SUPERARE LA BULIMIA
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA BULIMIA
Cos’è la bulimia
Il termine bulimia deriva dal greco boùs (bue) e limòs (fame), letteralmente “fame da bue”.
La bulimia è un Disturbo della nutrizione e dell’alimentazione caratterizzata da grandi abbuffate, note come crisi bulimiche, e successive condotte compensatorie.
Chi soffre di bulimia nervosa mangia in breve tempo grandi, spropositate quantità di cibo che poi elimina attraverso il vomito autoindotto.
Questo disturbo può insorgere a qualsiasi età e colpire sia donne che uomini. Diversi studi hanno dimostrato una maggiore incidenza nelle donne tra i 16 e i 40 anni. A volte può interessare anche i bambini, seppur in casi molto rari.
I soggetti bulimici hanno un disturbo del comportamento alimentare dovuto all’ossessione di ingrassare, di prendere peso e trasformare le forme del proprio corpo.
Le crisi di fame molto spesso non sono di natura fisiologica, ma hanno un’origine psicogena. Si tratta di una fame nervosa nel tentativo di controllare ed arginare emozioni negative e dolorose.
Il bulimico ha un bisogno incontenibile di ingerire cibo.Spesso per evitare l’aumento di peso dopo aver ingurgitato quantità di cibo significativamente eccessive, oltre al vomito autoindotto, adotta comportamenti inappropriati quali l’uso di lassativi e diuretici, digiuno, intensa attività fisica.
Questi comportamenti disfunzionali sono dettati dal senso di colpa e da un senso di fallimento che i bulimici avvertono dopo crisi di abbuffate compulsive.
Importanti sono le ripercussioni a livello fisico: problemi intestinali; problemi cardiaci, aritmie e insufficienza cardiaca; squilibri elettrolitici; disidratazione; irregolarità nel ciclo mestruale; amenorrea; alito cattivo, erosione dentale, infiammazioni alla gola quali conseguenze del vomito autoindotto.
Cause
Così come per gli altri disturbi del comportamento, anche all’origine della bulimia nervosa ci sono fattori biologici, psicologici e ambientali.
Coloro i quali hanno familiari che soffrono di bulimia o sono stati affetti da questo disturbo, hanno una predisposizione genetica a sviluppare la stessa patologia. Anche l’obesità infantile è spesso causa di un successivo sviluppo di comportamenti alimentari disordinati.
Indubbiamente alla base del disturbo bulimico c’è una percezione distorta della propria immagine corporea e del proprio peso.
Particolari tratti della personalità e del comportamento incentivano l’insorgenza della bulimia. Si è riscontrato come gran parte dei soggetti bulimici abbia grandi difficoltà a gestire lo stress, bassa autostima, difficoltà a riconoscere e gestire le proprie emozioni, perfezionismo, e soffra di ansia e depressione.
Inoltre, disturbi di personalità, dell’umore, disturbo ossessivo-compulsivo, abuso di sostanze, disturbo post-traumatico da stress in seguito alla morte di una persona cara, alla fine di una relazione sentimentale, alla perdita del lavoro, abusi sessuali subiti, problemi familiari e problemi interpersonali, predispongono l’insorgenza e lo sviluppo della bulimia.
Sintomi
La bulimia è un disturbo difficile da individuare e riconoscere perché molto spesso chi ne soffre ha un peso corporeo nella norma.
I sintomi della bulimia possono essere di natura psicologica, fisica e comportamentale.
- Grandi e ricorrenti abbuffate di cibo
- Perdita di controllo durante le abbuffate
- Mangiare con voracità
- Atteggiamento ossessivo verso il cibo
- Provare senso di colpa e disagio dopo aver mangiato troppo
- Vomito autoindotto
- Uso di diuretici e lassativi
- Digiuno
- Diete restrittive
- Attività fisica esagerata
- Visione non realistica del proprio corpo e del proprio peso
- Ansia
- Depressione
- Ossessività
- Irritabilità
- Sensazione di inadeguatezza
- Scarse relazioni personali
- Tendenza a isolarsi
Cura
Guarire dalla bulimia è possibile attraverso un intervento multidisciplinare: nutrizionista, psichiatra, psicoterapeuta.
Dopo un’attenta valutazione medica dello stato generale di salute del paziente attraverso specifici esami di laboratorio, si valuta la gravità della situazione e si definisce il percorso terapeutico da seguire.
Obiettivo primario è ristabilire un sano atteggiamento verso il cibo. In tal senso è importante da un lato il ruolo del nutrizionista che definisce equilibrati e adeguati piani alimentari molto spesso coinvolgendo l’intera famiglia, dall’altro il ruolo dello psicoterapeuta che lavora sull’aspetto emotivo e psicologico del paziente, aumenta la sua motivazione al cambiamento e diminuisce l’eccessiva preoccupazione per il peso corporeo e l’aspetto fisico.
Fondamentale è la consapevolezza.Il paziente che deve riconoscere di essere malato e che necessita di cure.
La Psicoterapia aiuta il paziente a controllare i comportamenti disadattivi e disfunzionali, ad individuare i disagi psicologici sottostanti il disturbo, a riconoscere e meglio gestire le proprie emozioni. Aiuta altresì a gestire le relazioni interpersonali in quanto la bulimia nasce come rapporto problematico sia con il cibo sia con le persone, e amigliorare la comunicazione.
Guarire dalla bulimia è possibile se si cambiano le proprie abitudini alimentari, si assume un atteggiamento sano verso il cibo, si segue un percorso di psicoterapia.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
SUPERARE L’ ANORESSIA
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE L’ANORESSIA
Cos’è l’anoressia
Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento dei disturbi del comportamento alimentare definiti a livello clinico “disturbi della nutrizione e della alimentazione”.
Ad essere maggiormente colpiti sono i giovani, prevalentemente le donne, tuttavia una percentuale, seppur inferiore, interessa anche gli uomini.
L’esordio del disturbo è tra la preadolescenza e l’adolescenza, periodo in cui l’individuo vive diverse trasformazioni fisiche e psichiche, definisce una propria identità sessuale, inizia un percorso di individualizzazione differenziandosi dalla famiglia di origine, cerca e sviluppa una propria autonomia. Nonostante ciò, ci sono casi di anoressia anche in età adulta.
Tra i disturbi del comportamento alimentare il più conosciuto è l’anoressia nervosa, termine che racchiude una situazione psicologica e fisica di profondo malessere e disagio. Chi soffre di anoressia nervosa ha una eccessiva e maniacale preoccupazione per il proprio peso e per le forme del proprio corpo, ha un disordine psicologico. Soffre di dismorfofobia, ha una visione distorta e turbata, una percezione non obiettiva ed oggettiva della propria immagine corporea.
Il soggetto anoressico è magro, molto magro, mangia pochissimo o digiuna, ma si vede sempre più grasso. Ed è così che l’atto del cibarsi viene vissuto come momento di profonda angoscia e preoccupazione.
Il pensiero ossessivo legato al cibo e al peso corporeo influisce ed interferisce negativamente con le attività quotidiane, lavorative e relazionali.
Esistono due forme di anoressia: l’anoressia restrittiva e l’anoressia con bulimia. La prima caratterizzata da una dieta rigida e drastica spesso accompagnata da periodi di digiuno e associata ad un’eccessiva attività fisica e sportiva. L’altra, invece, caratterizzata oltre che da forti restrizioni alimentari, anche da abbuffate accompagnate da comportamenti di eliminazione del cibo, vomito autoindotto e uso di lassativi e/o diuretici.
Il paziente anoressico adotta diversi comportamenti disfunzionali per controllare il cibo e non ingrassare: sceglie alimenti poco calorici, distribuisce il cibo su tutto il piatto sminuzzandolo in piccoli pezzi, mastica molto lentamente, non mangia in compagnia per evitare controlli, prepara per altri cibo e piatti complessi che non mangia ecc…
L’anoressia è un disturbo molto pericoloso per la vita a causa del grave deperimento fisico e delle disfunzioni fisiologiche che ne derivano, può causare danni irreversibili agli organi vitali: cuore, fegato, reni, ossa, apparato digerente…
Cause
Alla base di un disturbo alimentare come l’anoressia, c’è un rapporto patologico con il cibo e il proprio corpo.
Diversi possono essere gli eventi scatenanti: una dieta ipocalorica di cui se ne perde il controllo, un trauma, un accadimento doloroso, un lutto, una separazione, un allontanamento, un rifiuto, un abbandono, aver subito una violenza sessuale, un conflitto intrapsichico caratterizzato da un bisogno costante di controllo dei propri spazi interni ritenuti troppo fragili ecc..
L’anoressia è il frutto di una convergenza di fattori biologici, psicologici, sociali e relazionali. Sicuramente i problemi psicologici specifici dell’individuo, l’età, la famiglia di appartenenza con i suoi valori e le dinamiche relazionali, influenzano notevolmente la comparsa di questo disturbo.
Anche la cultura sociale gioca un ruolo importante, intesa come cultura della società dei consumi e del benessere. Non è un caso se nei paesi poveri, nel cosiddetto “terzo mondo”, questo disturbo sia sconosciuto.
La moda della magrezza, inoltre, influenza gli ideali estetici femminili. I corpi asciutti predominano nell’immaginario collettivo. Si enfatizza la magrezza del corpo. La bellezza esteriore conta più di quella interiore, dell’unicità e dell’identità della persona.
Ci sono anche fattori genetici che determinano l’insorgenza dell’anoressia come avere un familiare che soffre o ha sofferto di questo disturbo.
Anche la personalità ricopre un ruolo importante: l’eccessivo perfezionismo, obiettivi sempre più difficili da raggiungere, la scarsa autostima, sentimenti ossessivi e maniacali, difficile gestione dello stress, asocialità, eccessive preoccupazioni per il futuro, spesso accomunano i pazienti anoressici.
La presenza di altri problemi come depressione, ansia, abuso di alcol, disturbo bipolare, comportamenti autolesionistici, può incentivare lo sviluppo dell’anoressia.
Una famiglia prevalentemente conflittuale, chiusa al dialogo, al confronto, alla comunicazione, dove regna un eccessivo rigore ed è difficile esprimere le proprie emozioni e sentirsi capiti e amati, è sicuramente una condizione negativa che predispone lo sviluppo di un disturbo alimentare quale l’anoressia.
Sintomi
Nei pazienti anoressici è sovente riscontrare:
- Peso corporeo significativamente sotto la norma per età ed altezza
- Intensa paura di aumentare il peso e le forme del proprio corpo
- Alterazione dell’immagine corporea
- Gravi restrizioni alimentari
- Digiuno
- Perdita di peso
- Nausea
- Inappetenza
- Eccessiva attività fisica
- Vomito autoindotto
- Uso di lassativi e/o diuretici
- Uso di farmaci che riducono il senso di fame
- Amenorrea
- Abbassamento della temperatura corporea e della pressione
- Ipotermia
- Vertigini e/o capogiri
- Affaticamento
- Bradicardia
- Anemia
- Anomalie elettrolitiche
- Carenze di vitamine e minerali
- Alterazioni endocrine
- Osteoporosi
- Fragilità di unghia e capelli
- Pelle secca
- Irritabilità
- Difficoltà di attenzione e concentrazione
- Depressione
- Isolamento sociale
- Tendenze suicide nei casi più gravi
Cura
I pazienti anoressici difficilmente chiedono aiuto, generalmente tendono a tenere nascosto il problema o, come forma di difesa, non lo riconoscono tale.
Un intervento tempestivo permette di guarire dall’anoressia senza dover ricorrere al ricovero ospedaliero che molte volte risulta necessario.
Sicuramente il primo passo per curare l’anoressia è un intervento multidisciplinare di psico-educazione alimentare.
Il paziente deve raggiungere la consapevolezza, riconoscere il problema e comprendere che molti dei sintomi rientrano con la normalizzazione del peso corporeo, e partire proprio da lì. Fondamentale in questo è il ruolo del nutrizionista che elabora una terapia alimentare completa e bilanciata coinvolgendo anche la famiglia.
Il suo intervento deve essere supportato da quello di uno psicoterapeuta, importante per sviluppare e aumentare costantemente la motivazione del paziente alla cura ed evitare le ricadute.
Se da un lato è importante la matrice organica del disturbo, dall’altro sono di notevole rilievo gli aspetti intrapsichici alla base del disturbo. Il cibo, spesso, diventa manifestazione di bisogni e conflitti interiori.
In questo, la Psicoterapia ha un ruolo cardine, aiuta a correggere convinzioni e comportamenti errati, aiuta il paziente a cercare le cause che hanno scatenato il disturbo e ad individuare le dinamiche relazionali disfunzionali.
È stato riscontrato il successo della cura con percorsi di terapia individuale, familiare e di gruppo. Condividere i propri stati d’animo, le proprie paure, i propri vissuti, aiuta i pazienti anoressici a superare l’atteggiamento di chiusura che li caratterizza e ad aprirsi al mondo.
Con la Psicoterapia, dall’anoressia si può guarire senza riammalarsi mai più.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
Superare la dipendenza da gioco
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
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SUPERARE LA DIPENDENZA DA GIOCO
Cos’è la dipendenza da gioco
Il gioco d’azzardo patologico comporta il fallimento della capacità di controllo. Seppur non ci sia un’intossicazione da sostanza, la dipendenza da gioco d’azzardo si può sviluppare presentando fenomeni analoghi alla dipendenza da sostanze: tolleranza, craving, assuefazione.
Il gioco d’azzardo patologico, in clinica definito “disordered gambling” ossia gioco problematico, è un disturbo del controllo degli impulsi con comportamenti di gioco persistente, ricorrente e maladattivo; ciò compromette le attività personali, familiari, sociali e lavorative. L’esordio del disturbo da gioco d’azzardo risale generalmente alla prima età adulta, tuttavia può manifestarsi anche a mezza età o addirittura in tarda età.
Chi soffre di dipendenza da gioco è incapace di resistere alla tentazione di giocare somme di denaro, molto spesso cifre elevate, a carte, lotterie, scommesse sportive, slot machine ecc… Il giocatore d’azzardo gioca non considerando il grosso rischio che corre, anzi prova eccitazione giocando grosse somme di denaro. Infatti, sono particolarmente inclini a sviluppare questa dipendenza i soggetti molto competitivi, che tendono ad avere manie, i soggetti inquieti.
I giocatori d’azzardo patologici non sono affascinati tanto dal vincere molti soldi, quanto dall’eccitazione provocata da grandi puntate. Il loro umore oscilla tra l’euforia nel momento del gioco e la disperazione se il gioco finisce male. Se c’è una vincita questa rinforza il comportamento e la voglia di giocare, se c’è una perdita il giocatore patologico vuole rifarsi e rimontare entrando in un circolo vizioso senza fine. Paradossalmente, nel giocatore patologico, l’aspettativa di vincita aumenta se cresce il numero delle sconfitte.
Chi ha sviluppato una dipendenza da gioco è disposto a fare qualsiasi cosa per procurarsi il denaro utile a soddisfare il suo bisogno; il suo umore è irritabile e scontroso se non ha i soldi per giocare.
Il gioco patologico, pertanto, ha un’influenza negativa sulle relazioni personali e familiari perché molto spesso è causa di perdite finanziare, debiti, problemi legali.
Cause
Come in gran parte delle dipendenze, anche in quella da gioco d’azzardo, le cause all’origine possono essere di natura biologica, psicologica, socio-ambientale.
Spesso la dipendenza da gioco d’azzardo si sviluppa come risposta disfunzionale a eventi traumatici della vita, a periodi in cui ci si sente particolarmente sopraffatti da emozioni intense, forti e difficili da gestire. La depressione e lo stress aumentano il bisogno di rischiare al gioco come forma di evasione dai problemi della vita.
Il gioco d’azzardo è un forte stimolante, provoca eccitazione intensa, fa sentire forti e onnipotenti, crea l’illusione di poter cambiare la propria vita.
Ci sono diversi fattori di rischio che aumentano le probabilità di potersi ammalare di dipendenza da gioco. Sicuramente la familiarità è il principale fattore di rischio, avere familiari dipendenti dal gioco d’azzardo incentiva lo sviluppo di questa dipendenza. Anche la presenza di altri disturbi del comportamento e dell’umore è un fattore di rischio, così come la presenza di disturbi di personalità caratterizzati da impulsività, disturbo borderline e disturbo narcisistico.
Un’altra causa, non meno importante, che facilita lo sviluppo di una dipendenza da gioco è la facile disponibilità, si pensi alla rete e all’uso indiscriminato di giocare on-line, alle sale da gioco dove scommettere è una pratica legalizzata.
Sintomi
Il disturbo da gioco d’azzardo comporta disagio e sintomi clinicamente significativi per un periodo di almeno 12 mesi:
- Giocare somme di denaro sempre maggiori
- Giocare con frequenza crescente
- Giocare per recuperare le perdite
- Pensieri persistenti sul gioco
- Occupare la maggior parte del tempo con il gioco
- Perdita di interessi verso altre attività o relazioni sociali e affettive
- Necessità di mentire per continuare a giocare
- Chiedere prestiti o rubare soldi per poter giocare
- Irrequietezza a seguito di astinenza dal gioco
- Tentativi ripetuti e falliti per ridurre o smettere di giocare
Cura
Quando si soffre di dipendenza da gioco d’azzardo è sempre utile chiedere il consiglio di un medico Psichiatra e/o Psicoterapeuta per valutare l’entità del problema e il miglior percorso di recupero.
La dipendenza da gioco d’azzardo è un disturbo clinicamente significativo e in quanto tale necessita l’intervento di specialisti. Inizialmente potrebbe risultare necessaria una terapia farmacologica soprattutto per gestire gli aspetti clinici del disturbo come l’impulsività e l’anedonia, la perdita di interesse per attività comunemente ritenute piacevoli.
La cura della dipendenza da gioco d’azzardo non si limita a condurre il paziente a smettere di giocare bensì anche ad evitare che possano esserci ricadute. Il primo passo è portare il paziente alla piena consapevolezza di avere un problema. Il paziente deve riconoscere di essere un giocatore patologico, non di avere un vizio, e deve individuare ed analizzare tutte le conseguenze che ciò ha portato nella sua vita e di quante altre ancora ne porterebbe se non interrompesse il gioco come comportamento patologico.
La Psicoterapia aiuta il paziente a cambiare il suo stile di vita e ad evitare ricadute, soprattutto lo guida a trovare costantemente una motivazione alla cura e al cambiamento. La Psicoterapia, inoltre, permette di lavorare sulle distorsioni del pensiero, ovvero su tutte quelle distorsioni cognitive associate al gioco: potere e controllo sugli esiti delle giocate, sovrastima delle probabilità di vincita, superstizione ecc…Essa permette anche di analizzare le situazioni antecedenti al gioco consentendo così di comprendere le situazioni a rischio, soprattutto imparare a gestirle.
Diversi studi in merito hanno riconosciuto e dimostrato che la Psicoterapia di Gruppo è tra i trattamenti più efficaci per curare una dipendenza da gioco d’azzardo. Guarire da questa dipendenza è possibile.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
Superare la dipendenza affettiva
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA DIPENDENZA AFFETTIVA
Cos’è la dipendenza affettiva
La dipendenza affettiva è una dipendenza comportamentale, non caratterizzata dall’abuso di alcol o sostanze, ma da comportamenti patologici di vivere una relazione. È un disturbo relazionale.
La dipendenza affettiva è una condizione patologica e in quanto tale è caratterizzata da ossessività, impulsività e compulsività. L’ossessività del pensiero verso una persona, generalmente il partner; l’impulsività di determinati comportamenti quali numerosi messaggi, frequenti chiamate di controllo ecc…; la compulsività, cioè la difficoltà a trattenere ed evitare determinati comportamenti.
Chi soffre di dipendenza affettiva la confonde molto spesso con l’amore. In realtà è una forma di amore malato ed ossessivo, disfunzionale, in cui la persona dipendente rinuncia ai propri bisogni, al proprio spazio, mette le proprie opinioni da parte. Il partner viene considerato come unica gratificazione e fonte di amore, per questo la paura di perderlo è incontrollata.
Apparentemente la dipendenza affettiva offre un senso di benessere, ma allo stesso tempo aumenta il bisogno di legame al partner da cui si dipende. La persona che soffre di dipendenza affettiva considera la propria vita insignificante e vuota senza la presenza del partner.
La dipendenza affettiva è un bisogno eccessivo di fare affidamento sul partner, un eccessivo bisogno di protezione e cure associati alla paura di rimanere soli. Inevitabilmente queste relazioni non sono gratificanti, ma insoddisfacenti e dolorose.
Spesso le persone che soffrono di dipendenza affettiva diventano potenziali vittime di manipolazioni emotive o di violenze all’interno della relazione; hanno difficoltà ad esprimere disaccordo, a prendere decisioni autonomamente e indipendentemente dagli altri. Questo, se da un lato genera nell’altro un forte senso di coercizione nel doverle continuamente accudire, assistere, guidare, dall’altro gli attribuisce una sensazione di potere all’interno della coppia.
La dipendenza affettiva genera relazioni affettive e sentimentali disfunzionali, non una dipendenza positiva che nelle relazioni ha valore funzionale, sano e reciproco.
Cause
Diversi studi hanno dimostrato che il mal funzionamento della dopamina a livello cerebrale sia un fattore determinante per lo sviluppo della dipendenza affettiva.
Anche l’ambiente familiare influisce in modo significativo allo sviluppo della dipendenza affettiva, in particolar modo famiglie in cui non vi è una chiara distinzione dei ruoli ed in cui si ha una costante intromissione nei pensieri, nei sentimenti e nelle azioni altrui.
Alla base di una personalità dipendente c’è sicuramente insicurezza, scarsa autostima, difficoltà a prendere decisioni, sensazioni di disagio quando si è soli.
La dipendenza affettiva è una patologia che coinvolge prevalentemente le donne, generalmente provenienti da famiglie problematiche che le hanno portate a sviluppare inadeguatezza ed indegnità personale.
La persona dipendente è fragile, bisognosa di conferme e terrorizzata dall’abbandono. Influisce nello sviluppo di una dipendenza affettiva anche la presenza di disturbi d’ansia, il disturbo distimico, il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo ossessivo compulsivo e altre forme di dipendenza come quella da alcol, sostanze, cibo ecc…
Sintomi
La dipendenza affettiva è caratterizzata da sintomi simili a quelli delle altre dipendenze comportamentali:
- Piacere derivante dall’oggetto della dipendenza
- Tolleranza e necessità di aumentare il tempo trascorso con il partner
- Ossessività
- Impulsività
- Compulsività
- Negare i propri bisogni a fronte di quelli del partner
- Ansia costante di poter perdere la persona oggetto della propria dipendenza
- Continuo bisogno di rassicurazioni
- Continue richieste affettive
- Emozioni negative quando il partner è distante
- Repressione della rabbia
- Perdita di controllo
- Accettazione della sofferenza pur di non restare soli
Cura
È importante riconoscere la dipendenza affettiva per prevenire, in caso di interruzione della relazione, reazioni eccessive quali comportamenti persecutori come lo stalking, gravi depressioni o tentativi di suicidio.
La dipendenza affettiva può essere curata con l’aiuto di uno specialista Psicoterapeuta che inquadra il disturbo all’interno della storia di vita del paziente.
Il primo passo è il riconoscimento della propria dipendenza affettiva da parte del paziente e delle conseguenze prodotte dal disturbo. Il paziente con l’aiuto del terapeuta ripercorre e analizza la relazione attuale e le eventuali relazioni passate, individua gli eventi scatenanti che hanno indotto l’instaurarsi del disturbo.
La Psicoterapia aiuta il paziente ad intraprendere un processo di cambiamento partendo dalla gestione delle emozioni negative legate alla solitudine, al rifiuto all’abbandono. Essa, inoltre, aiuta il paziente a gestire l’astinenza evitando eventuali ricadute, a riconoscere i propri bisogni e la necessità di stabilire confini personali.
Obiettivi importanti della terapia sono inoltre, l’indipendenza del paziente, lo sviluppo di competenze affettive, comportamentali e sociali.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
Superare la dipendenza da sostanze
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
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SUPERARE LA DIPENDENZA DA SOSTANZE
Cos’è la dipendenza
Con il termine dipendenza si intende un bisogno assoluto di assumere una sostanza o di adottare determinati comportamenti. Tale bisogno si trasforma in una necessità incontrollata e compulsiva a tal punto da diventare una situazione patologica.
Chi sperimenta le droghe e le sostanze stupefacenti, a volte agisce per semplice curiosità e per provare sensazioni diverse, altre volte per alleviare un periodo di forte stress, ansia o depressione, spesso inconsapevole dei reali rischi. Tra le sostanze stupefacenti maggiormente utilizzate troviamo: cocaina, eroina, marijuana, oppiacei, allucinogeni, metamfetamine ecc…
Le droghe e le sostanze stupefacenti alterano il modo di inviare, ricevere ed elaborare informazioni del nostro cervello, creano un’eccessiva stimolazione della dopamina, un neurotrasmettitore che controlla le sensazioni di piacere, generano euforia. Questa sensazione induce a voler ripetere il comportamento in modo incontrollato, dunque a fare abuso della sostanza. Le droghe, quindi, sostituiscono e alterano nel cervello sostanze prodotte dall’organismo in modo naturale, ciò crea illusorie situazioni di piacere, tanto che assumere droga diventa un bisogno. Più che dipendenza dalla sostanza, si ha dipendenza dai suoi effetti. La dipendenza non è nella sostanza in sé, ma in come questa ci fa sentire. Gli stupefacenti, infatti, creano un’illusoria sensazione di evasione dalla realtà e dai problemi.
La tossicodipendenza può essere distruttiva sul corpo, sulla vita e sulle relazioni di una persona. I pensieri e i comportamenti di dipendenza, ricorrenti e compulsivi, interferiscono con la vita familiare, lavorativa e sociale. Spesso causano la perdita del lavoro, liti familiari e gravi problemi economici.
La dipendenza da sostanze stupefacenti ha conseguenze sulla salute fisica e mentale. L’abuso prolungato di sostanze stupefacenti provoca alterazioni del pensiero, delle emozioni e del comportamento, nonché il rischio di alterazioni permanenti delle principali funzioni neurologiche e psicologiche; queste alterazioni ostacolano la capacità di resistere all’impulso di assumere sostanze. L’abuso, inoltre, genera ansia, depressione, schizofrenia, paranoia, disturbi bipolari e della personalità. Importanti sono anche i danni fisici e alle funzionalità base dell’organismo: al fegato e al pancreas, malattie cardiovascolari, insufficienza renale, infertilità, impotenza, lesioni polmonari e spesso anche la morte.
Cause
Diverse sono le cause che possono contribuire allo sviluppo di una dipendenza. Sicuramente si possono individuare fattori biologici, ambientali e di sviluppo. Molto spesso la dipendenza da sostanze può essere ricondotta ad un disagio personale e sociale, alle relazioni e all’ambiente.
Diversi studi, inoltre, dimostrano l’aumento di probabilità di sviluppare una dipendenza da sostanze in presenza di disturbi mentali e di personalità. Anche storie familiari di dipendenza influiscono nello sviluppo di una dipendenza così come vissuti personali difficili prevalentemente durante l’infanzia. Il trauma rappresenta sicuramente una delle maggiori cause. L’uso di droghe e stupefacenti può essere ricondotto al tentativo di controllare una sofferenza che non si riesce ad annullare, una forma di difesa e automedicazione.
Sintomi
Il disturbo da uso di sostanze è una modalità patologica d’uso della sostanza che conduce a disagio o compromissione clinicamente significativi.
Sono presenti i seguenti sintomi:
- La sostanza è assunta in quantità eccessive per periodi prolungati
- Forte desiderio all’uso della sostanza
- Uso continuativo della sostanza nonostante problemi sociali o interpersonali causati dagli effetti della sostanza
- Tolleranza: bisogno di dosi sempre più elevate
- Astinenza
- Alterazioni del pensiero
- Alterazioni delle emozioni
- Alterazioni della capacità decisionale e di azione
- Cambiamenti delle abitudini
- Cambiamenti del comportamento
- Comportamenti rischiosi per sé e per gli altri pur di procurarsi la sostanza
- Impulsività
- Irrequietezza
- Irritabilità
- Aggressività
- Ansia
- Ossessività
- Compulsività
- Insuccessi nel tentativo di liberarsi dalla dipendenza
Sintomi dell’astinenza:
- Ansia
- Irritabilità
- Nausea
- Vomito
- Tremori
- Spossatezza
Cura
Il trattamento e la cura della dipendenza da sostanze prevede un approccio multidisciplinare. A seconda della gravità della situazione è prevista la collaborazione di diverse figure specialistiche: psichiatra, neurologo, psicoterapeuta.
Trattare una dipendenza significa oltre che aiutare l’interessato ad interrompere l’assunzione della sostanza senza rischio di ricadute, anche aiutarlo a recuperare il suo ruolo nella società, in famiglia e a lavoro. Se da un lato la terapia farmacologica è fondamentale per gestire i sintomi dell’astinenza, dall’altro la psicoterapia è un forte ed indispensabile contributo per curare i disturbi psicologici.
Attraverso la psicoterapia è possibile correggere i comportamenti che hanno generato la dipendenza, aiutare il paziente ad evitare una ricaduta analizzando le possibili conseguenze, acquisire comportamenti più funzionali, imparare a gestire le emozioni, migliorare il funzionamento interpersonale e le relazioni.
Diversi studi dimostrano quanto e come la terapia di gruppo sia efficace nel trattamento e nella cura delle dipendenze, promuova la crescita e il cambiamento strutturale della personalità.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
Superare la dipendenza da alcol
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA DIPENDENZA DA ALCOL
Cos’è l’alcolismo
L’alcolismo, definito come “uso problematico di alcol”, è una malattia cronica, recidivante e potenzialmente mortale. Chi soffre di alcolismo non ha più il controllo sul consumo di alcol, ne fa abuso: beve frequentemente eccessive quantità di alcolici in qualsiasi momento della giornata sviluppando tolleranza, astinenza e dipendenza.
La dipendenza alcolica rientra tra le maggiori e principali problematiche di salute al mondo. L’abuso di alcol causa nel tempo diversi danni fisici e psicologici. Sebbene molti organi possano essere compromessi dal consumo smisurato di questa sostanza, sicuramente il fegato e il cervello sono i più colpiti. I danni al fegato possono sfociare in cirrosi e/o neoplasie epatiche, non meno importante è il rischio di ictus e disturbi cardiovascolari. Sul cervello, invece, l’alcol assunto in piccole quantità rilascia endorfine, mentre in quantità eccessive rallenta notevolmente l’attività cerebrale alterando capacità di apprendimento, giudizio e autocontrollo.
Importanti sono anche i danni che l’alcolismo provoca nella vita familiare, relazionale, sociale e lavorativa di chi ne soffre. L’individuo che fa abuso di alcol soffre di alterazioni della personalità e sviluppo di aggressività: è spesso irascibile, scontroso e litigioso. Ciò porta inevitabilmente diversi problemi sul posto di lavoro fino a causarne la perdita, e in ambito familiare, a vivere relazioni conflittuali spesso associate anche a violenza domestica.
Oltre ai danni fisici, psicologici e della sfera sociale, l’alcolismo può causare gravi problemi legati alla salute mentale con la presenza di sintomi psicotici quali i deliri e le allucinazioni. Queste manifestazioni tendono a scomparire pian piano con la fine dell’intossicazione; tuttavia, è fondamentale evidenziare come un abuso alcolico possa peggiorare notevolmente disturbi psichiatrici già esistenti. Una patologia molto grave correlata al disturbo da uso di alcol è la psicosi o sindrome di Korsakoff, nota come “disturbo anamnestico da alcol”. Chi ne soffre manifesta danni alla memoria, in particolare quella legata ai ricordi recenti: dimenticano mi, volti e situazioni, ha difficoltà nella pianificazione di attività strutturate oltre ad un declino intellettivo e lesioni corticali.
Cause
Alla base dell’alcolismo vi è un’interazione di carenze strutturali, fattori genetici, ambientali e psicologici. Problemi di autostima, di modulazione dell’affetto e incapacità di prendersi cura di sé stessi portano ad un consumo eccessivo di alcolici: l’alcol si sostituisce alla mancanza di strutture psicologiche.
Di rilievo è la predisposizione genetica allo sviluppo di una dipendenza da alcol. Crescere in un contesto familiare in cui uno o entrambi i genitori è alcolista, facilita l’abuso di alcol. La familiarità è un aspetto dominante, diversi studi evidenziano l’elevata probabilità per i figli di alcolisti di diventare a loro volta alcolisti in età adulta anche se adottati da altre famiglie. Spesso questi soggetti a rischio possono essere incentivati all’abuso di alcol anche a causa di contesti sociali e ambientali.
Ci sono anche diverse cause psicologiche responsabili dell’alcolismo. L’alcol, infatti, spesso viene usato in modo improprio per le sue proprietà rilassanti da chi soffre di stress eccessivo, ansia, depressione o anche patologie psichiatriche come il disturbo bipolare, la schizofrenia, il disturbo ossessivo compulsivo.
Un’altra causa che facilita lo sviluppo di una dipendenza alcolica è aver subito maltrattamenti o traumi nell’infanzia, così come sviluppare un disturbo di personalità.
Sintomi
Chi soffre di “disturbo da uso di alcol” presenta almeno 2 dei seguenti sintomi per un periodo di almeno 12 mesi:
- Assume alcol in quantità eccessive per lunghi periodi
- Desiderio costante e persistente di assumere alcolici
- Fallimenti nel tentativo di ridurre l’assunzione di alcol
- Impiega gran parte del tempo a bere, recuperare alcolici o gestire gli effetti post-sbornia
- Bisogno incontrollabile di bere
- Sviluppo della tolleranza verso l’alcol e conseguente aumento della quantità consumata per soddisfare il bisogno
- Utilizzo continuativo di alcol anche dopo la comparsa di problemi psicologici e/o sociali attribuibili all’abuso alcolico
- Sintomi di astinenza
- Comportamenti atti a non provare sintomi di astinenza
L’astinenza dovuta alla brusca interruzione del consumo di alcol, nota come Delirium Tremens, va inizialmente trattata in ambito ospedaliero. I sintomi sono:
- Disorientamento spazio-temporale
- Eccessiva suggestionabilità
- Allucinazioni visive ed intensa paura
- Tremore delle mani, della lingua e delle labbra
- Febbre
- Sudorazione
- Alterazioni del battito cardiaco
Cura
Immaginare di poter risolvere il disturbo da uso di alcol solo con la forza di volontà è inutile; i meccanismi fisici e mentali caratterizzanti la dipendenza necessitano di un aiuto adeguato. È dunque fondamentale per il paziente alcolista riconoscere e accettare di non essere in grado di gestire il problema da solo. È importante rivolgersi a chi, per esperienza e formazione, dispone delle capacità e degli strumenti necessari per risolvere il problema.
Sicuramente in fase acuta, in caso di astinenza, è consigliabile affidarsi a cure ospedaliere; tuttavia, per affrontare l’alcolismo è necessario un approccio multidisciplinare. Non è sufficiente la disintossicazione da alcol per smettere di bere. Superata la fase acuta, bisogna necessariamente affrontare i problemi psicologici, cognitivi, emotivi ed affettivi alla base dell’abuso di alcol e lavorare sulla prevenzione alle ricadute.
La terapia di gruppo ha mostrato di essere quella maggiormente consigliata. Con la psicoterapia e i gruppi di aiuto è possibile imparare a gestire le proprie emozioni e a controllare gli impulsi. La psicoterapia adotta metodi rivolti a bisogni psicologici facilitando un cambiamento strutturale e duraturo della personalità. La psicoterapia, inoltre, aiuta a curare la depressione che nasce dal riconoscimento doloroso di tutta la sofferenza causata a sé stessi e agli altri, di tutte le perdite e le separazioni causate dalla dipendenza da alcol. La psicoterapia è utile nel processo di elaborazione di tutti questi aspetti dolorosi.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
SUPERARE GLI ATTACCHI DI PANICO
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE GLI ATTACCHI DI PANICO
Cos’è l’attacco di panico?
Il termine “attacco di panico” ha origine dal mito greco del dio Pan, un essere pauroso con il corpo metà umano e metà caprino. Il mito narra che Pan, dio dei pascoli e della natura, sopraggiungeva improvvisamente spaventando le ninfe del bosco e i viandanti tanto da terrorizzarli. Proprio come l’improvviso sopraggiungere del dio Pan, l’attacco di panico giunge in modo inaspettato e intenso terrorizzando inevitabilmente chi lo vive. Gli attacchi di panico sono caratterizzati da intensa e profonda paura, forte ansia, apparentemente senza alcuna motivazione, senza alcun evento scatenante o reale pericolo.
Cause
Sebbene essi si manifestino senza reali situazioni di pericolo o potenziali cause, in realtà sono legati a profonde emozioni difficili da percepire e riconoscere. Spesso alla base ci sono periodi di stress intenso e prolungato, forte affaticamento, eccessiva responsabilità, smisurata preoccupazione, un lutto, una separazione, una malattia, traumi infantili…
Sintomi
La paura e l’intensa angoscia provate durante un attacco di panico sono accompagnate da sintomi somatici generati dall’attivazione del sistema simpatico, e sintomi cognitivi.
Sintomi somatici:
- Tachicardia
- Palpitazioni
- Dolore al petto
- Difficoltà respiratorie
- Soffocamento
- Sensazione di sbandamento
- Svenimento
- Capogiri
- Vertigini
- Stordimento
- Debolezza
- Sudorazione improvvisa
- Formicolio agli arti
- Nausea
- Vampate di calore
- Brividi
- Tremori
- Cambiamenti repentini della temperatura corporea e della pressione
Sintomi cognitivi:
- Paura di perdere il controllo
- Paura di impazzire
- Derealizzazione
- Depersonalizzazione
- Paura di morire
Seppure l’apice di un attacco di panico duri in media non oltre una decina di minuti, chi si trova a viverlo ed affrontarlo per la prima volta ne rimane profondamente turbato e difficilmente dimentica l’episodio. Generalmente il carattere inaspettato del primo attacco di panico e la presenza di sintomi somatici e cognitivi intensi, porta l’interessato a recarsi immediatamente al pronto soccorso perché teme di avere un infarto, di essere in pericolo di vita. Segue una serie di accertamenti medici in cerca di risposte. Molto spesso, escluse eventuali cause mediche, escluso un problema fisico, la persona prova vergogna e imbarazzo pensando che il malessere possa essere percepito all’esterno come un’immagine debole di sé.
A volte, inoltre, l’esclusione di una problematica fisica induce a rifiutare che ci possa essere un problema di diversa natura, pertanto a non affrontarlo dal punto di vista psicologico e ciò comporta inevitabilmente la ricomparsa degli attacchi di panico con una frequenza sempre più ravvicinata tanto da diventare un vero e proprio disturbo. Quando gli attacchi di panico sono ricorrenti, non sono causati da una condizione medica generale o giustificati da un altro disturbo e c’è preoccupazione persistente di avere altri attacchi di panico, si è di fronte ad un disturbo di panico.
Una conseguenza degli attacchi di panico è l’agorafobia, la paura di spazi aperti e/o affollati dai quali potrebbe risultare difficile allontanarsi in caso di pericolo, ricevere aiuto o semplicemente il timore del giudizio altrui se si dovesse stare male in pubblico. Inevitabilmente si innescano meccanismi di evitamento di tutte quelle situazioni che generano ansia pensando così di evitare l’insorgenza del panico. Ed è così che si evita di viaggiare, utilizzare mezzi pubblici, prendere treni, aerei, andare a teatro, al cinema, a un concerto, al supermercato, aspettare in coda, essere tra la folla, guidare, essere da soli… Tutto ciò compromette ovviamente l’aspetto sociale, lavorativo e personale.
Chi soffre di agorafobia evita categoricamente tutte le situazioni temute e se le affronta le vive con profonda ansia. Si diventa schiavi e vittime dei propri attacchi di panico, delle proprie paure: si vive una profonda frustrazione che può portare ad uno stato depressivo. Il carattere improvviso e l’imprevedibilità degli attacchi di panico, porta chi ne è colpito a sentirsi fragile, vulnerabile, ad avere paura della paura.
Cura
Affrontare gli attacchi di panico fino a superarli è possibile. Fondamentale è prendere consapevolezza che non dipendono da una condizione fisica, migliorare l’atteggiamento verso gli eventi esterni e le sensazioni corporee. Indispensabile è un percorso di psicoterapia: imparare tecniche atte a gestire l’ansia come le tecniche di respirazione, apprendere nuove modalità di pensiero e comportamento, soprattutto imparare a guardarsi dentro, a prendere consapevolezza di sé senza reprimere le paure.
Jung sosteneva che la paura è una via legittimada seguire. Le nostre paure, tutto quello che reprimiamo con forza, diventano prima o poi causa dei nostri conflitti interiori. La psicoterapia aiuta a dar voce alla paura riducendo le tensioni, a ristabilire l’equilibrio perso. La psicoterapia offre gli strumenti per vivere liberi.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
SUPERARE L’ ANSIA
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE L’ ANSIA
Cos’è l’ansia?
L’ansia è un insieme di reazioni che si manifestano quando il nostro organismo percepisce una minaccia, un pericolo, una situazione di allerta e paura. È una risposta innata, istintiva e naturale di attivazione: l’attenzione e la vigilanza aumentano per affrontare il pericolo percepito con una risposta di attacco o fuga. Scappare dal pericolo o combatterlo attaccando è una reazione automatica che si innesca quando ci troviamo di fronte a pericoli esterni reali; tuttavia, non sempre l’ansia è dettata da questi pericoli, molto spesso dipende da situazioni “interne” all’individuo, lotte, tensioni presenti e non ancora risolte. L’ansia può essere fisiologica oppure patologica. Se fisiologica è positiva e funzionale perché consente di affrontare in modo adattivo situazioni difficili o di pericolo, se patologica, invece, risulta disfunzionale ed interferisce con la prestazione. L’ansia patologica insorge spesso senza una reale motivazione, senza una reale minaccia e molto spesso è caratterizzata da attacchi d’ansia intensi.
Cause
Diversi sono i fattori che contribuiscono all’origine dell’ansia:
– fattori genetici: maggiore probabilità di soffrire di un disturbo d’ansia se almeno un familiare ne soffre;
– fattori biologici: alterazioni di alcuni neurotrasmettitori, squilibri di noradrenalina e serotonina;
– fattori psicologici: conflitti interpersonali, pensiero disfunzionale, traumi, esperienze di vita…
Sintomi
È fondamentale riconoscere i sintomi dell’ansia, possono essere sia psicologici che fisici:
– eccessiva apprensione
– preoccupazione persistente
– pensieri negativi
– stato di agitazione
– angoscia
– timore
– insicurezza
– confusione
– difficoltà di concentrazione e/o memoria
– nervosismo
– affaticamento
– palpitazioni e tachicardia
– fame d’aria e iperventilazione
– respiro corto e affannoso
– offuscamento visivo e capogiri
– eccessiva sudorazione
– dolore toracico
– tensione muscolare
– vertigini
– tremori
– formicolii
– cefalea tensiva
– pallore
– disturbi gastroenterici
– stimolo frequente alla minzione
– disturbi del sonno
L’ansia si può curare?
Quando l’ansia è generalizzata, è una situazione di tensione, preoccupazione costante ed eccessiva che permane nel tempo senza una concreta situazione di pericolo, quando i sintomi dell’ansia diventano invalidanti tanto da interferire con le attività quotidiane, con il lavoro, la vita privata e le relazioni, quando innesca il meccanismo di evitamento della situazione temuta perché si ha paura della paura, l’ansia diventa un disturbo, e in quanto tale è opportuno rivolgersi ad uno Psicologo-Psicoterapeuta. La Psicoterapia è fondamentale per curare l’ansia e i disturbi d’ansia. Lo Psicoterapeuta guida il paziente all’interno della sua storia personale, in un percorso finalizzato a migliorare la gestione delle risorse personali necessarie ad affrontare situazioni difficili e problemi, a fornire un aiuto concreto, efficace e duraturo.
La psicoterapia agisce a breve e a lungo termine: a breve termine fornendo strumenti e tecniche per gestire meglio le emozioni e il controllo di sé, a lungo termine eliminando le cause dell’ansia, accrescendo la conoscenza e il funzionamento globale della persona, generando un cambiamento.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
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Puntata del 30.10.2019: “La nuova migrazione italiana”