SENZA TEMPO
Immaginare di non contare più il tempo e il non guardare più il roteare delle lancette nel loro procedere, da’ la sensazione di essere fermi su di un fotogramma dinamico interno. Il tic e tac del tempo lascia percepire solo ciò che va, fa pensare alla memoria di ciò che sfuma, una dietro l’ altra che irrimediabilmente si consuma, senza fine. Il tempo è una persecuzione, quando sei attaccato alla vita e stai bene, lo conti e percepisci il suo consumarsi, invece quando soffri, è troppo, non vedi l’ ora che passi, che tutto passi in fretta e vada via.
Il trascorrere del tempo comunque, è uno delle maggiori cause dell’ ansia rispetto a ciò che si perde e non torna più. Contare il tempo non ci porta mai al presente, ma sempre a ciò che è andato.
Siamo nevroticizzati dal bisogno di fermarlo, frenando i processi di invecchiamento, di frenare il viaggio, sperando che non passi. Lifting, estetica, alimentazione, sport, vestiti giovanili, sono tutte espressioni di una lotta contro il tempo, a parte quel bisogno indispensabile di bellezza.
1, 2, 3 secondi ci mettono in contatto con il 4 secondo, con un futuro, ma anche con una involontaria frenesia contemporanea di archiviazione, prima ancora che quel tempo venisse vissuto. Il tempo non andrebbe contato, ma solo goduto nella sua scia.
Una vita senza il tempo, è una vita dove non è ne mai troppo tardi o non è mai troppo presto, dove c’è ancora l’ opportunità per fare di tutto e ancora per stare con chi si vuole e fare ancora ciò che si desideri. Mi rendo conto che l’ ancôra è un avverbio di tempo è un appendice del tempo. Una vita senza tempo è una vita senza mai e senza un ancora e ancor di più, senza un però. La misurazione del tempo è una agonia, una prigionia, quando ci diamo l’ inizio e la la fine di ogni possibilità o una frenata per andar cauti perché è ancora prematuro.
Fare in fretta, accelerare o procrastinare, sono tutte modalità dettate dalla frenesia del contare il tempo. La misurazione del tempo rappresenta una delle maggiori cause di malattie e dello stress umano.
Ma si può vivere senza la misurazione del tempo ? Nella vita privata, ritengo di si. In quella sociale si scatenerebbe il caos. Vedere l’immagine postata qui su, di un orologio senza le lancette, è disorientante, prova a guardarlo, è liberatorio in modo inquietante. Smarrisce. Si ha la sensazione di essere sospesi e campati in aria, di non avere punti e spazi di riferimento, di fare un salto nel vuoto, liberi e inquietati, di non appartenere più al nostro tempo, di non avere più ne passato e ne futuro, ma sbattuti nel qui ed ora, nell’assoluto relativo del presente, del tutto è qui.
È sconcertante pensare di non avere più il tempo o non poter avere quella sua meccanica di misurazione. Si avrebbe la sensazione di perdere un riferimento organizzativo, una sincronicità e, una coincidenze di tempi . Ma tutto ciò è vero o le meraviglie accadono al di fuori del tempo, tutto all’improvviso, come essersi appena conosciuti ed avvertire la sensazione netta di essersi da sempre conosciuti ? Certi eventi accadono a prescindere da qualsiasi tempo. Il tempo ci imprigiona con il suo contarlo.
Il “Senza tempo”, e la conquista del non dover pensare ad esso, ci apre in una prospettiva di infinito e di eterno, verso l’ iperspazio, oltre l’ orizzonte, ci pone oltre i confini, ci fa smettere di disperare perché è finita o sul come mai non è ancora incominciata. La dimensione del senza tempo, non concilia affatto con la condizione dell’ attesa. L’ Attesa ,per paziente ed estenuante che sia, impone il dovere di fermarsi e sedere, lo star fermi come statue bloccate da un sistema, contrastando con la dinamicità che siamo. Noi siamo oltre e di più del tempo che abbiamo, siamo altre dimensioni, siamo mente, siamo anima, siamo sentire, che vanno oltre qualsiasi cosa ancora tutte da scoprire.
Nella musica, il tempo impone il ritmo, ma solo nelle pause, quel senza tempo, la musica diviene fattibile. Una vita senza pause, senza il non tempo, sarebbe una vita senza musica, sarebbe una mono nota; il suono hi un gong o di un diapason, si propagano e sfumano il loro suono dettando differenze di tonalità che si propagano nello spazio, nell’ arco di una pausa senza sine che viaggia verso l’ infinito e per questo rilassante. Tempo e spazio, all’ interno del suono, si fondono, diventano parter, l’ uno accompagna l’ altro, e l’ altro trascina l’ uno.
Non c’è movimento della terra o dell’ universo, che abbia tempo, esso non conta mai il tempo, anzi lo genera All’ infinito, ed il loro movimento si fa suono. Il suono detta e canta il suo spartito attraverso il continuo movimento dell’ universo.
Tic tac tic tac, è il suono del tempo, senza il suono ci sarebbe silenzio. il silenzio è un’ altra dimensione del “senza tempo”. Togliere le lancette dal proprio orologio è rimpadronirsi del silenzio, senza il silenzio non può esserci incontro con se e con gli altri. Servirebbe molto silenzio, come accoglienza avvolgente, è nel silenzio della sua pausa, che la parola avrebbe il suo profondo senso.
Il piacere determina un bisogno di lungaggine e di prolungamento dello stesso. Gioire di più, impone il bisogno di far perdurare quel benessere e alla fine scatta il suo countdown. Il malessere invece, impone il bisogno di ridurre il tempo e di renderlo estremamente abbreviato.
Un modo più consono per non lasciarsi incastrare nell’ Alcatraz del tempo, è ribellarsi al ritmo frenetico imposto dalla vita e in particolare modo a chi dispone del nostro. Quando stiamo bene, vorremmo che il tempo si fermasse li, ma quando stiamo peggio, esso non passa mai. Il tempo quindi ha un peso a seconda del nostro benessere – malessere. Esso viene contato ed ha un valore, attraverso le nostre percezioni: Bene – il tempo passa velocemente , Male – il tempo non passa mai . È la sensazione del piacere dispiacere che crea la fissazione o il fluire e da’ il senso al nostro tempo. Avremmo tutti un gran diritto ed impegno nel farsi che il benessere non abbia mai una data di scadenza, ma questo dipende molto da quanto lottiamo perché ciò accada. In tal senso e il più delle volte, siamo noi stessi che ci rendiamo infelici.
giorgio burdi
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