
Valeria Carofiglio
Tirocinante in Psicologia Clinica
presso lo Studio Burdi

I Sottili Fili del Potere
**I sottili fili del potere**
Ogni comportamento è una comunicazione che prevede e nasconde una o più motivazioni, consapevoli o meno. Utilizzando l’espressione di Paul Watzlawick, secondo la quale “non esiste la non comunicazione, ma tutto è comunicazione”, possiamo affermare che c’è sempre una motivazione dietro qualsiasi comportamento, e che tutto è sempre motivato da qualcosa di oscuro o evidente.
Nelle relazioni umane esistono comportamenti chiari, ambivalenti e, in molti casi, o bui nel loro significato. Le motivazioni rappresentano le cause che determinano i comportamenti. Motivazioni chiare ed esplicite, per la loro onestà e trasparenza, favoriscono relazioni sane e fluide.
La maggior parte delle motivazioni umane risultano essere ambivalenti, perché il soggetto non si conosce o non sa perché si comporta in un certo modo, oppure non comprende perché convive con determinati stati d’animo. La mancanza di chiarezza del soggetto diventa mancanza di chiarezza anche per il proprio interlocutore.
La maggior parte delle volte siamo costretti a interagire con un mondo di persone che non sanno perché agiscono o sono in un certo modo; si immagini dunque il caos in cui siamo costretti a vivere. Due persone che non hanno consapevolezza di ciò che provano reciprocamente si trovano già in una condizione di guerra.
L’inconsapevolezza, così come la consapevolezza, hanno in sé un potere: quello di condizionare gli altri. Entrambe rappresentano i fili del burattinaio che muove le relazioni. Bisogna fare molta attenzione all’utilizzo di ogni parola espressa: essa può sicuramente avere un potere curativo, orientato alla felicità, oppure manipolativo.
Ogni parola conduce il ballo del potere: nelle relazioni diventa l’ arma di un potere contro un altro potere, oppure un potere verso l’alleanza di ragioni. Tutte le ragioni, quelle in accordo o in contrapposizione, hanno il loro potere. La relazione umana conserva, nel proprio istinto, il predominio dell’ uno su l’altro. Originariamente, questo nasce da un atteggiamento primordiale e arcaico: quello di tracciare il proprio perimetro.
L’uomo dell’analisi è portato ad abbattere i perimetri. Non ha paura di perdere se stesso o di fallire, perché si possiede da solo; accetta e sfida il potere degli altri su di sé; non si nasconde per timore, non parla di destino e non si lascia né manipolare né condizionare. Se si determina, ha comunque esercitato il proprio potere su se stesso e non sugli altri, nel rispetto di tutti.
Le persone confuse o non chiare vanno temute nell’esercizio delle loro parole o delle loro azioni: esse, in un primo momento, generano malessere. Il malessere subito impone una riflessione su quali parole o azioni lo abbiano generato. Il malessere provato, è determinato dal potere che si concede all’altro e che viene interiorizzato. L’altro entra dentro di noi con il suo potere, sotto forma di malessere. Questa concessione che facciamo agli altri è il potere che diamo loro di risiedere dentro di noi.
Quando sistematicamente rimuginiamo su una questione o un torto subito, dedichiamo ore, giornate e persino anni a pensarci. Diventiamo prigionieri di quei monologhi, ossessionati da soliloqui estenuanti, intrattenendoci con il nostro interlocutore mentale in flussi continui di preoccupazioni, succubi del suo potere, che si incastra dentro di noi, agisce e ci possiede inconsapevolmente come un demone, come in uno stato di trance ipnotica manipolativa. La fine di tale delirio verte solo quando decidiamo, potenzialmente, di chiarire di persona, dialogando sul conflitto che ci attanaglia.
Il potere si esplica sempre su due poli: quello dei vinti e quello dei vincitori. Dove ci sono conflitti, questo dualismo è onnipresente, e le dinamiche relazionali si pongono su un piano di opposizioni, di continui tira e molla su chi deve cedere e chi prevalere, su chi deve vincere e chi soccombere. Se si vuole vivere, la vita impone la propria difesa innata contro questo meccanismo, per la propria sopravvivenza,.
Non c’è nulla di strano, di vergognoso o di sbagliato in tutto questo: la vita è così e bisogna accettarlo. Il conflitto è legge ed onnipresente e la vita è conflitto. Chi non vuole capirlo, non è ancora nato: vive in una fiaba, ma la realtà può diventare più bella di essa, perché il conflitto è la rivendicazione delle diversità e richiede un confronto continuo, può trasformarsi in bellezza, arte, unità, progetto, e soluzioni per chi vuole trovarle.
Il conflitto non annoia mai: vende, intrattiene, dà sempre pensieri; paradossalmente, è ciò su cui si basano le guerre, i telegiornali dell’orrore, tutto ciò che non cerca mai soluzioni.
L’uomo che desidera soluzioni è un uomo risolto, è sul gradino più elevato dell’evoluzione. È un uomo analitico, un uomo umano, che non disdegna il conflitto perché ad esso risponde, lo risolve e, attraverso di esso, unisce le differenze, ricostruisce nuovi rapporti e li ama.
Per crescere ed evolversi, è necessario attraversare il conflitto e confrontarsi con il potere: non si possono evitare, se si vuole costruire qualcosa di serio.
giorgio burdi
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Bigotta
Bigotta
È una persona esageratamente devota, che aderisce in modo rigido ed incondizionato, ai precetti, ai modi di dire e ai principi popolari e alle sue norme sociali. Rappresenta la massima espressione della contraddizione e dell’ ipocrisia. Tali principi vengono utilizzati in automatico, come dei mantra e come uno scudo protettivo, per difendere le proprie fragilità, tramite rimuginazioni di pensieri, invocazioni ed aforismi automatici, per ribadire che cosa pensa il popolo che regna dentro di sé; ella, se decide di vivere, convive eternamente col senso di colpa.
La bigotta è un animale domestico preistorico che non si estingue, intransigente, ha un cuore di pietra, i suoi neuroni li usa per covar le uova e crescere pulcini, devota alle tavole dei tabù, scrive con lo scalpello i suoi editti, non parla mai con se, ma con i saggi della sua caverna.
Procede con i paraocchi a testa bassa, è un asino sottomesso, vede, a due centimetri da se, solo i suoi totem, tira dritto col, “non ti curar e fidar di alcuno”, è irriconoscente se l’ hai aiutata, è dura come un tufo, irremovibile come un bisonte, figlia della sua ossessione, a protezione dei propri feticci, teme di uscire dal proprio seminato, è complicato farle vedere la naturalezza, filtrata dai mostri del proprio passato.
Non si direbbe, ma è una preistorica contemporanea, una radical chic conservatrice, una global, negazionista ad oltranza, contestatrice delle scienze, è analfabeta di se che non sa come funziona, ma è irremovibile e severa come una Rottenmeier, saccente ed arrogante, non concede chance, affogata nella sua boria ammalata di princípi, teme sempre di essere fregata.
Ha una gran voglia di desideri, perché, da una vita, si nutre solo di doveri , ma se le prospetti dei fuori tema, gioisce, ti ringrazia all’ infinito per la gioia che ha provato. Ma l’abitudine di una vita, timorosa di tutto ciò che è nuovo, con la sovrana diffidenza, la riporta indietro sui suoi passi, all’ interno nel suo ovile e al suo gregge.
La bigotta è una profonda insicura, convinta delle sue incertezze, fa caso alle sue fragilità, solo quando va in crisi, poi si pente e rincomincia, presume di sapere come si vive, ma non lo fa, ma se la orienti oltre i confini, vola, ma poi si schianta e fa game over, su tutti i suoi timori.
La bigotta interpella solo chi la avvalora, non dialoga, si impone, interpella i suoi avi, di coscienza non sa di averne, di intelligenza meno che mai, si isola, si chiude e soffre, non decide mai di suo, se non con il suo numero due. Non è mai saggio, chi non rosica un cambiamento, chi non si muove perché teme di sbagliare, muore chi si ferma per il timore dell’ errore, vive chi si lascia più andare.
Cieca per i propri limiti, intollerante per gli eventuali altrui, accusa, punta il dito e chiude, ti sfiducia alla prima occasione, non conosce ragioni e a prova della sua nevrosi, non la senti e si crea il mostro che non c’è. La bigotta è un iraniano, se prendi un caffè con una donna, ti spara, non le permette di sedersi tra i banchi, se non sa è meglio, le soffoca l’ identità col burqa, la preferisce chiusa in casa a venerare la tradizione dei propri avi carcerieri.
Chi Studia, chi fa scienza, chi fa analisi, si emancipa, vede oltre lo scontato, vede l’ immenso, si gestisce in autonomia, eleva la sua torre, mattone su mattone, per sfidare i turbamenti, le tempeste, i limiti delle cose scontate, delle consuetudini, va oltre i limiti dei limiti. Ogni cambiamento sgomenta, fa sempre temere per i propri principi.
Si emancipa solo, chi guarda l’ orizzonte, oltre chi pone i confini.
L ‘ orgoglio è una vergogna, perché è ignoranza, è una ghigliottina che genera la guerra, perché , lasciare i propri passi a vantaggio di quelli nuovi, può aiutare a migliorare e a comprendere che, la felicità inappagabile, esilarante, può essere veloce e a due passi da noi.
Insomma, che dire ! È una fatica essere bigotta, si vive davvero male, è un lavoraccio, straziante ed usurante, si invecchia molto prima e ci si ammala, sfibra e ti fa a brandelli per una vita intera. Essere bigotta è una agenzia complicazioni affari semplici, è una impresa fallimentare fondata sul no-profit. Basterebbe solo e sarebbe necessario, srotolare semplicemente la propria naturalezza e spensieratezza e tutto sarebbe tutto più spianato.
Attraverso l’ aiuto di qualcuno si può rileggere il proprio manuale, sul come essere più colti con se stessi e naturali e lasciarsi un po’ più andare, sul come gioire di più la vita, da poterla portare fino a dieci, ad un livello intenso. impresa molto ardua per una fedele ad essere Bigotta DOP, ( Bdop), perché se poi riesce ad essere se stessa, temerà sempre lo scontrino col conto da pagare. Uff, che vita scontata, che peccato ! Auguri.
giorgio burdi
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