**I sottili fili del potere**
Ogni comportamento è una comunicazione che prevede e nasconde una o più motivazioni, consapevoli o meno. Utilizzando l’espressione di Paul Watzlawick, secondo la quale “non esiste la non comunicazione, ma tutto è comunicazione”, possiamo affermare che c’è sempre una motivazione dietro qualsiasi comportamento, e che tutto è sempre motivato da qualcosa di oscuro o evidente.
Nelle relazioni umane esistono comportamenti chiari, ambivalenti e, in molti casi, o bui nel loro significato. Le motivazioni rappresentano le cause che determinano i comportamenti. Motivazioni chiare ed esplicite, per la loro onestà e trasparenza, favoriscono relazioni sane e fluide.
La maggior parte delle motivazioni umane risultano essere ambivalenti, perché il soggetto non si conosce o non sa perché si comporta in un certo modo, oppure non comprende perché convive con determinati stati d’animo. La mancanza di chiarezza del soggetto diventa mancanza di chiarezza anche per il proprio interlocutore.
La maggior parte delle volte siamo costretti a interagire con un mondo di persone che non sanno perché agiscono o sono in un certo modo; si immagini dunque il caos in cui siamo costretti a vivere. Due persone che non hanno consapevolezza di ciò che provano reciprocamente si trovano già in una condizione di guerra.
L’inconsapevolezza, così come la consapevolezza, hanno in sé un potere: quello di condizionare gli altri. Entrambe rappresentano i fili del burattinaio che muove le relazioni. Bisogna fare molta attenzione all’utilizzo di ogni parola espressa: essa può sicuramente avere un potere curativo, orientato alla felicità, oppure manipolativo.
Ogni parola conduce il ballo del potere: nelle relazioni diventa l’ arma di un potere contro un altro potere, oppure un potere verso l’alleanza di ragioni. Tutte le ragioni, quelle in accordo o in contrapposizione, hanno il loro potere. La relazione umana conserva, nel proprio istinto, il predominio dell’ uno su l’altro. Originariamente, questo nasce da un atteggiamento primordiale e arcaico: quello di tracciare il proprio perimetro.
L’uomo dell’analisi è portato ad abbattere i perimetri. Non ha paura di perdere se stesso o di fallire, perché si possiede da solo; accetta e sfida il potere degli altri su di sé; non si nasconde per timore, non parla di destino e non si lascia né manipolare né condizionare. Se si determina, ha comunque esercitato il proprio potere su se stesso e non sugli altri, nel rispetto di tutti.
Le persone confuse o non chiare vanno temute nell’esercizio delle loro parole o delle loro azioni: esse, in un primo momento, generano malessere. Il malessere subito impone una riflessione su quali parole o azioni lo abbiano generato. Il malessere provato, è determinato dal potere che si concede all’altro e che viene interiorizzato. L’altro entra dentro di noi con il suo potere, sotto forma di malessere. Questa concessione che facciamo agli altri è il potere che diamo loro di risiedere dentro di noi.
Quando sistematicamente rimuginiamo su una questione o un torto subito, dedichiamo ore, giornate e persino anni a pensarci. Diventiamo prigionieri di quei monologhi, ossessionati da soliloqui estenuanti, intrattenendoci con il nostro interlocutore mentale in flussi continui di preoccupazioni, succubi del suo potere, che si incastra dentro di noi, agisce e ci possiede inconsapevolmente come un demone, come in uno stato di trance ipnotica manipolativa. La fine di tale delirio verte solo quando decidiamo, potenzialmente, di chiarire di persona, dialogando sul conflitto che ci attanaglia.
Il potere si esplica sempre su due poli: quello dei vinti e quello dei vincitori. Dove ci sono conflitti, questo dualismo è onnipresente, e le dinamiche relazionali si pongono su un piano di opposizioni, di continui tira e molla su chi deve cedere e chi prevalere, su chi deve vincere e chi soccombere. Se si vuole vivere, la vita impone la propria difesa innata contro questo meccanismo, per la propria sopravvivenza,.
Non c’è nulla di strano, di vergognoso o di sbagliato in tutto questo: la vita è così e bisogna accettarlo. Il conflitto è legge ed onnipresente e la vita è conflitto. Chi non vuole capirlo, non è ancora nato: vive in una fiaba, ma la realtà può diventare più bella di essa, perché il conflitto è la rivendicazione delle diversità e richiede un confronto continuo, può trasformarsi in bellezza, arte, unità, progetto, e soluzioni per chi vuole trovarle.
Il conflitto non annoia mai: vende, intrattiene, dà sempre pensieri; paradossalmente, è ciò su cui si basano le guerre, i telegiornali dell’orrore, tutto ciò che non cerca mai soluzioni.
L’uomo che desidera soluzioni è un uomo risolto, è sul gradino più elevato dell’evoluzione. È un uomo analitico, un uomo umano, che non disdegna il conflitto perché ad esso risponde, lo risolve e, attraverso di esso, unisce le differenze, ricostruisce nuovi rapporti e li ama.
Per crescere ed evolversi, è necessario attraversare il conflitto e confrontarsi con il potere: non si possono evitare, se si vuole costruire qualcosa di serio.
giorgio burdi
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