Il caos nella solitudine
Ciò che rende socievoli gli uomini è la loro incapacità di sopportare la solitudine e, in questa, se stessi.
Schopenhauer
Ognuno di noi ha un proprio modo di rappresentare la solitudine, di viverla o, d’immaginarsela.
L’uomo fugge alla solitudine costellando il proprio mondo di relazioni, di immagini e azioni. Nel tentativo di placare tale sensazione, l’uomo si procura le gioie e le sofferenze della vita.
La paura di rimanere soli, la necessità e il desiderio di evitarla, costituiscono il principio motivazionale primario nell’uomo, nei bisogni si appartenenza, come bisogno sociale e di sopravvivenza psicologica.
La spinta a fuggire dall’isolamento determina in parte ciò che siamo, o meglio, ciò che sembriamo. La solitudine diventa quasi un nemico dal quale fuggire e, le nostre decisioni, le relazioni, ciò che diciamo e facciamo, sono animati dalla paura di rimanere soli.
“Chi vive dentro di me nell’infinita solitudine dell’unico?”
Ma, perché?
Quando siamo soli, sono i nostri pensieri e i ricordi a parlare, a prendere vita e a farci compagnia. Non sempre però, ciò che ascoltiamo è accettato. Potremmo essere preda di cognizioni negative su noi stessi, sentirci inadeguati, incapaci di affrontare le situazioni della vita o, addirittura senza speranza.
La paura della solitudine quindi, può essere la paura di ascoltarsi e affrontarsi. Fuggire dalla solitudine, circondarsi di relazioni e impegni, quindi, può essere tradotta come una fuga da noi stessi.
Quando torniamo a casa, ci mettiamo a letto e rimaniamo soli, il silenzio viene interrotto dal caos dei propri pensieri. Iniziamo a pensare, a ricordare e le proprie sensazioni hanno più libertà di espressione. E, forse, è questo a spaventare. Non tanto la mancanza dei propri affetti, ma il timore della consapevolezza.
In tal senso, più siamo occupati socialmente e non rimaniamo soli, più abbiamo la possibilità di evadere dai propri disagi.
La solitudine però può evocare aspetti contraddittori: chi colma il silenzio e la paura di affrontarsi con le appartenenze e chi si rifugia nel proprio intimo.
Questo, naturalmente, è strettamente correlato all’autostima e al modo in cui ognuno si vede.
Le persone hanno bisogno di intimità, di calore, un senso di valore e frequenti conferme della loro identità. Questa però non andrebbe ricercata nelle relazioni sociali, ma nel modo di percepire se stessi.
“L’incapacità di sperimentare la solitudine mette in discussione in modo appropriato la propria natura di essere sociale.” (Wood)
Rielaborare la propria storia e vissuto diventa un passaggio fondamentale; ragion per cui la solitudine può essere uno strumento per realizzare un vero incontro con il proprio sé, rivelare le emozioni che proviamo, sentiamo ed inventiamo e ridare valore al silenzio.
Così, saper stare soli diventa una risorsa preziosa, aiuta l’individuo ad integrare i pensieri interni con i sentimenti e, in tal modo, la solitudine non è solo un mostro dal quale fuggire, ma è anche forza e vittoria, conquistata dal riconoscimento di una propria individualità.
Francesca Scalera
Laureata in Psicologia clinica e della riabilitazione-
Tirocinante presso Studio Burdi
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